CNJ
COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA JUGOSLAVIA - ONLUS
ITALIJANSKA KOORDINACIJA ZA JUGOSLAVIJU


 
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SRPSKOHRVATSKI JE JEDINI JEZIK

IL SERBOCROATO È UN'UNICA LINGUA



Per aggiornamenti su questi temi a partire da dicembre 2017
si veda piuttosto la

Sezione dedicata sul nostro nuovo sito




Indice dei principali materiali contenuti in questa pagina:

Sesto S. Giovanni (MI) 3 marzo 2010:
Lingue e confini: la guerra infinita? Iniziativa sulla questione linguistica serbocroata


Kako kazete vi "kukuruz"?

"Abbiamo raccolto le pannocchie." L'interprete traduce senza difficoltà: "Abbiamo raccolto le pannocchie."





mappa 1
Fonte:
Arturo Cronia, GRAMMATICA DELLA LINGUA SERBO-CROATA
Trevisini editore, Milano
(prima edizione: 1924 - sono seguite almeno altre otto edizioni fino agli anni 2000!)






Attorno alla metà del XIX secolo in Croazia gli illirici - jugoslavisti - francescani, con Ljudevit Gaj in testa, si interrogavano sulla praticità della adozione dell'alfabeto cirillico, per sottrarsi all'influenza della magiarizzazione, il nuovo-vecchio giogo che i Croati dovevano patire dopo il 1848.

"Se invece usassimo il cirillico, potremmo stampare la nostra storia con tale alfabeto..."

Già attorno al 1835 in effetti si chiedevano:


"... Ehh, se fossimi stati uniti con i Serbi nell'alfabeto, non avremmo avuto niente da temere.
Questa gente (i Serbi) sono tanto più cordiali e buoni dei nostri cattolici.
Sarei pronto, nel nome della concordia e dell'unità, ad adottare i loro caratteri, e ad abbandonare i latini...

Per quale motivo una minoranza degli Illirici cattolici si astiene dall'addottare nuovamente
i caratteri illirici, che tanto tempo fa
dovette abbandonare?
La stessa fede, come tale, non ne sarebbe offesa,
e neanche potrebbe essere d'ostacolo..."


(Fonte: Sinan Gudžević, "Cirillico e croati". A cura di DK)


LA CASA VIENNESE SERBOCROATA

Quella che segue è la traduzione di un articolo del linguista e traduttore Sinan Gudzevic. Si intitola "La Casa Viennese Serbocroata" con riferimento alle prime elaborazioni linguistiche comuni degli Slavi del Sud, che, dopo l'impegno di Vuk Karadžić degli anni 1815-1850 circa, culminarono proprio nell'"accordo di Vienna" con l'adozione generalizzata di una lingua comune per tutti i popoli di Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro. Vescovi, scrittori, professori di tutte le nazionalità contribuirono attivamente a questa impresa centrale nel progresso civile e culturale dell'area.

Certi "linguisti" nazionalisti, ed i loro mentori e colleghi accademici occidentali, vorrebbero oggi invertire quegli esiti, e cambiare davvero tutte le parole degli Slavi del Sud affinchè non parlino più la stessa lingua! Ma neanche mille anni basterebbero per questo!

I nazionalisti non sono capaci di mettersi in testa che è più facile uccidere uno Stato che una lingua. Non è neanche possibile dimostrare loro che è più facile creare un nuovo Stato piuttosto che una nuova lingua.


La Casa Viennese Serbocroata

di Sinan Gudžević

Aim, Zagabria, 29.12.2000.

http://www.aimpress.ch/dyn/pubs/archive/data/200012/01229-006-pubs-zag.htm

(traduzione senza fini di lucro: Dragomir Kovacevic)

Questo articolo condivide il difetto di tutti quelli che, occupandosi degli inizi di qualcosa, non riescono a raccontare... dall'inizio. Si, perché l'inizio è sconosciuto, non si sa quando "l'inizio" ebbe il proprio "inizio". Siccome tutto iniziò in tempi remoti, forse nel dodicesimo secolo, quando probabilmente un Croato incontrò un Serbo per la prima volta [In effetti Serbi e Croati sono lo stesso popolo, diviso in due dallo scisma avvenuto nella chiesa cristiana proprio nel XII secolo, ndt]. Perciò questo articolo inizierà con un aneddoto, da metà. Anzi non con uno, ma con due aneddoti. Il primo è diffuso nella forma di barzelletta, mentre il secondo è qualcosa di più (sebbene una buona barzelletta non sia cosa futile!), perché riguarda le avventure celebri dell'antichità, e noi ormai sappiamo come l'invecchiamento sia precondizione per la bontà.

Il primo aneddoto, dunque, a seconda della regione dove viene narrato ha per soggetto Luigi Quattordicesimo, Luigi Quindicesimo, oppure Bismarck, ma per me la versione montenegrina è la più convincente di tutte, perché si narra che le sue origini sarebbero da far risalire alla corte del Re Nikola di Montenegro verso la fine del secolo scorso. Un mattino, dunque, Re Nikola decise di verificare in che misura le sue guardie del corpo fossero adulatrici o ipocrite. Schierandoli in fila su di un prato, vicino alla sua reggia, il Re prese la pistola e sparò in alto, in direzione di un'aquila, che in quei tempi era un uccello molto presente in Montenegro. La pallottola non colpì l'aquila in volo, eppure alla domanda "L'ho colpita o no, mie guardie?", le guardie risposero all'unisono "L'ha colpita, padrone!", tutte tranne una, che disse: "Ehh, padrone, non si è mai vista un'aquila simile: morta, eppur vola ancora!"

Il secondo aneddoto è più noto: quel mostro di Gorgone fermò in mare aperto la barca del vecchio marinaio greco. Alla domanda se il Re Alessandro fosse ancora vivo, il marinaio diede una risposta rimasta celebre: "E' vivo, ed è ancora re!"
La motivazione di questo che vi ho appena raccontato segue due punti - il primo: è morto eppure vola; ed il secondo: è vivo, ed è ancora re. In mezzo a questi due punti oggi si colloca quel mostro linguistico (alcuni lo definiscono "drago", "spettro", un tale ha detto: "mostro centauro") nato al finire del diciannovesimo secolo sotto il nome di Lingua Serbocroata. Tre giorni prima della conclusione del secondo millennio, cercandole col lumicino, in tutto il mondo non si riuscirebbe a trovare più di un migliaio di persone non disposte a dire che tale creatura linguistica sarebbe morta. Quei mille (io personalmente ne conosco ottantatre) direbbero che questa creatura è ancora in vita. Alcuni di loro direbbero che è ancora re; e conosco perfino uno di loro che direbbe che questa creatura porta le ali, eccome!

Sarà ormai un decennio che svariati despoti sparano incessantemente contro questa lingua. E sono convinti d'averla uccisa. Si pone la domanda se questa lingua "scomparsa" sia effettivamente e letteralmente ed irrevocabilmente morta, oppure, come il Re Alessandro - spero il lettore non trovi il paragone troppo esagerato - se non sia ancora viva, e se non sia ancora re! L'intenzione di questo articolo non è quella di cercare la risposta per questa domanda. I nazionalisti non sono capaci di mettersi in testa che è più facile uccidere uno Stato che una lingua. Non è neanche possibile dimostrare loro che è più facile creare un nuovo Stato piuttosto che una nuova lingua. Tra l'altro, i nazionalisti sono bugiardi. Quando si accorgono che la realtà smaschera le loro bugie, essi creano nuove realtà più congrue alle loro bugie. Questo articolo non ha per scopo quello di metterli sulla strada giusta: tanto, loro, quando io per esempio dico "no", dicono "si", e quando io dico "si", loro dicono "no". Questo articolo ha per scopo quello di ricordarci di certe meravigliose persone jugoslave che edificarono le fondamenta della lingua comune di Serbi, Croati, Bosgnazzi e Montenegrini, fondamenta che non sono abbattibili facilmente. Non è facile determinare la data di inizio della costruzione di queste fondamenta. Però, una data è indiscutibile: 28 di marzo del 1850. A Vienna in quella data, molto probabilmente nell'appartamento di Vuk Karadžić, oppure nella celebre taverna di Gerlovic in Baumarkt, otto Jugoslavi (essi stessi si diedero tale nome) si riunirono e firmarono un manifesto con il quale invitavano gli Slavi del Sud ad accettare il cosiddetto dialetto meridionale come loro lingua letteraria. Questo dialetto meridionale è la variante ijekava del novoštokavo. In base a come lo descrissero i linguisti, il novoštokavo è quel dialetto diffuso in mezzo al territorio idiomatico tra i fiumi Sutla e Timok, tra il Mare Adriatico e Timisoara, tra Horgos e la montagna Šara.

Questo dialetto comprende il maggior numero di fruitori (al presente sono più di diciotto milioni) in grado di capirsi tutti tra di loro. Questo dialetto, dunque, fu standardizzato e considerato come norma per la lingua letteraria di Serbi, Croati, Bosgnazzi e Montenegrini. Tale processo durò fino agli anni Novanta del secolo scorso ed ebbe il carattere di una vera battaglia e di una vera guerra. Negli anni '90 del XIX secolo, lo spazio linguistico serbocroato fu diviso politicamente tra due imperi e due Stati indipendenti. Questa lingua standardizzata, normata, comprensibile per tutti, questa lingua policentrica e letteraria, non ebbe mai un suo nome preciso. I Serbi lo chiamarono il "serbo", i Croati "croato", i Bosgnazzi "bosniaco", i Montenegrini "montenegrino", gli Jugoslavi "jugoslaveno", "jugoslavo", "nostrano", gli Illiri "illirico", e la popolazione dei musulmani jugoslavi presenti qua e la arrivarono a chiamarlo il "turco"! Il nome "serbocroato", secondo tutte le indicazioni, fu usato per la prima volta da Jakob Grimm nella prefazione per l'edizione tedesca della "Grammatica della lingua serba " del 1824 di Vuk Karadžić. Prima della creazione della Jugoslavia, questo nome lo usarono i grammatici Pero Budmani nel 1867 e, in italiano, Giovanni Androvich nel 1908, così come il celebre slavista August Leskien, autore della "Grammatik der serbo-kroatischen Sprache", Heidelberg, 1914.

