Ottobre 1944: i giovanissimi
        combattenti che, nelle file della Seconda Brigata Proletaria,
        hanno preso parte ai combattimenti per la liberazione di
        Belgrado, posano soddisfatti per la foto-ricordo (dal libro:
        Pokret!, di A. Clementi, ed. ANPI Roma, 1989)

P A R T I G I A N I !

Roma, 7-8 maggio 2005



Per un 2005 travolgente. Il nostro augurio a tutti i Resistenti

            IL MANIFESTO DEI RESISTENTI

           Noi Resistenti abbiamo cominciato presto a guardare in faccia il
nostro vero nemico. Eravamo già attivi nella resistenza spagnola che mise in
fuga i mamelucchi di Murat e fece impazzire i generali di Napoleone. Ci
riconoscerete dipinti da Goya ne "La fucilazione alla montagna del Principe
Pio" e nella urla di gioia che accompagnarono la fuga dei francesi nel 1813.
Nasce da qui l'onda lunga che ha portato alla Repubblica del '36 e alla
resistenza antifranchista fino ai nostri giorni.
            Ci siamo aperti la strada con le armi in pugno insieme a
Garibaldi, mentre cadeva la Repubblica romana ed Antonio Brunetti -
Ciceruacchio per il suo popolo- insieme al figlio Lorenzo cadeva sotto il
plotone di esecuzione. Ma, come fece Gasparazzo contadino indomito, non ci
siamo fidati dei garibaldini di Nino Bixio che in Sicilia fucilarono la
nostra gente a Bronte, ed insieme a Gasparazzo ci siamo dati alla macchia
rendendo per anni la vita difficile ai piemontesi, ai nuovi padroni e ai
proprietari terrieri.
            A metà dell'ottocento ebbero tanto paura delle nostre barricate
che il prefetto Haussman dovette rifare Parigi da capo a piedi. Sventrarono
i vicoli e costruirono i grandi boulevard come "strade di una caserma
opportunamente ampliata" perché i padroni temevano di incontrare in strade
troppo strette i Resistenti come Charles Delescluze o Flourens. Venti anni
dopo le barricate infiammarono di nuovo la Parigi della Comune e noi
Resistenti fummo conosciuti come "Communards". I soldati del gen. Lacombe
furono mandati contro di noi a Montmartre, ma si rifiutarono di sparare sul
popolo ed alla fine rivolsero i fucili contro il generale stesso, sono
formidabili Resistenti coloro che sanno comprendere chi è il vero nemico.
            Ci scatenarono contro altri soldati e i cannoni messi a
disposizione dai prussiani, ci fucilarono a migliaia o ci deportarono alla
Cayenna. Eppure, come disse l'uomo di Treviri - la testa migliore degli
ultimi due secoli - "dopo la Pentecoste del 1871 non ci può essere né pace
né tregua tra gli operai francesi e gli appropriatori del prodotto del loro
lavoro". Capite adesso perchè lo sciopero dei lavoratori in Francia andò
così bene anche nel 1995?
            Ma noi Resistenti non siamo e non eravamo solo sulle barricate e
nelle officine delle grandi metropoli. Nascevamo e crescevamo anche nelle
nuove colonie di quello che diventerà l'imperialismo moderno. Eravamo nel
deserto algerino e sui Monti dell'Atlante con Abd el Kader che tenne alla
larga i turchi e umiliò per anni i legionari del generale francese Bugeaud.
            Eravamo nascosti nel pubblico e ci tormentavamo le mani,
impotenti in quella occasione, quando gli invasori italiani, nell'ottobre
del 1912, fucilarono a Tripoli l'arabo Husein. Ci vollero tre scariche della
fucileria del plotone d'esecuzione per vederlo cadere a terra. Husein e i
suoi Resistenti avevano fatto impazzire i militari italiani nelle uadi o
sulle strade carovaniere. Per rabbia e per rappresaglia gli italiani
fucilarono centinaia di persone e ne deportarono 3.053 nelle isole Tremiti,
a Ustica, a Favignana, a Ponza e a Gaeta.
            "Non ci inganna che si dica un'epoca di progresso. Quel che
dicono è invero la peggiore delle menzogne" tuonavano i versi del poeta
arabo Macruf ar Rusufi " Non li vedi tra l'Egitto e la Tunisia violare con
stragi e massacri il sacro suolo dell'Islam? E non sia addossata la colpa ai
soli italiani ma tutto l'occidente sia considerato colpevole".
            Nelle colonie pensavano di aver vinto, legando i sepoys alle
bocche dei cannoni e facendo fuoco come fecero gli inglesi in India o
fucilando e impiccandoci a decine come fecero gli italiani in Libia. Ma gli
arabi hanno un cuore indomito e venti anni dopo il Leone del deserto, Omar
