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COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA JUGOSLAVIA - Onlus
ITALIJANSKA KOORDINACIJA ZA JUGOSLAVIJU


 
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LA RIMOZIONE DELLA JUGOSLAVIA

di Andrea Martocchia

Questa analisi è stata pubblicata in due parti su L'Ernesto, nn. 3 (maggio-giugno) e 4 (luglio-agosto) 2003

na srpskohrvatskom: BRISANJE JUGOSLAVIJE


Il voto del Parlamento Federale jugoslavo del 4 febbraio scorso ha rappresentato un compimento simbolico del progetto revanscista e sanguinario messo in atto ai danni di questo grande paese europeo e dei suoi cittadini a partire almeno dal 1990. Con questo voto, la Federazione jugoslava è stata "rimossa" persino dalle cartine geografiche; nel contempo, è stata sancita la nascita di una  labile "Unione di Serbia e Montenegro" destinata a durare al massimo tre anni.
Paradossalmente, questo atto è tanto più gravido di inquietanti implicazioni e significati per essere stato passato sotto silenzio da tutta la stampa: in particolare, è mancato qualsiasi eco o commento "da sinistra". Mentre infatti i commentatori borghesi con malcelata soddisfazione continuano ad "infierire sul cadavere" (1), "a sinistra" - dopo tanti squilli di tromba per la "caduta del regime di Milosevic" nell'ottobre 2000 - impera, sulla Jugoslavia,  un imbarazzato, ignobile silenzio.
Quello che mi propongo di fare in questa sede è una stringata analisi della "rimozione della Jugoslavia" intesa, detta rimozione, tanto in senso stretto quanto in senso lato: cioè politico-ideologico, nonché culturale, sociologico, forse persino psicologico e psicanalitico.


Come spaccare un paese in otto parti addossandone poi tutta la colpa alle vittime

La disgregazione della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia  (RFSJ) - per tutto il secondo dopoguerra Stato-cuscinetto tra i due blocchi, che godeva di ampia autonomia e prestigio nel contesto dei rapporti internazionali - è stata voluta, agevolata e sancita dalle consorterie occidentali, come conseguenza della loro "vittoria" al termine della Guerra Fredda.
L'interesse strategico dei paesi imperialisti per i Balcani risulta evidente già solo abbozzando una stringata cronologia del loro ruolo nel più recente processo di disgregazione e soggiogamento; e d'altronde, non per caso questa semplice operazione di "mettere in fila" gli avvenimenti viene generalmente elusa dagli studiosi e dalla stampa, preferendo questi piuttosto sbizarrirsi con interpretazioni irrazionalistiche e lombrosiane, dal contenuto volutamente disinformativo.
Potremmo ad esempio partire dagli anni Ottanta e dalle politiche devastanti imposte da FMI e BM alla Jugoslavia di Markovic. Ma, per fissare una data precisa, consideriamo piuttosto il 29 novembre 1990, quando - mentre si festeggia la festa nazionale della RFSJ (2) - tutti i giornali pubblicano le "rivelazioni" della CIA che "scommette" che i l paese si sta per disintegrare. All'inizio dello stesso mese, guarda caso, il Congresso USA aveva approvato la legge 101/513 per l'appoggio a tutte le leadership liberiste, nazionaliste e secessioniste (3). Alla fine di giugno 1991 si hanno le prime "dichiarazioni di indipendenza" di Slovenia e Croazia.
Il 15 gennaio 1992 i paesi della Comunità Europea, nonostante la situazione altamente pericolosa ed instabile sul terreno (4), riconoscono formalmente le secessioni slovena e croata, sancendo così gli effetti della "forzatura" di parte tedesca e vaticana.
Successivamente, la Bosnia-Erzegovina verrà invitata a seguire l'esempio attraverso l'indizione di un referendum illegittimo e largamente boicottato dalla popolazione. La diretta conseguenza del riconoscimento della "indipendenza" della Bosnia saranno tre anni di guerra fratricida. La secessione della Bosnia, centro simbolico e storico della Lotta Popolare di Liberazione e della "Unità e Fratellanza" jugoslave, rappresenta il più grave colpo inferto al cuore della Jugoslavia multinazionale. La popolazione di Sarajevo, scesa subito in piazza il 5 e 6 aprile contro tutti i progetti di divisione "etnica", viene fatta bersaglio di cecchini di dubbia appartenenza politico-nazionale. È il primo episodio di una strategia stragista (o "della tensione") che sarà riapplicata sovente nel corso degli anni successivi e servirà ad affogare, possibilmente per sempre, la idea jugoslavista in un lago di sangue e di menzogne.
L'Europa senza la Jugoslavia

Gli Stati Uniti d'America hanno usato prima la Germania e poi l'intera Comunità Europea come battistrada, ma il loro appoggio a livello mediatico, diplomatico, finanziario e militare ai secessionismi, e specialmente al separatismo bosniaco-musulmano, sarà sempre più sfacciato. L'attivismo USA nei Balcani surclasserà via via di gran lunga quello degli europei. Dopo avere cinicamente sfruttato il risorgere di revanscismi "mitteleuropei" e destre neonaziste nell'Europa "post-Ottantanove", gli USA si scatenano, assumendo un ruolo diretto. In Bosnia, a livello diplomatico, gli USA sono i veri responsabili del fallimento dei piani di pace, a partire dal piano Cutileiro (5). Via via, gli USA riusciranno a screditare e far fallire ogni intervento attuato sotto l'egida delle Nazioni Unite, imponendo la progressiva sostituzione delle missioni ONU con missioni più direttamente gestite dall'Alleanza Atlantica.
È il periodo delle grandi "stragi a mezzo stampa" (6), delle rimozioni dei vari Morillon, MacKenzie, Akashi, eccetera, e delle prime operazioni di guerra "tradizionale" della NATO in Europa. Nel settembre 1995, USA ed UE scatenano ai danni dei serbi della Bosnia la prima grande campagna di bombardamenti sul suolo europeo dai tempi della II Guerra Mondiale. I serbi vengono prima diffamati e poi colpiti perché, tra gli jugoslavi, sia per ragioni storiche sia perché vivono in quasi tutte le repubbliche ex-federate, sono quelli che meno di tutti hanno interesse alla frantumazione del loro paese.
Nell'autunno 1995, la firma degli accordi di Dayton consente, tra  l'altro, lo stanziamento "sine die" di truppe della NATO sul territorio, interamente ridotto ormai a protettorato internazionale. (7)
 
Il paese è già stato spaccato in cinque parti, ma evidentemente non basta. Nella primavera del 1999, dopo anni di strumentalizzazione del movimento separatista pan-albanese (8), USA ed europei bombardano la Repubblica Federale di Jugoslavia - ciò che resta della RFSJ dopo le secessioni, e cioè Serbia e Montenegro. Da chilometri di altezza sono colpite infrastrutture civili e militari, causando centinaia di morti civili. Gli jugoslavi hanno estratto i cadaveri di concittadini, amici e parenti nelle piazze dei mercati, dalle lamiere dei treni sventrati, dai resti dei convogli di profughi, dagli ospedali, dalle abitazioni. La NATO ha colpito per mettere in ginocchio tutto il paese, devastandolo. Hanno infatti bombardato obiettivi situati a molte centinaia di chilometri di distanza dal Kosovo-Metohija che dicevano di dover "salvare". In Kosovo-Metohija hanno bombardato con l'uranio impoverito. Hanno bombardato il petrolchimico di Pancevo, a pochi chilometri da Belgrado, intenzionalmente per causare la fuoriuscita di gas altamente venefici. Attraverso l'effetto di lunga durata degli agenti cancerogeni, la NATO sta uccidendo ancora oggi (9): cosi la Jugoslavia è stata costretta alla resa.

Nel Kosovo-Metohija regna oggi un regime del terrore: sotto gli occhi disattenti ovvero complici di decine di migliaia di soldati NATO è stata oggi pressoché completata la epurazione delle nazionalità non-albanesi e degli albanesi non-secessionisti, e prosegue la distruzione delle vestigia della cultura tardo-bizantina (10). I "desaparecidos" sono migliaia, gli attentati a sfondo razzista continuano. La zona è in mano agli ex-guerriglieri dell'UCK, sostenuti economicamente dai traffici di droga, armi e prostituzione. Le grandissime risorse della provincia, specialmente minerarie, sono state espropriate allo Stato jugoslavo in vista dell'acquisizione da parte delle multinazionali, ed ogni produzione è bloccata. Le poche possibilità di lavoro "onesto" per i giovani kosovaro-albanesi vengono dalle truppe straniere di occupazione: ad esempio nell'immensa base militare USA di Camp Bondsteel, presso Urosevac , il più grande insediamento militare USA all'estero dai tempi del Vietnam (11).


