Ottobre 1944: i giovanissimi
        combattenti che, nelle file della Seconda Brigata Proletaria,
        hanno preso parte ai combattimenti per la liberazione di
        Belgrado, posano soddisfatti per la foto-ricordo (dal libro:
        Pokret!, di A. Clementi, ed. ANPI Roma, 1989)

P A R T I G I A N I !

Roma, 7-8 maggio 2005


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Giacomo Scotti

TRE STORIE PARTIGIANE
Dalla Macedonia alle Alpi, dappertutto italiani


Ed. Kappavu, Udine 2006
16 euro
http://www.linteditoriale.com/autori/scotti.html




Con l'8 settembre e la capitolazione dell'esercito, centinaia di migliaia di soldati italiani si ritrovarono senza direttive, senza possibilità di difendersi, in paesi che avevano aggredito e invaso e martoriato per ordine dei vertici militari e del regime fascista. In Grecia, in Albania, in Jugoslavia le popolazioni avrebbero potuto vendicarsi o lasciarli al loro destino che era quello di finire nei campi di concentramento tedeschi. Invece quei soldati furono aiutati, sfamati, accompagnati attraverso zone impervie perché potessero raggiungere l'Italia, a tutti fu offerto di rimanere a combattere nella lotta partigiana a fianco di quelli che erano stati i "ribelli" contro cui avevano combattuto. Migliaia di essi dissero di sì, e continuarono la loro guerra dalla parte della Resistenza. Giacomo Scotti, uno dei maggiori scrittori della Resistenza, ha raccolto le storie di tre di questi soldati: due ufficiali medici e un marinaio. Dalle inenarrabili sofferenze patite e condivise con i partigiani jugoslavi, emerge il desiderio di riscatto di tutta una generazione di italiani dalla follia delle aggressioni fasciste.


Giacomo Scotti, oriundo napoletano (Saviano, 1dicembre 1928), dal 1987 pendolare fra la sua città natale e Fiume e dal 1995 tra Fiume e Trieste, è vissuto per oltre mezzo secolo nell'ex Jugoslavia, operando come giornalista, storico, traduttore, narratore e poeta.
Penultimo figlio di una numerosa famiglia di contadini, Giacomo Scotti vide la sua famiglia decimata nella seconda guerra mondiale: un fratello sottoufficiale di Marina caduto nella battaglia navale di Capo Matapan, il padre morto di crepacuore per questa perdita, un secondo fratello finito prigioniero degli Alleati per lunghi anni, un terzo fratello deportato dai tedeschi e mai tornato a casa. Queste perdite hanno segnato poi le sue scelte di vita.
Ha scritto e pubblicato in Italia, Serbia, Bosnia, Macedonia e Croazia oltre centocinquanta opere in volume, in più lingue: raccolte di poesie, libri di favole (per KappaVu Favole e Storie da recitare, 2005), romanzi e raccolte di racconti, ma anche opere storiografiche o tra storia e narrativa.
Alle vicende della Resistenza, e in particolare al contributo dato dai partigiani italiani alla Resistenza nell'ex Jugoslavia, ha dedicato una ventina di volumi, fra i quali: Ventimila caduti (1970), Quelli della montagna (1972), Il battaglione degli straccioni (1974), Rossa una stella (1976), I disertori (1980), Bono Taliano (1981), Le aquile delle montagne nere (1987), Juris, all'assalto (1989), L'inutile vittoria (1989), Il partigiano del cielo (2004), Bersagliere in Jugoslavia (2004).


Mauro Daltin - Ufficio Stampa Kappa Vu
via Bertiolo 4 - 33100 Udine
Tel: 0432530540 Fax: 0432530140
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da LA VOCE DEL POPOLO del 26 aprile 2006