Al Muktar tornò a seminare il panico tra i soldati e le camicie nere che
occupavano la Libia. Il generale fascista Graziani, quello che aveva
massacrato con i gas gli etiopi, fece impiccare Omar Al Muktar. Ma il suo
fantasma inquieta così tanto gli eredi di Graziani da impedire che in Italia
si possa vedere il film che parla della sua storia. Fanno paura anche da
morti i Resistenti!!!
            Mentre il capitalismo si annunciava con i mercanti, noi
Resistenti eravamo già dovunque e da tempo. Avevamo viaggiato sulle loro
navi con le catene ai piedi e ai polsi. A cominciare la resistenza furono
proprio gli schiavi neri deportati in Brasile che fondarono la loro
repubblica a Quilombo e resistettero fino al 1697 contro i colonialisti
portoghesi. Cento anni dopo, i nipoti di quegli schiavi, diventati creoli o
rimasti neri come i loro antenati, si ribellarono a Bahia, la disinibita
città degli incanti e del candomblé cantata dalle pagine di Jorge Amado. Ma
eravamo anche più a Nord, eravamo nella selva e sulle Ande con la resistenza
di Tupac Amaru. Gli spagnoli lo hanno squartato con i cavalli per smembrarne
il corpo ma duecento anni dopo il suo nome ha fatto tremare i governanti
corrotti di Lima e Montevideo chiamando alla lotta nella selva e nelle
città.
            Eravamo a cavalcare al fianco di Artigas nelle grandi pianure
della Banda Oriental ed eravamo al fianco del creolo Simon Bolivàr tra selve
e paludi per gridare a schiavi, creoli, indigeni e popoli che volevamo una
sola nazione, "la Nuestra America. E potevate vederci insieme a José,
Antonio e Felipe, senza scarpe e senza saper leggere quando a Morelos
Emiliano Zapata lesse il programma che scosse le montagne e mise i brividi
ai latifondisti. Tante volte abbiamo resistito, accerchiati dai rurales e
dai federales, tante volte li abbiamo umiliati trasformando le sconfitte in
vittorie. E ci avete visto anche sessanta anni dopo. Eravamo di nuovo là,
nel Guerrero, a Oaxaca, nei Loxichas a fare scudo a Lucio Gutierrez,
vendicando con la coerenza tra parole e fatti gli studenti massacrati a
Città del Messico o il lento genocidio di indios e campesinos. E venti anni
più tardi eravamo tra quelli che dopo il massacro di Aguas Blancas giurarono
di fargliela pagare agli assassini.
            Eravamo in Bolivia con l'acqua fino alla cintura al guado del
Yeso quando l'imboscata dei militari uccise sette di noi tra cui Tamara
Burke "Tania". Diciotto giorni dopo nel canalone di "El Yuro" veniva ferito
e poi assassinato Ernesto Guevara detto "Il Che" insieme al Chino e a Willy.
Quando due anni fa ci siamo rivoltati a Cochabamba contro la privatizzazione
dell'acqua, avevano la sua immagine sulle nostre bandiere, la stessa
immagine e le stesse bandiere che sventolano sulle terre occupate del
Brasile dei Sem Terra, nelle zone liberate dalla FARC in Colombia tra i
piqueteros in Argentina. I militari, gli jacuncos o quei perros degli
"aucisti", sentono un brivido lungo la schiena quando invece di indios e
campesinos impauriti si trovano di fronte i Resistenti.
            Ci avrete visto anche più a Nord, ma non ci avete riconosciuto.
Eravamo sulle sponde del Rosebud ed avevamo il viso pitturato con i colori
di guerra quando insieme al capo Gall abbiamo difeso i teepee degli Hunkpapa
e dei Santee dai soldati in giacca blu del colonnello Reno. Li abbiamo
battuti e messi in fuga nel giugno del 1876 permettendo così alle altre
tribù di sconfiggere il generale Custer a Little Big Horn. Nelle riserve o
nella cella di Leonard Peltier ancora si racconta della nostra resistenza.
            Ed eravamo ben presenti tra i siderugici dello sciopero di
Homestead quando furono messi in fuga gli agenti assoldati dall'agenzia
Pinkerton e i padroni dell'acciaio scoprirono che gli immigrati, diventati
operai, sapevano unirsi e tenere duro.
            E quasi settanta anni dopo i poliziotti bianchi impallidirono
quando i nostri fratelli neri opposero resistenza nel ghetto di Wyatt o
misero a soqquadro il tribunale di Soledad e le celle di Attica e S.
Quintino. George, Dramgo e Jonathan Jackson sono stati un incubo per
l'America dei Wasp, bianchi, anglosassoni e protestanti, di
conseguenza....razzisti. Mumia Abu Jamal é ancora vivo perchè i Resistenti
non mollano tanto facilmente, hanno la pelle dura e sanno guardare ben oltre
