Rassegna stampa essenziale, 24-26 aprile 1999

a cura di Andrea Catone



# Unica via bombardare senza pietà (Thomas Friedman)
# Gelo tra D'Alema e Dini (Augusto Minzolini)
# Un brutto segnale (Lietta Tornabuoni)
# L'altra faccia di questa guerra (Paolo Guzzanti)
# Tensioni a sinistra
# Intervista ad Ennio Remondino
# Anniversario con i missili (Vittorio Zucconi)
# D'Alema: "Non mi indigno" (Gianluca Luzi)
# Un missile spegne la TV serba (Vanna Vannuccini)
# Solana: un'azione legittima
# Solana: intensifichiamo gli attacchi (Guido Rampoldi)
# Quando i raid colpiscono la propaganda (Furio Colombo)
# Giuliano Ferrara: "Ma quell'antenna era come un'arma"
# Le proteste dei giornalisti italiani (Antonio Dipollina)
# Le lacrime dei pacifisti (Giorgio Bocca)
# Tina Anselmi: "Questa guerra è giusta"
# I megafoni del regime (Miriam Mafai)
# Scalfaro: "Una preoccupante guerra"; Violante: "Milosevic come Mussolini"
# Guerra: se non ora, quando? (Mario Pirani)
# Alla ricerca dei sepolti vivi (Vanna Vannuccini)





Sabato 24 Aprile 1999

Unica via bombardare senza pietà

Thomas Friedman
IN America si dice che il cammello è un cavallo ideato da un comitato. Non è bello, ma fa quel che deve fare, soprattutto nel deserto. Allo stesso modo, la guerra aerea della Nato contro la Jugoslavia è come una strategia militare ideata da un'alleanza di 19 membri. Non è bella, ma la sua debolezza può diventare forza.
Bombardare i serbi da un'altezza di 15 mila piedi è l'unica strategia militare che tutti i 19 membri della Nato, il Congresso Usa ed i russi possono tollerare oggi in Jugoslavia. La guerra aerea ha molti ovvi difetti, ma anche una grande forza: la Nato può continuarla per molto, molto tempo. E' bene che i serbi lo ricordino.
E' vero che la Nato non libererà il Kosovo dal cielo, ma è ancora possibile, così, raggiungere i nostri obiettivi, costringere cioè Milosevic a permettere, tacitamente o per via negoziale, il ritorno degli albanesi in Kosovo, protetti da una forza di pace internazionale che mantenga la tregua tra albanesi e serbi, e l'instaurazione dell'autonomia della provincia.
Ma se l'unica forza della Nato sta nel poter continuare a bombardare indefinitamente, allora bisogna trarre da questa capacità ogni possibile vantaggio. Ci vuole una vera guerra aerea. L'idea che a Belgrado la gente ascolti concerti rock, o che vada in gita la domenica mentre i loro compatrioti "ripuliscono" il Kosovo, è insultante. Bisognerebbe eleggere ad obiettivo ogni centrale elettrica, ogni acquedotto, ponte, strada o fabbrica in qualche modo legata al conflitto.
Piaccia o no, siamo in guerra con la nazione serba (i serbi certo già ne sono convinti), e la posta in gioco deve essere molto chiara: per ogni settimana in più di devastazioni nel Kosovo, getteremo il vostro Paese dieci anni indietro polverizzandovi. Volete il 1950? Possiamo darvi il 1950. Volete il 1389? Possiamo fare anche questo. Se riusciremo a metterla così, Milosevic vacillerà.
Ma questa strategia fermerà la barbarie in Kosovo? No. La guerra per evitare che gli albanesi venissero gettati fuori dal Kosovo è stata persa nella prima settimana, quando la Nato ha bombardato i serbi senza avere un'adeguata potenza aerea né terrestre per impedirlo, e senza capire la capacità o le intenzioni di Milosevic. E' stato un errore strategico che i kosovari hanno pagato caro.
Il problema ora è come rovesciare il risultato, senza che gli Usa e la Nato si impelaghino tanto nei Balcani da vedere indebolita la propria capacità di operare in qualsiasi altro posto, e da mettere a rischio la loro coesione come mai prima. L'unica via è una guerra aerea senza pietà.
E le truppe di terra? La Nato dovrebbe continuare a pianificare un intervento di terra, come britannici e francesi chiedono a gran voce, sia perché ciò potrebbe influenzare Milosevic e farlo vacillare prima piuttosto che dopo, sia per introdurre un po' di realismo nel dibattito in proposito. L'opinione pubblica e il Congresso Usa devono capire cosa comporta una guerra di terra. Invadere il Kosovo significa tenerlo. Guerra di terra probabilmente significa arrivare fino a Belgrado, e fare di Albania e Macedonia dei protettorati americani.
Attenti, perché questi sono Stati deboli, quasi tribali, che possono disfarsi nelle nostre mani. L'Albania è un non-Stato, in cui secondo la polizia più della metà delle automobili circolanti sono state rubate altrove in Europa. E' un Paese in cui tutti hanno un'arma a casa e dove appena due anni fa l'intero sistema bancario era basato sul gioco delle tre carte. Recentemente il Wall street journal ha citato un disoccupato di Tirana, secondo cui "sarebbe meglio se Milosevic bombardasse qui, così potremmo andare tutti in Italia e in Germania come rifugiati".
Questo è uno dei motivi per cui dovremmo mantenere una strategia che, per ora, mantenga i nostri obiettivi senza finire per occupare tutti i Balcani. Perché nulla affosserebbe il sostegno pubblico all'internazionalismo americano quanto l'occupare il nido di vespe più vecchio della storia.
Date una possibilità alla guerra. Vediamo quanti mesi di bombardamenti occorrono prima di optare per qualche settimana di invasione che, se vinceremo ci porteranno ad occupare i Balcani per anni. Facciamo del Kosovo il Vietnam di Milosevic, non il nostro.



Gelo tra D'Alema e Dini

Il premier critica le riserve del ministro

Augusto Minzolini
inviato a WASHINGTON
Di prima mattina, a poco più di un'ora dall'inizio della conferenza della Nato, arriva l'ennesimo distinguo del ministro degli esteri Lamberto Dini dall'operato dell'Alleanza. Questa volta si tratta del bombardamento della tv serba. Mentre a qualche metro di distanza Massimo D'Alema appena uscito dall'Hotel St.Regis di Washington si infila nell'automobile per arrivare in tempo alla cerimonia di apertura, Dini resta indietro e si concede alla stampa per sparare contro l'azione degli aerei Nato: "Non me ne parlate. E' terribile...Disapprovo... Non credo neppure che fosse nei piani la faccenda della Tv. A mia conoscenza non era nei programmi alleati. Se d'ora in avanti saranno colpiti anche obiettivi non militari? C'è questo rischio ma non è automatico. Quindi la cosa va discussa attentamente. Non scherziamo...".
Ci risiamo. Scoppia il solito caso italiano che movimenta ogni vertice internazionale dall'inizio della guerra nel Kosovo. L'uscita di Lambertow si trasforma in un fulmine nel cielo di Washington. Gli americani non nascondono la propria irritazione. La Nato idem. "Era tutto stranoto", dice secco il segretario generale della Nato, Solana. "La Tv - fa presente il portavoce della Nato, Jaimie Shea - è più pericolosa dell'esercito serbo. La stessa opposizione serba l'ha sempre considerata il vero bastione del potere di Milosevic". Il ministro degli esteri inglese Robin Cook è ancora più duro. "Ci sono antenne e antenne. Ci sono antenne che fanno propaganda e antenne che danno notizie". Dini, di rimando, fa sapere che i francesi la pensano come lui, se non peggio. Gli uomini del ministro degli esteri lo giurano, ma quelli di Chirac rimangono zitti, non parlano.
E la delegazione italiana? Il ministro della difesa, Carlo Scognamiglio, non ci pensa due volte a schierarsi con la Nato. "L'interpretazione data dai comandi dell'Alleanza - spiega - è che la propaganda è un elemento importante nella conduzione dell'azione militare e, quindi, deve essere inclusa negli obiettivi".
Rimane D'Alema. Le dichiarazioni del ministro degli Esteri costituiscono un'altra gatta da pelare per il premier. E pensare che una volta era Dini l'amerikano del governo. Adesso, invece, è il premier post-comunista a dover calmare le ire di Washington e di Bruxelles. E non è la prima volta: sarà, come dice qualcuno, che il nostro ministro degli Esteri ha un debole per i consigli di Giulio Andreotti; sarà, come dicono altri, che questo atteggiamento di comprensione verso Belgrado potrebbe assicurargli i voti di Cossutta e di Bertinotti nella corsa per il Quirinale. Sta di fatto che da qualche tempo il ministro occidentale più tenero nei confronti di Milosevic è proprio lui.
E D'Alema deve garantire per lui di fronte agli Alleati. Ai suoi collaboratori il premier dà le istruzioni del caso per salvare capra e cavoli: da una parte osserva "è un giudizio emotivo, può capitare", dall'altra bisogna tenere conto degli interventi che sono necessari "per disarticolare un potere autoritario come quello di Milosevic".
Insomma, il premier fa quel che può per circoscrivere il "problema". Ha ben altro in testa: dalla tribuna deve sottolineare la necessità di uno stretto rapporto tra la Nato e l'Onu, e di un maggior ruolo dell'Unione Europea nell'Alleanza. Ma la vicenda rischia di lasciare strascichi. Per cui nella conferenza stampa di fine seduta il premier decide di tirare le orecchie al ministro degli Esteri in pubblico.
La scena è di quelle che lasciano il segno. D'Alema sulla tribunetta del salone. Dini seduto in prima fila. Il premier parla ai giornalisti, ma le parole non sono scelte a caso e sembrano avere come destinatario proprio il ministro. "Quando ci si trova in una situazione di questo tipo - scandisce D'Alema - il compito dei politici è quello di porre dei vincoli di un'azione militare e non quello di discutere ogni singolo obiettivo. E' del tutto improprio".
Il capo del governo va avanti, il ministro degli esteri ascolta imbarazzato. "Certo noi - continua - abbiamo ancora oggi raccomandato la necessità di ridurre al massimo le vittime civili. Anche una è troppo. La Nato farà di tutto per evitarlo, ma dalla parte di Milosevic non mi sembra che ci sia la stessa preoccupazione. Comunque, ripeto, non si può commentare ogni giorno dove cade una bomba. Eppoi ricordo che in quel paese un gionalista libero è stato assassinato nel portone di casa sua e questo riduce di molto la mia indignazione per il bombardamento della tv di Milosevic".
Le dichiarazioni del presidente del consiglio sono una vera e propria presa di distanza dal ministro degli Esteri. Dini mastica amaro. Ce l'ha con tutti quelli che lo hanno attaccato, soprattutto con gli inglesi. Così quando il premier ricorda il contingente italiano impegnato nella guera del Kosovo, il ministro degli Esteri si lascia scappare un commento a mezza bocca: "Il nostro impegno è maggiore di quello di Blair". Ed ancora, quando a D'Alema viene chiesto se Milosevic deve essere processato dal tribunale dell'Aia, Dini si lascia sfuggire un sonoro: "...E le prove?".
La conferenza stampa del premier finisce con il ministro degli Esteri che trattiene a malapena il disappunto. "Due settimane fa - si sfoga con qualche cronista - avevamo posto il nostro veto nel consiglio atlantico sul bombardamento della tv serba. Per questo ho avuto quella reazione istantanea. Non mi parlate degli inglesi... Sono gli apripista degli americani. Avete visto la reazione dell'opione pubblica italiana? Io sono nel giusto".
D'Alema non lo sente. Prima di lasciare la sala della conferenza, però, si rivolge ad un cronista e scuotendo la testa sospira: "Che faticaccia!":