La "democratizzazione"

Due piccioni con una fava, come suol dirsi. I bombardamenti della primavera 1999 da una parte aggravano in maniera irrimediabile la questione del Kosovo-Metohija, gettando le basi per la sua annessione a quella Grande Albania che Michel Collon ha significativamente definito "una nuova Israele in Europa"; dall'altra essi creano nella Repubblica Federale di Jugoslavia una situazione di fatto non più gestibile da parte delle forze di governo. Nel 1999-2000 si verificano nel paese una serie di attentati ed assassinii politici non rivendicati. Nell'ottobre 2000 - mentre, nonostante tutto, è in  atto un grande, eroico sforzo per la ricostruzione del paese, ad esempio alla Zastava di Kragujevac - in occasione delle elezioni, politiche e presidenziali, le pressioni occidentali raggiungono un nuovo apice. L'apparato mediatico antigovernativo è mobilitato, in Jugoslavia ed all'estero; le navi da guerra pattugliano l'Adriatico; le diplomazie minacciano ulteriore isolamento e l'inasprimento di un embargo ingiusto che dura ormai da sette anni. Si vuole impedire ad ogni costo lo svolgimento del secondo turno elettorale, che pure sancirebbe l'avvicendamento alla Presidenza federale con la vittoria del nazionalista filooccidentale Vojslav Kostunica: perciò si plaude all'assalto del Parlamento - dove la coalizione di governo ha nuovamente conquistato la maggioranza - ed alla devastazione dell'ufficio elettorale, con relativa distruzione delle schede. Nei giorni successivi verranno attaccate le sedi dei partiti della sinistra e dei sindacati, e molti militanti verranno fatti oggetto di vigliacche aggressioni. (12)

Il nuovo regime delle destre si regge sulle ibride alleanze che costituiscono la DOS (ovvero "Opposizione Democratica della Serbia") ed in particolare sull'ambiguo equilibrio tra due personaggi: da una parte Kostunica, che, pur essendo il nuovo Presidente e godendo di una discreta popolarità per le sue posizioni comunque improntate all'orgoglio nazionale, non gode in effetti di alcun potere reale; dall'altra Zoran Djindjic, il primo ministro della Serbia, che è fortemente impopolare ma gode di appoggi ad altissimo livello in sede internazionale e, nel paese, si avvale del sostegno dei settori doppiogiochisti dei servizi segreti, della mafia e di nascenti poteri occulti, nonché del "club" di tecnocrati ultraliberisti legati a FMI e BM, riuniti attorno al cosiddetto "Gruppo 17".
Sono questi ultimi a governare di fatto, ancora oggi dopo il misterioso omicidio di Djindjic, avvenuto lo scorso 12 marzo, e la "rimozione", oltreché della "Jugoslavia", anche del suo ormai superfluo presidente Kostunica... Sono loro i "Barberini" della Serbia: quod Bombardieri non fecerunt, fecerunt Barberini. In circa due anni e mezzo costoro sono riusciti a ridurre la popolazione in condizioni misere, interrompendo tutti gli sforzi di ricostruzione del paese ed offrendone in svendita agli stranieri le ricchezze, adeguandosi ai diktat delle istituzioni finanziarie internazionali.
La disoccupazione in Serbia ha raggiunto livelli record ed è in continua crescita (oltre un milione di persone, ufficialmente). Il maggior polo industriale - la "Zastava" di Kragujevac già smembrata in vista della spartizione - è stato offerto su di un piatto d'argento ad un piccolo imprenditore statunitense, Briklin, il quale tuttavia non ha nemmeno dato seguito ai suoi progetti ed ha evidentemente ormai rinunciato alla acquisizione. Intanto, le famiglie dei lavoratori patiscono la fame: l'aiuto che arriva dall' Italia, grazie al movimento delle "adozioni a distanza", è per loro adesso più indispensabile che mai. (13)
Tutti i settori strategici sono in via di dismissione: liquidate le principali banche dello Stato (gennaio 2002), svenduti i potenzialmente assai redditizi cementifici (primavera 2002), il complesso siderurgico di Smederevo "Sartid" preso a prezzo stracciato dalla US Steel Corporation (è notizia di questi giorni), e cosi via. L'Esercito sta subendo devastanti "riforme", consistenti in tagli e purghe, in vista della inclusione nella Partnership for Peace della NATO. Il sistema giudiziario è stato fatto oggetto di attacchi feroci da parte del governo, tali da far impallidire il peggior Berlusconi... La guerra contro la magistratura, a causa delle inchieste in corso che coinvolgono esponenti del governo (innanzitutto lo stesso Djindjic) in episodi di corruzione e rapporti con la mafia, ha avuto una brusca accelerazione dopo l'omicidio, in seguito al quale la facente funzione di Presidentessa della Serbia Natasa Micic (14) ha immediatamente - ed anticostituzionalmente, ma questo ormai in Serbia non fa più notizia - dichiarato lo stato d'emergenza.

Ufficialmente, il responsabile dell'omicidio di Djindjic sarebbe un ufficiale dei corpi speciali denominati "Berretti rossi", "reo confesso", che avrebbe agito su mandato del "clan di Zemun"; clan i cui due boss, pero', sono stati uccisi durante il tentativo di arresto per "aver fatto resistenza". In realtà, questa versione dei fatti puzza molto di bruciato. Lo stato d'emergenza in Serbia non è stato imposto a causa dell'uccisione del primo ministro: viceversa, è la morte di Djindjic ad essere stata presa a pretesto per imporre lo stato d'emergenza e promuovere una svolta autoritaria "risolutiva". Invece di dimettersi, il ministro federale di polizia, Zoran Zivkovic, è diventato il nuovo primo ministro della Serbia. Il ministro repubblicano, Dusan Mihajlovic, soprannominato dalla gente "Dule Cia", ha dichiarato sfacciatamente che lo stato d'emergenza è servito alle autorità serbe per regolare i conti con una serie di oppositori politici: non solamente i sostenitori di  Milosevic, ma anche i radicali di Seselj e persino gli ambienti di Vojslav Kostunica, "scomodo" ex-presidente. Fintantochè è stato in carica, Kostunica non solo si è opposto, almeno verbalmente, ad una serie di scelte (dalla collaborazione con il "Tribunale" dell 'Aia alla nuova ultraliberista Legge sul Lavoro), ma è stato anche testimone di una serie di fatti imbarazzanti riguardanti i legami di Djindjic con la mafia. Un "caso" riguardante intercettazioni ai danni di Kostunica è scoppiato mesi fa, essenzialmente allo scopo di spaccare i servizi segreti dell'Esercito. Nell'ambito delle "misure di emergenza" il capo di questi servizi, il generale Aco Tomic, è stato arrestato, ed i servizi sono stati messi sotto il controllo diretto del governo DOS, cioè sotto il controllo americano. È stato arrestato anche il consigliere di Kostunica, Rade Bulatovic, nonché il generale Pavkovic, protagonista della difesa del paese nel 1999 e recentemente candidato alla Presidenza della Serbia.
Il risultato delle purghe nella magistratura è il licenziamento di almeno 35 giudici, di cui 7 della Corte Suprema compreso il presidente, ed il licenziamento e in qualche caso l'arresto di una serie di Pubblici Ministeri. Sono state poi frettolosamente promulgate una serie di leggi, tra cui una, vergognosa, sulla carcerazione preventiva, ed un'altra sui media, che dovrebbe far molto riflettere i nostrani sostenitori dei "media indipendenti" e delle "radio b52" di turno... I quali invece oggi, ermeticamente, tacciono.

In tutto, un mese di "stato d'emergenza" ha significato almeno 10mila tra arresti e fermi di polizia (in base alle cifre dello stesso governo), ed in prigione si trovano tuttora circa 4500 persone, il che significa che migliaia di persone sono state private dalla loro libertà illegalmente. Si parla inoltre di casi di maltrattamento e tortura in carcere. Tra gli arrestati ci sono alcuni giornalisti: molti sono stati rilasciati, ma sono state chiuse le redazioni dei due unici giornali che non erano sotto il controllo diretto del governo (15) e molte altre redazioni sono state sottoposte ad intimidazioni di vario genere. Ci sono state persino delle sparizioni, come quella di Predrag Polic, chimico a capo della sua Facoltà all'Università di Belgrado, di orientamento filo-Kostunica, noto in Italia per una serie di conferenze sui letali effetti dei bombardamenti della NATO, ritrovato cadavere dopo alcune settimane di sparizione.
Per quanto riguarda le reali ragioni e dinamiche dell'attentato a Djindjic, è il caso innanzitutto di sottolineare il delicato momento in cui esso è avvenuto: vale a dire alla vigilia della aggressione contro l'Iraq - pressoché coincidente con il quarto anniversario dei bombardamenti sulla Jugoslavia -, mentre gli USA cercavano di estorcere agli staterelli balcanici un appoggio anche logistico alla loro nuova impresa militare - con scarso successo, poiché le locali leadership, Djindjic compreso, si sono dimostrate piuttosto schierate sulla linea "tedesca" -, ed in una fase di profondissimo malcontento sociale. Con la sua uccisione, il despota Djindjic dai media è stato trasformato in un martire. Il vero grande sospettato per l'omicidio, Milorad Lukovic "Legija", ex volontario nella Legione Straniera e poi doppiogiochista dei servizi deviati in Serbia, non è stato catturato e l'attenzione si è invece spostata sugli avversari politici, esplicitamente additati come "mandanti". D'altronde, uomini come Legija potrebbero rendere testimonianze poco opportune sulle loro frequentazioni, passate e presenti, con gli ambienti della DOS e sui servizi resi per il "golpe" dell'ottobre 2000.