le sbarre della loro cella.
            Ma le pagine più belle della nostra storia di Resistenti le
abbiamo scritte nel cuore dell'Europa messa a ferro e fuoco dal
nazifascismo. Le abbiamo scritte tra le macerie della fabbrica di Trattori a
Stalingrado. "I nazisti, non potendo prenderci vivi volevano ridurci in
cenere" ha scritto Aleksej Ockin il più giovane di noi. Insieme a lui ed a
noi c'erano Stepan Kukhta e il vecchio Pivoravov veterano cinquantenne. Li
abbiamo tenuti in scacco per mesi e mesi e alla fine li abbiamo battuti. La
nostra resistenza diede coraggio a tutti gli altri e accese il fuoco che
portò le nostre bandiere a sventolare fin sopra il tetto del Reichstag di
Berlino. Eravamo invincibili, eravamo gli eredi di Kamo, che fece impazzire
la polizia zarista e fornì quanto serviva alla rivoluzione dell'Ottobre. "Il
mio insostituibile Kamo" diceva Ulianov preparando il primo assalto al
cielo.
            Ma eravamo anche a Varsavia, nascosti dopo aver esaurito le
munizioni nelle fogne e nelle cantine del ghetto. Eravamo anche lì, insieme
a Emmanuel Ringelbaum e a Mordechai Anielewicz che si suicidò per non
arrendersi ai nazisti che stavano rastrellando il ghetto in rivolta.
Resistenti per sopravvivere alla deportazione e ai campi di concentramento
ma anche per riscattare la vergogna dei collaborazionisti dello Judenrat.
            Ma eravamo anche nel cuore della Jugoslavia quando sulla Neretva
abbiamo umiliato le armate dei nazisti, dei fascisti e degli ustascia croati
mandate ad annientarci. Ivo Lola Ribar hanno dovuto ucciderlo e così Joakim
Rakovac, ma i Resistenti jugoslavi dimostrarono ai nemici e agli amici che
sapevano farcela da soli.
            Per anni serbi, croati, sloveni, bosniaci hanno saputo
combattere fianco a fianco, per anni abbiamo sfidato la storia tenendo
insieme un paese che volevano lacerato. Eravamo pronti anche alla fine del
secolo scorso a resistere contro i contingenti inviati dalla NATO ma i
dirigenti scelsero altre strade, scelsero la strada che porta in occidente,
la stessa che ha mandato in frantumi il nostro paese.
            "Banditi" così ci chiamavano in Italia i nazisti e i fascisti ma
la gente era con noi Resistenti. Erano con noi i ferrovieri e gli operai di
Milano, Genova e Torino, erano con noi i popolani della periferia romana e i
contadini emiliani o dell'Oltrepò pavese. C'è una canzone che narra di come
ancora oggi i fascisti temano il fantasma del partigiano Dante Di Nanni che
gira fischiettando per Milano. "Cammina frut" scriveva Amerigo che fu
Resistente sul fronte difficile della frontiera con l'Est. E piano piano
eravamo ovunque: Maquis in Francia, partigiani nella pianura belga e
olandese o sulle montagne greche.
            Tanti di noi si erano "fatti le ossa" nella guerra di Spagna,
affrontando le armate franchiste, i legionari fascisti e i bombardamenti
tedeschi. Con l'immagine delle rovine di Guernica negli occhi, abbiamo
resistito oltre ogni limite, lasciati soli dalle democrazie europee che
temevano il nazifascismo ma temevano ancora di più la rivoluzione popolare e
l'onda lunga dell'ottobre sovietico. Quando finì la guerra non eravamo tutti
convinti che fosse finita veramente. In Emilia-Romagna - come dice Vitaliano
che fu partigiano e vietcong- non consentimmo ai fascisti di cavaresela a
buon mercato e in Grecia resistemmo con le armi in pugno contro gli inglesi
e gli americani che ci volevano, noi che avevamo combattuto contro i
tedeschi e gli italiani, servi di un nuovo padrone. I Resistenti di Euskadi
non considerano ancora chiusa la partita con gli eredi del franchismo in
Spagna. Vi meravigliate ancora perchè in Italia, in Spagna e in Grecia ci
sono ancora i movimenti di lotta più forti e decisi d'Europa?
            Ma noi Resistenti ci siamo diffusi in tutto il mondo. Eravamo
Umkomto We Sizwe, la Lancia della Nazione che i negri sudafricani hanno
impugnato per decenni contro il regime razzista, siamo stati i Mau Mau e i
fratelli di Lumumba, abbiamo saputo essere poeti come Amilcare Cabral,
colpendo, subendo e vincendo il dominio coloniale degli inglesi, dei
portoghesi e dei belgi. Ce l'hanno fatta pagare lasciandoci un continente
devastato dalle epidemie, dalla fame, dai saccheggi delle nostre risorse, ma