UN BRUTTO SEGNALE

Lietta Tornabuoni
E CCO, l'hanno trovato, il sistema contro la disinformazione: ammazzare i giornalisti e i tecnici televisivi.
I morti e i feriti nel bombardamento della sede della Tv di Belgrado non sono soltanto un'altra infamia di questa guerra (perché i morti ammazzati sono morti chiunque li abbia eliminati, non esiste un morto meno morto di un altro). Sono anche un segno. Finora la Nato, magari ipocritamente, definiva le uccisioni di civili un errore, un equivoco, una fatalità, un tragico sbaglio che si sarebbe badato a non ripetere e per il quale ci si diceva addolorati, si chiedeva scusa. Stavolta, no. Stavolta le uccisioni sono volontarie, mirate, non comportano alcun rammarico ma la soddisfazione d'avere danneggiato un "nido di menzogne": come se dire eventualmente bugie o fare propaganda potesse essere considerato un crimine degno della pena capitale.
L'azione è più grave non certo perché la morte di gente della televisione sia più importante e offensiva di quella, mettiamo, dei settantacinque profughi uccisi dai bombardamenti sul mezzo di trasporto usato per fuggire dalla guerra: ma per l'atto volontario, per l'arroganza di chi si crede depositario del giusto e dell'ingiusto, del bene e del male.



L'altra faccia di questa guerra
FUORI DAL CORO

Paolo Guzzanti
NON m'intendo di faccende militari, ma mi ha colpito l'analisi di un esperto inglese alla Bbc: "Al momento dello scontro di terra non potremo contare sugli italiani: non sono preparati, meglio lasciarli perdere. L'idea è di far avere per loro, e solo per loro, uno speciale mandato umanitario dall'Onu in modo che possano fare quel che già fanno: la Croce Rossa in uniforme militare. Ma la guerra vera, quella ce la dovremo fare da soli senza gli italiani". Parole non gratificanti, ma realistiche. Mi è capitato poi di ascoltare alcuni esperti italiani di pianificazione militare, che mi hanno detto: "Ha un'idea del numero dei soldati e miliziani serbi impegnati nell'espulsione di un milione di persone, villaggio per villaggio, casolare per casolare, selezionando chi deve vivere e chi deve morire? Almeno cinquantamila. Dietro i quali funziona una pianificazione perfetta, meticolosa e di lungo termine perché anche un massacro ha bisogno di trasporti, rifornimenti, nascondigli sotterranei con carburante, munizioni e ricambi di uomini e mezzi. Una operazione del genere richiede almeno quattro mesi di preparazione e se si tiene conto del fatto che la pulizia etnica era già in corso da circa un anno, è facile dedurre che la fase finale della liquidazione albanese nel Kosovo era già in fase operativa da dicembre". Azzardiamo allora uno scenario che contenga questi elementi, più quelli che ci sono già noti, e partendo dal momento in cui, un anno fa, i satelliti mostrarono ciò che Milosevic aveva deciso di fare a partire dall'autunno del 1998, convincendo Nato e americani che la guerra è inevitabile e anzi necessaria. Ed ecco che, 9 ottobre 1998, si produce in Italia una crisi di governo a freddo che espelle Rifondazione comunista, porta alla guida del governo l'ultimo segretario del Pci-Pds e prepara le condizioni per spedire nell'entusiasimo generale (europeo, prima ancora che italiano) Romano Prodi a Bruxelles. Il regista di questa operazione politica è uno stratega di nome Cossiga che sostituisce i voti dell'estrema sinistra con un pacchetto strappato alla destra. Risultato pratico: l'Italia, indispensabile base di lancio dell'attacco, diventa un'oasi al riparo da turbolenze capaci di compromettere le operazioni militari. D'Alema sale a Palazzo Chigi, entra nella parte e alza la bandiera di guerra: nessun nemico a sinistra, salvo un contenibile mugugno, ma con la porta del dialogo sempre aperta.
Nel frattempo Cossiga porta a termine missioni nei Paesi Baschi o nella tenda di Gheddafi, in perfetta autonomia, ma di cui puntualmente riferisce al governo. Ogni possibile risorsa diversiva utile a Milosevic nell'area occidentale è sedata. E Gheddafi come un agnellino consegna alle corti internazionali i due libici accusati della strage di Lockerbie. Il suo nome viene definitivamente cancellato dall'albo dei cattivi e quando Milosevic gli invia una disperata richiesta di aiuto, il colonnello si gira dall'altra parte. L'Italia si comporta realmente come se avesse avuto la garanzia che non dovrà prestare altro contributo che le sue piste di decollo. I suoi aerei fanno solo da scorta. Le sue truppe ricevono crescenti compiti umanitari: piantano tende, cuociono pane, preparano soccorsi. Il cliché è rispettato: italiani, brava gente. Il quadro politico interno frattanto è stabilizzato: dopo molti anni, una legislatura rischia di morire di morte naturale mentre l'opposizione di sinistra gode di un margine di manovra che le consente di ottenere tutti i distinguo che vuole in materia di partecipazione militare italiana. Quella che nessun alleato si aspetta. Dite se non calza a pennello.



la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 10

Napolitano critica la Ue, Cofferati: tocca all' Onu

TENSIONE A SINISTRA "C' È SPAZIO PER LA PACE" CRESCE IL GRUPPO DEI 170 FIRMATARI CONTRO L' INTERVENTO DI TERRA IN KOSOVO. PER DILIBERTO E MUSSI CI SONO SPIRAGLI I VERDI CHIEDONO DI ANDARE A VEDERE L' OFFERTA DI MILOSEVIC GUERRA NEI BALCANI


ROMA - Nel Transatlantico di Montecitorio, affollato nonostante il venerdì per il voto di fiducia sulle quote latte, nei settori del centrosinistra non si parla d' altro. Dopo i colloqui fra Milosevic e Cernomyrdin, si intravvedono barlumi di tregua. "Se sarà confermata questa disponibilità", commenta il ministro comunista della Giustizia, Oliviero Diliberto, "si apre più di uno spiraglio sul quale lavorare per ottenere immediatamente una tregua e poi la pace". Fabio Mussi è d' accordo: "Forse si sta muovendo qualcosa che spero possa essere raccolta, perfezionata e rilanciata dal vertice di Washington". Certo, cossuttiani, Verdi e Prc hanno una gran voglia di accelerare: il segnale che abbiamo tanto aspettato, eccolo qua. "Ora", scandisce Ramon Mantovani, "ci sono tutte le condizioni per interrompere i bombardamenti e avviare una nuova trattativa". "L' iniziativa della Russia non va assolutamente lasciata cadere", gli fa eco Marco Rizzo. E mentre il ministro verde Edo Ronchi torna a ripetere che in caso di intervento di terra gli ambientalisti (che ieri hanno protestato anche in aula, votando il decreto sulle quote latte innalzando palette con su scritto "pace") aprirebbero una crisi di governo, Luigi Manconi non ha dubbi: respingere l' offerta di Milosevic senza andare a vedere, equivarrebbe a puntare dritti alla guerra totale. "Chiedo a D' Alema", dice il portavoce dei Verdi, "di battersi con determinazione all' interno dell' Alleanza perché non prevalga una posizione oltranzista". Anche perché, aggiunge, non sono solo i Verdi a rivolgere questa richiesta al premier, ma un gruppone di parlamentari trasversale al centrosinistra che si va ingrossando di ora in ora. Ai 170 fra deputati e senatori che l' altro giorno hanno sottoscritto un documento-ultimatum contro l' intervento di terra nel Kosovo, ieri hanno continuato ad aggiungersene altri: Mauro, Siniscalchi, De Simone, Cesetti, Occhionero. Contro l' intervento militare in Jugoslavia fa sentire la sua voce anche il responsabile organizzativo dei Ds, Franco Passuello. "Non si poteva rimanere indifferenti dinanzi all' uso barbarico della forza", spiega, intervistato da Aprile. "Ma l' intervento, così com' è stato concretamente realizzato, rappresenta un uso "grave" della forza. E chi ha a cuore la costruzione di atti che costituiscano la pace, chiede subito di bloccare l' intervento dei bombardieri, il dispiegarsi di una logica di guerra che non porterà a nulla di positivo". Mentre Giorgio Napolitano punta il dito contro i ritardi dell' Europa e della Nato, all' iniziativa di D' Alema, che ha incoraggiato Kofi Annan a intraprendere una forte azione politica, arriva il pieno appoggio di Sergio Cofferati. Il segretario generale della Cgil mette però in guardia dai rischi di un intervento di terra, "che radicalizzerebbe un conflitto destinato ad allargarsi".




la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 10

Remondino: allora bisognerebbe bombardare tv in tutto il mondo

"GENTE CHE LAVORAVA ALTRO CHE MILITARI" INTERVISTA/1

MILANO (a.dip) - Ennio Remondino, inviato Rai a Belgrado. Sandro Curzi dice che lei è stato avvertito sei ore prima del bombardamento alla sede della tv. "La realtà è molto diversa. Qui, con il passaparola tra colleghi, è da qualche giorno che sappiamo che certi obiettivi stavano entrando sotto tiro. Diciamo che da qualche giorno sapevamo che dovevano trattenerci il meno possibile in quel palazzo, soprattutto di sera e di notte". Come ha vissuto quelle ore? "Con angoscia fortissima, ho visto morire in modo atroce persone con cui ho lavorato. Quella che fossero una sorta di soldati di Milosevic è un' orribile sciocchezza. In quel palazzo lavora un sacco di gente che lavora e basta, per vivere, per mangiare, E tanti di loro sono invece morti, è terribile, altro che storie. Ed è tutto sbagliato". Perché? "Perché in quel luogo non c' erano potenti, al massimo c' erano dei loro servitori. E ai servitori si tirano le uova marce, non i missili". Che è successo nelle ore successive, tra di voi? "Ci siamo riuniti, tutti giornalisti e operatori delle tv straniere, eravamo cento, centocinquanta, siamo andati in un albergo dove abbiamo incontrato rappresentanti della tv di Belgrado. Uno di noi, un tedesco, ha letto un messaggio di solidarietà. Abbiamo osservato un minuto di silenzio per i morti, una cosa semplice, commovente". Ma quella tv, si dice, non era libera, era uno strumento di guerra. "Con questa logica bisognerebbe dichiarare guerra a mezzo mondo e bombardare sedi televisive a ripetizione. Chi giudica? Chi è il tribunale mondiale della verità? Esiste? No che non esiste. E alla tv turca che esalta la condanna a morte di Ocalan che dobbiamo fare?". Qual è il punto? "Il punto è che, non si può negarlo, questo regime vive sulla propaganda. Se le forze del bene, chiamiamole così, danno appigli all' avversario, tutto diventa più difficile, è successo con il treno, è successo qui con la tv". Lei sta parlando liberamente in questo momento? "Sì, me ne infischio se ascoltano. E poi di chi parliamo? Quelli con cui ho lavorato a lungo, perfino quelli che mi requisivano le cassette per controllarle, non li immagini come una banda di scherani aggressivi. Sono, e alcuni purtroppo erano, anche persone gentili, che aiutavano, con slanci generosi verso il nostro lavoro. E noi, in teoria, eravamo e siamo quelli degli aggressori".