Vista la scarsissima popolarità della DOS, c'era in effetti bisogno di un espediente per distruggere la dissidenza politica. Lo dimostrano gli arresti e gli interrogatori dei leader di opposizione. Senza nessuna ragione sono stati arrestati il presidente dell'Associazione "Sloboda" e presidente del Comitato per Slobodan Milosevic, Bogoljub Bjelica, il membro della stessa Associazione e capo redattore del settimanale "Smisao" (la rivista teorica del Partito Socialista) Uros Suvakovic, ed il funzionario della JUL e stretto collaboratore di Mira Markovic, Goran Matic. La stessa Markovic, in Russia da febbraio per motivi personali, non può più rientrare perché rischia perlomeno l'arresto in seguito ad una pretestuosa accusa di essere la mandante della sparizione di Ivan Stambolic, avvenuta nel 2000. È stato poi sottoposto ad interrogatorio Vladimir Krsljanin, membro di "Sloboda" e consigliere di Milosevic. Per non parlare delle tante perquisizioni, e di quanto hanno subito gli esponenti dei partiti dell'opposizione conservatrice (Kostunica, Seselj, eccetera).


La battaglia dell'Aia

L'Associazione "Sloboda" assiste nella preparazione della difesa di Milosevic all'Aia. In quel "Tribunale ad hoc" si sta svolgendo in questo periodo la fase centrale del "processo" a Milosevic: dopo la presentazione delle "accuse" e delle "prove" per i tre "capi di imputazione" (per le guerre in Croazia, in Bosnia ed in Kosovo), si sta passando adesso alla fase della autodifesa dell'imputato. Per gli accusatori di Milosevic il "processo", non riuscendo di fatto a dimostrare la colpevolezza dell'ex presidente, è un fallimento ed è motivo di estremo imbarazzo e preoccupazione. Contro Milosevic il "Tribunale" ha usato ogni mezzo di pressione politica, mediatica e fisica (a causa del suo stato di salute e di cure inappropriate).
Malgrado tutto ciò non sono riusciti spezzare la difesa di Milosevic. Di fatto, lo "stato d'emergenza" è servito anche ad impedire l'opera dei collaboratori di Milosevic, e per questo molti osservatori ritengono che esso sia stato deciso di comune accordo con il governo DOS da chi "muove i fili" all'Aia.

Il caso del "Tribunale ad hoc per i crimini commessi sul territorio della ex Jugoslavia" (16) chiarisce molto bene la collateralità di certe neonate istituzioni penali internazionali ai progetti egemonici dei paesi imperialisti. Esso è stato fondato nel 1993 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per l'insistenza del Senatore Albright (17). Il normale canale per creare un Tribunale come questo, come a suo tempo ha puntualizzato lo stesso Segretario Generale, avrebbe dovuto essere "un Trattato Internazionale stabilito ed approvato dagli Stati Membri che avrebbero permesso al Tribunale di esercitare in pieno nell'ambito della loro sovranità" (Rapporto No X S/25704, sezione 18).  Tuttavia, Washington ha imposto un'interpretazione arbitraria del Cap.VII della Carta delle Nazioni Unite, che consente al Consiglio di Sicurezza di prendere "misure speciali" per restaurare la pace in sede internazionale. Perciò il "Tribunale ad hoc" è una struttura illegittima e para-legale. Esso è finanziato dai paesi della NATO, e soprattutto dagli USA (18), in maniera diretta oltreché attraverso l'ONU, ma anche da altri paesi non proprio neutrali nella problematica jugoslava, come l'Arabia Saudita, nonché da enti e personaggi privati, come George Soros.
Il sostegno della NATO al "Tribunale ad hoc" è particolarmente indicativo delle vere finalità di questa struttura para-giudiziaria. Secondo l'ex portavoce della NATO Jamie Shea "la NATO è amica del Tribunale, è la NATO che detiene per conto del Tribunale i criminali di guerra sotto accusa... Sono i paesi della NATO che hanno procurato i fondi per istituire il Tribunale, noi siamo tra i più grandi finanziatori." (19) Oltre ad attestare il sostegno finanziario e la "amicizia" della NATO - proprio mentre questa bombardava i convogli di profughi ed il petrolchimico di Pancevo - Jamie Shea rivendica dunque ad essa il ruolo di "polizia giudiziaria". La quale, come s'è visto in decine di occasioni, specialmente in Bosnia ma anche nel caso di Milosevic, opera attraverso colpi di mano e rapimenti, nel corso dei quali alcuni "sospetti" sono stati persino uccisi - mentre diversi serbi-bosniaci detenuti all'Aja sono deceduti per presunti infarti e suicidi.
Il Tribunale dell'Aja ha sistematicamente dichiarato il non luogo a procedere per le documentate accuse di crimini di guerra mosse da varie parti alla NATO. La sproporzione tra le incriminazioni nei confronti di esponenti serbi rispetto a quelle di croati, kosovari albanesi e bosniaci musulmani, responsabili di gravi crimini, è resa evidente dai numeri (20). Ancor più evidente è il fatto che dei tanti "imputati", gli unici con responsabilità eminentemente politiche siano appartenenti alla parte serba (Milosevic, Milutinovic, Karadzic) mentre i leader delle fazioni secessioniste sono stati tutti indistintamente "risparmiati" nonostante (ad esempio) i loro torbidissimi trascorsi. (21) La "giustizia" del Tribunale dell'Aja è dunque quella di una parte in causa contro l'altra, il contrario esatto del "super partes". Il "Tribunale ad hoc", analogamente al nostro famigerato Tribunale Speciale nel Ventennio, lavora come uno strumento politico, totalmente sotto controllo dei vincitori, cioè degli aggressori, devastatori ed invasori della Jugoslavia.

Noti giuristi e commentatori hanno spiegato come, nel suo funzionamento, il Tribunale dell'Aja violi tutti i principi del diritto internazionale. In sostanza, esso non rispetta la separazione dei poteri, né la parità fra accusa e difesa, né tantomeno la presunzione di innocenza finché non si giunge ad una condanna: la regola 92 stabilisce che le confessioni siano ritenute credibili, a meno che l'accusato possa provare il contrario, mentre in qualsiasi altra parte del mondo l'accusato è ritenuto innocente fino a quando non sia provata la sua colpevolezza (22). Esso formula i propri regolamenti e li modifica su ordine del Presidente o del Procuratore, assegnando ad essi carattere retroattivo: attraverso una procedura totalmente ridicola, il Presidente può apportare variazioni di sua propria iniziativa o ratificarle via fax ad altri giudici (regola 6)!
Il regolamento stesso non contempla un giudice per le indagini preliminari che investighi sulle accuse. Il Tribunale ad hoc utilizza testimoni anonimi, che si possono dunque sottrarre al confronto con la difesa; secreta le fonti testimoniali, che possono essere anche servizi segreti di paesi coinvolti nei fatti. Esso usa la segretezza anche sui procedimenti aperti (regola 53). Ricusa o rifiuta a proprio arbitrio di ascoltare gli avvocati della difesa (regola 46), allo stesso modo dei tribunali dell'Inquisizione; può rifiutare agli avvocati di consultare documentazione probatoria (regola 66); può detenere sospetti per novanta giorni prima di formulare imputazioni, con l'evidente scopo di estorcere confessioni. Dulcis in fundo, recentemente il "giudice" May si è persino arrogato il diritto, d'accordo con la "pubblica accusa" Nice, di revisionare la trascrizione del dibattimento, censurandola allo scopo di impedire la divulgazione di quegli interventi di Milosevic considerati "ad uso esterno" e dunque irrilevanti o inopportuni per gli Atti del "processo".

L'imputazione contro l'allora Presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia Slobodan Milosevic veniva resa pubblica dalla "procuratrice" Arbour su pressione di Madeleine Albright proprio durante la aggressione della NATO, nella primavera del 1999, nell'ambito della campagna mediatica di demonizzazione della Jugoslavia e dei suoi dirigenti. Un tassello, insomma, della più ampia operazione di disinformazione strategica e guerra psicologica (23). Per la effettiva cattura di Milosevic, però, dovevano maturare le condizioni politiche in Jugoslavia. Questo cambiamento è avvenuto solo nell'autunno del 2000, quando a Belgrado si è instaurato il regime-fantoccio filooccidentale. La rocambolesca cattura di Milosevic è avvenuta mesi dopo, il 31 marzo 2001: in cambio al nuovo governo sono stati accordati 50 milioni di dollari già promessi dagli USA. I dirigenti belgradesi, per ottemperare ai ricatti militari ed economici degli USA, della Nato e del Tribunale dell'Aja, hanno commesso una serie di macroscopiche illegalità. Milosevic è stato detenuto per tre mesi senza che nessuno delle centinaia di testimoni ascoltati avesse fornito prove a sostegno della pretestuosa imputazione di "abuso di potere" (diversa da quella di "crimini di guerra" usata all'Aia). Al termine delle due proroghe della detenzione preventiva, Milosevic avrebbe dovuto essere scarcerato; invece, un ulteriore, grande scandalo è stata la modalità della sua "estradizione" da Belgrado in Olanda, tramite una operazione-lampo illegale ed anticostituzionale curata dai settori più filo-americani del governo di Zoran Djindjic (24). Il sequestro ed il trasporto all'Aia su velivoli della RAF inglese avveniva in base a un decreto del solo premier e del ministro degli Interni, con un governo dimezzato dal ritiro dei ministri montenegrini; un decreto che violava, insieme alle Costituzioni jugoslava e serba (25), la posizione del Parlamento Federale nonché l'orientamento dei partner di maggioranza e dello stesso presidente jugoslavo Kostunica. Il giorno dopo il trasferimento di Milosevic, i governanti jugoslavi ottenevano il loro ulteriore premio: la promessa di 1.360 milioni di dollari, stanziati dalla "Conferenza dei donatori" alla condizione della totale privatizzazione dell'economia nazionale.