Torniamo al tema del gruppo degli otto viennesi. Cinque di loro erano croati. Dimitrija Demeter, Ivan Kukuljevic Sakcinski, Ivan Mažuranić, Vinko Pacel e Stjepan Pejaković. Due di loro erano serbi: Ðuro Daničić e Vuk Stefanović Karadžić. Uno era sloveno: Fran Miklošić. L'accordo letterario di Vienna, come questo "manifesto ai popoli jugoslavi" fu denominato in seguito, nacque nella forma di un documento a margine dei lavori sulla terminologia politica e giuridica per i popoli slavi dell'Impero Austriaco. Il lavoro della creazione di una terminologia fu finanziato dal ministero della Monarchia, ed il risultato doveva facilitare la comunicazione negli affari legali nel sud slavo dell'Impero. L'iniziatore del lavoro sulla terminologia a tutti gli effetti fu Miklošić, bibliotecario e deputato nel Reichstag dell'Impero. In base alla poca documentazione disponibile sull'Accordo letterario, si può dedurre che Miklošić fu l'autore dell'idea di un incontro concernente l'accordo per la lingua letteraria. Quello che a prima vista sembra strano, dimostra invece una sensibilità linguistica perfetta ed il notevole livello di preparazione dei firmatari. Quegli otto, al momento della firma dell'Accordo, erano tutti cittadini della Monarchia d'Austria, essendo nati sul territorio della monarchia, tutti tranne Karadžić, mentre come base della lingua letteraria suggerirono un dialetto che veniva prevalentemente parlato al di fuori del territorio della monarchia! Quando si ragiona su questa decisione, il lavoro pluriennale e l'impegno di Vuk Karadžić per l'introduzione dell'idioma meridionale come base della lingua letteraria non possono essere trascurati. Quando si legge, oggi, questo Accordo, esso per una metà sembra fallito, ma per la seconda metà è eccellente. I firmatari partirono da un presupposto che è distante, se non proprio inaccettabile, per i nazionalisti odierni e perfino per quelle persone lontane da qualsiasi nazionalismo: "i sottoscritti, considerato che un unico popolo dovrebbe possedere una letteratura unica, e biasimando la situazione odierna per cui la sfera delle Lettere è lacerata non soltanto in merito all'alfabeto, ma anche nella grammatica, si sono radunati in questi giorni per discutere su come accordarsi ed unirsi nel modo migliore sul tema della letteratura". Segue il testo dell'Accordo, diviso in cinque punti. I primi due punti iniziano con "Abbiamo riconosciuto unanimemente", il terzo punto inizia con "Abbiamo considerato opportuno e necessario", il quarto punto al suo inizio riporta "Abbiamo riconosciuto tutti", ed il quinto "Abbiamo accettato unanimemente". Per il tema che ci interessa, in questo momento è importante il secondo punto. Esso riporta le ragioni per cui quegli otto uomini suggerirono "che sarebbe più corretto ed è la migliore soluzione accettare l'idioma meridionale come lingua letteraria, ed in particolare,
a) poiché la maggior parte della popolazione parla in questo modo,
b) poiché sarebbe il più vicino all'antica lingua slava e perciò alle altre lingue slave,
c) poiché tutta la poesia popolare è cantata in tale dialetto,
d) poiché l'antica letteratura della Repubblica di Dubrovnik è scritta con tale idioma,
e) poiché ormai la maggioranza dei letterati, di confessione orientale ed occidentale, scrivono in tale maniera (anche se non tutti stanno attenti alle regole)."

L'organizzazione dell'incontro per la realizzazione dell'Accordo probabilmente fu opera di Miklošić. Il contenuto dell'Accordo, il suo secondo punto in particolare, rivela invece la mano del veterano Vuk Karadžić. Il celebre filologo Vatroslav Jagić, scrivendo nel 1864 sul tema della grammatica, affermò che gli accordi viennesi furono realizzati dai "figli migliori del nostro popolo, di cui la patria ancora oggi è fiera". In una annotazione, in questa sezione del suo scritto, aggiunge: "Mentre scriviamo, giunge la triste notizia che morte sgradita ha portato via il nostro anziano e venerando Vuk Karadžić. Ogni letterato si ricorderà, in occasione di una sua prossima opera, di tessergli una corona per i suoi attualissimi meriti".

Oggigiorno, il secondo punto dell'Accordo si potrebbe definire integralmente veritiero, ed ancor più di centocinquanta anni fa. Invece, la frase introduttiva sarebbe da bocciare completamente. In questo consiste la forza e la saldezza della nostra casa linguistica viennese: fragile politicamente ma solida dal punto di vista linguistico. Il novoštokavo, normato e standardizzato, al presente è ancor più armonizzato; Serbi, Croati, Bosgnazzi e Montenegrini scoppierebbero di rabbia oggi per il fatto di capire tutti la stessa lingua. Per impedire che non sia così, essi inventano delle nuove realtà. Un esempio molto recente: Ladan, la "clava linguistica" croata, pochi giorni fa, mentre presentava uno dei suoi raffazzonati saggi linguistici a Rijeka/Fiume, ha dichiarato di essere cresciuto nell'ambiente multilinguistico della Bosnia! Non succede mai che un figlio di Fiume in tali occasioni non ponga la domanda: come mai la Bosnia sarebbe un ambiente multilinguistico? In verità, la Bosnia è l'ambiente linguistico štokavo più compatto di tutti!

Difatti in Bosnia l'Accordo viennese è stato accettato ed applicato nel modo migliore, e più completamente che altrove. Le differenze linguistiche in Bosnia sono tali che la loro ricerca ed individuazione è molto difficile. Questo non è il caso di altre regioni della variante štokava. I leader nazionalistici ne sono bene al corrente, e perciò hanno avviato una guerra linguistica. O, per meglio dire, una guerra lessicale, una guerra dove la parola è il mezzo che combatte contro altre parole. Si è arrivati al punto che l'area linguistica serbocroata assomiglia all'allegoria rinascimentale "La guerra grammaticale". Il rappresentante migliore di questo genere letterario è Andrea Guarna da Napoli. Nel suo libro "Bellum grammaticale" egli descrisse un paese felice, chiamato Grammatica, in cui regnavano due re, in concordia ed a beneficio di tutti i cittadini: il re dei Verbi, ed il re dei Sostantivi. Nel corso di un banchetto, dopo avere tanto mangiato e bevuto, i due cominciarono a litigare su quali parole sarebbero state le più antiche e più importanti. Non arrivando ad un compromesso, decisero di risolvere la lite con la guerra. La mattina seguente partirono, l'uno contro l'altro, ciascuno con il proprio esercito. Sotto la bandiera del Re dei Verbi si schierarono tutti gli Avverbi e tutti i Verbi che ci sono: i verbi d'azione, quelli di ripetizione, gli incompleti, gli irregolari, e così via; mentre con il re dei Sostantivi si unirono i Sostantivi, i Pronomi, e tutte le Preposizioni. Il Participio, per sua natura, non poté decidere con quale re schierarsi, e cominciò ad inviare truppe ad ambedue le parti. Il campo di battaglia fu organizzato nell'area delle Congiunzioni. Un nubifragio fece interrompere la feroce battaglia. La battaglia rimase senza vincitore, e le perdite delle parti in guerra furono tremende: un verbo perse il figlio, un altro rimase senza tutti i suoi alleati, il terzo perse il futuro e fu costretto a comprarselo al mercato; molti dei Sostantivi cambiarono genere, alcuni furono castrati e passarono al neutro... ed in tutto ciò perirono tanti Singolari e Plurali.

Se tutto questo potè accadere nel Rinascimento, allora perché mai, ad un mostro di nome Lingua Serbocroata, dopo centocinquant'anni non potrebbero crescere le ali, per alzarsi al di sopra della sua provincia Grammatica, nell'attesa che qualche vento schiarisca la nebbia sopra alle parole litigiose e mutilate, per curare le loro ferite e ricomporle, seppellendo le parole morte?

Sinan Gudžević





Nel corso degli anni mi è capitato di fare il traduttore, collaborando occasionalmente con delle agenzie. Si trattava per lo più di documenti di vario genere, manuali o lettere commerciali. Tornava utile per tappare i buchi o per tenersi occupati quando si è senza lavoro, anche se i soldi guadagnati erano sempre pochi. Era più stimolante quando lo facevo volontariamente come ad esempio per la trasmissione Ostavka! di Radio Onda d’Urto condotta da Michelangelo Severgnini tra 1999 e 2001 o facendo da interpretere ad Aleksandar Zograf  quando venne a presentare una sua raccolta di fumetti a Milano sempre in quegli anni. Alcune esperienze erano anche deprimenti come quando feci da interprete in un tribunale durante il processo per direttissima a due rom accusati di tentato furto. Furono condannati ad alcuni mesi di carcere senza aver rubato nulla. Sotto banco uno dei due mi fece passare un biglietto con il numero di telefono di qualche parente in Germania e una scheda telefonica. Al primo tentativo non gli riuscì perché una guardia se ne accorse, ma al secondo a udienza finita quando tutti si alzarono finalmente me lo passò. Telefonai subito dopo e mi sentì un po’ riscattato per aver collaborato con un processo che trovavo imbarazzante. Ultimamente, considerate le difficoltà economiche mi sono messo di nuovo a mandare i curriculum alle agenzie di traduzione e qualcuna ha risposto. Una di queste, Easy Languages, per una sorta di selezione chiedeva un articolo sulle lingue e sul mestiere del traduttore, per essere ammessi al team dei collaboratori. Ho scritto sull’annosa questione che riguarda una lingua che tutti parlano nelle quattro delle sei repubbliche ex jugoslave, ma nessuno riconosce, cioè il serbo-croato.

 
Serbo-croato, quando una lingua diventa scomoda

Quando sono nato, nel 1977, in Jugoslavia si parlava il serbo-croato, la lingua considerata ufficiale e tre lingue utilizzate nelle singole repubbliche federali: sloveno, macedone e albanese. A queste si possono aggiungere le minoranze linguistiche parlate nelle zone di confine come l’ungherese, l’italiano, il valacco, e le lingue parlate dalle comunità rom e goranci. Naturalmente non mancavano i dialetti locali, molto meno numerosi che in Italia ma con  differenze altrettanto marcate, che nel corso del novecento sono stati uniformati e sostituiti dalle parlate regionali che si differenziavano per lo più per l’accento e il gergo. La situazione linguistica può apparire complicata ma in fin dei conti non ha mai rappresentato un problema, anche perché la maggioranza della popolazione parlava appunto il serbo-croato. la lingua “unificante”,  mentre le altre lingue avevano comunque i loro spazi nell’ambito scolastico, mediatico ed editoriale. Successivamente all’ascesa delle correnti politiche egemoniche o disgregazioniste è venuta a mancare questa peculiare pluralità e intercomprensibilità linguistica.