la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 1

dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI


ANNIVERSARIO CON I MISSILI


WASHINGTON FIGLIA di un magnifico passato ma insieme madre di un futuro ancora informe, quella Nato che per mezzo secolo ha garantito anche la libertà di odiarla e la prosperità dell' Europa occidentale, si scopre aggrappata a un tiranno di provincia per dare un senso al proprio presente. Unità, determinazione di vincere, rifiuto di ogni "manovra diversiva" di Milosevic, devozione a ideali di moralità e di democrazia e forse qualche segno di flessibilità sono gli impegni sottoscritti ieri in quella che doveva essere la celebrazione dei cinquant' anni della grande signora in blu nata proprio a Washington ed è diventata invece un sobrio, triste consiglio di guerra. CONTINUEREMO a bombardare", hanno detto i capi di governo stappando l' amaro champagne serbo, dobbiamo "vincere" e spazzare via l' "ultimo tiranno" europeo del XX secolo, dice Clinton ed è ovvio, banale dire che la Nato non possa permettere a uno Slobodan Milosevic di fare quello che Stalin, Kruscev, Breznev non riuscirono a fare: sconfiggerla politicamente. Ma proprio qui, in questo assoluto imperativo di vittoria sta la tremenda scommessa che queste 19 nazioni hanno fatto con sé stesse e con i loro 50 anni di storia: la chiave del futuro dell' Alleanza è nelle mani di Milosevic. Il senso e l' importanza di questo summit, che la guerra sulla ex Jugoslavia ha avuto almeno il merito di strappare alle americanate hollywoodiane che incombevano su di esso, sono racchiusi in questa trappola di ferro che la Nato ha costruito per sé stessa e dalla quale adesso deve a ogni costo uscire, unita, vittoriosa e soprattutto coerente con la moralità che predica. Non ci sono dubbi che la signora della Guerra Fredda si sia trovata a questo appuntamento in una posizione difficile. Nessuno aveva previsto che la guerra avrebbe allungato la sua ombra sulle bandiere della celebrazione (ma quante guerre sono cominciate con l' illusione e la promessa che sarebbero state "brevi" ?). I registi del compleanno non avevano calcolato che discorsini e marcette si sarebbero accavallate sugli schermi del mondo con le rovine della centrale TV di Belgrado, nelle quali la brutale eloquenza della guerra contraddice la retorica della pace. E meno di tutti il regista della crisi, Bill Clinton, avrebbe mai immaginato di scoprirsi, lui eletto presidente "americano per l' America", trascinato come il fondatore della Nato, Harry Truman, su un fronte di guerra che sta ben oltre gli oceani e ben oltre la sua esperienza e preparazione. Poiché i meriti acquisiti in passato non sono mai garanzia di successi futuri, non più di quanto festeggiare un cinquantesimo compleanno ci garantisca altri 50 anni di vita, né gli Stati Uniti, né la Nato hanno la certezza di "vincere" questa guerra. E il profumo del dubbio aleggiava evidentissimo ieri, nella eccessiva e preoccupante insistenza sull' unità di tutti, nella promessa di vincere a ogni costo, nella scelta di non dibattere apertamente, e dunque di non decidere, la questione cruciale del possibile attacco di terra per liberare il Kosovo. Soprattutto si notava l' imbarazzo storico, quasi genetico, di un' organizzazione che non è stata costruita per fare la guerra, ma per evitarla. E che ha sempre definito le sue "vittorie" in termini di guerre non combattute. La Nato non sa "fare la guerra" e lo si è visto in questo mese di bombardamenti spesso molto maldestri. Sa impedirla. In mezzo secolo di esistenza, l' Alleanza non aveva mai dovuto sparare un colpo, né concepire altro che strategie di difesa e di contenimento. Mentre le armate sovietiche o i loro ausiliari locali dovevano periodicamente sparare su tedeschi orientali, polacchi, ungheresi, cechi per mantenerli in riga, la Nato incassava i dividendi degli inevitabili errori sovietici. L' immenso vantaggio strategico del gioco in difesa, il chiarissimo ruolo di scudo (soltanto gli agit prop del Cominform poterono sostenere che la Nato sognasse una nuova Operazione Barbarossa) sono assenti nell' attacco alla Serbia. Errori gravissimi di guerra psicologica come l' attacco a una stazione TV o azioni vuote come il bombardamento della villa presidenziale deserta cadono stridenti come unghiate sopra una lavagna, nelle ore in cui si dovrebbe celebrare la compiuta "missione di pace". Per questo i 19 governi riuniti qui in una Washington ridotta a campo fortificato, hanno cominciato a ridefinire al ribasso ieri che cosa costituisca "vittoria". Non vorremmo leggere troppo nei comunicati e nelle dichiarazioni e vedere "spiragli" di luce dove è soltanto buio. Ma ci sono sfumature, nei documenti di questo consiglio di guerra che fanno pensare. Dicono che i bombardamenti potrebbero cessare quando "cominciasse il ritiro serbo dal Kosovo", dunque non a ritiro avvenuto. La forza di controllo potrebbe entrare per gradi e comunque sotto le bandiere dell' Onu, non della Nato. Il ritorno dei profughi, unica condizione sacra e non negoziabile, dovrebbe anch' esso soltanto "cominciare" e il negoziato per la sistemazione futura del Kosovo deve "riprendere", non concludersi. I piani per l' attacco a terra restano allo studio, ma non hanno ancora ricevuto il via libera del consiglio Nato dove Clinton è il più deciso a evitarlo, sapendo bene che sarebbero soprattutto i suoi soldati a morire per Pristina. Forse leggiamo troppo, in queste sfumature. Forse non è vero che Milosevic cominci a dare segni di cedimento, come i russi credevano di avere capito, ingannando anche Cernomyrdin. Ma il fatto che Clinton abbia evitato ieri di costruire un' altra scatola di ferro dentro la quale chiudere la Nato - l' attacco terrestre - è un segno che lui e i diciotto alleati degli Stati Uniti sanno che la "vittoria" può essere definita in mille modi anche senza aspettare la capitolazione del nemico. E la magnifica signora della Guerra Fredda che ha protetto la nostra libera esistenza per 50 anni ha capito che non può suicidarsi per un tiranno di provincia che si fece grande ordinando di sparare sulle donne e i bambini nel mercato di Sarajevo. Milosevic non vale una Nato.




la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 2

dal nostro inviato GIANLUCA LUZI


Dini: "è terribile". D' Alema: "Non mi indigno"

L' ATTACCO ALLA TELEVISIONE DIVIDE IL GOVERNO ITALIANO IL MINISTRO DEGLI ESTERI AVEVA CONTESTATO LA LEGITTIMITÀ DELL'AZIONE. IL PREMIER LO HA CORRETTO, INVITANDOLO AL SILENZIO: "NON SI PUÒ DISCUTERE OGNI SINGOLO OBIETTIVO" GUERRA NEI BALCANI


WASHINGTON - "Quando ci si trova in una situazione di questo tipo il compito dei politici è di stabilire dei vincoli, dei limiti all' azione militare, non può essere quello di discutere ogni singolo obiettivo dell' azione". Massimo D' Alema risponde alle domande dei giornalisti, innanzitutto a quelle sul bombardamento Nato della tv serba. In prima fila, ad ascoltarlo c' è il ministro degli Esteri Lamberto Dini che qualche ora prima aveva condannato senza mezzi termini il raid aereo. Sembravano le dichiarazioni del ministro di un paese avversario della Nato: "Terribile. Non me ne parlate. Disapprovo", una condanna senza appello dell' attacco emessa di buona mattina. D' Alema invece non condanna, né prende le distanze da quella azione militare decisa dai comandi Nato. Anzi, la giustifica pienamente e difende il criterio con cui l' alleanza sta conducendo i bombardamenti. E quindi smentisce la reazione presa dal suo ministro degli Esteri. "Anche questa mattina abbiamo raccomandato con molta fermezza che le azioni siano studiate con l' obiettivo di ridurre al massimo la possibilità di colpire vittime civili. Questo è il vincolo al quale i militari della Nato si sono attenuti, perché bombardamenti di questa intensità certamente hanno prodotto un numero di vittime civili...". Contenuto, vorrebbe dire D' Alema che aggiunge per spiegare meglio il suo pensiero: "Anche una vittima è troppo, ma considerando che si tratta di una guerra, certamente il numero è piuttosto limitato rispetto alle dimensioni dell' attacco aereo. Il che è testimonianza che da parte della Nato non solo non c' è la volontà di colpire i civili, ma al contrario c' è una grande e scrupolosa attenzione a non colpirli. E vorrei dire anche una trasparenza: quando accadono degli incidenti, questi vengono ammessi, dichiarati, documentati. Io credo che così debbano comportarsi le forze armate dei paesi democratici". Non così invece si comporta il presidente serbo. "Non ho ancora visto Milosevic dire: ci siamo sbagliati ed effettivamente abbiamo ammazzato migliaia di persone e adesso vi facciamo vedere le prove". Quindi il bombardamento degli impianti tv non è da condannare: "Non credo che possiamo ogni giorno commentare. I mezzi di informazione sono importanti, però non possiamo dimenticare che quello è un paese dove un giornalista libero lo hanno assassinato nel portone di casa sua". Dini invece di buon mattino aveva messo profondamente in dubbio la legittimità dell' attacco alleato: "Non credo che fosse neppure nei piani. Il bombardamento della televisione, a mia conoscenza, non era nei programmi". Anche il ministro della Difesa Scognamiglio, come D'Alema, ha usato parole e toni diversi da quelli di Dini. Scognamiglio, infatti, ha citato il giudizio dei militari dell' alleanza secondo cui gli impianti televisivi sono un obiettivo legittimo perché usati da Milosevic come strumento di propaganda di guerra. "Ho ascoltato le interpretazioni che sono state date dai comandi Nato, i quali giudicano che la propaganda costituisce un elemento importante nella conduzione dell' azione di guerra e quindi possa essere incluso fra gli obiettivi della fase attuale".



la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 2

dal nostro inviato VANNA VANNUCCINI


Morti e feriti, negli studi lavoravano 70 persone

UN MISSILE SPEGNE LA TV SERBA COLPITA LA VOCE DEL REGIME, MA L' EMITTENTE RIESCE A RIPRENDERE LE TRASMISSIONI. ATTACCO NOTTURNO SULLA CITTÀ DI NIS UN RAID ANNUNCIATO: MARTEDÌ LA CNN AVEVA TRASLOCATO