GIACOMO SCOTTI HA RACCONTATO LE LORO «ESPERIENZE PARTIGIANE» NELL'EX JUGOSLAVIA

Tre soldati italiani che riscattarono
l'onore dell'Italia

Tre italiani, tre uomini "non proprio ordinari", due medici militari e un marinaio, immersi, loro magrado, nella selva degli eventi bellici nei Balcani dopo l'Armistizio. Tre vicende, tre esperienze maturate da una precisa scelta, quella di unirsi, dopo lo sfacelo dell'esercito italiano, al movimento partigiano jugoslavo. A raccontarle è l'infaticabile Giacomo Scotti nel volume, Tre storie partigiane. Dalla Macedonia alle Alpi, dappertutto italiani (141 pagine, 13 euro), pubblicato nel gennaio 2006 dalle Edizioni Kappa Vu (collana /Resistenza storica/ a cura di Alessandra Kersevan) di Udine.
L'autore, oriundo
napoletano (Saviano, 1 dicembre 1928), dal 1987 pendolare fra la sua città natale e Fiume (dove vive da oltre mezzo secolo) e dal 1995 tra Fiume e Trieste, è uno dei più attivi scrittori, poeti, giornalisti, storici, traduttori e narratori della Comunità Nazionale Italiana. Finora ha scritto e pubblicato in Croazia, Italia, Serbia, Bosnia, Macedonia (oltre centocinquanta opere), in più lingue, dedicando una ventina di volumi alla Resistenza, e in particolare al contributo dato dagli italiani alla lotta partigiana nell´ex Jugoslavia. Ricorderemo "Ventimila caduti"(1970), "Quelli della montagna" (1972), "Il battaglione degli straccioni" (1974), "Rossa una stella" (1976), "I disertori" (1980), "Bono Taliano" (1981), "Le aquile delle montagne nere" (1987), "Juris, all´assalto" (1989), "L´inutile vittoria" (1989), "Il partigiano del cielo" (2004), "Bersagliere in Jugoslavia" (2004).

*Una pagina di storia italiana da mettere in luce*

Il dramma dell'esercito italiano ebbe inizio alle 19.45 dell´8 settembre 1943, quando la radio trasmise il messaggio del maresciallo Badoglio. Il capo del governo comunicava che l´Italia aveva "chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate" e che la richiesta era stata accolta. La "leggerezza" con la quale lo stato italiano aveva affrontato la situazione e l´assoluta mancanza di direttive da parte dei responsabili della macchina da guerra italiana trasformeranno i Balcani in una bolgia per le centinaia di migliaia di soldati abbandonati a sé stessi. Uno scenario particolarmente desolante per i circa 300mila soldati in Slovenia, Dalmazia, Croazia, Montenegro e Bocche di Cattaro, più di 100mila in Albania e circa 260mila soldati in Grecia e nelle isole dell´Egeo. Disarmati, senza possibilità di difendersi in paesi che avevano aggredito e occupato, abbandonati alla mercé degli ex alleati, alla furia vendicatrice dei popoli che avevano invaso. Tantissimi furono soccorsi proprio dalla popolazione locale: sfamati, travestiti in abiti civili, aiutati a raggiungere l'Italia, invitati a unirsi ai partigiani. E molti accolsero l'invito. Una pagina di storia italiana che spesso viene "voltata" in maniera frettolosa, poco conosciuta nella stessa Italia. In *Tre storie partigiane* Scotti ha raccolto le esperienze di tre di questi soldati italiani, quella del napoletano Antonio Ciccarelli, del torinese Domenico David e del livornese Pier Luigi Gaiozzi.
"Non sono racconti nel senso tradizionale
del termine - come scrive Elio Bartolini nella prefazione -; non sono nemmeno un diario di guerra, sebbene più di qualche volta attingano a note o appunti o testimonianze dirette. E nemmeno sono tre biografie di italiani coinvolti a vario titolo nella guerra partigiana jugoslava. Togliendone il tanto di personalistico, li definirei, come a Scotti stesso capita di dire, tre 'esperienze partigiane', cioè di quel tipo di guerra affatto particolare che contrassegnò la seconda parte del conflitto mondiale, e per gli Italiani più propriamente il periodo che va dal settembre 1943 all´estate 1945. Condizionata anzitutto dal convincimento ideologico e dalla resistenza fisica; inventata giorno per giorno dall´intelligenza dei Comandi, ma anche affidata all´escogitazione del singolo combattente; esigente e magari deprimente nella continuità dello sforzo quotidiano ed insieme esaltata da imprese di eroica unicità, ma anche insidiata dal tradimento, dalla viltà, da diserzioni e perfino deprecabili discordie interne, conviene definirla davvero 'particolare', quella guerra." Scotti ha narrato queste vicende, a tratti mirabolanti, con "assoluta sobrietà, nessuna esaltazione 'eroicistica', nessuna concessione al colore - come precisa Bartolini concludendo che il volume potrebbe essere proposto alle scuole italiane come lettura formativa. Le prime due testimonianze vengono pubblicate per la prima volta, la terza è stata invece dettata a Scotti da un livornese ed è uscita in un opuscoletto del 1983 curato dallo stesso scrittore.