Semmai è oggi che regna la confusione  dato che il serbo-croato, parlato in Serbia, Croazia, Bosnia e Montenegro è stato diviso in serbo, croato, bosniaco e montenegrino, senza un valido fondamento linguistico-filologico ma principalmente su base politica. Quindi nell’area della ex Jugoslavia le lingue si sarebbero raddoppiate anche se un abitante di Podgorica può andare a Sarajevo ed instaurare una conversazione di qualsiasi tipo incontrando tutt’al più qualche decina di termini diversi, comunque conosciuti non solo a coloro che sono nati prima degli anni Ottanta. Lo stesso accade se un abitante di Zagabria va a Belgrado, dove al massimo troverà qualche difficoltà se si reca nei quartieri periferici dove si parla un particolare slang formatosi negli ultimi decenni, ma sono le stesse difficoltà che potrebbe trovare un milanese a zonzo per le borgate di Roma. Dunque oggi si può incorrere nel paradosso di dover tradurre un testo dal serbo al montenegrino, che sono tra l’altro le due varianti più vicine di serbo-croato considerando i fattori storici e culturali che hanno intrecciato le vicende dei due paesi. Infatti l’ultima separazione riguarda proprio queste due repubbliche, per fortuna avvenuta senza esiti  tragici e sanguinolenti come quelli che hanno caratterizzato la guerra civile degli anni novanta, ma comunque con ripercussioni abbastanza pesanti a livello politico e di conseguenza anche sociale ed economico, creando parecchi problemi ai cittadini comuni, abituati a viaggiare, condurre i propri affari, intrattenere rapporti familiari e di amicizia, trovandosi all’improvviso di fronte ai nuovi confini e ostacoli burocratici. Alla luce di questa situazione, come accennavo, vediamo emergere delle speculazioni nell’ambito linguistico. Per fare un esempio banale ma significativo, se guardiamo le etichette di un prodotto qualsiasi, ci tocca leggere gli ingredienti in quattro lingue diverse dove le differenze spesso non esistono o comunque sono minime. Nel maldestro tentativo di sottolineare le diversità si usano dei sinonimi o semplicemente si cambia una preposizione. Per chiunque e in particolare per un traduttore di professione può risultare un po’ scandaloso il fatto che qualcuno venga pagato per fingere di tradurre.

Senza essere dei filologi, ma servendosi solo del buon senso, possiamo, se non concludere che si tratta della stessa identica lingua, avere quanto meno dei fortissimi dubbi che la si possa smembrare in base ai nuovi confini politico-amministrativi. Eppure oggi, il serbo-croato non è più nemmeno oggetto di discussione, si finge che non esista anche se i tentativi di trasformarlo in neo-lingue accentuandone le differenze e puntando alla sovrapproduzione dei neologismi a volte ridicoli, non stanno avendo il successo sperato. Una lingua segue il proprio corso e si adatta alle esigenze umane di natura più pratica ed è ovviamente molto più longeva di una corrente politica che la vorrebbe viva o morta.




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cijela knjiga PDF

Kordić Snježana: Jezik i nacionalizam

Zagreb: DURIEUX d.o.o., 2010

ISBN 978-953-188-311-5
Format: 13x21, tvrdi uvez - Cijena: 200 kn / 28 Eur

Ovo je u domaćoj sredini prva knjiga koja na osnovi uvida u obimnu inozemnu literaturu rasvjetljava odnos između jezika i nacije. Čitatelju se u njoj nude spoznaje o tome kako se prave nacije, kako se instrumentalizira jezik za nacionalističke ciljeve, kako se falsificira prošlost i izgrađuju mitovi koji podupiru ideološki poželjnu sliku stvarnosti. U knjizi se identitet razotkriva kao konstrukcija, a kultura kao nepodudarna s nacijom. Pokazuje se da jezik kojim govorimo ima šire granice nego što mu uobičajeno ucrtavaju, a predočava se i prava priroda jezičnog purizma.
S obzirom na ovdašnja proširena shvaćanja, mnogima bi se sadržaj knjige mogao učiniti revolucionarnim. Ali on to nije, nego se prije radi o izoliranosti domaće sredine od dosega znanosti u svijetu. Cilj ove knjige i jest da se ta izoliranost prevlada i da se nadoknade postojeći deficiti u znanju.
(http://www.durieux.hr/pregled.asp?id=776)


Snježana Kordić: govori kao što govoriš

Domaći jezikoslovci uvjeravaju ljude da država i nacija ne može postojati ako nema zaseban jezik sa zasebnim imenom. Kad bi bilo tako, ne bi postojala čak ni američka država i nacija, ne bi postojala švicarska nacija i država, ni kanadska, argentinska... Ako je najmanje 81 posto osnovnog rječničkog blaga zajedničko, radi se o istom jeziku.

15 august 2010 - http://www.zamirzine.net/spip.php?article9836

Snježana Kordić, lingvistica iz Osijeka, u svojoj knjizi Jezik i nacionalizam [1] piše o tome da se u BiH, Hrvatskoj, Srbiji i Crnoj Gori govori istim jezikom. Naime, Kordić je u intervjuu zaSlobodnu Bosnu kazala da se spomenuti narodi međusobno razumiju i da govore jednim jezikom. Lingvistica napominje kako je u lingvistici definirano da se radi o istom jeziku ako je najmanje 81 posto osnovnog rječničkog blaga zajedničko. "A Hrvati, Srbi, Bošnjaci i Crnogorci, kad govore standardnim jezikom, imaju 100 posto zajedničko osnovno rječničko blago", kazala je Kordić.

Prije nekoliko godina Kordić je bila optužena da "potkopava temelje hrvatske države" zbog svojih radova i stajališta o jeziku. Ona kaže da je do toga došlo jer "domaći jezikoslovci uvjeravaju ljude da država i nacija ne može postojati ako nema zaseban jezik sa zasebnim imenom". "To je, naravno, besmislica jer inače ne bi postojala čak ni američka država i nacija, ne bi postojala švicarska nacija i država, ni kanadska, argentinska...", smatra Kordić.

lingvistički dokazi o postojanju zajedničkog jezika ne ugrožavaju postojanje zasebne države

"Čovjek stvarno mora biti potpuno neuk, da ne kažem slijep, pa da misli da lingvistički dokazi o postojanju zajedničkog standardnog jezika ugrožavaju postojanje Hrvatske, Bosne i Hercegovine, Srbije i Crne Gore kao četiri zasebne države, ili da ugrožavaju postojanje četiriju nacija", smatra Kordić.

Kordić u svojoj knjizi navodi kako se radi o standardnom jeziku koji je policentričan, odnosno da nekoliko nacija govori istim jezikom pa on ima nekoliko centara. "Sve četiri varijante su ravnopravne, nije jedna od njih nekakav ‘pravi’ jezik, a druga ‘varijacija’ tog jezika. Policentrični su svi svjetski jezici, a i brojni drugi. Razlike između njihovih varijanti su često veće nego u našem slučaju", smatra.

jezična netolerancija je politički prihvatljiva maska za netoleranciju prema drugoj naciji

Lingvistica naglašava da pojedinci koji razdraženo reagiraju na neke riječi koje prepoznaju kao znak druge nacije izražavaju jezičnu netoleranciju. Ona se slaže s tim da je jezična netolerancija često politički prihvatljiva maska za netoleranciju prema drugoj naciji. "Ta maska se koristi jer je u današnjim društvima politički prihvatljivije govoriti o jezičnoj čistoći nego govoriti direktno o neprijateljstvu prema drugoj naciji", kazala je.

"Tipično je da mislimo kako nacionalizam postoji uvijek samo kod drugih, a naš nacionalizam predočavamo kao ’patriotizam’, koristan i neophodan", kazala je Kordić.

Kordić smatra da su naši lektori postali cenzuristi. "Ono što čine domaći lektori, to nije posao lektora, nego cenzora. Ni u kojem slučaju lektori u inozemstvu ne vrše odstrel riječi navedenih na nekakvim listama nepodobnosti, a upravo to čine domaći lektori", smatra Kordić.


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isto procitaj / pogledaj:

Snježana Kordić na HRT, 25.5.2014. - program "Nedjeljom u dva"

Snježana Kordić: Kroatisch-Serbisch: Ein Lehrbuch für Fortgeschrittene mit Grammatik
http://books.google.com/books?id=UAoeqRnott0C&lpg=PR1&ots=HuyqXWlwDN&dq=
Snjezana%20Kordic&hl=it&pg=PR1#v=onepage&q=&f=false

Snježana Kordić website
http://www.snjezana-kordic.de/

Jezikoslovki Snježani Kordić pred stanom razbijen auto
Pred zgradom u kojoj živi u Zagrebu, Snježani Kordić, jezikoslovki koja je tezom da su hrvatski i srpski jedan policentrični jezik uzburkala jezikoslovne i nacionalističke duhove u Hrvatskoj i Srbiji, zasad nepoznati počinitelj razbio je vjetrobransko staklo na automobilu
http://www.tportal.hr/kultura/kulturmiks/280466/Jezikoslovki-Snjezani-Kordic-pred-stanom-razbijen-auto.html




SPR:HRVATSKA-PREVOD-EP U Evropskom parlamentu prevođenje s hrvatskog na srpski

ZAGREB, 28. maja (Tanjug) - Na inicijativu Doris Pak i Hansa Svobode, u Evropskom parlamentu je od juče uvedeno prevođenje s hrvatskog na srpski jezik, jer su hrvatski prevodioci izdvojeni u posebnu kabinu, odvojenu od zajednilke kabine za srpski, bosanski i crnogorski jezik, javljaju danas hrvatski mediji. Hrvatski predstavnici bili su protiv ideje Sekretarijata EP da, shodno praksi Haškog suda, obezbedi zajednički prevod na hrvatsko-srpsko-bosanskom jeziku. (Kraj)


LE SPESE INUTILI DEL PARLAMENTO EUROPEO

Agendo in base all'iniziativa di Doris Pak e Hans Svoboda, ieri, nel Parlamento UE, è stata introdotta la traduzione dal croato al serbo (SIC), cosicchè i traduttori croati sono stati collocati in una cabina a parte, separata dalla cabina congiunta per serbo, bosniaco e montenegrino (SIC SIC). L'informazione giunge dai media della Croazia. I rappresentanti della Croazia erano contrari all'idea del Parlamento UE che, sulla scia della prassi del Tribunale dell'Aja, fosse procurata una traduzione unica per la lingua croata-serba-bosniaca. (fonte Tanjug - 28 maggio 2008 - in italiano a cura di DK)


Spese inutili del Parlamento europeo? “E chi se ne frega” si diranno i deputati – parlamentari! Tanto per loro non ci sono problemi, salariali s’ intende. D’ altronde cosa ci si puo’ aspettare da questa Europa dei capitali,  con la sua miope socio-politica, “che l’occhiolino fa al tiranno...” (Đuro Jaksić)?
Almeno sulla disputa linguistica, da parte degli intellettuali, degli scrittori, dei professori una precisazione sarebbe dovuta. E invece niente!... Noi jugoslavi, anche di media cultura linguistica, sapevamo bene tutti che la nostra lingua era il “serbo o croato”! Non ho sentito ancora che gli austriaci per esempio, non  parlino il tedesco, ma la loro “madrelingua”!...
Al Parlamento europeo suggerirei di ufficializzare la lingua “serba o croata”, (serbo-croata o croato-serba), usando il linguaggio che comprendono tutti i cittadini delle ex-Repubbliche jugoslave e che tuttora usano in grande maggioranza o in toto - come in Bosnia-Erzegovina e Montenegro (nella variante “jekava”).  Anche per uno straniero e’ comprensibile che januar, februar eccetera indicano i mesi. Nel mio lavoro per non  turbare certi animi ho preferito usare la “numerazione” del mese: primo, secondo... dodicesimo. Al Tribunale dell’Aia, che tanto per coprire un po’ la sua faziosita’ ha processato alcuni esponenti croati e musulmani bosniaci ("bosgnazzi"), Milosevic ha elegantemente risposto alla traduzione di un croato doc: "Studeni sara’ senz’ altro un mese invernale" (giacche’ “studeni” vuol dire freddo).