BELGRADO - "Erano appena suonate le 2 quando ho sentito una tremenda esplosione. Ho capito subito che avevano colpito la televisione. Abito qui vicino e sono scesa di corsa a vedere". La signora bionda con gli occhi celesti rossi di lacrime e di fumo che si aggira stranita per la via Tarkovska lavora alla tivù serba come archivista da vent' anni. Sono le 3 del mattino e l' edificio a quattro piani che era il cuore della tivù serba, il cosiddetto "broadcast" o centro di controllo, non esiste più. Un missile laser comandato l' ha schiacciato dall' alto, preciso come un colpo di maglio. Di notte alla tivù serba lavorano due studi, In tutto a quell'ora si trovavano nell' edificio una settantina di persone. Giornalisti, tecnici con il cartellino della tivù serba (Rts) al bavero della giacca sono venuti a cercare notizie dei colleghi. C' è chi telefona sul portatile: "Jelena e Aca sono vivi. Ma Darko non ce l' ha fatta. Stava al "master" e lì non è rimasto più nulla". Nemmeno Branko ce l' ha fatta. Aveva 23 anni ed era diventato amico dei tecnici di Canale5 che ogni sera consegnavano a lui la cassetta da trasmettere in Italia. Mentre le ruspe continuano a scavare, il bilancio dei morti rimarrà sconosciuto per tutta la giornata. Dieci, secondo la stima del direttore generale della Rts Dragoljuv Milanovic che riferisce anche di 17 dispersi. Vittime innocenti, doppiamente vittime: della Nato che voleva dimostrare a Milosevic che non ci sono "santuari" invalicabili; e di Milosevic che non ha permesso l' evacuazione della televisione di Stato, nonostante fosse un bersaglio annunciato. La Cnn che aveva un suo ufficio nel palazzo, aveva fatto i bagagli già martedì. E la stessa sera, il ministro Goran Matic, aveva portato (senza avvertirli) i giornalisti stranieri a portare la loro solidarietà ai colleghi nel mirino della Nato. Tra le macerie del palazzo della tivù, al buio, le squadre di soccorso cercano di estrarre i corpi dalle macerie. Dicono che si sentono dei lamenti e dei colpi, come se qualcuno bussasse. Si diffonde un odore acre, il fumo da nero diventa blu e la polizia manda via tutti: c' è pericolo di avvelenamento. è giorno ormai e per la strada si è riunita una folla. Vicino alla sede della tivù c' è la chiesa di San Marco. Tra la chiesa e la televisione un teatro per bambini e una minuscola chiesina russa. Il teatro è semidistrutto, la chiesina leggermente danneggiata. "A Clinton dovrebbero dare il Premio Nobel per un' invenzione senza precedenti: le bombe umanitarie" dice lo scrittore Dusan Kovacevic, autore del romanzo da cui Kusturica ha tratto il suo film "Underground". "La follia che aveva sconvolto la Jugoslavia ha ora raggiunto l' Occidente" dice Kovacevic. "Questa - prosegue - è la continuazione della Seconda guerra mondiale dopo una breve pausa. E speriamo che tra qualche anno non ci troveremo in cantine antiatomiche". Esattamente sei ore dopo questo orrore, la televisione serba riprendeva a trasmettere regolarmente. Evidentemente era pronto un piano di emergenza. "Colpiremo il cervello della propaganda di Milosevic" aveva annunciato un portavoce della Nato. I primi raid della notte scorsa hanno invece colpito Nis, la seconda città della Serbia. Almeno 15 missili Nato hanno raggiunto il centro a 220 chilometri a sud di Belgrado. L' agenzia ufficiale Tanjug dice che un ragazzo di 17 anni è morto.



la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 2

SOLANA: "UN' AZIONE LEGITTIMA ERA IL MEGAFONO DEL REGIME" JAMIE SHEA: "LA RTS È UNO STRUMENTO DI GUERRA, FA PARTE DELLA MACCHINA DI PROPAGANDA JUGOSLAVA" LA NATO


WASHINGTON (m.r.) - "Abbiamo dimostrato che non c' è asilo, non c' è riparo per gli strumenti che creano le condizioni attraverso cui il regime di Milosevic attua la sua campagna di repressione". All' indomani del bombardamento della sede della televisione jugoslava, la Nato ha difeso con forza la decisione di attaccare un bersaglio che molti considerano non militare, ma civile. Per il segretario generale Javier Solana è un "obiettivo legittimo". Che rientra tra quelli "già inseriti nella lista dei bersagli da prendere di mira per le sue implicazioni militari". Non si tratta di una nuova fase della campagna aerea, ha spiegato Solana, sottolineando che "gli attacchi stanno dando dei risultati" e per questo "saranno intensificati fino alla vittoria". L' obiettivo, dice il portavoce dell' alleanza, è "azzoppare gli strumenti fondamentali del regime". "Nessun elemento del sistema di potere di Milosevic può essere immune" rincara George Robertson, il ministro della Difesa britannico. I dubbi sull' attacco alla torre nel centro di Belgrado vengono respinti con determinazione. Nella campagna aerea in corso, spiegano gli uomini dell' alleanza, la strategia corre lungo due direttrici: martellare le truppe jugoslave impegnate nella pulizia etnica del Kosovo, da una parte, colpire "i centri del sistema nervoso della Jugoslavia" dall' altra. E la decisione di bombardare Rts parte dalla convinzione che la tv pubblica faccia parte, a pieno titolo, di questi centri. "Rts - spiega con foga Jamie Shea - è uno strumento di guerra, fa parte della macchina bellica jugoslava". Non da oggi: da quando, dice, nel 1991 chiamava i croati ustascia. Da questo punto di vista, la tv serba "ha tanta responsabilità quanto l' esercito regolare jugoslavo nel creare il clima politico che ha portato alla violenza di massa nel Kosovo". Sua la responsabilità di una sistematica campagna di "istigazione al nazionalismo", che ha creato le premesse psicologiche per la sistematica ricerca della pulizia etnica, in Bosnia prima, nel Kosovo poi. Nessuna sorpresa, dunque, secondo gli uomini della Nato. Il bombardamento della tv viene presentato come la logica conseguenza di una strategia di crescente pressione su Milosevic, in una linea coerente con il bombardamento del quartier generale del suo partito e, poi, di una delle sue abitazioni a Belgrado: ambedue, secondo lo spionaggio occidentale, ospitavano, in realtà, bunker e centri di comunicazione, cruciali nell' organizzazione della repressione politica e militare. In realtà, gli uomini della Nato sorvolano, oggi, sul fatto che, quando la decisione di inquadrare nel mirino la televisione fu annunciata, si manifestarono subito, da parte europea (francesi e italiani in testa) dubbi e perplessità. Tanto che la decisione sembrava accantonata. Averla riproposta, giudicano alcuni analisti, può essere il risultato della maggiore autonomia di decisione che, negli ultimi giorni, soprattutto su pressione americana, è stata concessa al generale Clark e al vertice militare, nella scelta degli obiettivi.



la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 1

dal nostro inviato GUIDO RAMPOLDI


Morti e feriti, Dini protesta ma D' Alema lo smentisce

BOMBE SULLA TV DI BELGRADO SCONTRO NEL GOVERNO AL VERTICE NATO. GIÀ FALLITA LA MEDIAZIONE RUSSA. SOLANA: "INTENSIFICHIAMO GLI ATTACCHI"


BELGRADO ALLE due e venti dell' altra notte la guerra virtuale messa in scena dalla tv del regime ha incrociato la guerra reale. E il prim' attore della rappresentazione serba, Slobodan Milosevic, è stato oscurato dal protagonista dell' attacco occidentale, il missile. Prima che il razzo lo dissolvesse all' improvviso in un effetto-pioggia, Milosevic aveva consegnato ai telespettatori alcuni giudizi contenuti in un' intervista trasmessa tre volte dall' inizio del pomeriggio, in sintesi o per intero. Sono in corso due conflitti, aveva detto il presidente jugoslavo: l' uno militare e l' altro mediatico. L' ALTRA notte le due guerre si sono sovrapposte, come forse era nel destino di un conflitto specialissimo in cui la Nato non combatte per espugnare un territorio, ma un regime. Ora l' Alleanza atlantica tenta di vincere la guerra mediatica con mezzi militari. Distrugge tv e ripetitori nella prospettiva di invadere l'etere del nemico, come in altri tempi un esercito avrebbe cannoneggiato una fortezza per avere accesso a un' area strategica. Ma una fortezza e una televisione non sono la stessa cosa. La trasposizione della guerra classica nella guerra mediatica ha un prezzo. E solleva questioni che non andrebbero affrontate solo in un consesso di generali o nei consigli di guerra di qualche cancelleria. Prima che il missile trasformasse il palazzo bianco in tomba e rovina, avevamo parlato con operatori e giornalisti. Nervosi, insicuri. La settimana scorsa un ammiraglio britannico aveva annunciato che la loro televisione, la Rts, da quel momento figurava nella lista dei "bersagli autorizzati". Per questa ragione: aveva calunniato l' Alleanza atlantica attribuendole la strage di una famiglia jugoslava, i genitori e tre bambini, uccisi da un missile a Pristina. Così motivato, il bombardamento promesso suonava come una vendetta privata dell' aviazione occidentale. Poche ore dopo la Nato aveva onestamente ammesso l' errore di Pristina, sulle prime negato. Ma il destino della Rts era rimasto nel vago. Fin quando, negli ultimi giorni e con vari segnali, il Pentagono aveva di fatto preannunciato l' attacco. Questo doveva essere chiaro anche al regime. La direzione della Rts non ha voluto sospendere le trasmissioni notturne e ha obbligato giornalisti e tecnici al rispetto dei turni. Chi per patriottismo, chi perché comandato, tutti hanno atteso un attacco altamente probabile. Tutti tranne la direzione politica: come sempre il regime immola altri, i sottoposti, nella sua guerra suicida. Ma è innocente, la Nato? Francamente non si capisce perché un' aviazione quasi onnipotente non si prenda qualche rischio e preavverta il nemico, quando è il caso. Poiché non ci vuole molto per intuire che nella lista dei "bersagli autorizzati" dopo la Rts venga il palazzo di Politika, tv e giornali, a Bruxelles prendano nota: per non uccidere basta telefonare al numero 0038111-3221836 con qualche minuto d' anticipo. Altrimenti si potrebbe sospettare che il Comando occidentale ritenga utile spandere un po' di terrore tra i civili. Se questo calcolo facesse parte dell'alta strategia, allora dovremmo chiederci se la "guerra giusta" sia tale anche quando viola la congruenza etica tra mezzi e fini. La Nato ha spiegato l'attacco alla Rts con una verità incontrovertibile: la tv statale aiuta Milosevic a mantenere la presa sulla Serbia. Neppure i giornalisti della Rts negano che la loro televisione sia un cardine del regime, ovvero del dispotismo sempre meno soffuso e mimetico praticato da Milosevic. Lo è per mandato istituzionale. E per selezione del personale. Le redazioni sono state formate, e deformate, attraverso purghe successive. A cavallo tra gli Ottanta e i Novanta vennero espulsi gli jugoslavisti che rifiutavano la linea gran-serba del primo Milosevic, e in seguito chiunque negasse la propria adesione al regime. Così a Belgrado la Rts è anche nota come "la Bastiglia", la prigione della verità, la fortezza di Slobodan I, il sovrano che apre regolarmente ogni telegiornale. Per senso di colpa o per stalinismo mentale, chi governa la Bastiglia detesta, ricambiato, la stampa libera. Uno dei capi-redattori plaudiva alla "normalizzazione" di B92, l' ultima radio indipendente: "Sono pagati dagli americani", mentiva. Questi capetti si sono calati l' elmetto in testa e ogni sera allestiscono la guerra virtuale richiesta dal regime: la Nato "genocida" che vuole sterminare i serbi, il nuovo Terzo Reich, Adolfo Clinton, le mirabolanti imprese della contraerea serba che falcidia l' aviazione nemica. Mai un dubbio su ciò che avviene in Kosovo. Mai un accenno alla volontà occidentale di risolvere la guerra estromettendo Milosevic. Eppure non è un capataz della menzogna oculata il quarantenne Slobodan Stetanic, guardia notturna del palazzo del gruppo editoriale Politika, ora obbligato dal regime a rischiare la morte per non perdere il lavoro. Non lo è, ma è costretto a pensare come lo fosse: "Siamo così nudi di fronte alla Nato che in queste ore mi sono chiesto se non mi convenisse spezzarmi un braccio per saltare il turno di domani". Secondo il regime, la Nato vuole infiltrare con trasmissioni occidentali gli spazi di etere conquistati al nemico. Ammesso che tecnicamente sia possibile, la Nato potrebbe instaurare un "pluralismo di guerra" con i suoi notiziari, e raggiungere la popolazione con il messaggio finora bloccato dalle tv serbe: abbattete Milosevic e la guerra finirà. Ma se questa fosse l'intenzione, gli occidentali avrebbero tanto più il dovere di raccontare la verità, a se stessi e ai serbi. La menzogna è la specialità della Rts, ma non abita solo quel palazzo. La popolazione serba diffida delle tv occidentali anche con qualche motivo: troppo spesso hanno sentito il portavoce del Pentagono riciclare le panzane della guerriglia albanese, sempre con quel tono glaciale e onirico in cui non si avverte l' ombra di una passione civile. La rassegnazione che leggevamo l' altra notte sulle facce della gente, intorno al palazzo che bruciava con fiamme violette, diceva che ormai i più hanno capito l' inevitabilità della sconfitta. Ma questa guerra mediatico-militare è anche la battaglia per l' anima della Serbia. E gli occidentali non la vinceranno se accorceranno la distanza etica che li divide dal nemico.



