CNJ

COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA JUGOSLAVIA

ITALIJANSKA KOORDINACIJA ZA JUGOSLAVIJU





LETTERATURA SLOVENA

Il materiale, qui adattato senza scopi di lucro, è prelevato dal sito http://www.kal.si/3gb/web/snov/slo9-spr2.pdf

L'adattamento e le traduzioni sono a cura di D. Kovačević

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Documento
Costitutivo


In questo spazio ci dedichiamo agli scrittori sloveni frequentati dalla generazione dei nati in Jugoslavia subito dopo la 2. guerra mondiale. Sono tutti veri e propri pilastri della cultura slovena, e come lampioni brillano nella nostra memoria per la unicità e la tenacia sociale oltrechè culturale.
Temiamo che gli autori delle altre parti della ex-RFS di Jugoslavia manchino alla cultura dell'odierno Stato sloveno, come questi sloveni purtroppo mancano oggi ai nostri figli:

France Prešeren, Ivan Cankar, Srečko Kosovel, France Balantič, Matej Bor, Karel Destovnik – Kajuh, Slavko Grum, Ivan Pregelj, Prežihov Voranc, Miško Kranjec, Ciril Kosmač, e molti altri.

Per noi, tutti questi sono e rimarranno autori del comune spazio jugoslavo.

Qui di seguito daremo spazio ai versi di due di loro: Matej Bor, e Karel Destovnik-Kajuh.



Matej Bor (vero nome: Vladimir Pavšič), 1913-1993

Prima della seconda guerra mondiale fu professore, giornalista e critico teatrale in Slovenia. Nell'autunno del 1941 durante la visita ai combattenti della Resistenza appartenenti alla compagnia Grosupeljska četa, potè conoscere per la prima volta da vicino l'impresa partigiana, come rivela la reazione diretta alla lettura delle sue poesie della insurrezione. Durante la guerra fu autore di poesie patriottiche ed elegiache, e delle scenette teatrali che il Teatro popolare sloveno (Slovensko narodno gledališče) organizzava nel territorio liberato. Con la ballata "L'incontro" si conclude il ciclo delle sue poesie "L'amore nel vortice", pubblicate subito dopo la fine della guerra, scritte nell'occasione della esumazione dei resti di sua moglie Nina-Erna Jamarjeva, caduta da partigiana. Matej Bor ravviva la giovane donna e le parla, per staccarsi dall'impensabile terrore e dalla assurdità di una morte violenta.


Srečanje

Nek jesenski večer
v mračni obkrški hosti
zmotili čudni gosti
so tvoj mir.

Vzeli smo izpod mahu,
kar ni posrkala vase
zemlja te dolge čase,
odkar si tu,

vzeli, kar v zimskih nočeh
lisice so pozabile,
ko so skoz metež nosile
te v lačnih zobeh.

Položil na vresje sen
tvojo razbito lobanjo,
dolgo strmel sem vanjo
ves tih in nem.

Kje je jasnina oči,
kje sta ustni opojni?
Vame v grozoviti spokojni
dvoje votlin reži.

Kje si? Ne, to nisi ti,
Ti si se skrila vame,
tu te smrt ne zajame,
tu so še tvoje oči.

Tu je ponosni tvoj stas,
k meni gibko se privija,
kadar burja zavija
v nočni čas,

kadar sam s sabo sprt
v ulice slepe zablodim,
s tabo kot v davnih dneh hodim,
nate oprt.

Laž zre iz teh votlin,
nič ne bom gledal vanje,
zemlja, vzemi lobanje,
meni pusti spomin.

Ljuba, pridi nocoj,
vabi te mesečina,
vabi te sila spomina,
vabi te ljubi tvoj.


L'incontro

In una sera d'autunno
nel carso scuro desolato
ospiti strani hanno turbato
la tua tranquillità.

Abbiamo scavato sotto gli insetti
là dove la terra, da quando giaci
non ha frammentato solo gli stracci
da quando riposi qua

Abbiamo preso i resti delle notti d'inverno
che le volpi si dimenticavano,
mentre nel caos ti portavano
tra i denti affamati.