nelle terre dell'Africa siamo arrivati dopo, ci prenderemo tutto il tempo
che ci serve e poi ci riprenderemo tutto ciò che é nostro, a cominciare
dalla dignità.
            E poi avete cominciati a vederci ovunque, noi Resistenti.
L'arrivo della televisione ci ha mostrato come "barbudos" a Cuba, con la
kefija dei feddayn in Palestina e in Libano, piccoli e veloci contro i
giganteschi marines, il loro napalm e i loro B 52 nelle giungle del Vietnam.
L'immagine del piccolo Truong che scorta prigioniero un marines grande come
una montagna ha tormentato i sonni degli uomini della Casa Bianca per
decenni. I Resistenti non hanno mai molte cose a loro disposizione, ma per
noi, come dice Truong Son "il poco diviene molto, la debolezza si trasforma
in forza e un vantaggio si moltiplica per dieci".
            Per cancellare questa immagine sono quindici anni che gli
americani scatenano guerre contro avversari immensamente più deboli e
vincono guerre facili.
            Ad Al Karameh, nel 1965, eravamo molti di meno e peggio armati
dei soldati israeliani ma li abbiamo sconfitti perchè noi Resistenti siamo
fortemente motivati e loro non lo erano. Non lo erano neanche gli eserciti
arabi messi in piedi da governi indecisi e spesso corrotti che riuscirono
perdere due guerre in sette anni.
            A Beirut, ad esempio, nonostante le cannonate della corazzata
americana New Jersey abbiamo resistito e abbiamo cacciato via prima gli
israeliani e poi gli americani, i francesi e gli italiani e poi lo hanno
fatto quelli di noi che erano a Mogadiscio. In Nicaragua eravamo
giovanissimi e stavamo mangiando carne di scimmia quando abbattemmo un
elicottero e prendemmo prigioniero il consigliere della CIA Hasenfus
rivelando al mondo l'aggressione statunitense contro un piccolo e coraggioso
paese.
            E poi sono arrivate le nuove generazioni di Resistenti, come
quelli che hanno cacciato dal Libano del sud gli israeliani o che hanno
animato la prima e la seconda Intifada. Le loro pietre pesano come macigni
sull'occupazione israeliana e sulla cattiva coscienza dell'occidente.
C'erano dei giovani e giovanissimi Resistenti nelle giornate di Napoli e di
Genova, uno di essi, Carlo Giuliani, è caduto ma il suo volto da ragazzo si
è moltiplicato su quelli di migliaia di ragazzi come lui, nuovi Resistenti
che hanno bisogno di sapere, di conoscere, di mettere fine agli inganni e
alle rimozioni che li circondano, che sfidano i potenti con la
determinazione di Rachel Corrie.
            Infine, ed è straordinario, sono sorti dei Resistenti anche in
Iraq. Hanno sorpreso molti, soprattutto i loro nemici. Il vecchio Pietro ha
riscattato in dieci righe la sua vita di tentennamenti scrivendo che la
"Resistenza contro l'invasione è la prima condizione per la pace". I
Resistenti sono ormai dovunque, sono diffusi in questo mondo reso più
piccolo dalla globalizzazione e più insicuro dall'imperialismo e dalla
guerra. E' arrivato il momento di unirli, di dargli una identità comune e
condivisa, di riconoscerli e farli riconoscere a chi - da Bogotà a Manila,
da Nablus a Salonicco, da Seattle a Durban - si è rimesso in marcia per
rendere possibile un altro mondo. Fin quando ha agito la legalità formale
delle democrazie è stato possibile disobbedire, ma alla guerra e
all'imperialismo occorre resistere, improvvisare e disobbedire non basta
più, oltre ai corpi serve la testa e una visione aggiornata della nostra
storia. Alla democrazia fondata sulle bombe noi opponiamo il regno della
libertà, all'idea di libertà fondata sull'homo economicus noi proponiamo all
'umanità il passo avanti della liberazione. Per noi, il poco sta diventando
molto, la debolezza si sta trasformando in forza, un vantaggio si sta
moltiplicando per dieci. L'epoca delle Resistenze è cominciata.


            Buon 2005 a tutti i Resistenti !


            Radio Città Aperta - http://www.radiocittaperta.it




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P A R T I G I A N I !
Una iniziativa internazionale ed internazionalista
nel 60.esimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo

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Per contatti: PARTIGIANI! c/o CNJ,
C.P. 252 Bologna Centro, I-40124 BOLOGNA (BO) - ITALIA

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