Ivan Pavicevac, giugno 2008




MinCulPop linguistico anche nelle Università italiane?


Il Ministero dell'Università e della Ricerca attraverso la Conferenza dei Rettori ha recentemente trasmesso senza commento alle strutture universitarie una nota proveniente dall'Ambasciata di Croazia:


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Da: Segreteria Crui 

Inviato: giovedì 6 novembre 2008 14.33

A: Undisclosed recipients

Oggetto: Ambasciata della Repubblica di Croazia


A tutti i Rettori


Si trasmette l'allegata nota del MIUR relativa all'oggetto.

Cordiali saluti.

La Segreteria CRUI


(SI VEDA IL DOCUMENTO ORIGINALE ALLA URL: https://www.cnj.it/documentazione/AmbCroazia_a_ConfRettori.pdf )


Ambasciata della Repubblica di Croazia


(...) 


Roma, li 7 ottobre 2008


Vorremmo informarLa del cambiamento dell'indicazione internazionale della lingua croata, entrato in vigore il 1 settembre 2008. Con la decisione del corpo internazionale ISO639-2 Registration Authority e la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti (Library of Congress) di Washington, l'indicazione "hrv" è stata introdotta come l'unica indicazione bibliografica e terminologica per la lingua croata, sostituendo l'indicazione "scr" usata finora [v. http://www.loc.gov/marc/tn080701.html]. (...) Per le indicazioni bibliografiche d'ora in poi verranno adoperate esclusivamente le nuove indicazioni per le suddette lingue: "hrv" per la lingua croata e "srp" per la lingua serba. (...)


Distinti saluti,

Ambasciatore 

Tomislav Vidošević


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Tale nota è stata inoltrata dai Rettori alle rispettive biblioteche universitarie. Ma a che pro?

Che cosa dovrebbe in effetti comportare la rigorosa applicazione di tale richiesta dell'Ambasciata di Croazia?

Si sta forse chiedendo di riclassificare i libri in serbocroato, presenti nelle biblioteche universitarie, distinguendoli tra libri scritti in "serbo" e in "croato"? 


In questo caso, come andranno classificati ad esempio gli iper-classici di Ivo Andrić, premio Nobel jugoslavo, di famiglia "croata" ma opzione linguistica "serba" (ekava), nato a Travnik nel cuore della Bosnia-Erzegovina e dunque profondamente influenzato dal lessico e dalla cultura di ascendenza turca ed islamica di cui si sono oggi appropriati i settori politici cosiddetti "bosgnacchi"? Classificheremo la sua lingua come "croata", come "serba", o come... "bosgnacca"?

Oppure procureremo tre copie identiche per ogni libro di Andrić, classificandole diversamente in modo da non scontentare nessun partito politico?


E come dovremmo classificare il "Serto della montagna" del Njegoš, vera e propria "Divina Commedia" della lingua serbocroata, scritta in caratteri "serbi" (cirillici) ma nella variante di pronunzia "croata" (jekava) dal famoso letterato e regnante... montenegrino Petar Petrović?


Prendere alla lettera ciò che viene richiesto dalla Ambasciata della Repubblica di Croazia significherebbe piegarsi alle logiche imposte dal peggiore nazionalismo, mettendo in pratica in campo letterario quel separatismo (pseudo)etnico che è stato imposto con la violenza sul terreno jugoslavo. Inoltre, simili scelte relegherebbero ad esempio gli autori della Bosnia-Erzegovina e del Montenegro in una condizione di discriminazione: per loro sarebbe infatti arbitrario usare sia la classificazione "croata" che quella "serba". Vogliamo imporre l'utilizzo di due ulteriori standard fittizi di classificazione linguistica?


E per i corsi di lingua, come ci vogliamo regolare? Vogliamo avviare lo stesso processo di discriminazione, di moltiplicazione e di separazione dell'identico?


Il fatto che la Registration Authority ISO639-2 e la Library of Congress degli USA abbiano introdotto questi nuovi standard non rappresenta altro che un atto politicamente motivato, che non deve necessariamente avere implicazioni sulla vita e sulle strutture culturali e accademiche del mondo intero. Esiste ad esempio un diverso e più corretto standard, l'ISO 639-3 (*), nel quale il serbocroato continua ad essere considerato macro-lingua all'interno della quale è possibile differenziale (per chi proprio ci tiene) tra le "nuove lingue" - hrv, srp, bs(bos)...


La questione linguistica serbocroata esemplifica la degenerazione dei rapporti socio-culturali nell'area jugoslava. Sul tema siamo intervenuti in passato diffondendo documentazione, e continueremo a parlarne (si faccia riferimento spec. alla pagina a questo dedicata sul nostro sito internet: https://www.cnj.it/CULTURA/jezik.htm ). Ci ripromettiamo di intervenire presto sul tema anche con una iniziativa pubblica organizzata in ambito accademico. 


Per adesso, pubblichiamo di seguito una analisi di carattere scientifico preparata per CNJ-onlus da Ljiljana Banjanin, lettrice di serbocroato a Torino e componente del nostro Comitato Scientifico.


Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – onlus

8 dicembre 2008



(*) http://www.sil.org/iso639-3/documentation.asp?id=hbs



Documentation for ISO 639 identifier:
hbsIdentifier:   
hbs
Name:   
Serbo-Croatian
Status:    Active

Code set:     639-3

Equivalent:     639-1: sh (deprecated)

Scope:    Macrolanguage

Type:    Living




The individual languages within this macrolanguage are:

Bosnian [bos]
Croatian [hrv]
Serbian [srp]





Alcune note sulla necessità di mantenere lo standard serbocroato


(a cura di Ljiljana Banjanin, lettrice di serbocroato a Torino, per il Comitato Scientifico del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus)



Il serbocroato fu la lingua ufficiale jugoslava sia durante il Regno di Jugoslavia sia durante la Repubblica Federale (SFRJ).

 

La scelta tra la parlate era vincolata da due fattori principali:

Le parlate jugoslave si differenziano da un lato per come viene espresso il termine «che cosa», che ha tre varianti: štokajča, da cui la denominazione della parlate come štokavokajkavo čakavoIl kajkavo si parla soprattutto in Croazia, nella zona intorno a Zagabria, il čakavo in alcune zone del litorale settentrionale croato e delle isole, in certe parti dell'Istria e in alcune zone della Dalmazia, mentre lo štokavo è senza dubbio la parlata più diffusa.

Esistono dialetti che si differenziano per la pronuncia di quello che fu lo jat paleoslavo che divenne je (talvolta ije) ovvero e o anche i, da cui le denominazioni: jekavo (talvolta ijekavo), ekavo ed ikavo. Si faccia un esempio per i non conoscitori della lingua, il sostantivo ljeto (estate) diventa leto in ekavo e lito in ikavo, l'aggettivo lijepo (bello) diventa nella variante ekava: lepo e nella variante ikava lipo.

 

Alla fine si scelse la variante štokavo-jekava, tra l'altro la più comprensibile in quanto la più estesa sul territorio. Tappe del processo furono le discussioni tra linguisti, letterati, intellettuali, basti pensare a figure come Dositej Obradović, Ljudevit Gaj, Vuk Karadzić, e all'accordo di Vienna nel 1850Tale variante corrisponde in generale alla parlata bosniaco erzegovese (bosansko-hercegovačko narjeće)

I problemi esistono, in quanto nei territori jugoslavi esistevano (ed esistono) combinazioni dei due vincoli, talvolata a macchia di leopardo, senza parlare dei numerosi dialetti, all'interno delle combinazioni principali, e ciò costutuisce fin dall'inizio una enorme ricchezza linguistica.

Si noti inoltre che esistono due alfabeti, il latino ed il cirillico. Per lo più in Serbia si parlava in ekavo-štokavo e si scriveva in cirillico, mentre in Bosnia e in Croazia era più comune lo jekavo, tuttavia è' interessante notare come in certe zone dell'interno della Croazia si parli in ikavo,che sembrerebbe caratteristico della Dalmazia, e in certe zone della Serbia meridionale in jekavo. In Montenegro si scrive in cirillico ma la variante è jekava.

E' soprattutto attraverso la letteratura che si scopre la ricchezza della lingua: Goran Kovačić scrive in čakavo, come Vladimir Nazor, del resto, Ivo Andrić scrive sia in ekavo sia in jekavo, Krleža scrive anche in kajkavo: e non c'è corrispondenza tra nazionalità del letterato e tipo di scrittura.

Soprattutto nella Jugoslavia socialista, c'è grande attenzione per la letteratura e la lingua del Paese, si ribadisce l'unità della lingua, l'ortografia comune con rispetto delle varianti ekava/jekava e dei due alfabeti; si stampano inoltre le opere letterarie in tutte le versioni possibili: il rispetto dell'unità della lingua, non impedisce infatti la sperimentazione sulla base del patrimonio lingusitico.

 

Con la distruzione della Jugoslavia socialista viene distrutta anche la lingua, ovvero la denominazione della lingua ufficiale. In Croazia si promuove la pubblicazione di grammatiche, dizionari della lingua croata; la lingua ufficiale della radio, della televisione viene „ripulita“ dai serbismi. In Serbia solo in seguito viene adottato il termine 'lingua serba' e l'alfabeto cirillico[1].

La creazione di altri stati sul teritorio della Jugoslavia offre possibilità di creazione di numerose altre „lingue“ che nascono da uno stesso standard: per il momento si sono rese concrete la bosniaca (in almeno due o tre varianti), e la montenegrina, oltre alle due citate sopra. Si tratta di lingue politiche, lingue che seguono, rispondono al bisogno di creare un'identità nazionale attraverso la lingua, perché è un mezzo che permette una manipolazione facile, attraverso una parola d'ordine dall'impatto immediato (UN POPOLO=UNO STATO=UNA LINGUA).

 

Il problema dell'identità della lingua non è banale, dal punto di vista scientifico, come del resto banali non sono tutti i problemi collegati al linguaggio.Tuttavia vi sono dei criteri basati su posizioni teoriche; per esempio vi sono vincoli genetici (da che cosa è nata una certa lingua), strutturali (come è costruita ), socio-linguistici (come la considerano coloro che parlano). Le neo- lingue serbo, croato, bosniaco e montenegrino, sono nate dalla parlata neo-štokava, come il serbocroato, sono quasi uguali tra di loro (a volte le differenze sono ridicole: si pensi che il montenegrino differisce solo in tre (tre!) dettagli dal serbocroato (per esempio la parola «domani» si dice sutra in serbocroato e sjutra in montenegrino), tanto che la comprensibilità è totale, e soltanto il terzo criterio pone problemi.