la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 1

di FURIO COLOMBO


QUANDO I RAID COLPISCONO LA PROPAGANDA
LA POLEMICA


BOMBE e missili della Nato hanno centrato e distrutto la televisione di Belgrado. L' opinione del mondo si divide fra coloro che provano orrore e scandalo per la distruzione di uno strumento di informazione, e coloro che dicono: non fa differenza, l' importante è piegare Milosevic. Condivido il dolore per le vittime, ma non lo scandalo. Chi ha seguito la "serata Santoro" con la partecipazione straordinaria di agenti, viceministri, ministri e nessuna (nessuna) voce fuori dal giro stretto e intimo del presidente serbo, comprese le testimonianze "spontanee", sa che non stiamo parlando di informazione ma di una macchina di propaganda. LA STESSA che ha provveduto a punire Lucia Annunziata per essersi mossa con dignità, la stessa che provvede ogni giorno a tenere sotto sorveglianza i giornalisti stranieri rimasti in Jugoslavia. Però sono sorpreso. Dal punto di vista di chi conduce una guerra che ha preso l' impegno di essere rapida, implacabile, chirurgica, rigorosamente militare, l' obiettivo centrato è inutile. L' allarme, perciò, a parte il costo delle vite umane, che è sempre un orrore, è un segnale strano. La alleanza più potente del mondo doveva occuparsi dei palinsesti e delle telecamere della famiglia Milosevic? Non sto domandando se non c' era niente di meglio da colpire. Sarebbe una domanda da dottor Stranamore, e chi mi legge sa che non posso provare alcun entusiasmo per una guerra, anche se vedo ragioni (salvare i kosovari dallo sterminio) che condivido. Mi sto però domandando se puntare le risorse immense di un raid ad alta tecnologia, ad altissimo costo, con grande rischio umano, sugli studi e gli impianti di una televisione non tradisca disorientamento e incertezza sul che fare. Intendo dire: un grande colpo di forza contro niente che conta per fare la pace o finire la guerra, e neppure per mitigare o piegare o ridurre il rischio. Per spiegarmi propongo un esempio rovesciato. Un Milosevic adeguatamente potente distrugge i centri di trasmissione della televisione americana. Bel colpo. Una democrazia dipende intensamente dal dialogo con la propria informazione. I cittadini di una dittatura, come ricordano coloro che hanno vissuto sotto il fascismo hanno con le fonti di informazioni un rapporto completamente diverso. I credenti cementano la loro fede ciecamente e nel vuoto. Gli oppositori non contano mai e in niente sulla rete ufficiale delle notizie. Sanno che sono false e inutili. Ci dicono che i serbi sono un blocco cementato dalla comune credenza di nazione, di razza, di storia. è evidente che non è vero. Esseri umani, anche all' interno di legami comuni, hanno umori, giudizi e pensieri diversi. Negarlo è una affermazione razzista. Resta però il fatto che una guerra alta, lontana, incomunicabile, blocca le infinite diversità degli esseri umani in una rete che tiene tutti schiacciati su ciò che accade lì, sul posto, ogni giorno, ogni notte. In queste condizioni è frivolo abbattere la centrale televisiva, perché persino gli adoratori di Milosevic devono avere sempre saputo che le loro notizie erano solo una voce convenzionale e ufficiale. Quanto a coloro che non hanno mai avuto fiducia nel loro dittatore, erano senza parola prima e sono senza parola adesso. L' osservazione che sto facendo ha poco valore per coloro che antagonizzano comunque la guerra, o perché respingono qualunque guerra o perché questa guerra sembra loro troppo "americana", dimenticando che è stata europea l' iniziativa di invocare la presenza americana per bloccare la mattanza dei cittadini inermi del Kosovo. Ma è più importante per coloro che si sono domandati seriamente se un progetto militare di questo tipo potesse davvero portare - in fretta e con poche vittime - a uno stato di coesistenza meno sanguinoso, meno persecutorio, scardinando l' ossessivo richiamo alla razza che ha già abbastanza offeso la coscienza di questo continente in questo secolo. è in quest' ambito che si sente allarme e disagio. Bombardare la televisione? Ma allora che ne è stato delle colonne di carri armati, dei quartieri generali delle armate serbe, dei gangli del controllo militare del paese, della nervatura di resistenza fisica (fisica, non propagandistica) del regime? Se tutto è già finito in cenere sotto le bombe e i missili, allora non è il caso di occuparsi degli studi televisivi. Sarebbe come puntare ai quadri e soprammobili di casa Milosevic, dopo avergli scoperchiato la villa. Se invece qualcuno ha pensato che era necessario colpire la televisione, in base a quale consuntivo di azioni militari già compiute è giunto a diramare quell' ordine? è difficile allontanarsi dal pensiero che l' azione militare, promessa come "perfetta" anche per superare le obiezioni dei tanti politicamente convinti ma non persuasi dello strumento guerra, non sia stata, fino a questo punto affatto perfetta. Ma "questo punto" sono trenta giorni di azioni senza sosta su uno spazio molto piccolo, con un potere di urto e di danno molto grande. Ecco che cosa mi sento di dire a chi ha progettato l' azione distruttiva contro gli impianti della televisione serba. Provoca un' impressione di decisione estrema, e questo fatto contrasta drasticamente con tutte le argomentazioni che sostengono la strategia militare che i più potenti paesi del mondo stanno seguendo. Dunque lo stato d' ansia, dopo questo evento, non riguarda tanto l' oltraggio alla libertà di informazione, che in questo caso non c' era. Riguarda il senso di probabile inutilità di una simile iniziativa in un paese in cui niente è libero. Ma, proprio per questo, si era detto, quello che conta è smantellare la forza militare che stringe tutto in una morsa. Se simili azioni non essenziali e non efficaci diventano simbolo dell' intervento, sarà difficile far salire il consenso, anche fra coloro che non hanno mai dimenticato il punto chiave: la salvezza degli abitanti del Kosovo dallo sterminio.



la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 10

Ferrara: spiace per le vittime, ma faceva solo propaganda

"MA QUELL' ANTENNA ERA COME UN' ARMA" INTERVISTA/2

MILANO (a.dip) - Giuliano Ferrara, l' attacco alla tv serba come svolta di questa guerra? "No, come il proseguimento naturale di quanto fatto finora". Come aver bombardato un carro armato? "Beh no, come aver bombardato un ponte, un mezzo di comunicazione, comunque". Senza alcun dubbio? "Ma non scherziamo. Una tv senza libertà di informazione e d' espressione è uno strumento di guerra, né più né meno". E le proteste dei giornalisti? "Pura ipocrisia. Io sento un peso orribile da questa guerra, vorrei con tutto il cuore che finisse qui, l' evento della scorsa notte, in sé, è terribile ed epocale, non ci piove: è la distruzione della tv centrale di una grande capitale europea. Ma qui ci fermiamo, il signor Milosevic è l' unico responsabile". E così? "E così arriva questa devastante cultura della mediazione infinita, una mediazione da magliari che non porta a nulla. E dall' altra parte c' è Milosevic che procede e aspetta che altri gli tolgano le castagne dal fuoco, che si facciano prendere dai dubbi, che si dividano. Con un solo risultato". Quale? "Ma è ovvio, che tutto si incrudelisce, che gli attacchi si fanno più pesanti, che gli obiettivi da colpire si fanno sempre più ambiziosi. E di fronte a qualunque vero progetto di negoziato, Milosevic si tira indietro e dice: fate voi, bombardate. La Nato non ha nessuna, dico nessun' altra alternativa, e tutto diventa terribilmente ovvio e conseguente". Si parla di un attacco inutile, che non favorisce certo la maggiore libertà di informazione. "Spiacente, è stato tutto fuorché un attacco inutile". Chi lo spiega ai giornalisti serbi? "Insomma, il primo atto bellico di Milosevic è stato quello di cacciare le tv straniere. Vuol dire che la questione dell' informazione televisiva sulla guerra non era una questione, era la questione. L' informazione serba è uno strumento di guerra, uno dei principali". Non è troppo calato in una dimensione di conflitto a tutti i costi? "Io? Io sono sempre stato e sono tuttora un leale sostenitore di chi vuole un negoziato vero. Il negoziato è fallito, la colpa è di Milosevic. Insisto, vedere la tv colpita fa impressione, è ovvio. Ma questi sono i primi conflitti ad altissimo contenuto tecnologico a cui assistiamo, dobbiamo abituarci a riconsiderarne i modi, e gli obiettivi". Ma questi missili hanno fatto male a Milosevic? "Gli hanno fatto malissimo".