All'Aia, Milosevic ha da subito tenuto un atteggiamento fermo ed inequivocabile: si dichiara prigioniero politico, non riconosce legittimità al "Tribunale ad hoc", e rifiuta di essere assistito da avvocati, compresi quelli designati "d'ufficio" dal "Tribunale" stesso (26). Le prime udienze (tra luglio 2001 e gennaio 2002) sono state dedicate a problemi procedurali, ma Milosevic non ha mancato di dire la sua ogni volta che gli è stato concesso di parlare, e fintantoché il microfono non gli è stato spento in malo modo.
Il 29 ottobre 2001, ad esempio, dopo la lettura della "imputazione sulla Croazia" ha detto che << è assurdo accusare la Serbia ed i serbi per la secessione armata della Croazia, che ha causato una guerra civile, conflitti e sofferenze per la popolazione civile. >> Il giorno dopo, commentando "l'imputazione sul Kosovo", egli ha fatto notare che essa << riguarda solamente fatti avvenuti dal 24 marzo alla fine della prima settimana di giugno [1999], laddove (.. .) tutto il pianeta sa che è proprio dal 24 marzo fino alla prima settimana di giugno compresa che la Nato ha commesso la sua criminale aggressione contro la Jugoslavia. (...) Se la corte non vuole prendere in considerazione questi fatti, allora è ovvio che questa non è una corte ma solamente una parte del meccanismo atto ad eseguire crimini contro il mio paese e la mia gente. Se quest'ultimo è il caso (...) e dunque se la corte è parte dell'ingranaggio, allora per piacere, date lettura ai verdetti che vi è stato detto di formulare e smettetela di annoiarmi. >>
Dopo la lettura del “capo d'imputazione” sulla Bosnia-Erzegovina, Milosevic dichiarava invece: << Questo testo miserabile che abbiamo qui ascoltato è l'apice dell'assurdità. Devono darmi credito per la pace in Bosnia, e non per la guerra. La responsabilità per la guerra in Bosnia è delle potenze che hanno distrutto la Jugoslavia e dei loro satrapi in Jugoslavia, e non della Serbia, né del suo popolo, né  della sua politica. Questo è un tentativo... >> Qui il microfono veniva spento.
Ancora, in dicembre, Milosevic si richiamava a fatti di estrema attualità: << Per me è assolutamente chiaro il motivo per cui questo falso pubblico ministero insiste sulla unificazione [dei tre "capi d'accusa"]. La causa di questo è l'11 Settembre. Loro vogliono mettere in secondo piano le accuse contro di me sul Kosovo perché queste inevitabilmente aprono la questione della collaborazione della amministrazione Clinton con i terroristi nel Kosovo, compresa la organizzazione di Bin Laden. (...) Quello che si può trovare sotto la superficie di questi “capi d'imputazione” non sono altro che i detriti ed il fango di dieci anni di guerra mediatica, condotta con l'obiettivo di demonizzare sia la Serbia, sia il popolo serbo e la sua dirigenza, ed anche me personalmente, e addirittura la mia famiglia. Perché la guerra mediatica ha preceduto quella reale, ed ha avuto come obiettivo quello di convincere l'opinione pubblica occidentale che siamo delinquenti, anche se non abbiamo mai dato argomenti per avvalorare questo.
Voi oggi avete letto qui che il 6 Aprile 1992 l'Unione Europea riconobbe la Bosnia-Erzegovina. Questo è stato fatto sotto l'influenza dell'allora Ministro degli Esteri tedesco Hans Dietrich Genscher, perchè il 6 Aprile era il giorno in cui nel 1941 Hitler attaccò la Jugoslavia bombardando Belgrado. C'era un desiderio di simboleggiare, in questo modo, il capovolgimento degli esiti della II Guerra Mondiale. >>


La Jugoslavia unitaria, modello per i l federalismo europeo

Il 30 gennaio 2002, Slobodan Milosevic aveva nuovamente l'occasione di parlare dinanzi alla "corte" dell'Aia:
<< In realtà c'era un piano evidente contro quello Stato di allora che era, direi, un modello per il futuro federalismo europeo. Quello Stato era la Jugoslavia, dove più nazionalità erano comprese in un sistema federativo che realizzava la possibilità di vivere con pari diritti, con successo, con la possibilità di prosperare, svilupparsi e, direi, di essere d'esempio al mondo intero di come si può vivere insieme. Per tutto il tempo abbiamo lottato per la Jugoslavia, per conservare la Jugoslavia. In fondo, tutti i fatti comprovano soltanto quello che sto dicendo. E soltanto la Repubblica Federale di Jugoslavia tuttora esistente ha conservato la sua struttura dal punto di vista delle nazionalità. (...)
Con ciò che sta avvenendo lì [in Kosovo] si sta in pratica riabilitando la politica del periodo nazista, di Hitler e Mussolini. Questo gran parlare di "Grande Serbia", di questa presunta idea che non è mai esistita, non serve altro che a mascherare la creazione di una "Grande Albania" - quella stessa che crearono Hitler e Mussolini durante la Seconda Guerra Mondiale. Guardate soltanto quello schema, e guardate che cosa si sta facendo adesso, quello che vogliono sottrarre alla Serbia, al Montenegro ed alla Macedonia - e un domani forse anche alla Grecia del Nord, quando le relazioni greco-turche saranno messe alla prova di nuovo per ordine del comune padrone, ed anche quella sarà per loro una questione da risolvere. >>

Milosevic - un uomo politico socialdemocratico, di tradizioni antifasciste benchè orientato verso la riforma dello Stato socialista in senso "occidentale" - parla qui chiaramente della Jugoslavia di Tito, e la difende. Parla di un paese nel quale si rifuggiva sia da uno jugoslavismo sovranazionale "artificiale", sia dal nazionalismo separatista, in favore di una cultura "di sintesi", jugoslava, in grado di riunire le preesistenti culture in una nuova, adatta ad uno Stato fondato sui diritti di cittadinanza e non - come è purtroppo oggi - su "identità" etniche o religiose. Lo spiega Neil Clark recensendo un ottimo libro (27) su questo tema dello "jugoslavismo", un tema a sua volta incredibilmente "rimosso" dal dibattito sui Balcani:
<< Negli anni Sessanta questi tentativi di formare una comune identità jugoslava parevano aver avuto successo. I matrimoni misti indicavano che un numero sempre maggiore di cittadini si facevano registrare nei censimenti come jugoslavi. (...) La distruzione di una nazione militarmente forte e non allineata, sostituita da una serie di protettorati deboli della NATO e del FMI, conviene perfettamente a chi governa il nuovo mondo. La verità, come lo stesso Djilas riconosce, è che fin quando è esistita l'Unione Sovietica, la Jugoslavia aveva una funzione rispetto all'Occidente, ma una volta abbattuto il muro di Berlino, essa era solo d'impaccio. (...) La Jugoslavia, secondo Djilas, "rimane la più pratica e ragionevole, la più anti-distruttiva risposta alla questione nazionale degli Slavi del Sud". Essa è, come affermato da Slobodan Jovanovic all'epoca dell'attacco delle potenze dell'Asse nel '41, il modo migliore in cui il popolo balcanico può garantirsi l'indipendenza e proteggersi dal dominio straniero. >>

Dopo alcune incertezze legate alla intenzione della "procuratrice" Del Ponte (28) di unificare i tre procedimenti sul Kosovo, sulla Croazia e sulla Bosnia, il "processo" a Milosevic è stato effettivamente unificato ed è iniziato il 12 febbraio 2002. Da allora i mass-media, dopo le prime giornate-shock, hanno abbassato il sipario - gradualmente, ma completamente. In Jugoslavia, le autorità hanno dapprima impedito il proseguimento della diretta televisiva, poi hanno operato per isolare Milosevic in ogni maniera. Così, oggi soltanto chi è presente in aula può assistere ad uno spettacolo veramente surreale (29). Nel confronto con i testimoni dell‘“accusa“, Milosevic agevolmente rovescia le imputazioni, spesso mettendo i testimoni stessi in contraddizione: tanto che qualcuno di questi ritratta, qualcun altro deve rinunciare a deporre, qualcuno si sente male, qualcuno si rende conto che la sua deposizione in fase istruttoria è stata falsificata... Milosevic mette la NATO sul banco degli imputati come prima responsabile non solo dei bombardamenti, ma proprio dell'infame squartamento della RFS di Jugoslavia, ripercorrendo gli atti diplomatici, politici e militari a vari livelli compiuti dai paesi dell'Alleanza. I fatti citati da Milosevic sono fatti storici, ormai, benché sostanzialmente ignorati o trascurati dai commentatori occidentali e filo-occidentali. Sono fatti incontrovertibili, e Milosevic, mentre ripercorre pagine e pagine di storia balcanica e mondiale ne scrive a tutti gli effetti una nuova, con grande dignità, pur nel completo isolamento, con troppi avversari e solo pochi amici (nemmeno tutti affidabili) attorno, e nella disattenzione di giornalisti e "balcanologi" d'ogni sorta.
D'altronde, l'obiettivo degli sponsor del "Tribunale ad hoc" - cioè fare di Milosevic il capro espiatorio esclusivo e "conclusivo" per le tragedie di questi anni - può essere realizzato solamente nella misura in cui le opinioni pubbliche restino ignare di ciò che viene effettivamente detto nell'aula dell'Aia. L'operazione di "scaricamento" delle responsabilità in toto sulla figura di Milosevic, attraverso l'intera costruzione del processo-farsa, rappresenta di per se stessa un enorme tentativo di "rimozione": essa vuole offrire ai veri responsabili del "magnum crimen" l‘opportunità di risciacquarsi la coscienza, autoassolversi, financo sottrarsi al pagamento dei danni dei bombardamenti. Ma tale abnorme, disonesta operazione può avere successo solamente se, a sua volta, sul dibattimento dell‘Aia sia fatto calare il sipario, e non ne sia data alcuna cronaca, cosicchè tanto apparente sforzo nella ricerca della "verità sui crimini della guerra in Jugoslavia", tanto materiale accumulato, restino inutilizzati per giornalisti, commentatori, studiosi, storici... È una rimozione dentro l'altra, in un gioco di scatole cinesi: come la cancellazione della Jugoslavia dalle cartine geografiche, ed analogamente all‘oblio imposto sui bombardamenti NATO e tanti altri episodi-chiave, così pure i momenti salienti del "processo" a Milosevic vengono ignorati dai media. Questo silenzio giornalistico, in quanto ulteriore momento della campagna strategica di disinformazione che ha accompagnato la guerra, è il peggiore nemico della Jugoslavia e delle popolazioni che la abitano, l'arma più micidiale adoperata contro di esse.