A nostro parere, la lingua può considerarsi come sistema o come standard. Nel primo caso, è ovvio per i linguisti, che il il bosniaco, il croato, il serbo e il montenegrino, sono parte di una stessa lingua, perchè sono identiche dal punto di vista linguistico, genetico e strutturale; per ogni persona di normale buon senso il fatto stesso che la intercomprensione sia completa, fa sì che la lingua sia la stessa. Tuttavia la lingua è anche standard, e questo, come si sa da molti anni, presuppone un accordo sociale sulle regole, le norme linguistiche per una determinata società: si tratta ovviamente di un'idea socio-politica della lingua, e infatti è noto a tutti che il passaggio dal considerare una parlata lingua o dialetto è un fatto principalmente politico.

Il serbocroato (o serbo-croato, o croato-serbo) è una lingua policentrica : cioè una lingua con alcune varianti che in alcuni tratti si differenziano, ma non a tal punto da costituire una lingua autonoma.

Anche l' Inglese, il Tedesco e il Portoghese sono lingue di tale tipo: esistono infatti alcune varianti per ognuna di loro. Brittanico, americano, australiano, o inglese standard sono le varianti della lingua Inglese, tedesco, austriaco, lo standard tedesco svizzero riguardano il tedesco e per quanto riguarda il portoghese ricordiamo portoghese, standard portoghese brasiliano.[2] 

La linguista Snježana Kordić insiste sulla tesi che si tratta di questo tipo di standard, specialmente dopo la dissoluzione della Jugoslavia degli anni Novanta: argomenta la sua tesi con le seguente dichiarazioni: „Sia la linguistica che la sociolinguistica dimostrano che il serbocroato oggi come prima è una lingua standardizzata di tipo policentrico. Tutti e tre [...] i criteri [...], - comprensione reciproca, compatibilità del sistema linguistico, la base dialettale comune (lo štokavo) della lingua standard – indicano che si tratta della stessa lingua policentrica“.[3]

 

Ranko Bugarski, anglista e linguista afferma tra l'altro:» E' ancora legittimo parlare di esistenza del serbocroato come di una lingua standard (anche se, naturalmente, con alcune varianti territoriali). Anche se ad alcuni attualmente potrebbe apparire strano, se non reazionario, vi sono degli argomenti a sostegno della tesi. Il primoargomento è la strettissima somiglianza linguistica, addirittura strutturale talvolta, tra gli eredi del serbocroato....La normale comunicazione tra gli abitanti di Zagabria, Belgrado e Sarajevo procede come prima...Sicché mentre è normale parlare a proposito di una persona che conosca spagnolo, francese e italiano, per esempio, di multilinguismo, farlo per chi parli serbo, croato e bosnaico sembrerebbe uno scherzo.»

 

A nostro parere, si possono sintetizzare le precedenti considerazioni in alcuni punti chiave:

 

1. La prevalenza delle forze centripete presso gli slavi meridionali è una conseguenza di fattori extra-linguistici e extra-culturali. Nella autodeterminazione nazionale degli anni '90, che molto spesso è anche nazionalistica, la politica quotidiana e i politici hanno utilizzato quello che è piu' semplice da utilizzare, cioè la lingua. In tal modo essa è diventata il mezzo politico, la carta da giocare nelle mani della politica e la misura della autodeterminazione.

2 La situazione attuale linguistica e sociolinguistica sui territori della ex-Jugoslavia è caotica. L'atteggiamento dei linguisti non è separato da quello dei politici, il che crea una certa parzialità nella standardizzazione delle «nuove lingue» che vengono presentate come un qualcosa di diverso rispetto allo standard pre-esistente noto come serbo-croato o croato-serbo o semplicemente serbocroato.

3. Gli sforzi per produrre gli standard nuovi che insistono esclusivamente sulle differenze tra il serbo e il croato e non sulle affinità e le somiglianze, sono un esempio negativo di attualizzazione della politica linguistica, indipendemente da quale parte arrivino. Importanti linguisti e scrittori si sono uniti ai politici e questo è un fatto preoccupante, oltre che scoraggiante, perchè gli interessi della affermazione nazionale si sono identificati con quelli linguistici, e gli intellettuali hanno perso l'occasione di fare il loro lavoro; è successo con le neo-lingue quello che è successo a proposito delle neo-guerre: all'analisi rigorosa si è sostituita la condiscendenza alla propaganda politica e, ancora più grave, l'affinamento della propaganda con l'uso distorto dei mezzi forniti dalla ricerca.

4. L'attribuzione di una spropositata importanza alla denominazione della lingua è una conseguenza del bisogno di affermare la propria apprtenenza nazionale, in modo che l'individuo si identifichi con il proprio gruppo in maniera monolitica, in senso nazionale e linguistico.

5. In molte università italiane e internazionali i cambiamentti nella lingua sono già stati codificati, però la separazione di questi due rami della Slavistica ci pone davanti a molti interrogativi: il primo tra tutti la validità scientifica delle nuove lingue e letterature, che forse continueranno a moltiplicarsi, e così fra breve assisteremo alla nascita anche del šumadinese, del belgradese-moravo, vojvodinese, erzegovese, ecc., ecc., ecc. (senza parlare delle lingue derivate dal kajkavo e dal čakavo!).

6. Il problema a nostro avviso più importante per la lingua serbocroata, è il pericolo di perdita della indubbia ricchezza della lingua: l'impoverimento sarebbe dannoso dal punto di vista del livello culturale dei cittadini territori jugoslavi, sia dal punto di vista letterario e scientifico, sia dal punto di vista degli studenti e degli slavisti stranieri.

 

Pertanto riteniamo che siano da evitare passi ulteriori sulla strada della separazione della lingua serbocroata.

 

[1] cfr. Ivan Klajn  Grammatica della lingua serba, Zavod za udzbenike, Beograd, 2007,p. 13: „ Dopo la creazione dello Stato jugoslavo (1918), in Serbia e nel Montenegro ha cominciato a diffondersi rapidamente l'alfabeto latino, già in uso presso i croati. Oggi  la „latinica“ è più diffusa in Serbia, a tal punto che è nato un movimento per la protezione della „cirilica“, e negli ultimi anni si sono avute misure legislative per definire la „cirilica“ come l'alfabeto primario nell'uso ufficiale e pubblico. Anche se l'uso parallelo di due alfabeti è un caso unico in Europa, se non nel mondo, sembra probabile che esso si mantenga anche nel futuro“.

[2] Cfr. H. Glùck (hrsg), MetzlerLexikon Sprache, Stuttgart, 2000.

[3] Cfr. La situazione linguistica attuale nell’area a standard neostokavi (ex serbo-croato), a cura di Rosanna Morabito,  in “Studi Slavistica”, III, Firenze University Press, 2006, p. 325.





Fonte: LiMeS n.6/2003, p.229: IL NOSTRO ORIENTE


Per rafforzare la loro identità, i croati insistono nel promuovere una lingua nazionale sempre più distinta dal serbo-croato incentivato dagli jugoslavisti. Ma serbi e croati continuano a capirsi perfettamente nella ‘loro lingua’.


SERBO, CROATO O SERBO-CROATO?

L’USO GEOPOLITICO DELLA LINGUA 


di Luka BOGDANIĆ


1. CROATO E SERBO O SERBO-CROATO?

Due lingue o una? Una lingua una nazione, o una lingua due nazioni? Tutte queste domande si risolvono in una sola questione: qual è la caratteristica principale dell’identità nazionale di serbi e croati?

Nell’Ottocento, nei circoli intellettuali di Zagabria nasce sotto l’influenza del Risorgimento europeo il movimento illirico, guidato da Ljudevit Gaj. Il movimento, sorto per contrastare il predominio della cultura ungherese e austriaca su quella slava, aveva l’obiettivo di favorire l’unità culturale, ma in ultima analisi anche l’unità politica degli slavi del Sud. La rivendicazione dell’unità degli slavi meridionali derivava dalla coscienza che solo con la creazione di uno Stato sudslavo sarebbe stato possibile difendere gli interessi di quei popoli dalle mire espansionistiche delle potenze circostanti (1). L’ideale unitario poggiava sulla convinzione che la lingua è il fondamento dell’identità nazionale. Partendo da tale presupposto, cioè dalla convinzione che serbi e croati parlano la medesima lingua e dunque sono un unico popolo, Ljudevit Gaj, guida del movimento risorgimentale croato, scelse come lingua standard il dialetto croato parlato dai croati dell’Erzegovina, regione dove il modo di parlare dei croati non differisce da quello dei serbi locali. Infatti, nell’Erzegovina, sia serbi che croati parlano usando il dialetto štokavo e la pronuncia ijekava. Lo štokavo è la caratteristica generale del dialetto (in questo caso un dialetto che è divenuto lingua letteraria) in quanto il pronome interrogativo «che» viene espresso con la parola «što»; ijekavo è la caratteristica che si riferisce alla pronuncia delle sole vocali. Anche a Belgrado, per esempio, si usa lo štokavo, però non la pronuncia ijekava ma quella ekava.

Qualche decennio prima di Gaj, in Serbia, Vuk Stefanović Karadjić riformò l’alfabeto cirillico e formulò la regola ortografica fondamentale della lingua serbocroata: «Scrivi come parli e leggi com’è scritto».

L’idea secondo cui gli elementi fondamentali di una nazione sono in primis la lingua, e poi usi, costumi, alla base dei quali stanno fattori naturalistico-ambientali e geografico-climatici, è di derivazione herderiana. Infatti, secondo Johann Gottfried Herder il primato nella formazione di una nazione spetta al linguaggio, in quanto solo grazie ad esso si possono tramandare usi e costumi da una generazione all’altra. Per Herder, «è il linguaggio che fonda le leggi e lega le stirpi», tanto che nella lingua «è impresso l’intelletto e il carattere di un popolo» (2). Ancora, «l’essenza della nazione non è la razza, “il sangue” (perché le razze, mescolandosi ovunque, sono una suddivisione arbitraria) bensì essa è costituita dai modi dell’acculturazione (lingua, religione, forme della convivenza, costumi)» (3).

La carenza principale della concezione herderiana stava nel fatto che si trattava di una visione della nazione di tipo storico-culturale, cioè sostanzialmente apolitica. D’altra parte era più che logico che in una Croazia arretrata e politicamente sottomessa, in particolare all’Ungheria e poi all’Austria, le prime istanze di emancipazione venissero presentate sotto forma di riflessioni su questioni culturali. In condizioni di totale assenza di una storia e di una tradizione politica propria, l’unico spazio in cui era possibile agire, per quei pochi intellettuali croati e serbi imbevuti d’ideali risorgimentali appresi nel corso dei loro studi nelle università europee, era ovviamente l’ambito della cultura. Essi troveranno quindi nel pensiero di Herder un terreno particolarmente fertile e adatto ai loro scopi culturali e in ultima analisi geopolitici.