la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 10

di ANTONIO DIPOLLINA


Insorgono i giornalisti per l' attacco alla tv serba

I MISSILI DELLA DISCORDIA PROTESTA LA FNSI, MESSAGGIO DI SOLIDARIETÀ DI SANTORO. POCHE LE VOCI A FAVORE DELLE BOMBE

MILANO - I missili sulla tv serba uccidono, polverizzano e rilanciano al massimo grado le polemiche all' esterno. Cade un simbolo, quello dei canali informativi attaccati senza pietà e dubbio alcuno, e la guerra che divide, divide ancora più di prima. Si indignano in molti, con furore, altri dicono che questa è la guerra. Quei colleghi morti del palazzo di via Aberdareva, in piena Belgrado, sono "vittime civili e incolpevoli" per Michele Santoro che insieme a tutta Moby Dick invia subito un messaggio di solidarietà ai giornalisti della tv belgradese, un ennesimo passaggio della devastante storia giornalistica che lo ha coinvolto insieme a molti altri nell' ultimo periodo. Si infuria Sandro Curzi, direttore di Liberazione, che parla di "crimine di guerra premeditato contro i civili", sottolineando la distruzione della storica agenzia di notizie Tanjug ("Da sempre libera") e chiedendo una condanna severa. Preoccupata e indignata è la Federazione nazionale della stampa, il sindacato dei giornalisti: "La strage ha coinvolto anche vittime innocenti, la Nato ha voluto distruggere e uccidere senza creare minimamente le condizioni per informare correttamente la popolazione serba". Un comunicato che si conclude con la richiesta di cessare immediatamente qualunque altro attacco alle sedi e installazioni degli organi di informazione. L' attacco Nato è "sconvolgente" per il sottosegretario alle comunicazioni Vincenzo Vita, che ricordando le "obiettive responsabilità del governo serbo" ribadisce che "l' informazione è un bene primario e non può essere messo in discussione". "Un' azione stolta", l' attacco Nato, per il responsabile Ds per l' informazione Giuseppe Giulietti: "L' effetto paradossale è quello di ricompattare tutti i serbi intorno al regime di Milosevic". E il rischio per chi sta di qua, dice Giulietti, aumenta: il rischio di invelenire tutto e tutti: "Si sta creando un clima in cui qualsiasi posizione critica rischia di essere assimilata a un non meglio identificato partito serbo, o a una sorta di pacifismo da utili idioti". Si dividono, intanto, anche i direttori dei telegiornali. Sarcastico Enrico Mentana del Tg5: "Brava Nato, bel colpo. Adesso, mentre la tv serba continuerà a trasmettere, per i nostri inviati a Belgrado sarà sempre più difficile darci le notizie. Tra noi giornalisti ci si può dividere sulla guerra in corso, ma un' azione di questo genere danneggia l' informazione tutta". Qual è il risultato finale? "Che l' informazione sul conflitto - spiega Mentana - ormai la possono fare solo la Nato e Milosevic. Chi è in mezzo, rimane muto e indifeso. Bel risultato". Non capisce il senso di tutto questo, è sconvolto dalla notizia Emilio Fede, "l' informazione non dev' essere mai colpita, è sempre garanzia di libertà - si lancia spericolato il direttore del Tg4 - Spero ancora che sia stato un errore, altrimenti è stata una stupida iniziativa". Si stupisce dello stupore altrui Paolo Liguori, direttore di Studio Aperto: "Erano più accettabili le bombe sulle fabbriche che hanno ucciso gli operai? - si chiede -la vita dei giornalisti vale forse il doppio di quella degli altri?". Liguori apre il fronte di coloro che non vedono nulla di strano o inatteso nel bombardamento alla Rts. E il punto ruota intorno a una questione. L' Usigrai, sindacato dei giornalisti Rai, sta da questa parte: "è inaccettabile che si considerino i mezzi di informazione alla stregua di basi militari, la libertà di informazione non si ripristina con le bombe sulle sedi dell' informazione". E invece, secondo Vittorio Feltri, direttore del Borghese, il punto è proprio lì: "La tv serba produceva e produce cose utili militarmente: ho visto il vice di Milosevic parlare alla sua tv e descrivere i profughi in fila come se fossero gli iscritti a una marcia non competitiva. La tv serba è stata usata come un mezzo di guerra e di propaganda bellica, come tale, è un obiettivo militare. Indignarsi su questo bombardamento è fuori luogo: il problema è non fare la guerra, non le vittime tra i giornalisti. Io sono angosciato - prosegue Feltri - per tutti i morti di questa guerra, sono morti operai, commercianti, geometri: ecco, se muore un geometra mi spiace di più che se muore un giornalista, perché i geometri mi stanno simpatici". Fermo restando che, secondo Feltri, il sindacato dei giornalisti farebbe bene a occuparsi d' altro ("della libertà di stampa in Italia, per esempio") e che questa, come conferma laconico Francesco Storace, "purtroppo è la guerra". Ma "l' informazione è un valore da non coinvolgere", dice il presidente della Rai Roberto Zaccaria. "La guerra non crea mai zone franche - aggiunge però Roberto Morrione, direttore di Rai News 24 - e oggi più che mai difficile valutare queste zone franche. Dispiace che ci siano giornalisti vittime, ma nella guerra ci sono morti innocenti da tutte le parti. Per Paolo Ruffini, direttore del Giornale radio Rai, invece non sempre la stampa è libera, ma non si recupera la libertà bombardando.



la Repubblica - Domenica, 25 aprile 1999 - pagina 1

di GIORGIO BOCCA


LE LACRIME DEI PACIFISTI


IL senatore Cossutta, cresciuto nella propaganda pacifista al servizio dell' Unione Sovietica, ha proposto agli intellettuali italiani di prender su un ricambio di biancheria e partire per Belgrado, i ricchi magari sull' Orient Express, per offrirsi come scudi umani contro l' aggressione Nato. In pratica rischiare la vita per difendere Slobodan Milosevic che sarà un combattente per la pace ma usa per le pulizie etniche della Bosnia e ora del Kosovo le milizie di Arkan definite le tigri per la loro capacità di non distinguere fra uomini, donne, vecchi e bambini. PER principio di equità avrebbe potuto proporre un' altra destinazione, qualche villaggio del Kosovo o la capitale Pristina appena bruciata per fermare anche lì qualcosa di poco pacifico, la deportazione di centinaia di migliaia di persone. Questo pacifismo inteso come campagna propagandistica, spiega molti aspetti ambigui di questa guerra: non solo quella che si combatte in Serbia ma anche quella che divide la pubblica opinione italiana. Qualcuno ha osservato che le guerre di questo tempo non sono più paragonabili all' ultima mondiale che fu una guerra per la vita e per la morte, per la sopravvivenza della umana civiltà, insomma una guerra che fu combattuta fino all' ultimo uomo e all' ultimo fucile attorno al bunker di Hitler. No questa guerra è un' altra cosa come quelle che ogni tanto si accendono e poi spariscono nel tormentato pianeta: insieme militari e politiche, fatte, come quella del Golfo, per abbattere il dittatore Saddam Hussein, ma anche, a guerra vinta, per risparmiarlo come cuscinetto rispetto alla minaccia dell' integralismo iraniano. Sempre distinguendo i poveracci di cui fare carne da macello, dai nuovi signori, quasi una riedizione delle guerre medievali in cui i poveracci venivano messi ai remi o nelle galere mentre i cavalieri e i re erano subitamente riscattati con moneta sonante. Nelle guerre totali mondiali per la sopravvivenza ogni intelligenza con il nemico, ogni strappo alla legge marziale veniva duramente punito a volte con la morte, adesso in occasione di questa drole de guerre, il fatto che il Parlamento italiano, il governo italiano facciano parte di un' alleanza i cui membri hanno concordemente deciso la campagna contro la Serbia, non impedisce ai nostri pacifisti, autentici od opportunisti che siano, di andare a Belgrado alla corte del tiranno. Come se una buona parte della nostra pubblica opinione non sapesse bene che cosa è una guerra e la confondesse con una specie di gioco, spesso feroce, ma sempre attento ai rispetti che si devono alle persone "importanti", alle professioni importanti come l' informazione televisiva. In una guerra diciamo normale si entra in campo all' unico scopo di vincerla, e di conseguenza vengono considerati come obiettivi principali le armi e le difese più forti del nemico. Qui no, per tutti coloro che si sono sdegnati e hanno protestato contro l' attacco alla televisione di Stato serba essa non è, come è evidente, una delle armi più forti di Milosevic, non è lo strumento di propaganda e di menzogna che ha sistematicamente ignorato la pulizia etnica, fatto dei carnefici delle vittime, infiammato, ingigantito il sentimento nazional-etnico, il complesso di Davide contro Golia che agli occhi dei serbi e della loro passione nazionalista potranno anche sembrare ammirevoli ma che a chi ha deciso di risolvere la partita con le armi sono inequivocabilmente ostili. Si dice da molti conoscitori della Serbia e di Milosevic che l' errore principale della Nato è stato di sottovalutare l' avversario, di non sapere fin dove può spingersi il suo gioco. Una controprova è il modo con cui l' informazione nostra e di altri paesi Nato ha accolto le manifestazioni patriottiche dei giovani, dei cittadini che sventolando bandiere nazionali si tenevano per mano sui ponti, esempio di quegli scudi umani a cui il senatore Cossutta vorrebbe destinare i nostri intellettuali. Ebbene c' erano due modi di reagire a quelle immagini, quello del pacifismo che scambia questa guerra per un gioco: ma guarda che coraggiosi, guarda che bravi. E quello di chi, avendo conosciuto altre guerre e altre dittature, è inorridito vedendo che uso di un sentimento sincero e generoso abbia potuto fare un autocrate, un uso che neppure Hitler, neppure Stalin fecero né a Berlino né a Stalingrado, forse perché sapevano molto bene che la guerra non è un gioco e che mandare o lasciar andare dei cittadini inermi a difesa di obiettivi militari è complicità in strage. L'episodio della televisione bombardata e degli sdegni e delle proteste corporative è un' altra prova di quanto le guerre totali per la sopravvivenza fossero diverse da queste che possono sembrare e forse sono anche disfida politica o gioco. La pretesa cioè dei nuovi mezzi informatici e telematici dominanti di essere in qualche modo al di sopra delle parti quando è evidente che ci stanno dentro fino al collo e che vengono usati dalle opposte propagande. Il povero Remondino corrispondente forzato da Belgrado, quella fotografia tessera che di lui appare sugli schermi mentre spiega "vorrei dire ma non posso", fa il pari con i corrispondenti americani a Bagdad. E sostenere che anche questa è informazione equivale a scambiare un uomo libero con un ostaggio.




la Repubblica - Domenica, 25 aprile 1999 - pagina 8

di CARLO BRAMBILLA


"Non facciamo del pacifismo a senso unico. Milosevic? Non è Hitler ma gli somiglia"