Nessuno ha riportato i dettagli del confronto in aula tra Milosevic e Stipe Mesic, attuale presidente croato ed ex uomo di Tudjman, né quelli del confronto con l'ex presidente della Slovenia Milan Kucan, benché riguardassero i momenti cruciali e drammatici dello scoppio della guerra fratricida nel 1991. Nessuna cronaca è stata fatta della testimonianza di Zoran Lilic, probabilmente la più importante nel “processo“ visto che Lilic fu addirittura presidente della RF di Jugoslavia mentre Milosevic era presidente della Serbia; non si è parlato della deposizione di un uomo dei servizi, Rade Markovic, chiamato come testimone dell'accusa ma che poi, in aula, ha dato ragione a Milosevic ed ha dichiarato di essere stato sottoposto a pesanti pressioni dal governo serbo attuale affinché dichiarasse il falso; nessuno ha commentato nemmeno il confronto con il “nonviolento kosovaro“ (30) Ibrahim Rugova; per non parlare poi degli interventi in aula di diplomatici e politici occidentali, o dei ridicoli spettacoli offerti da falsi esperti di storia, facilmente sbugiardati da Milosevic. Nei prossimi mesi, dedicati alla replica dell'accusato, dovrebbero svolgersi molte sedute che vedranno come protagonisti personaggi di spicco dei paesi NATO, chiamati da Milosevic a testimoniare: i nostri giornali ne riporteranno qualche eco?


Un mosaico di protettorati ed un groviglio di corridoi

In Europa, per adesso, sono gli jugoslavi a dover pagare il prezzo più caro di una ristrutturazione geopolitica decisa a loro insaputa e contro di loro. A partire dal riconoscimento diplomatico delle Repubbliche secessioniste, l'Occidente ha fatto il "doppio gioco" con il loro paese, proclamandosi pompiere mentre gettava benzina sui focolai di crisi. Un "doppio gioco" che ha causato indicibili tragedie, ridisegnando i Balcani secondo protettorati coloniali come ai tempi dell'occupazione nazifascista, trasformandone i territori in servitù militari occidentali e bacini di sfruttamento delle risorse e della forza-lavoro, devastando le basi della convivenza civile e della cultura comune di quelle genti. Nessun “gruppo nazionale “ ci ha guadagnato niente, dalla disgregazione, visto che tutti indistintamente si trovano oggi a dover vivere sparpagliati tra tanti piccoli Stati; i quali a loro volta non hanno alcuna forza "contrattuale" né voce in capitolo rispetto al proprio stesso futuro. Di rado qualcuno di questi staterelli, tra pressioni e ricatti di ogni genere, viene accolto nei "salotti buoni": è il caso della Slovenia, che alla fine di marzo è entrata nella NATO e nella UE con un referendum pro-forma che ha mostrato ancora una volta lo scarso entusiasmo della popolazione (risicata la maggioranza per la NATO, ben più ampia quella per la UE). La situazione attuale nei Balcani, non solo in Serbia, è la dimostrazione clamorosa della ipocrisia delle grandi potenze. In particolare, le "ragioni umanitarie" sempre addotte dagli USA e dai loro alleati per far scoppiare le guerre hanno coperto uno spietato progetto di ricolonizzazione. Hanno fatto leva sulle "differenze etniche" ma non era altro che la applicazione del classico "divide et impera". Per sfasciare, hanno impiegato tutti gli strumenti possibili ed immaginabili, compresi i più inediti o "postmoderni": dalla disinformazione strutturata, che si giova oggi delle moderne tecniche di manipolazione del consenso, fino alla penetrazione tramite iniziative “culturali“ ed organizzazioni “non-governative“, versione attualizzata dei missionari di un tempo. Altre volte si è usato il più "tradizionale" appoggio a settori politici reazionari, fascisti, o direttamente criminali; si sono usati i bombardamenti, le occupazioni militari, la strategia della tensione... Ma la filosofia complessiva è stata sempre quella, colonialista, dell'"arancia": per meglio mangiarla bisogna suddividerla spicchio per spicchio; talvolta qualche spicchio si rompe, e bisogna sporcarsi le mani - di sangue. Eternamente presi in trappola nei deleteri tira-e-molla tra le grandi potenze, gli abitanti dei Balcani si trovano adesso a dover fare i conti con gli interessi contrapposti di europei e statunitensi, non potendo però giovarsi né degli uni né degli altri: nella impossibilità di trovare un equilibrio, essi sono costretti da una parte a sottostare a tutti i ricatti USA, dall'altra a subire la debolezza politica europea. Di fatto, né dall‘Europa né dall'America traggono vantaggi o prospettive per il futuro.

Il voto del Parlamento Federale jugoslavo del 4 febbraio scorso ha rappresentato un compimento simbolico di questo piano per lo squartamento della Jugoslavia, realizzato su procura delle consorterie occidentali da indegni rappresentanti politici locali - i rappresentanti cioè di quei ceti sociali reazionari da sempre ostili all'ideale di pace e di progresso denominato "Jugoslavia" (31). Essi hanno cancellato la “Jugoslavia“ dalle carte geografiche dando vita ad una "Unione di Serbia e Montenegro“ che è a sua volta precaria: lo status dovrà infatti essere ridiscusso tra tre anni, ed il nuovo Presidente del Montenegro, Filip Vujanovic - ultraliberista rappresentante della cricca di mafiosi e contrabbandieri al potere in Montenegro dal 1996 - promette il referendum per l'indipendenza (32). Persino all‘interno del governo dell‘Unione c‘è un‘ala, guidata dal “Ministro per le relazioni economiche internazionali“ Lukovac, favorevole alla separazione tra le due Repubbliche. Certamente anche per questo motivo il voto del Parlamento Federale è stato accolto con giubilo dal più grande "sponsor" di questa operazione, Xavier Solana, già ben noto alle popolazioni locali per avere comandato la aggressione militare del 1999. Analogo giubilo e sostegno è stato accordato alla classe dirigente serba in occasione della instaurazione dello "stato d'emergenza" lo scorso marzo: addirittura, con una mossa sorprendente la nuova effimera "Unione" è stata repentinamente accolta nel Consiglio d'Europa, proprio nei giorni in cui svariate migliaia di persone erano sbattute in galera ed i giornali di opposizione venivano chiusi. Il 30 marzo, in piena guerra all'Iraq, il Segretario di Stato USA Colin Powell ha effettuato una di per se eloquente visita a Belgrado, esprimendo entusiasmo per la svolta repressiva, e dunque  incoraggiamento e sostegno al regime "latinoamericano" che oggi opprime la Serbia; il premier serbo Zivkovic ha ricambiato a fine luglio, con una lunga visita negli USA; negli stessi giorni, il suo Ministro della Difesa sottoscriveva un accordo di cooperazione militare con Israele.

Dunque, nella cosiddetta “comunità internazionale“ c‘è chi sta operando affinché il processo di disgregazione dell'area prosegua, a partire dalla secessione del Kosovo-Metohija. Nella provincia, dove le strade principali sono state rinominate in onore di Bill Clinton, i sopravvissuti delle etnie “sbagliate“ vivono come in un enorme "lager", dovendo contare migliaia di desaparecidos ed uno stillicidio di morti ammazzati. A ferragosto la strage più recente: un gruppo di adolescenti serbi, che si riparavano dal caldo in riva ad un fiume, sono stati fatti oggetto del tiro-a-segno di vigliacchi nascosti fra i cespugli; in giugno, una famiglia di tre persone era stata fatta a pezzi, in senso letterale, per essersi rifiutata di abbandonare la propria casa ad Obilic e scappare, come altri 300mila serbi sono già stati costretti a fare. I regolamenti di conti tra bande politico-mafiose pan-albanesi rivali causano poi altrettanti morti. Questo Kosovo insanguinato ospita importanti basi militari straniere, come le statunitensi Camp Monteith presso Gnjilane e Camp Bondsteel presso Urosevac. Mentre i rappresentanti delle locali “istituzioni” monoetniche proclamano in ogni occasione che l’“indipendenza“ è vicina, i governatori occidentali del protettorato fanno eco garantendo che esso "non farà mai più parte della Serbia", spalleggiati con arroganza dalla lobby albano-statunitense di Biden, Dioguardi, Gillman, Santos, Bob Dole, Richard Holbrooke e... George Soros (33), tutti dichiaratamente favorevoli alla secessione non solo del Kosovo, ma anche del Montenegro.
In Serbia acquista peso ogni giorno di più anche il separatismo ungherese in Vojvodina, alleato della DOS. Lo stesso vale per il Sangiaccato, lungo il confine amministrativo tra Serbia e Montenegro, trait d'union tra Kosovo e Bosnia con una forte presenza di slavi musulmani e dunque “naturale“ completamento della balcanica "trasversale verde" (cioè musulmana) sognata da Izetbegovic.