Il fatto che nei Balcani, più che altrove, il risorgimento nazionale esca dal cappello magico della cultura e si mimetizzi continuamente come fenomeno culturale, è spiegabile se si pensa all’assenza plurisecolare di qualunque tipo di Stato unitario delle popolazioni sudslave. Tale assenza ha loro precluso ogni possibilità di riflessione e di riscontro empirico sul ruolo dello Stato nella creazione dell’identità nazionale. Essa ha inoltre impedito che si formasse una cultura politica uniforme dei serbi e dei croati. Sicché l’impegno culturale ha rappresentato per secoli, in Croazia, in Bosnia e in Serbia, l’unico modo per fare politica. Discutere della lingua dei croati e dei serbi non significa dunque affrontare una questione accademica o meramente culturale, ma intervenire in un problema politico e geopolitico di prim’ordine.


2. Se il serbo-croato sia una o due lingue è rimasta fino al giorno d’oggi una questione politica fra le più dibattute. L’ideale unitario dei popoli slavi del Sud, la Jugoslavia, poggia sul presupposto che la lingua dei serbi e dei croati sia una sola. Per conseguenza, il compito primario d’ogni nazionalismo separatista era, ed è, provare che si tratta di due lingue diversissime.

Il fatto che immediatamente distingue il serbo e il croato è che la prima viene scritta, oltre che in alfabeto latino, anche in cirillico. D’altronde, se si lascia scorrere la memoria storica, si ricorderà che anche i croati lungo tutto il medioevo scrivevano in glagolitico, sostanzialmente una variante del cirillico antico. Per rendersene conto basta visitare qualche chiesa cattolica croata tardomedievale. Ci sono addirittura alcune parole che scritte con l’alfabeto cirillico serbo hanno la stessa forma grafica che se fossero scritte con l’alfabeto latino ed ovviamente hanno lo stesso significato e pronuncia sia in serbo che in croato, come per esempio le parole jaje (uovo), ja (io), moj (mio), mak (papavero), oko (occhio), kao (come), je (è), mama (mamma), TATA (papà, scritto in stampatello) eccetera. Cosicché è addirittura possibile costruire alcune piccole frasi che sono scritte allo stesso modo sia in alfabeto cirillico serbo sia in alfabeto latino croato, come ad esempio la frase: «Moja mama je jaka kao ja» («Mia madre è forte come me»). Infatti le lettere a, e, j, o, m, k, e la lettera T (se scritta in stampatello), sono scritte allo stesso modo nell’alfabeto latino e in quello cirillico.

La seconda differenza nel modo di esprimersi di serbi e croati, come già osservato, sta nel fatto che i serbi parlano ekavo e i croati ijekavo. Si tratta di due varianti di pronunce che si distinguono nel modo in cui si esprimono le vocali: i serbi ad esempio per la parola latte dicono mleko e i croati mlijeko. Però si tratta di una differenza che riguarda più lo standard della lingua letteraria che la sostanza linguistica.

In alcune regioni della ex Jugoslavia è facilissimo trovare serbi che parlano ijekavo (particolarmente in Bosnia ed Erzegovina), come vi sono croati che parlano ekavo (ad esempio nei dintorni di Zagabria).

Poiché molti serbi parlano ijekavo, alla fine dell’Ottocento Ante Starčević – padre del nazionalismo croato antiserbo o come lo chiamava Franjo Tudjman padre della patria – scriveva le sue opere in ekavo. A suo avviso la maggioranza dei serbi parlava ijekavo e dunque per distinguersi da essi i croati dovevano adottare lo standard della pronuncia ekava. L’ironia della storia ha fatto sì che, secondo una logica nazionalista, le opere del padre della patria risultino oggi quasi tutte scritte in lingua straniera.

Esistono insomma differenze tra serbo e croato, ma non più che tra dialetti di una medesima lingua. Si tratta di diversità dovute al diverso sviluppo storico che la lingua croato-serba ha avuto in differenti regioni. La lingua serba, come anche il suo standard, è piena di parole d’origine turca, mentre lo standard croato è stato epurato delle parole straniere, in quanto si è sempre ritenuto che esse siano un elemento estraneo allo spirito della lingua.

Il modo di parlare di serbi, croati e musulmani in Bosnia, specialmente in quelle regioni dove le tre popolazioni vivevano insieme fino a ieri, è uguale. È dunque impossibile distinguerli in base al linguaggio. L’unico modo per determinare se si tratta di serbi, croati o musulmani è classificarli in base alla religione.


3. La creazione di una lingua, come anche la creazione di una nazione, è un processo cui concorre una pluralità di cause. Serbi e croati sono stati esposti all’influenza di religioni diverse e dunque di culture diverse, la cristiana orientale e la cristiana occidentale. Inoltre, si trovano sul limes che divide l’Oriente dall’Occidente, schiacciati dall’incontro di differenti concezioni e interessi geopolitici. Per questo hanno sviluppato caratteri particolari. Ma le diversità non sono tali da dividerli in due compagini etnicamente differenti. Tanto che qualche volta troviamo maggiori differenze tra croati di due diverse regioni, ad esempio tra croati di Bosnia e croati dello Zagorje (regione nordoccidentale della Croazia tra Zagabria e Slovenia) o tra serbi di due regioni differenti, ad esempio tra i serbi della Croazia e i serbi della Šumadija (regione della Serbia centrale), che tra i croati e i serbi di una medesima regione, ad esempio tra i serbi e i croati dell’Erzegovina.

L’idea della lingua unitaria serbo-croata era alla base dell’ideologia della fratellanza ed unità nella Jugoslavia socialista. Secondo questa visione, serbi e croati, nonostante le differenze, sono due popoli fratelli, un’unica stirpe in nuce che occupa un unico spazio geopolitico, quello dei Balcani occidentali, ma che la storia aveva diviso creando due compagini etnicamente simili. Difatti, nella prima dichiarazione sul linguaggio e l’ortografia del 1954, nota come Accordi di Novi Sad, gli intellettuali e i letterati serbi e croati dichiaravano che «la lingua popolare di serbi, croati e montenegrini è un’unica lingua. Per tale motivo anche la lingua letteraria che si è sviluppata sulla base di essa intorno ai due centri maggiori, Belgrado e Zagabria, è un’unica lingua con due pronunce, la ekava e la ijekava» (4). Insomma, gli ideologi di Tito sostenevano che si trattasse di un’unica lingua con due varianti, quella serba ekava e quella croata ijekava, di eguale valore. Per dirla con le parole di Miroslav Krleža, il più importante scrittore croato e, con Ivo Andrić, jugoslavo: «Croato e serbo sono un’unica lingua. I croati la chiamano croato, i serbi serbo».

Durante la vicenda jugoslava, molti degli intellettuali che avevano firmato gli Accordi di Novi Sad cambiarono più volte la propria opinione rispetto alla questione linguistica (5). Si potrebbe fare una lunga lista d’intellettuali, sia serbi che croati, che non si sono mai sentiti in contraddizione con se stessi affermando che il serbo e il croato sono un’unica lingua, per sostenere con altrettanta fermezza, solo qualche decennio dopo, che si trattava di due lingue diverse. E quasi non si accorgevano che pur litigando tra loro si comprendevano perfettamente!

Vista la somiglianza, se non l’uguaglianza, tra serbo e croato, i nazionalisti croati (ma non solo essi!) erano da sempre preoccupati di provare la diversità tra serbo e croato, anche a costo di inventarla. Questa grande opera d’immaginazione ebbe la sua massima espressione negli anni Novanta durante il governo del partito Hdz (6), ovvero durante la presidenza di Franjo Tudjman. Infatti, se Tudjman aveva un’ossessione, questa stava nella continua invenzione di nuove/antiche parole croate e nell’autarchia linguistica. Essa arrivò al punto che l’ultimo libro del presidente Tudjman ha un titolo «talmente croato» che ad un croato risulta quasi incomprensibile (7).

La continua invenzione delle parole che non esistevano o non venivano più usate da decenni nel croato corrente prima del 1991, e dunque il continuo ricorrere a locuzioni che distinguessero il croato dal serbo e venissero propinate al popolo tramite la televisione e la stampa, è indubbiamente il particolare più marcante della politica culturale della presidenza di Franjo Tudjman. Certo, la prima manifestazione d’autarchia linguistica nella storia dalla Croazia risale al periodo dello Stato indipendente croato di Ante Pavelić, istituito dai governi delle forze dell’asse durante la seconda guerra mondiale. Però sotto Tudjman l’invenzione di nuove parole ha raggiunto vette assolute. Sembrava che tutti i croati dovessero riandare a scuola per parlare e scrivere correttamente la propria lingua. Si è addirittura seriamente dibattuto se introdurre l’ortografia etimologica, ripudiando in tal modo l’impostazione comune al serbo e al croato introdotta da Vuk S. Karadjić. La (taciuta) parola d’ordine era autarchia linguistica. L’intento era di mettere in risalto l’identità nazionale e culturale croata esaltandone le differenze da quella serba. Questo trend applicato alla lingua ha avuto a volte approdi talmente assurdi da produrre una quantità di barzellette sui neo-croatismi.


4. Visto che il linguaggio non è solo un mezzo di trasmissione della cultura, ma anche un potente strumento di potere, è ovvio che in Croazia la differenziazione linguistica della lingua croata da quella serba era ed è adoperata in particolare nel gergo statale amministrativo e in quello militare. Una grande quantità di parole del gergo politico è nata dopo il 1990. Si iniziò con termini direttamente legati alla nascita del nuovo sistema politico, che di fatto in Croazia fu segnato dalla vittoria elettorale dell’Hdz. Infatti, una delle prime parole cambiate fu glasanje – che significa

votare, sostituita dall’espressione glasovanje; così il termine glasanje veniva relegato al passato, insieme al sistema socialista e all’ideale di fratellanza e unità di serbi e croati.

Il passaporto, che da sempre in Croazia come in Serbia era chiamato pasoš, divenne dall’oggi al domani putovnica, termine che deriva dalla parola putovati – che significa viaggiare. L’insegna d’onorificenza divenne da orden a odličije. Altri esempi: il termine «sviluppo del discorso» passò da tok razgovora a tijek razgovora, il pubblico difensore da javni tužilac divenne pučki pravobranitelj; arrestare mutò da uhapsiti in uhititi. L’ambasciatore da ambasador divenne veleposlanik (parola composta da vele = grande e poslanik = emissario), mentre il termine console,

chissà perché, rimase konzul. La parola sekretar, segretario, venne espulsa dal linguaggio amministrativo e fu sostituita con l’ex sinonimo slavo tajnik. Gli spettatori passarono da gledaoci a gledatelji – gli spettatori della televisione che propagava la nuova lingua croata. 