L' EX PARTIGIANA ANSELMI "QUESTA GUERRA È GIUSTA"
L'INTERVISTA

MILANO - "L' azione del governo? Decisamente positiva. Abbiamo fatto tanto rispetto ad altri paesi più ricchi di noi. E abbiamo fatto bene a farlo perché questi sono i nostri vicini di casa. E poi la nostra azione militare mi pare sia accompagnata da una ricerca continua e sincera di vie che possano portare a una pacificazione". Appoggia D' Alema senza mezze misure la staffetta partigiana Tina Anselmi, a 17 anni nella brigata Cesare Battisti, ai piedi del Monte Grappa, oggi a Milano per celebrare questo 25 aprile di guerra. Non pochi la vedrebbero con favore alla più alta carica dello Stato. E la salutano simpaticamente "Tina for president". Lei lascia correre. E torna, preoccupata, a parlare della ex Jugoslavia. Giusto anche bombardare la televisione di Belgrado, provocando morti e feriti tra i civili, giornalisti, tecnici televisivi? "Non ho elementi sufficienti per entrare nell valutazioni delle strategie e delle tattiche militari. Quello che mi sento di dire è che questa gestione militare non basta. La pacificazione non può essere solo il risultato di un' azione militare. Devono concorrere vari elementi. Occorre cercare una via politica attraverso tutte le aperture possibili. Stare nella Nato ma non cessare mai di verificare tutti gli spiragli possibili per la pace". Senza lasciarsi andare al pacifismo, come fanno anche certi cattolici? "Io vorrei che chiunque invochi la pace lo faccia e la cerchi sapendo quali sono le responsabilità. E non facendo del pacifismo a senso unico. A volte mi pare non si faccia una valutazione seria delle vere cause che hanno portato a questa guerra. La principale delle quali è l' odio etnico, la pulizia etnica. Se non aggrediamo le cause vere della guerra non usciremo mai da questo inferno". Milosevic come Hitler. Per lei che ha partecipato alla Resistenza il paragone è accettabile? "Per certi aspetti può essere una forzatura. Però non dimentichiamoci che in quel paese stanno avvenendo eccidi in nome di una cultura razzista. E la natura diabolica del nazismo sta nell' avere programmato la morte degli handicappati, dei malati mentali, degli zingari e degli ebrei. Dobbiamo riflettere. Quando c' è il razzismo come elemento dominante, come giustificazione di eccidi, il paragone con Hitler non è tutto da gettare. Ripensiamo a quell' epoca. Io presiedo la commissione per la restituzione dei beni agli ebrei in seguito alle leggi razziali. Allora c' era la spoliazione dell' individuo al quale si sequestravano lo spazzolino da denti, i calzini, senza nessuna ragione. Oggi si vuole spazzare via un' altra etnia". Chi è il maggiore responsabile della crisi balcanica? "è una crisi che ha radici lontane, che risalgono alla fine dell' impero austro-ungarico. C' è stato un periodo in cui questi paesi hanno vissuto in un regime di dittatura. E la dittatura ha in parte impedito che vedessimo in tempo utile che cosa stava accadendo all' interno di quell'area. Tito aveva in qualche modo gestito i contrasti tra i gruppi etnici concedendo forme autonome di organizzazione politica e sociale. Ma con la sua morte questo sistema non ha retto. La crisi del comunismo ha trovato questi paesi impreparati a conservare la loro identità". Quello che avrebbe dovuto essere un intervento umanitario per aiutare le popolazioni del Kosovo si è rapidamente trasformato in guerra a tutto campo. A questo punto quali sono le vie d' uscita? "Questa è una guerra vera e propria. è inutile nasconderselo. La stiamo vivendo e soffrendo tutti. Ma non sappiamo come venirne fuori. Anche perché mentre i paesi democratici giocano con le carte scoperte, le dittature sono imprevedibili. Cosa voglia veramente Milosevic, quale strategia persegua, quali finalità politiche si prefigga, non lo sappiamo. Sono due anni che questo signore prende in giro l'Onu, prende in giro le conferenze internazionali e rende difficile individuare le responsabilità. In questi anni il suo comportamento non è certo stato leale verso quei paesi che pure cercavano una soluzione pacifica".




la Repubblica - Lunedì, 26 aprile 1999 - pagina 1

di MIRIAM MAFAI


I MEGAFONI DEL REGIME


NORBERTO Bobbio ha pronunciato ieri, in un' intervista all'Unità, la parola indicibile, ricorrendo al termine "guerra santa o crociata" per definire quella che la Nato sta conducendo contro la Serbia e che fu inizialmente giustificata come "ingerenza umanitaria". Ho l'impressione che Bobbio adotti quel termine con una sorta di tremore nella voce e nell' intelligenza. Le guerre sante, le crociate, hanno fatto versare nel passato tanto sangue, come ebbe a dire uno storico famoso, da far girare per secoli tutti i mulini d' Europa. La "guerra santa" non conosce regole né pietà, prevede l' annientamento del nemico, non salva né prigionieri né bambini. è la guerra assoluta, del bene contro il male, dei credenti contro gli eretici, che non consente interrogativi, dubbi o incertezze. NESSUNO di noi può augurarsi o pensare che ci sia qualcosa del genere nel nostro futuro. Mi chiedo quindi se, adottando non a caso questo termine, il filosofo torinese non abbia tentato di metterci in guardia dal pericolo, invitandoci a rimettere a fuoco, con maggiore lucidità di pensiero, gli obiettivi, gli scopi, gli strumenti della guerra nel suo inevitabile farsi sempre più spietata, guerra totale. Il bombardamento della Televisione di Belgrado con il suo seguito di morti, non ancora tutti estratti dalle macerie, a me sembra già il segno di questa escalation. Non perché, come qualcuno ha detto polemicamente, la vita dei giornalisti o degli operatori sia più importante di quella dei profughi in fuga (in quel caso si trattò da parte della Nato di un "tragico errore" subito riconosciuto), ma perché con quel bombardamento non si volevano solo impedire le trasmissioni di propaganda del regime di Milosevic, quanto piuttosto mandare a tutta la popolazione un messaggio da "guerra santa": da oggi in poi il nostro obiettivo non sono più ponti, strade, officine, infrastrutture produttive e militari, ma anche voi, ognuno di voi. è possibile che questa minaccia acceleri la crisi del regime. Bisognerebbe per questo saperne di più non solo sui rapporti tra Milosevic e gli alti gradi dell' esercito, ma anche sulle forze democratiche di opposizione che solo pochi anni fa sembravano molto attive e vivaci e vennero poi ridotte al silenzio anche in virtù della indifferenza e della mancata solidarietà dell' Occidente. Soltanto ieri, finalmente, un gruppo di intellettuali e uomini di cultura di Belgrado è riuscito a far sentire la sua voce, chiedendo insieme la sospensione dei bombardamenti e il ritorno dei profughi nel Kosovo. è una prima crepa visibile nel compatto, torvo consenso che Milosevic è riuscito a creare intorno alla sua politica, di cui sarebbe sbagliato non tener conto. La Serbia sembra, oggi, un paese malato, intossicato dall' esasperato nazionalismo sul quale Milosevic ha costruito un potere che, paradossalmente, è andato rafforzandosi, nel corso degli ultimi nove anni, attraverso una serie di aggressioni e guerre dalle quali pure il dittatore è uscito sconfitto, nonostante l' inaudita ferocia delle sue bande che, dopo aver ucciso torturato violentato stuprato, dopo aver messo a ferro e fuoco Vukovar, bombardato Dubrovnik e raso al suolo Sebreniza, sono oggi all' opera nel Kosovo. Un nazionalismo che sembra nutrirsi, anche a livello popolare, del rancore per le sconfitte e di volontà di rivincita. Durante la Seconda Guerra Mondiale vivevo a Genova, città particolarmente presa di mira dagli aerei alleati, e dunque ho passato tutta la mia adolescenza sotto i bombardamenti, tra l' urlo delle sirene e la corsa nei rifugi. Grazie a quei bombardamenti e alla sconfitta del fascismo e del nazismo ho goduto, come tutti in Europa, di una lunghissima pace e di un crescente benessere. Ma ricordo ancora l' entusiasmo con cui la maggioranza degli italiani salutarono la nostra entrata in guerra nel 1940, sicuri di vincerla in pochi mesi se non in poche settimane. Abbiamo conosciuto anche noi italiani, pur se in misura meno grave di altri, i meccanismi perversi che presiedono alla ubriacatura nazionalistica, le deformazioni della ragione che provoca e, infine, la lentezza dei processi che ne consentono il superamento. Le trasmissioni di Radio Londra ebbero grande parte nel promuovere questi processi di distacco dal regime, anche perché non adottarono mai toni da guerra santa, distinguendo sempre (forse al di là di quanto pensavano davvero gli ambienti ufficiali inglesi) le responsabilità di Mussolini e del suo regime da quelle degli italiani. C' era in questa scelta una buona dose di intento propagandistico, ma la buona propaganda è comunque sempre necessaria per vincere una guerra. E, soprattutto, per preparare il dopoguerra. Ora, entrando nel secondo mese del conflitto e mentre si prepara, contro la Serbia, un blocco totale dei rifornimenti energetici, è giusto chiederci se la Nato pensa, alla fine, di trattare con lo stesso Milosevic o con i suoi eventuali successori. La prima soluzione, pensabile se, come qualcuno aveva immaginato, Milosevic avesse acceduto alla trattativa dopo i primi bombardamenti, sembra improponibile dopo le più recenti dichiarazioni di Clinton e Blair, con le quali si propone di portarlo, come criminale di guerra, di fronte al Tribunale dell' Aja. Resta allora la seconda ipotesi, quella di lavorare nella prospettiva di un suo rovesciamento e cambiamento di leadership a Belgrado. Una prospettiva non facile, ma che rischia di diventare impossibile se i serbi si convinceranno che contro di loro si sta conducendo, da parte della Nato, una "crociata, o guerra santa".




la Repubblica - Lunedì, 26 aprile 1999 - pagina 11

Scalfaro: "Ripetiamo no a violenza e sterminio"

VIOLANTE: MILOSEVIC COME MUSSOLINI "ANCHE GLI ALLEATI BOMBARDAVANO. MA IL RESPONSABILE ERA UNO SOLO". FINI: "E' UNA OPINIONE RISPETTABILE"


ROMA - Verso le vittime civili Slobodan Milosevic ha le stesse responsabilità che a suo tempo ebbe Benito Mussolini. Il paragone è del presidente della Camera Luciano Violante, intervenuto ieri a Bari alle celebrazioni per l' anniversario della Liberazione. Secondo Violante, infatti, "ci sono state vittime innocenti nei bombardamenti su Belgrado, come ci sono state vittime innocenti nei bombardamenti alleati su centinaia di città italiane alla fine della seconda guerra mondiale: chi era responsabile per quelle morti innocenti, ieri, era Mussolini; oggi è Milosevic". Le parole del presidente della Camera sono state immediatamente commentate da Gianfranco Fini. Il leader di An in un primo momento si è limitato a dire che quella di Violante è una "rispettabile opinione". Incalzato dalle domande Fini ha però aggiunto: "è evidente che Milosevic ha delle responsabilità, è evidente che Mussolini decise la guerra, mi sembra molto semplice la considerazione. Nessuno può pensare - ha aggiunto il leader di An - che le guerre siano fenomeni da affrontare in letizia, sono sempre momenti tragici. Però - ha concluso - le responsabilità di Milosevic sono davvero evidenti a tutti". Di pace e guerra ieri ha parlato anche il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro che ha deposto corone all' Altare della patria e alle Fosse Ardeatine. "In nome della libertà, ripetiamo il "no" alla violenza, alla intolleranza, allo sterminio etnico, il più brutale e incivile che il mondo conosca", scrive il presidente nel messaggio inviato a Tino Casali, presidente del Comitato promotore delle celebrazioni dell' anniversario della Liberazione. Scalfaro ricorda che questo anniversario del 25 aprile "trova l' Italia impegnata con i Paesi della Nato, in una preoccupante guerra". "Ma ripetiamo anche - aggiunge il capo dello Stato - la nostra inestinguibile volontà di pace per mettere fine alle infinite sofferenze dei perseguitati e dei profughi. Con questa speranza rivolgiamo l' augurio più bello alla nostra Italia libera e democratica". Manifestazioni si sono svolte in molte città italiane. A Napoli il sindaco Bassolino da deposto corone di fiori nelle piazze che videro la rivolta della città ai nazifascisti. Analoghe cerimonie si sono svolte a Palermo, a Genova e in altri capoluoghi. A Roma il sindaco Rutelli ha consegnato medaglie ai rappresentanti della comunità ebraica e delle associazioni della Resistenza.



la Repubblica - Lunedì, 26 aprile 1999 - pagina 12

di MARIO PIRANI


LINEA DI CONFINE

GUERRA, PERCHÉ ORA? E SE NON ORA, QUANDO?