Ma, dopo l'11 Settembre,  l‘ideale islamista cui si ispira Izetbegovic, autore di una inquietante “Dichiarazione Islamica“, appare arduo da realizzare financo nella “sua“ Bosnia-Erzegovina, ridotta anch'essa a protettorato NATO. D'altronde, impossibile appare lì il raggiungimento di un qualsivoglia status di unità e sovranità. Umiliate le sue “fondamenta“ jugoslaviste, la Bosnia-Erzegovina è oggi il fantasma di se stessa, e l‘unica prospettiva nel breve e medio periodo è il cronicizzarsi della dis-unione, ovvero della paralisi - sociale, economica, politica, ideale - generata dalla guerra fratricida prima, e dal regime di servitù occidentale poi. Occasionalmente, ma sempre in modo effimero, sembrano giovarsi di questa situazione le solite forze irredentiste: ad esempio i croati, che sono riusciti ad imporre (il 22 giugno scorso) la presenza del papa a Banja Luka, al centro cioè della entità serba. Un vero e proprio schiaffo simbolico, ed anche un insulto alla memoria del genocidio attuato nel 1942-1944 dagli ustascia ai danni della popolazione locale - genocidio mai menzionato dal papa.

Ulteriore disgregazione è in atto nella FYROM (34): anche in questa Repubblica ex-federata il micronazionalismo (pan-albanese) è stato fomentato dalla NATO negli anni passati. Nel 2001 esso è stato scatenato in particolare ai danni dei centri a più forte caratterizzazione “multietnica“, come Kumanovo, seconda città del paese, assoggettata ad un pesante assedio. È stata questa la punizione inferta alla sua cittadinanza mista, tollerante, lavoratrice, e specialmente alla sua componente serba protagonista di vaste manifestazioni contro l'aggressione della NATO nel marzo 1999.
Ogni esplosione della violenza terroristica serve a giustificare la ulteriore presenza delle truppe occidentali, oggi diffuse un po' dovunque nella regione, ridotta ad un patchwork di protettorati. Esse controllano le vie di comunicazione, in particolare proprio in FYROM e Kosovo, dove è stata avviata la realizzazione del cosiddetto Corridoio numero 8, sulla direttrice fra Albania e Bulgaria (35). All'inizio di settembre 2002, non appena nella FYROM le acque si sono un po‘ placate, è ufficialmente incominciata la costruzione del nuovo oleodotto tra Skopje e Pristina ad opera della Hellenic Petroleum S.A. (36). Un protocollo di intesa denominato Memorandum of Understanding (Mou), per la realizzazione del Corridoio, è stato poi sottoscritto il 9 settembre a Bari nell'ambito della Fiera del Levante dai Ministri dei Trasporti dei sei Paesi interessati (oltre ad Italia e Grecia, Turchia, FYROM, Bulgaria ed Albania) e sottoposto in fretta e furia alla Commissione UE: << il sistema comprende porti, aeroporti, centri intermodali, strade e ferrovie per collegare le regioni adriatico-ioniche con l'area balcanica e i Paesi del Mar Nero. (...) "Con l'intesa di oggi - ha detto il ministro Lunardi - si completa finalmente il disegno originario dei dieci corridoi pan-europei, iniziato nel 1991 con la conferenza di Praga, continuato a Creta nel 1994 e successivamente a Helsinki nel 1997, per estendere le reti transeuropee di trasporto verso i Paesi dell'est europeo e dei Balcani". Il cammino - ha aggiunto - è stato ''lungo e impegnativo, anche a causa delle crisi esistenti in alcune aree, che in un certo momento avevano fatto prospettare perfino la soppressione del corridoio''. In quest'anno, invece - secondo il ministro per le Infrastrutture - sia sul corridoio 5 [Ungheria-Slovenia-Trieste] sia sul corridoio 8 l'approccio è diventato concreto ed organico. >> Le risorse necessarie per l'Italia ammonterebbero a 2.106 milioni di euro (37).

Ma il contrasto con gli USA viene oramai alla luce del sole, in una fase in cui sta drammaticamente esplodendo la "grande crisi" del petrolio (38). Nei Balcani, come dappertutto, la cordata petrolifera anglo-americana (BP-Amoco-ARCO, Chevron e Texaco) si contrappone agli europei Total-Fina-Elf, ai quali l'italiana ENI sarebbe associata (benchè la posizione sui generis dell'Italia meriti un discorso a parte). Per questo gli anglo-americani sono in prima linea nell'interventismo militare e di intelligence nei Balcani, dove non disdegnano di usare il terrorismo di matrice islamista e filoturca per tenere in scacco tutta la penisola (39) così come già fanno nel Caucaso (vedi Cecenia). Proprio per quanto riguarda il Corridoio 8, si noti che dal 1996 anche il colosso energetico anglo-americano ha creato un consorzio specifico, denominato AMBO, sottoscrivendo accordi ad hoc nel tentativo di marginalizzare gli europei (40). Inoltre, proprio negli stessi giorni di settembre 2002 gli USA hanno presenziato alla firma di un ulteriore protocollo d'intesa, riguardante stavolta il cosiddetto Corridoio 10, cioè la direttrice danubiana, che va da Costanza sul Mar Nero fino ad Omisalj presso Rijeka/Fiume: una direttrice ancora bloccata, dopo la aggressione alla Serbia, ma di estremo interesse strategico per l'Europa centrale. Croazia, Romania e Serbia si sarebbero accordate per il ripristino delle infrastrutture; ma sono richiesti enormi investimenti (soprattutto in Serbia, ovviamente, dove il governo ha sbandierato l‘accordo a fini di propaganda interna) i quali dovrebbero venire dagli USA (41). Tuttavia oggi, dopo molti mesi, sembrano aver prevalso non solo la litigiosità insuperabile tra Serbia e Croazia, ma soprattutto l'effettivo interesse USA ad insabbiare per il momento qualsivoglia progetto di oleodotto balcanico... L'Iraq è infatti stato soggiogato; inoltre, un ben più interessante (per gli USA) progetto è stato avviato (guarda caso sempre nel settembre 2002!) per un oleodotto da Baku attraverso la Turchia fino a Ceyhan, direttamente cioè sul Mediterraneo: a tagliar fuori i Balcani, e con essi tutta l'Europa.


Una "rimozione" specificamente italiana

In questo teatrino di "sgambetti" tra i vari attori sul proscenio balcanico, l'Italia svolge un ruolo non irrilevante, per motivi oggettivi: basti guardare la cartina geografica, per comprendere come tanto il Corridoio 10 (con la progettata diramazione di Trieste) quanto il Corridoio 8 (per tutti i nostri porti adriatici) o il 5 (sempre per Trieste) siano tutti al centro dell'interesse del nostro paese, indipendentemente da quale risulterà essere la cordata imperialista "vincente". Questa nostra posizione geopolitica, se spiega gli enormi interessamenti ed investimenti degli ultimi dieci anni verso i Balcani, rende ingiustificabile la superficialità con cui è stata trattata la tragedia jugoslava nel dibattito pubblico italiano, ed intollerabile la specifica "rimozione" della problematica a sinistra e nel movimento contro la guerra. Peraltro, in Italia di “questioni“ in sospeso sulla Jugoslavia, e dunque di motivi di riflessione, ne abbiamo da ben prima del 1990. Dopo la fase "tardo-risorgimentale" (la I Guerra Mondiale, la italianizzazione forzata ed il nazionalismo slavofobo ad Est), sotto il Fascismo l'occupazione coloniale di vasti territori - da Lubiana a Pristina (1941-‘43) - fu particolarmente violenta. Vi erano campi di concentramento italiani in territorio slavo, ad esempio a Rab (Arbe), ma anche campi per prigionieri jugoslavi in territorio attualmente italiano, come a Cervignano del Friuli. Il tasso di mortalità in questi luoghi era molto alto; ciononostante la storiografia italiana su questo è un ulteriore "buco nero". (42)