L’Europa, sogno ambito e per ora irrealizzato dei croati, che si materializzava nel loro immaginario sotto forma di vetrine dei negozi di Trieste o Graz, diventò Europa da Evropa; solo che in base alla stessa logica si dovrebbe dire Kaukaz per Caucaso e non Kavkaz come ancora oggi si denomina sia in croato sia in serbo quella lontana catena montuosa tra Europa ed Asia. Chissà se si trattò di una dimenticanza, visto che per i croati l’Oriente non era più importante, o se qualcuno si rese conto che per un croato la parola Kaukaz è impronunciabile. In onore di questa inclinazione verso l’Occidente, poi, e in omaggio ai nuovi interessi geopolitici croati, un cinema nel centro di Zagabria che da sempre si chiamava Balkan divenne Europa.

Contemporaneamente al volgersi verso l’Europa della nuova Croazia, quasi tutte le cosiddette parole straniere, cioè quelle d’origine greca, latina o inglese furono espulse dai manuali di scuola e dal linguaggio politico. Perché? Perché usate anche dai serbi. Se prima per indicare l’aereo si potevano usare a piacimento le parole avion o zrakoplov, da un giorno all’altro il termine da usare divenne zrakoplov (parola composta da ploviti = navigare e zrak = aria). Allo stesso modo, se prima era normale usare come sinonimi aerodrom o zračna luka per indicare l’aeroporto,

la seconda d’un tratto divenne la sola parola permessa. Lo stesso si cercò di fare con il termine elicottero che in croato come in serbo si dice helikopter, ma per fortuna il nuovo termine non fu mai accettato in quanto ritenuto troppo ridicolo. Allo stesso modo, il direttore della scuola da direktor divenne ravnatelj, e il compito da fare a casa da domaća zadaća mutò in domaći uradak.

Addirittura alcune località o aree geografiche cambiarono nome. Così la regione Banija, storicamente abitata da un buon numero di serbi, dopo l’operazione Lampo del 1995, che si concluse con la cacciata dei serbi, cambiò non solo la sua configurazione etnica, ma in onore della grande vittoria mutò nome in Banovina.

Con la nascita dell’Armata croata, tutte le denominazioni dei gradi degli ufficiali dell’esercito vennero cambiati. Si fece di tutto per differenziarli il più possibile dall’Armata jugoslava. La caserma da kasarna divenne vojarna, i gradi di maggiore e capitano, che in croato-serbo suonano major, kapetan, vennero sostituiti da termini come bojnik e satnik.

L’unica sfortuna di questa grandiosa opera di creazione della nuova lingua croata fu che alcuni termini internazionali furono sostituiti con varie parole slave coniate ad hoc. In tal modo, grazie alla radice slava di questi neocomposti, il croato rimaneva sempre comprensibile per i serbi, mentre per i croati le lingue europee diventavano sempre più lontane. A guardare bene, più che di un processo di nation-building o rebuilding tramite la creazione del linguaggio, si trattò di una semplice eliminazione di un grande numero di sinonimi e dunque di un impoverimento del linguaggio.

Esistono Stati e popoli che pur avendo a cuore le proprie particolari caratteristiche nazionali e il proprio Stato, ammettono senza difficoltà che condividono con un’altra popolazione la propria lingua. Anzi, probabilmente, non arriverebbero mai a sostenere che parlano due lingue diverse con una tenacia pari a quella mostrata da serbi e croati. Per esempio, un austriaco difficilmente sosterrà che la sua lingua, almeno quella ufficiale e letteraria, sia diversa da quella parlata dai tedeschi, e per lo stesso motivo non penserà che l’uso della lingua tedesca metta in dubbio la sua identità nazionale di austriaco. L’insistenza con la quale vari linguisti e ideologi degli Stati sorti sul territorio della ex Jugoslavia marcano la differenza tra serbo e croato, casomai induce a dubitare che davvero esista una sostanziale differenza tra i due popoli. Infatti, al cospetto dello zelo dei puristi della lingua, e del loro lavoro svolto tramite le televisioni e i giornali, bisogna osservare che la nuova lingua croata non ha estirpato i dialetti, né sopraffatto il loro uso. Spesso le differenze tra i vari dialetti nella stessa Croazia sono maggiori di quelle esistenti tra lo standard della lingua letteraria croata e quella serba. 

Così, ad esempio, il dialetto zagabrese può essere più comprensibile ad un belgradese dato che entrambi i dialetti sono pieni di cosiddetti germanismi, che ad uno spalatino, il cui dialetto è incomprensibile senza una minima conoscenza dell’italiano o più precisamente del dialetto veneto (8). Come se non bastasse, anche se in Croazia non è stata introdotta l’ortografia etimologica, è stato permesso a piacimento, nel pieno stile dell’assurda applicazione balcanica del concetto di democrazia, di utilizzare per alcune parole anche l’ortografia etimologica. Così succede che ad esempio due fratelli di età diversa, nella stessa scuola elementare, studino due ortografie diverse, con l’unica differenza che uno ha una maestra un po’ più zelante quanto a purismo linguistico.


5. Dopo il 1991 non solo i croati ma anche i serbi hanno cercato di reinventare la loro lingua. D’un tratto, in Serbia si doveva scrivere solo in alfabeto cirillico per onorare l’ortodossia. Contemporaneamente, in Bosnia molti si davano da fare per inventare un’immaginaria lingua bosniaca. Ma serbi e croati si capiscono perfettamente. E quando si incontrano nel mondo, in contesti veramente estranei a tutti e due, ad esempio nell’ambita Europa, comunicano l’uno con l’altro senza problemi. Se gli si chiede in quale lingua comunichino, con un po’ di imbarazzo, forse perché coscienti dell’assurdità della loro situazione, rispondono: našim jezikom (nella nostra lingua) senza specificare meglio qual è questa «nostra lingua» – la lingua della comprensione reciproca.

Se una volta a tenere insieme serbi, croati, musulmani e montenegrini era la concezione della fratellanza e dell’unità suggellata dall’esistenza di uno Stato comune, chissà se oggi il legame non stia nel senso di smarrimento e confusione davanti al proprio passato e al proprio futuro. Quali saranno le conseguenze dei separatismi linguistici oggi è troppo presto per dire, ma se si giudica in base all’esperienza storica bisogna concludere che i popoli dell’ex Jugoslavia hanno sempre trovato un linguaggio comune, malgrado le divisioni e i divergenti interessi. 

Marina Abramović, la più famosa artista contemporanea dell’ex Jugoslavia, vincitrice della Biennale di Venezia nel 1997, parlando della sua opera Balkan Baroque ha osservato: «Balkan Baroque rappresenta la ricchezza della mente, o piuttosto una specie di irrazionalità, una follia tipica di un’area geografica specifica. Credo che l’ambiente, e soprattutto la configurazione geografica, sia estremamente importante per la formazione della psicologia collettiva. I Balcani sono un luogo dove Est e Ovest si incontrano, dunque un luogo dove due civiltà opposte vengono in contatto e si mescolano causando la contraddittorietà della nostra natura». In piena sintonia con Abramović, il geopolitico Georges Prévélakis osserva nel suo libro I Balcani: «Per quanto concerne le forze interne dei Balcani, la storia dimostra che il meglio e il peggio sono entrambi possibili, e che le forze di convergenza sono importanti quanto quelle di divergenza. Così l’elemento determinante sembra essere l’ambiente geopolitico. (...) Nel bene e nel male i popoli dei Balcani sono capaci di arrivare agli estremi» (9). Indubbiamente uno di questi estremi è la diatriba tra i serbi e i croati sulla loro lingua.



NOTE:

1. Il movimento illirico aveva il suo punto d’approdo ideale nell’unità politica degli slavi del Sud, cioè nella creazione di uno Stato indipendente degli slavi. Per rendersi conto non solo dell’impatto che ha avuto tale movimento, ma anche di quanto gli illiristi fossero affezionati all’idea dell’unità dei popoli sudslavi, basti ricordare che l’Accademia delle scienze e arti, che nasce a Zagabria nel 1861 sotto la guida del vescovo cattolico postillirista Josip Juraj Strossmayer, ottiene il nome Jugoslavenska Akademija Zanosti i Umjetnosti (Accademia jugoslava delle scienze e arti) e non il nome di Accademia croata.

2. J.G. HERDER, Idee per la filosofia della storia dell’umanità, trad. di Valerio Verra, Bari-Roma 1992, Laterza, p. 222.

3. N. MERKER, Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, Roma 2001, Editori Riuniti, p. 21.

4. Pravopis srpsko-hravatskoga jezika. Matica Srpska i Matica Hravatska, Novi Sad-Zagreb 1960, p. 5.

5. In realtà, già nel 1967, vari circoli intellettuali croati, in particolare quelli radunati intorno all’Associazione letteraria croata, protestarono contro l’ideologia linguistica ufficiale nella Dichiarazione sullo stato della lingua croata. La Dichiarazione fu subito condannata da tutti gli esponenti politici della Lega comunista, nonché ufficialmente respinta dalla Lega dei comunisti croati nell’aprile del 1967. Ovviamente simili manifestazioni di nazionalismo linguistico si ebbero anche nel «caldo» 1971, l’anno in cui esplose per la prima volta, dopo il 1945, la questione nazionale croata.

6. Hdz sta per Hrvatska demoktratska zajednica (Comunità democratica croata), il partito fondato e guidato fino alla sua morte dal presidente Franjo Tudjman.

7.  Il titolo del libro di Franjo Tudjman è Usudbene posvijesnice, che in una traduzione approssimativa suonerebbe: Storie determinanti di piccoli paesi.

8. Ad esempio in dialetto zagabrese dire che «il cacciavite è in bagno» suonerebbe «šarafenciger je u badecimeru» mentre in spalatino «kazavita je u banju».

9. G. PRÉVÉLAKIS, I Balcani, Bologna 1997, il Mulino, p. 159.


TAVOLA CON ALCUNI ESEMPI DI CAMBIAMENTI INTRODOTTI NELLA LINGUA CROATA DOPO IL 1991:

Indice delle voci:

serbo-croato: lingua ufficiale composta da due standard di ambo valore;

croato: lo standard del croato letterale prima del 1991;

serbo: lo standard del serbo letterale prima del 1991;

neo-croato: lo standard della lingua ufficiale dopo il 1991.

serbo-croato croato serbo neo-croato italiano

ambasador ambasador ambasador veleposalnik ambasciatore

sekretar sekretar/tajnik sekretar tajnik segretario

uhapsiti uhapsiti uhapsiti uhititi arrestare

pasoš pasoš pasoš putovnica passaporto

pogotovo pogotovo pogotovo poglavito soprattutto

činovnik/službenik službenik/činovnik činovnik zaposlenik impiegato

lična karta lična karta lična karta osobna iskaznica carta d’identità

zrak/vazduh zrak vazduh zrak aria

avion/zrakoplov/vazduhoplov avion/zrakoplov avion/vazduhoplov zrakoplov aereo

aerodrom aerodrom aerodrom zračna luka aeroporto

tok razgovora tok razgovora tok razgovora tijek razgovora corso del discorso

prevodilac prevodilac prevodilac prevoditelj interprete

zadatak zadatak zadatak uradak compito

glasati glasati glasati glasovati votare

radnik radnik radnik djelatnik/radnik operaio/lavoratore

Evropa Evropa Evropa Europa Europa

Banija Banija Banija Banovina Bania





... o jeziku tvom i mojem ...
 