Un medico «con la barbetta»

Ricordi dei protagonisti, ma anche documenti d'archivio, il diario di guerra "Partizanski zdravnik" (Un medico partigiano, Lubiana 1972) del dottor Aleksander Gala-Peter e un opuscolo pubblicato nel 1967 a Nova Gorica dalla dottoressa Jerina Lah-Pavla (che conobbe il protagonista in quei giorni di guerra tra il 1943 e il 1945 in Slovenia) contribuiscono a ricreare il personaggio di Antonio Ciccarelli, napoletano, classe 1914, ufficiale medico (sarà promosso a Capitano per merito di guerra nel 1949) nell'aeroporto militare di Merna (vicino a Gorizia). Nel settembre del 1943 Ciccarelli, il medico chirurgo "con la barbetta", riuscirà a sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi e si arruolerà nelle formazioni partigiane portando con sé due autoambulanze, materiale sanitario e viveri sottratti al nemico. Assumerà la direzione del servizio sanitario di una divisione d'assalto, organizzerà il servizio stesso e costituirà posti di medicazione ed ospedali da campo. Durante l'attacco a un ospedaletto assumerà il comando degli uomini di guardia e con intensa azione di fuoco impegnerà il nemico coprendo l'esodo di oltre sessanta feriti gravi. "Bella figura di organizzatore e di combattente valoroso" - come riportato nella promozione al grado di Capitano. "Ho fatto il mio dovere e nient'altro che il mio dovere di uomo e di medico per una causa giusta, per la quale migliaia e migliaia di partigiani hanno fatto olocausto della loro vita", dichiarerà il dott. Ciccarelli. Come mai decise di unirsi ai partigiani? Lo fece, come ammise egli stesso, perché odiava i tedeschi e perché il suo aiuto era necessario ai partigiani. Diventerà uno dei personaggi più popolari in Slovenia (il "doktor Anton" sarà promosso al grado di Maggiore dell'Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia su proposta del Comando del IX Corpus d'armata). Un viaggio, il suo, da Gorizia al Monte Nero (Crni-vrh), a Villa Montevecchio (Vogersko), ad Aidussina fino a Sella Oblà, Circhina-Montevecchio, al Golako... e persino missioni in Croazia e Bosnia. Un percorso descritto minuziosamente - il più dettagliato, gli sono state riservate quasi la metà delle pagine del libro - forse perché "c'era qualcosa di simbolico nel suo spirito di sacrificio" come un suo collaboratore rievocherà il dottor Ciccarelli.

La vicenda di Domenico David

Quasi un diario di guerra, degli interventi effettuati per salvare le vite, per curare i feriti. È la seconda storia, quella di Domenico David, già capitano medico della 3ª Batteria Alpina Gruppo Susa, I° reggimento Artiglieria Alpina, Divisione "Taurinense" dislocata in Montenegro e Sangiaccato. David si è affiancato all'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia dal settembre 1943 all'estate del 1945, avanzando e combattendo per la liberazione della Serbia. Gli sarà conferita la Stella partigiana e la Medaglia al valore, i massimi riconoscimenti per il valore personale dopo l'Ordine di Eroe del Popolo.
"Cika Davide" (zio David), poi "Talijanski doktor" (il medico italiano) e ancora "Druze doktor" (compagno medico, infine "Druze Major", ripercorre la lunga marcia delle formazioni partigiane, i continui spostamenti, le offensive nemiche, gli incontri con altri soldati italiani e con le popolazioni locali, le innumerevoli difficoltà quotidiane. Radiografia della guerra e delle malattie, delle ferite che provocò. Sul diario di David, alla data del 9 gennaio 1944, si legge: "Caccia ai pidocchi: nella sola gamba sinistra della mutanda lunga di lana militare contati e uccisi 87 parassiti. Senza sale, poco pane e molto appetito." Terminata la "Sesta offensiva", la Balkanschlucht, il 21 gennaio annota: "Ogni giorno medico i feriti e pratico qualche piccolo intervento chirurgico. Visito anche qualche civile e amputo un dito a un musulmano. Non mi sento bene: uno strano malessere mi ha tolto l'appetito nonostante ci vengano dati due pasti al giorno dopo mesi di scarso nutrimento". Gli sarà riconosciuto il merito "più pieno per essersi dimostrato un ottimo specialista. In conseguenza degli ottimi rapporti da lui avuti con i feriti e tutti gli altri, è stato benvoluto da tutti". È rimpatriato a bordo di un'automobile, "indossando l'uniforme e portando la pistola".