Risposta ai pacifisti su pulizia etnica e Shoah


I PACIFISTI di sinistra si avvalgono, almeno, di buoni sentimenti. I pacifisti di destra, per contro, inalberano il dichiarato cinismo della realpolitik: massacri e carneficine ci sono sempre stati da che mondo è mondo, e tutt' oggi, anche lontano dal Kosovo, si son compiute nefandezze impunite. Perché allora farsi trascinare in un' impresa tanto pericolosa? Fra i divulgatori di questa sponda si distingue, per dovizia di argomenti, Pierluigi Battista che fruisce sulla Stampa di un suo quotidiano "Taccuino pacifista". Era, quindi, un destino segnato che un "guerrafondaio" come il sottoscritto fosse destinato a cadere sotto i suoi strali. Per l' occasione Battista mi contrappone allo scrittore israeliano, David Grossman, che aveva riaffermato l' unicità della Shoah anche in comparazione ai crimini etnici attribuiti a Milosevic. Il corsivista della Stampa aggiunge che "la propensione comparativa esplosa nelle argomentazioni interventiste... appare come una risorsa psicologica cruciale per giustificare... l' eccezionale carico di indignazione cresciuto attorno a crimini ignorati o misconosciuti in altre parti del mondo... Perché proprio adesso? E perché proprio qui ?... L' argomento etico che conferisce un' urgenza ideale e morale in un intervento militar-umanitario... non può che rispondere che qui e adesso l' orrore è più orrore di altri orrori, che qualcosa di intollerabile abbia reso indilazionabile un fare qualcosa, qui e ora, per mettere fine al massacro... perché c' è un nuovo Hitler, risponde, infatti, Mario Pirani... e se c' è un nuovo Hitler ogni altra sofferenza viene ridimensionata o ricondotta a necessario prezzo da pagare per liberare il mondo dalla nuova incarnazione del Male". Cito Battista anche perché non è il solo a forzare, per meglio combatterla, l' equazione: Milosevic=Hitler. Lucio Caracciolo, ad esempio, nell' editoriale del supplemento di Limes, dedicato all' Italia in guerra, se la prende con il cancelliere tedesco, Schroeder, perché avrebbe definito come un "genocidio" quel che avviene in Kosovo. E segue, puntuale come uno slogan generalizzato, l' ormai scontata forzatura: "Il Kosovo come Auschwitz... la perdita di controllo delle categorie semantiche è purtroppo il sintomo della nostra bancarotta strategica". Sarebbe più proficuo, per capirci anche fra chi esprime posizioni divergenti, che i contestatori dell' intervento della Nato non stravolgessero le tesi altrui. Infatti né il sottoscritto, né altri commentatori, né, a quanto almeno mi risulta, il cancelliere Schroeder hanno affermato che Milosevic è il nuovo Hitler o, tantomeno, che il Kosovo è Auschwitz. Il discorso è un po' diverso e, così, anche il richiamo alla storia passata. Esso parte da un giudizio sulla "pulizia etnica", vista come finalità e non come effetto della guerra che, direttamente o per interposta persona, a partire dal 1991 e non dall' ultimo mese, i dirigenti di Belgrado hanno condotto, perseguendo l' obbiettivo di creare una Grande Serbia, etnicamente e religiosamente omogenea. Questa "pulizia" è stata attuata non per distruggere in maniera scientifica e totale le altre componenti etniche (per questo è sbagliato parlare di Auschwitz), ma per farle fuggire, attraverso il terrore, i bombardamenti, gli stupri, i massacri e le deportazioni di massa, dalle regioni che i serbi, pur essendo spesso in minoranza, come nel Kosovo o in Bosnia, rivendicano come storicamente proprie. Si tratta quindi di una "soluzione finale" e di un crimine contro l' umanità: come tale richiama il Genocidio, pur non essendo la stessa cosa. O anche le grandi migrazioni coatte sperimentate dai regimi staliniani. Anche il parallelismo con Hitler è assai meno schematico di quanto raccontano i pacifisti di destra e di sinistra. Soprattutto perché Milosevic non possiede le potenzialità espansive e destabilizzanti del Terzo Reich né le alleanze che permisero al Fuhrer di scatenare la guerra mondiale. Il paragone è invece un altro. Con Milosevic, come con Hitler, le democrazie hanno rinviato fino all' estremo il loro intervento, hanno ceduto ripetutamente, hanno lasciato che applicasse per anni una politica di "pulizia etnica" opponendogli risoluzioni delle Nazioni Unite e spedizioni disarmate. Le illusioni diplomatiche, le connivenze, il timore di non raggiungere il consenso ha rallentato ogni efficace reazione. Fino a un mese fa. E adesso vi è chi dice: "Perché ora?". Eppure la risposta è nota e la ripropose Primo Levi: "E se non ora, quando?" (dalle Massime dei Padri, Cap.I, Mishnà 14).



la Repubblica - Domenica, 25 aprile 1999 - pagina 4

dal nostro inviato VANNA VANNUCCINI


Belgrado, il bilancio del raid Nato contro la Rts è di dieci morti. Lo squillo di un cellulare aveva riacceso la speranza La radiotelevisione di stato ha ripreso a mandare in onda regolarmente i suoi programmi

TRA LE MACERIE DELLA TV SERBA ALLA RICERCA DEI SEPOLTI VIVI I BULLDOZER NON HANNO ANCORA SOLLEVATO DUE PESANTISSIME LASTRE DI CEMENTO CHE SCHIACCIANO IL SEMINTERRATO IL REPORTAGE


BELGRADO - Alle 17.10 suona l' allarme e i lavori si bloccano. Gli operai fermano i bulldozer e si allontanano lanciando qualche battuta: "L' assassino torna sempre sul luogo del delitto". La polizia invita la folla, che è venuta a depositare fiori e candele, ad andare nei rifugi antiaerei. E siccome i rifugi non ci sono, tutti finiscono per ritrovarsi poco lontano sulla strada alle spalle della televisione bombardata, ad aspettare il segnale del cessato allarme. Da due giorni si scava tra le macerie dell' edificio a quattro piani che era il cuore della radio televisione serba, centrata alle 2.06 di venerdì (gli orologi sono rimasti fermi a quell' ora) da un missile della Nato. Ma sinora non sono stati estratti altri corpi, né ritrovate persone vive. Eppure si sa che nel seminterrato, dove c' era tra l' altro la mensa aziendale dovrebbero esservi state, nel momento in cui è arrivato il missile, una quindicina di persone. Ieri si era parlato di diciotto o venti. Ma alcuni impiegati della televisione che erano stati messi nell' elenco dei dispersi hanno fatto sapere di essere rimasti a casa giovedì notte. La direzione della Rts aveva minacciato il licenziamento a chi si fosse rifiutato di fare patriotticamente il turno di notte, il più pericoloso, in un edificio il cui bombardamento si aspettava da giorni. Ma alcuni erano riusciti a farsi cambiare turno e altri semplicemente si erano dati malati. I lavori procedono con enormi difficoltà. I bulldozer hanno rimosso macerie e lamiere accartocciate ma non sono ancora riusciti a sollevare due lastre di cemento che pesano tonnellate e schiacciano il seminterrato. "Lì sotto non c' è più nessuno vivo", dice il capo della squadra dei soccorritori mentre aspetta di riprendere il lavoro. "Quando l' edificio è crollato la temperatura è salita a livelli insopportabili e si sono sprigionati gas velenosi. Impossibile che qualcuno sia sopravvissuto". Ieri era stato detto che i soccorritori avevano sentito gemiti e colpi provenienti dall' interno, e in mattinata un segnale telefonico, forse di un telefonino semiscarico, aveva acceso qualche speranza. La voce di una telefonata giunta quasi dall' oltretomba si è diffusa nelle prime ore di ieri: conferme non ce ne sono, ma un collega che stazionava dinanzi alle macerie da un giorno e mezzo ha detto di sapere chi sono i sepolti vivi. Si tratterebbe di Ksenia, una montatrice, e di un tecnico del suono di cui non sa dire il nome. Il bilancio comunque resta quello di venerdì. All' obitorio ci sono dieci corpi, di otto si sa nome e cognome, due non sono stati ancora identificati. E all' ospedale sono rimasti quattro feriti gravi dei diciotti che vi erano stati portati all' alba di venerdì. "Quando troviamo un oggetto - dice ancora il caposquadra - per esempio una giacca o un documento, verifichiamo prima se non appartenga a morti o feriti già conosciuti e poi continuiamo a scavare in quel punto per vedere se troviamo altri corpi. Ma sinora senza risultati". Sono venute almeno quattromila persone a deporre in silenzio fiori e ad accendere le candele. Si erano riuniti a mezzogiorno in piazza della Repubblica, come accadeva due anni fa per le manifestazioni di protesta contro il regime. Anche allora i manifestanti sfilavano davanti alla sede della tivù che chiamavano "la Bastiglia" e ogni sera le davano l' assalto con lanci di uova e sassi. La tivù serba allora come oggi mandava in onda discorsi patriottici e storie edificanti di eroi serbi. La presa della Bastiglia non riuscì allora agli studenti né è riuscita oggi alla Nato. La radio-televisione serba da ieri mattina manda di nuovo regolarmente in onda i suoi programmi. "Forse se la tivù fosse stata colpita come primo obiettivo il primo giorno dei bombardamenti la gente avrebbe capito il messaggio. Ora è troppo tardi", dice uno dei capi degli studenti di allora. La folla è silenziosa e sconcertata. Per cordoglio verso le vittime ieri è stato cancellato anche il concerto di protesta che da quando sono cominciati i bombardamenti è l' unico rumore che risuona, ogni giorno a mezzogiorno, in una Belgrado priva di suoni, depressa, dove la gente cammina senza parlare e senza ridere anche se con un passo deciso come se dovesse andare verso una meta particolare. Ma si capisce subito che quella meta non c' è. Davanti a un albergo del centro è fermo l' autobus di un' agenzia privata che ha gli uffici nell' albergo. Domani mattina alle 8.30, come ogni mattina, quell' autobus trasporterà fuori città o fuori del paese le persone che lasciano la capitale. Sono donne e bambini. Gli uomini, difensori della patria, sono obbligati a restare. Ieri, Alaister Campbell, portavoce del primo ministro britannico Tony Blair, ha riferito che diversi generali jugoslavi in congedo sono stati posti agli arresti. Il loro numero, ha detto, è "a due cifre" e fra essi figura anche l' ex capo di stato maggiore dell' esercito, destituito poco prima dell' inizio dei bombardamenti aerei della Nato. Una sorta di dissidenza militare al regime, e che Milosevic ha immediatamente neutralizzato per evitare che potesse allargarsi. La notizia è stata riportata al portavoce della Nato, Jamie Shea, che ha detto di non disporre al momento di elementi di conferma. "In Jugoslavia ci sono molti generali in congedo", ha dichiarato, perchè così vuole il presidente Slobodan Milosevic. Questi non sembra avere molta fiducia in loro. Mi chiedo se essi abbiamo molta fiducia in lui".




Ritorna alle pagine del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia sui bombardamenti della NATO:

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