Poi, dopo la rottura tra Jugoslavia e Cominform, nel 1948, uno specifico "trauma" e la sua conseguente "rimozione" hanno interessato i comunisti italiani. Chi scrive è convinto che anche questo vada considerato, se si vuole provare a ragionare sulle pregresse attitudini anti-jugoslave di larga parte della nostra sinistra. Infatti, con quella rottura furono in gran parte rescissi i naturali legami tra comunisti italiani e comunisti jugoslavi - compresi gli jugoslavi di lingua italiana presenti in Slovenia e Croazia, la cui bandiera è rimasta in tutti questi decenni il tricolore bianco, rosso e verde con la stella rossa al centro. Ma quei legami erano in gran parte i gangli nei quali scorreva la linfa dell'Italia partigiana, dell'antifascismo combattente: i cimiteri, nei quali a centinaia sono sepolti i partigiani jugoslavi che combatterono sulla penisola italiana (soprattutto nel centro Italia, ad esempio a Visso nelle Marche) sono stati dimenticati, come dimenticati, in una sorta di damnatio memoriae (C. Del Bello), sono pure gli episodi eroici della lotta fianco a fianco sulle montagne dall'una come dall'altra parte dell'Adriatico. Per non dire della Guerra Fredda che, dopo il '48, si è svolta anche tra comunisti, tra "vidaliani" e "titini" a Trieste (43). Una involontaria convergenza si determinò insomma in Italia tra una destra anticomunista, dunque antijugoslava, ed una sinistra comunista di scelta cominformista, dunque essa pure antijugoslava, a determinare un clima di ostilità generalizzata, potenziato da vari fattori sfavorevoli: i vecchi sentimenti nazionalistici, la Guerra Fredda, il ruolo di ambigui personaggi "trasversali", il periodico, "carsico" riaffiorare dei traumi della guerra e del dopoguerra - l'esodo da Istria e Dalmazia, le notizie di crimini commessi o presunti. (44)
 
In questo clima ostile si possono cercare alcune delle ragioni della non-comprensione della guerra, imperialista e fratricida, scatenatasi nel 1991. Nelle file del PCI sedevano (e siedono ancora oggi nelle file di vari gruppi parlamentari) quei personaggi - qualcuno persino di origine giuliana, slovena, istriana, eccetera - che curarono i rapporti internazionali del partito e dunque ben conoscono vicende, persone, luoghi, tendenze e problematiche politiche dell'area balcanica. In questi anni, queste persone hanno fatto completamente mancare il loro contributo, anzi spesso hanno giocato un ruolo negativo: dal sostegno ideologico ai secessionismi fino ai vergognosi bombardamenti della primavera 1999. Forti delle loro conoscenze e delle loro frequentazioni, in Italia ed in Jugoslavia, questi personaggi sono stati in vario modo attivi nelle sedi deputate alle produzione della “pubblica opinione“: nel sistema accademico o in quello dell'informazione, nella RAI come all‘"Unita'", nelle Fondazioni ed in varie strutture universitarie, come anche nelle piccole radio o nelle iniziative del pacifismo e dell'associazionismo... Giovandosi del clima di decadenza politico-culturale particolarmente deleterio “a sinistra" già dagli anni Ottanta, costoro hanno avuto gioco facile ad avvalorare, sulla guerra, chiavi di lettura insufficienti o del tutto fuorvianti (guerra "etnica", guerra "di aggressione serba", guerra "per la autodeterminazione"). Sovente, questi stessi personaggi "fanno" la diplomazia italiana in quelle terre, e mediano perciò anche la riconquista economica-coloniale, magari attraverso operazioni pseudo-umanitarie come la famigerata “Missione Arcobaleno“. Disgraziatamente assente è stata invece la voce dei partigiani, che avrebbe potuto rammentarci la eroica Guerra di Liberazione in Jugoslavia, inquadrando la questione delle nazionalità in una prospettiva storica; assenti pure i comunisti jugoslavi, che la nostra "sinistra" non ha mai interpellato a dire la loro sullo sfascio del loro paese, in questi anni.

Eppure rimane indispensabile, per chi oggi si dice comunista, poter disporre di strumenti autonomi di analisi ed interpretazione di questa Storia jugoslava a noi così vicina, nel tempo e nello spazio, così drammatica, e così piena di implicazioni. All‘uopo bisogna liberarsi da tutte le zavorre: oltre alle difficili, ma oramai anacronistiche eredità di cui sopra, c‘è il carico di molti anni di disinformazione, ci sono le interpretazioni ingenue in termini esclusivamente di "diritti umani", c‘è il "buonismo" di una sinistra che si è accorta con troppo ritardo che taluni attori, in questa faccenda, tutto sono fuorché ingenui... Bisogna in sostanza rendersi autonomi dalla pressione fortissima degli interessi in campo.

Nel frattempo, molte migliaia gli italiani in divisa a rotazione svolgono servizi cosiddetti di peacekeeping in quelle terre; ci si lamenta occasionalmente se qualcuno si ammala di leucemia o è vittima di qualche incidente; ma volendo andare al fondo del problema bisogna esigere, molto semplicemente, il ritiro di tutte le truppe italiane all'estero, e la fine delle politiche di ricolonizzazione comunque mascherate.


La Jugoslavia come paradigma di rimozione

Chi, in questi anni, ha guardato alla Jugoslavia, ha potuto vedere cose al di là di ogni immaginazione: dai rifornimenti massicci di armi attraverso i nostri porti (45), alla beatificazione di arcivescovi nazisti (46), allo stragismo operato per alzare la tensione, fino ai bombardamenti dei convogli di profughi e delle fabbriche presidiate dai lavoratori... Abbiamo saputo dell'addestramento delle formazioni separatiste da parte di agenzie di mercenari (47) e del ruolo di mercenari nostrani, mai processati per i loro crimini, come un tale Delle Fave. Tutto questo lo ha visto chi ha voluto vedere (48), chi invece non voleva vedere, ovviamente, non ha visto nulla: ha "rimosso".

Ma il tempo passa, e mese dopo mese quello che è successo alla Jugoslavia va replicandosi in tanti altri contesti, con ritmi sempre più rapidi e modalità sempre più sfacciate. Come in Jugoslavia anche in Iraq, ad esempio, hanno imparato bene che la guerra si prepara e si accompagna con la disinformazione strategica, gestita a livello globale da agenzie specializzate e corporation del settore, come la Hill&Knowlton, la Ruder&Finn, la ITN, il Rendon Group, gli istituti legati ai governi occidentali ed alla Fondazione Soros... Come in Jugoslavia, anche in Iraq la diffamazione delle classi dirigenti e la promessa di "dare alla popolazione locale un governo democratico" si sono rivelate un cinico imbroglio: l'Occidente ha portato distruzione, insediamenti militari, miseria, morte; porterà nuovi confini a dividere le genti, porterà divisione ed odio "etnico", e regimi coloniali repressivi ed antipopolari. Come in Jugoslavia, anche in Iraq la guerra "umanitaria" si è combattuta con l'uranio impoverito, con i bombardamenti sulle infrastrutture e sugli insediamenti civili, con conseguenze mortali sull‘economia, sull'ambiente e sulla salute. Come in Jugoslavia, anche in Iraq  gli imperialisti si litigano le risorse, le materie prime, il petrolio ed il gas naturale, e mirano a controllare militarmente tutte le rotte per il loro transito.

E come in Jugoslavia ed in Iraq, anche in Venezuela o a Cuba, in Siria o in Corea del Nord si presentano problemi analoghi. Comprendere la crisi jugoslava è condizione necessaria per capire le dinamiche di tutti questi scenari di crisi internazionale; viceversa, “rimuovere“ la Jugoslavia è nell‘interesse di chi non vuole che si capisca, affinchè il crimine si possa perpetrare. È per questo che il movimento contro la guerra dovrebbe avere consapevolezza e memoria dei fatti paradigmatici qui descritti, e dovrebbe battersi contro la "rimozione" della Jugoslavia, che di tutti gli scenari di guerra è a noi il più prossimo. Hanno provato a spiegarlo anche le sindacaliste della Zastava, intervenute dal palco di Piazza San Giovanni alla grande manifestazione del 15 febbraio scorso (49). Ma l'attenzione prestata è scarsa, e la rimozione sussiste a molti livelli: la Jugoslavia, a tutti gli effetti, è paradigma di rimozione (T. Bellone) - rimozione dalla Storia come dalla cronaca; rimozione che riguarda tanto la Jugoslavia "in grande" (RFSJ) quanto quella "in piccolo" (Serbia e Montenegro); rimozione geografica e politico-culturale; una rimozione che è stata operata in Italia come all'estero, ed ovviamente, soprattutto, nella stessa Jugoslavia, dove i traumi recenti sono stati violentissimi e "rimuovere" è talvolta una reazione indispensabile per la propria sopravvivenza. Di fatto, aprire il capitolo “Jugoslavia“ oggi significa aprire ferite non rimarginate, e questo non solo per gli jugoslavi ma per tutti quelli che sono a vario titolo coinvolti nella problematica, ciascuno con il proprio personale carico di esperienze dolorose (50). Tuttavia, i traumi personali non si superano se non si prende coscienza di che cosa veramente li ha causati, e la politica serve sicuramente allo scopo poichè va oltre, riguarda relazioni tra grandi masse che condividono, e sempre condivideranno, lo stesso spazio fisico e culturale. Per questo motivo bisogna assolutamente superare le barriere psicologiche innalzate dalla propaganda, simili a tante nuove "cortine di ferro" poste a dividere popoli, ed anche famiglie, o singole coscienze, al loro interno. In questo i non-jugoslavi possono essere utili quasi come uno psicanalista, o un semplice amico, è d’aiuto a superare traumi e ferite impresse nel profondo. Si tratta anche di valorizzare gli aspetti positivi di una identità, e di preservarne i tesori (51). Come le vite dei singoli, nemmeno la Storia ritorna indietro, ma è necessario che essa sia raccontata senza mistificazioni, altrimenti non c‘è futuro.
 