Un livornese da Patrasso a Belgrado

Pier Luigi Gaiozzi (combatté da partigiano con il nome di Luigi Caiazzo), classe 1923, vissuto in provincia di Livorno, soldato di leva, fu assegnato alla Marina a La Spezia, dove rimase fino al gennaio 1943. Trasferito prima a bordo della "Vittorio Veneto" poi al "Maridepo" di Venezia, approdò in Grecia alle dipendenze del Comando Marina di Petrano. L'armistizio lo sorprese alla stazione ricetrasmittente di Cuculi presso Patrasso e trasformò il marinaio toscano in un partigiano del Movimento di liberazione greco, quindi in prigionero di guerra e infine nuovamente in partigiano, stavolta nelle file dell'Esercito jugoslavo, fino al rimpatrio avvenuto nel luglio del 1945. "La mattina del 9 settembre, insieme al Capitano Commissario Dino Gennari (...), lasciai la stazione. Non senza prima aver preso le armi - racconta Gaiozzi -. Ci ritirammo nella villa di un certo Kanelopulos, uno dei dirigenti clandestini dell'EAM di Patrasso. Nella stessa villa, al piano superiore, risiedeva il comandante di zona del movimento ellenico di liberazione." Inaspettatamente Gaiozzi e un altro marinaio italiano furono condotti in una baracca di campagna e costretti a scavare una profonda buca. "Venimmo poi a sapere, in segretezza, che la fossa doveva servire per sepellire i nostri cadaveri. Ma perché volevano eliminarci?" Probabilmente perché temevano che gli italiani, se caduti in mano alle SS non avrebbero retto agli interrogatori, spifferando tutto ciò che sapevano sul movimento partigiano greco. Kanelopulos tornerà sulle sue decisioni, ma Gaiozzi e gli altri si rifugiarono sui monti, aggregandosi alla "Dodeca Sinderman". Nell'ambito di un'operazione di rastrellamento delle SS e della Wermacht Gaiozzi sarà catturato, trasportato ad Atene e da qui a Skopje in Macedonia, e ancora avanti a Mackatica, tra la Serbia  sud-orientale e la Bulgaria, nei giacimenti di molibdeno, volframio, piombo, zinco e cobalto. Poi le grandi offensive, gli stenti - "Il vitto era carne affumicata, sale e grappa. Per pane avevamo solo la neve..." - condivisi con i partigiani e di tanti italiani che confluirono nelle unità serbe, che formarono la Divisione Italia. Un momento prima di lasciare il paese e tornare a casa e David riporta le emozioni provate: "A Belgrado, tutti noi che avevamo fatto parte delle divisioni jugoslave fummo radunati in una caserma che - se la memoria non mi tradisce - si trovava vicino al giardino zoologico. Ci tenne un discorso il Maresciallo Tito. Oltre a ringraziarci per il contributo che avevamo dato alla lotta per la liberazione della Jugoslavia, ci incitò a lottare per la costruzione della democrazia e per la libertà dei popoli. Voi italiani, disse, con il vostro sacrificio avete riscattato l'onore dell'Italia mettendo un'ipoteca sul suo avvenire".

In calce al libro, 13
pagine di materiale iconografico sulla partecipazione dei soldati italiani alla Resistenza nell'ex Jugoslavia.


Ilaria Rocchi Rukavina



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Una iniziativa internazionale ed internazionalista
nel 60.esimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo

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