8. prosinca - decembra, 1954-te
Znanost o jeziku utvrdila je u 19. stoljecu da je narodni jezik Srba i Hrvata jedan jezik, pa su stoga neki hrvatski i srpski filolozi, medju kojima su bili Vuk S. Karadzic, Ivan Kukuljevic, Djuro Danicic, Ivan Mazuranic i Dimitrije Demeter, vec 1850 (per la traduzione osservare; ancora non era formato il Regno dei Serbi, Croati, Sloveni) sklopili u Becu knjizevni dogovor kojim su htjeli jezik srpske i hrvatske knjizevnosti pribliziti, sloziti i ujediniti. Njihova je namjera urodila plodom, tako da su u drugoj polovici 19. stoljeca i u Srba i u Hrvata pobijedili fonetski pravopisni principi, a za knjizevni jezik uzet stokavski dijalekt novih oblika  i akcenata.
Ono sto je zapoceto knjizevnim dogovorom u Becu nastavljeno je sto godina poslije dogovorom, kojim su na sastanku u Novom Sadu, doneseni Zakljucci o hrvatskosrpskom/ srpskohrvatskom jeziku i pravopisu. Sa hrvatske strane Novosadski dogovor su na licu mjesta ili naknadno potpisali: Mirko Bozic, Marin Franicevic, Josip Hamm, Mate Hraste, Ljudevit Jonke, Marijan Jurkovic, Jure Kastelan, Zdenko Skreb, Josip Badalic, Antun Barac, Josip Barkovic, Dobrisa Cesaric, Vladan Desnica, Ivan Doncevic, Petar Guberina, Joza Horvat, Stjepan Ivsic, Vojin Jelic, Slavko Jezic, Vjekoslav Kaleb, Gustav Krklec, Miroslav Krleza, Mijo Mirkovic (nome di battaglia Mate Balota), Tito Strozzi, Tomislav Tanhofer, Vice Zaninovic, (i drugi citirani)...

(Il testo è tratto dalla rivista di Zagabria "Hrvatska ljevica", numero 2-3/2003, rubrica Cronologia)

... sulla lingua tua e mia ...

8 dicembre 1954
La Scienza linguistica nel 19.mo Secolo ha constatato che la lingua nazionale dei serbi e dei croati è una unica, perciò alcuni filologi serbi e croati, fra i quali Vuk Stefanovic Karadzic, Ivan Kukuljevic, Djuro Danicic, Ivan Mazuranic e Dimitrije Demeter, già nel 1850 (ancora non era stato creato il Regno dei  Serbi, Croati e Sloveni, n.d.o.) hanno stipulato a Vienna l’accordo letterario con l’intenzione di sistematizzare e unificare la lingua letteraria, avvicinandola alla lingua popolare. La loro intenzione ha avuto esito positivo, così che nella seconda metà del 19.mo Secolo, sia dalla parte croata che quella serba, ha prevalso il principio ortografico fonetico e per la lingua letteraria è stato scelto il dialetto stokavo (*) con le forme e gli accenti nuovi.  Quello che è stato iniziato con l’accordo letterario a Vienna è continuato 100 anni dopo, con l’accordo di Novi Sad dove sono state deliberate regole sulla lingua e sulla ortografia serbocroata/ croatoserba.
Per la parte croata l’Accordo di Novi Sad è stato firmato da Mirko Bozic, Marin Franicevic, Josip Hamm, Mate Hraste, Ljudevit Jonke, Marijan Jurkovic, Jure Kastelan, Zdenko Skreb, Josip Badalic, Antun Barac, Josip Barkovic, Dobrisa Cesaric, Vladan Desnica, Ivan Doncevic, Petar Guberina, Joza Horvat, Stjepan Ivsic, Vojin Jelic, Slavko Jezic, Vjekoslav Kaleb, Gustav Krklec, Miroslav Krleza, Mijo Mirkovic (nome di battaglia Mate Balota), Titto Strozzi, Tomislav Tanhofer, Vice Zaninovic, e altri.


(*) sul dialetto
štokavo si veda il documento Alcune note sulla necessità di mantenere lo standard serbocroato.
Aggiungiamo le considerazioni seguenti (a cura di Ivan per CNJ-onlus):
La distinzione tra le varianti della lingua serbocroata viene in primo luogo dal pronome interrogativo-relativo "che, che cosa". La variante "što" è usata nella stragrande maggioranza del territorio di Serbia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro.
Sia i dialetti serbi che quelli croati si basano sugli stessi elementi di fonetica, morfologia e sintassi. Tutte le forme delle parole sono sottoposte a sette casi grammaticali, mentre per quanto riguarda il lessico
i sinonimi - cioè le varianti usate con il medesimo significato, che sono comunque meno di quelle esistenti ad esempio in tutti dialetti italiani - non costituiscono altro che l'insieme del patrimonio linguistico. Dare maggiore "dignità" linguistica ad un sinonimo in una repubblica piuttosto in un'altra non vuol dire parlare "un'altra lingua"! Ad esempio: usare "u vezi" oppure "glede" è come usare in  italiano "per quanto concerne" o "per quanto riguarda".
A scuola, per un compito in classe di serbocroato/croatoserbo, è sempre valsa esclusivamente la regola che se si inizia scrivere usando la parlata (pronunzia) "ekava"
(ad es. fiume=reka) tutto il compito deve continuare con l'ekavo; e viceversa se si usa lo "jekavo" (ad es. fiume=rijeka). Stessa regola è sempre stata fatta valere per i sostantivi, ad esempio per i mesi: "januar" equivale a "sijecanj" così come "papà" equivale a "babbo", ma in letteratura si deve scegliere se usare l'una oppure l'altra forma.
 





LINK UTILI

Srpskohrvatska Wikipedija
Srpskohrvatska Wikipedija, slobodna enciklopedija na našem zajedničkom jeziku... i na fejsbuk-u

PAZZIA: alla stampa il primo dizionario mai esistito della "lingua montenegrina" (2016)
« L’AFFAIRE DU DICTIONNAIRE » DÉCHIRE LE MONTÉNÉGRO (Radio Slobodna Evropa | Traduit par Chloé Billon | mercredi 15 juin 2016)
La parution du premier dictionnaire de la langue monténégrine devait être un événement scientifique, mais le scandale l’a emporté. En cause, quelques définitions outrageantes pour les Albanais et les Bosniaques du Monténégro. Certains se demandent néanmoins si le DPS n’a pas cherché à entretenir la polémique, pour raviver, une fois de plus, la carte des tensions ethniques...

ORIG.: Bunt zbog rječnika: Albanci su autohtoni, a ne agresori (maj/svibanj 24, 2016 – Lela Šćepanović)
... Početkom aprila Crnogorska akademija nauka i umjetnosti (CANU) objavila je prvi dio Rječnika crnogorskog narodnog i književnog jezika, kao "skroman poklon narodu uoči deset godina nezavisnosti". Na nešto više od 500 stranica popisano je više od 12.000 riječi koje počinju slovima A, B i V zajedno sa informacijama o njihovom izgovoru, značenju i upotrebi...

La « guerre des langues » embrase à nouveau le Monténégro
B92 & Vijesti - août 2011 (aussi en JUGOINFO)

"Hrvati, Srbi, Bosanci i Crnogorci govore jedan te isti jezik"
Njemačke novine „Frankfurter Rundschau“ se u svom online izdanju od utorka, 18. januara [2011], osvrću na jezike koji su nastali u zemljama stvorenim nakon raspada bivše Jugoslavije. (Deutsche Welle)

2011: Un documento del Dipartimento dello Stato USA deplora che le lingue bosniaca, croata e serba siano considerate come lingue diverse
/ Američke diplomate o srpsko-hrvatskom jeziku / Hrvatski jezik je službeni u EU. Dokument američkog Stejt departmenta nije uznemirio Hrvate / Sprovođenje, provodba, implementacija (Politika, 16.02.2011.)

LA DERIVA KAFKIANA DELLA LINGUA SERBOCROATA
A proposito dei nuovi codici identificatori MS per le lingue (Windows Language Code Identifiers - LCID)

Lojalnost Dejtonskom sporazumu
Povodom knjige „Srpski jezik u normativnom ogledalu”, koju su priredili Branislav Brborić, Jovan Vuksanović i Radojko Gačević, a objavila „Beogradska knjiga” (Politika, 11.11.2006.)

http://govori.tripod.com/index.htm (Štokavski jezik)


Nadrealisti: "Otvoreno o jeziku"
(sketch del 1992 con Nele Karajlic, oggi membro del gruppo musicale Zabranjeno Pusenje di Kusturica, sul delirio della differenziazioni linguistica nell'area serbocroata)


"Чувајте, чедо моје мило, језик као земљу. Реч се може изгубити као град, као земља, као душа. А шта је народ, изгуби ли језик, земљу, душу?... Цареви се смењују, државе пропадају, а језик и народ су ти који остају, па ће тако освојен део земље и народ, кад тад, да се врате језичкој матици и своме матичном народу."


"Conservatela e curatela come si coltiva la terra, questa creatura cara, che è la lingua. La parola può andare perduta, come una città che si perde, come la terra, o l'anima. Che cosa rappresenta un popolo, dopo aver perduto la lingua, la terra e l'anima?... Gli Zar passano e arrivano degli altri, gli stati vanno in rovina, ma la lingua ed il popolo sopravvivono. In tal modo, nonostante venga conquistata una parte della sua terra insieme con lui, prima o poi il popolo ritornerà alla sua corrente linguistica ed al suo popolo materno."


(Stefan Nemanja, primo personaggio storico a vedersi attribuito il titolo del re nella Serbia medioevale; le sue parole, pronunciate prima della morte nel lontano 1196, possono insegnare se siamo capaci di ascoltare...)


(a cura di DK)


Pravopis 1960
Pravopis srpskohrvatskog jezika - Matica Srpska i Matica Hrvatska, 1960


Вук Стефановић Караџић: „Докле год живи језик, докле год њим говоримо и пишемо, прочишћавамо га, умножавамо и украшавамо, дотле живи народ”.


Vuk Stefanović Karadžić: "Finché è viva la lingua, finché la parliamo e scriviamo, la purifichiamo, moltiplichiamo e abbelliamo, è vivo anche il popolo."


Busto di
                                  A. Cronia
Il busto di A. Cronia nel Rettorato dell'Università di Padova






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