Ho posato sull'erica
il tuo teschio rotto,
Il mio sguardo non fu interrotto
nel silenzio stavo muto.

Dov'è quella limpidezza degli occhi,
dove è la bocca inebriante?
Nel silenzio terrificante
due vuoti ringhiano su di me.

Dove sei tu? No, questo non sei tu,
Tu in me ti sei nascosta,
là dove la morte non ti si accosta,
là i tuoi occhi stanno.

Ora la tua figura fiera,
agilmente a me si affida,
mentre la bora grida
in quest'ora notturna,

quando in me, mi chiudo
e giro per le strade senza svolta,
con te passeggiando com'una volta,
e verso di te mi apro.

Quello che mi fissa dai vuoti è falso,
oltre di loro niente si troverà,
porta via il teschio, o terra,
e lasciami il ricordo.

Amorosa, vieni stanotte,
t'invita la luna con la sua gloria,
t'invita la forza della memoria,
t'invita il tuo amoroso.




Karel Destovnik – Kajuh (1922-1944)

A causa della sua attività politica ed appartenenza alla Gioventù comunista, ai tempi del liceo, spesso veniva interrogato, tenuto in prigione, ed espulso da scuola. Dopo la caduta della monarchia jugoslava aderì ad un gruppo di giovani che preparava i piani per la resistenza armata nel bacino di fiume Sava. Sotto le persecuzioni, fuggì a Lubiana dove si mise in contatto con i giovani attivisti culturali legati al Fronte di liberazione (Osvobodilna fronta). Nell'estate di 1943 si unì alla 14. Divisione partigiana, nella veste di coordinatore del gruppo culturale. Durante la marcia della 14. Divisione verso la provincia di Štajersko cadde, nel febbraio del 1944, durante l'attacco improvviso di una pattuglia tedesca nelle vicinanze del nativo Šoštanj.

Le sue poesie socialdemocratiche le scrisse all'età di 16 anni, da liceale, e le recitava nelle serate letterarie. Le sue prime poesie assomigliano a quelle del poeta rivoluzionario russo Maiakovskij. Perfino durante le campagne e le battaglie più difficili, veniva distribuita la sua collezione poetica "Poesie" (1943). Insieme a quelle di Matej Bor, le poesie di Kajuh si recitavano e pubblicavano molto spesso, e venivano messe in musica.


Slovenska pesem

Samo milijon nas je,

milijon umirajočih med mrliči,

milijon, ki pijejo mu kri biriči,

en sam milijon,

ki ga trpljenje krotoviči

in vendar ga nikoli ne uniči!

Nikoli in nikdar!

Zato, ker nismo trhle bilke,

ki po toči ovene,

ker mi nismo le številke,

smo ljudje!

Edino hlapci cvilijo ponižno kakor psi

in lajajo, da nas je malo,

da bi v uporu vse pobralo …

O, če ljudi bi ne bilo pri nas,

ljudi, ki ne ubogajo na vsak ukaz,

tedaj bi nas že kdaj odnesel plaz.

Tako pa še živimo,

čeprav nas je milijon samo,

zdahnili bi, da ne trpimo

z uporno, dvignjeno glavo!


Poesia slovena

Siamo soltanto un milione,

un milione dei morenti tra i morti,

a chi succhiano il sangue gli elettori storti,

un milione soltanto,

che dalla sofferenza viene dimezzato

ma non distrutto affatto!

Nessuno e mai!

Noi le fragili piante non siamo, eco perché,

che la grandine abbatte,

non siamo le cifre neanche,

siamo la gente!

Soltanto i servi guaiscono da cani

ed abbaiano, che siamo in pochi,

che ci porteranno tutti se si opponiamo ...

O, se non ci fosse la gente come noi,

che non ha paura di un colpo qualunque,

si che saremmo spazzati via dunque.

E noi ancora vivi siamo,

mentre ci siamo soltanto un milione,

avremo ormai sospirato, se non soffriamo

ma tenaci, con la testa alta!


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