È molto significativa da questo punto di vista la tendenza, oggi riscontrabile in tutte le Repubbliche ex-federate come anche nelle comunità degli jugoslavi all'estero, a ricostruire Jugoslavie posticce, un po' come la "DDR in una stanza" del film "Good Bye Lenin": riserve della nostalgia, luoghi simbolici. Sono siti internet, circoli di militanti, o persino piccoli appezzamenti di terreno provocatoriamente consacrati al tricolore con la stella rossa. Tutto questo ha un suo preciso significato, ma certamente non può bastare. Quello che vige, in Serbia come in Bosnia ed altrove, è ancora uno stato di attesa, quasi di contemplazione della tragedia che si è consumata e tuttora si consuma, come quando si veglia un cadavere.  Passare da questa contemplazione passiva ad una disposizione positiva è necessario, ma certo non è automatico: i comunisti hanno subito gravi sconfitte; alle sinistre è concessa visibilità solo quando si adagiano nell’opportunismo; i sindacati sono stati frantumati, e dove la rabbia operaia è più forte spuntano come per miracolo, alternativamente, la violenza del terrorismo "etnico" oppure decine di sindacati "gialli"... Le condizioni materiali di sopravvivenza sono poi difficilissime, e dunque è assurdo il moralismo di chi pretende dagli jugoslavi quella capacità di organizzazione politica che nemmeno in Italia in fondo sappiamo esprimere, in condizioni ben più favorevoli. I tantissimi esuli all'estero devono innanzitutto pensare al lavoro, alla casa, a rifarsi una vita, e non potrebbe essere diversamente. Chiediamoci piuttosto come, alla questione, ci possiamo o ci dovremmo rapportare noi, comunisti italiani.

Chi ha seguito la vicenda jugoslava al di là della cortina fumogena della disinformazione ha potuto verificare come le guerre non nascano dalla "pazzia" né da "congenite attitudini criminali" di alcuno, ma siano piuttosto la logica espressione di questa fase storica: una fase storica contrassegnata dalla violenta espansione del capitale monopolistico transnazionale e dalla ricolonizzazione ai danni non solamente dei paesi del "Terzo Mondo", ma anche di paesi che sono nel cuore dell'Europa. In essi, tuttavia, la situazione è altamente instabile. Dalla disgregazione jugoslava non può nascere niente, nemmeno per le grandi potenze imperialiste - e quando esplodono le contraddizioni tra queste ultime, accompagnate dal logico risentimento popolare, il fittizio ordine vigente nei Balcani crolla come un precario castello di carte. Anche per questo motivo, non prestare attenzione a quanto lì avviene è un grave errore.


Note:

(1) Secondo un dispaccio "mortuario" dell'ANSA, diramato lo scorso febbraio dopo il voto del Parlamento Federale,  la Jugoslavia sarebbe stata addirittura "una polveriera durata 74  anni".
(2) Il 29 novembre 1943 a Jajce, nel cuore della Bosnia-Erzegovina, il Comitato Antifascista di Liberazione Nazionale (AVNOJ) poneva le basi del paese multinazionale, fondato nella eroica lotta contro le potenze occupatrici ed i collaborazionisti, rappresentati dai nazionalisti, nazisti e monarchici.
(3) AAVV: "NATO in the Balkans", ed. International Action Center, 1997; una versione italiana è uscita per Editori Riuniti: "La NATO nei Balcani", 1999.
(4) Persino la europea Commissione Badinter aveva sconsigliato il riconoscimento della Croazia a causa degli irrisolti problemi con la popolazione serba autoctona, nettamente contraria alla  secessione della Repubblica.
(5) Marzo 1992: l'ex ambasciatore USA a Belgrado, Zimmermann, invita musulmani e croati a ritirare la loro firma dall'accordo di Lisbona per la cantonalizzazione della Bosnia-Erzegovina.
(6) Sulle stragi "del pane" e di Markale a Sarajevo , e più in generale sul carattere strategico della disinformazione dei media,  si vedano ad esempio i libri di Michel Collon "Poker Menteur" e  "Monopoly" (ed. EPO, Bruxelles).
(7) Si vedano i contributi di S. Gervasi e M. Chossudovsk y su "NATO in the Balkans", op.cit.
(8) La "Lega Democratica del Kosovo" di Ibrahim Rugova e la sua  politica di separatismo su base etnica è stata appoggiata sin dal 1990 non solo da settori "pacifisti" e da militanti per i "diritti umani", ma anche da note centrali della disinformazione quali la Fondazione Soros e la Ruder&Finn Public Global  Affairs. Su quest'ultima agenzia di "lobbying" si veda: Jacques Merlino, "Les Verites yougoslaves ne sont pas toutes bonnes a dire" (Paris : Albin Michel, 1993). Per quanto invece riguarda il ruolo dell'UCK ("Esercito di Liberazione del Kosovo"), formazione armata "contras" attiva dal 1997, e l'appoggio a questa fornito da parte della NATO, si veda ad esempio l'ottimo libro di Juergen Elsaesser "Menzogne di guerra" (Napoli: La Città del Sole, 2002).
(9) In Italia la migliore documentazione su questo altro "buco nero" informativo è stata prodotta dal comitato Scienziate/i contro la Guerra: per i riferimenti ai testi pubblicati si veda il sito http://www.scienzaepace.it . Da segnalare anche il video "Bombe sulle industrie chimiche" di Sasha Adamek, nell'edizione italiana a cura di Alberto Tarozzi.
(10) Due fonti "insospettabili" ne parlano: la rivista "30GIORNI" diretta da Giulio Andreotti (sul n.2/2003: "A quattro anni dalla 'guerra umanitaria' in Kosovo. Dopo le bombe il caos") e "La Tribuna di Treviso" con una intervista a Massimo Cacciari (martedì 4/3/2003).
(11) Anche sulla questione della "pulizia etnica" e del terrore oggi instaurato nel Kosovo-Metohija esiste una preziosa documentazione video di M. Collon e V. Stojiljkovic. L'edizione italiana ("I dannati del Kosovo", 80min.) è disponibile presso "SOS Yugoslavia" di Torino (posta@resistenze. org).
(12) Trovare documentazione su questo argomento, nel buio di una censura di fatto, è arduo. Nondimeno segnaliamo gli articoli di Fulvio Grimaldi per questa rivista, nonchè gli opuscoli di  R. Giusti, A. Hoebel e F. Grimaldi (" La NATO in Jugoslavia: dalla guerra al colpo di Stato") e di E. Vigna ("Jugoslavia 2001"), editi da La Città del Sole (Napoli, 2001). La situazione jugoslava è comunque costantemente seguita dal bollettino JUGOINFO su internet (si veda : http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages/).
(13) Sulle campagne di solidarietà, ed il modo di contribuirvi, si veda ad esempio: http://www.ecn.org/coord.rsu/guerra.htm
(14) In effetti già dallo scorso autunno, in seguito al fallimento delle elezioni presidenziali tanto in Serbia quanto in Montenegro a causa della palese disaffezione popolare e del non-raggiungimento dei quorum, nel paese si è determinata una gravissima crisi istituzionale a tutti i livelli, che la trasformazione da "Federazione" ad "Unione" lo scorso febbraio, e l'attuale incertissimo iter per la riscrittura delle Costituzioni, non fanno altro che aggravare.
(15) Si tratta di "Nacional" e "Identitet", mentre al montenegrino "Dan" viene vietata la distribuzione in Serbia. Si tenga comunque presente che dopo l'ottobre 2000 insieme agli spazi di espressione politica in Serbia e Montenegro sono drasticamente diminuiti gli strumenti di comunicazione dei settori di opposizione anche per ragioni immediatamente economiche. Si deve inoltre registrare il fenomeno di acquisizione dei media da parte di società straniere: in particolare (oltre a Soros) da parte della Westdeutsche Allgemeine Zeitung di Bodo Hombach, che oggi possiede il principale  quotidiano belgradese "Politika", un tempo prestigiosa testata.
(16) Questo "Tribunale ad hoc" non va confuso con la preesistente Corte Internazionale atta a dirimere le controversie tra gli Stati,  che ha sempre sede all'Aia ma è organismo ben più legittimato.
(17) La presidentessa del Tribunale, Gabrielle Kirk McDonald, il 5 aprile 1999 veniva insignita di una onoreficenza dalla Corte Suprema degli USA. In quella occasione essa spiegava senza alcun imbarazzo: << Abbiamo beneficiato del forte sostegno dei governi interessati e degli individui che si sono adoperati, come il Segretario Albright. [Si noti che i bombardamenti sulla Jugoslavia erano iniziati da pochi giorni] Come rappresentante permanente alle Nazioni Unite, essa ha  lavorato incessantemente per creare il Tribunale. In effetti, noi  spesso ci riferiamo a lei come alla "madre del Tribunale"... >>
Dunque la "mamma" del Tribunale dell'Aia non è Emma Bonino!
(18) In un comunicato stampa diramato all'Aia il 19 aprile 1999 (JL/PIU/397-E) si legge: << Per conto del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia il Presidente del Tribunale, giudice Gabrielle Kirk McDonald, ha espresso il suo grande apprezzamento al governo degli Stati Uniti per la sua concessione di 500mila dollari USA destinati al Progetto Outreach del Tribunale. Harold Koh, Vice segretario di Stato USA per la democrazia, i diritti umani ed il lavoro, ha annunciato la donazione in una conferenza stampa presso il Tribunale venerdì 16 aprile 1999. Questa generosa contribuzione, che ammonta a più di un terzo del budget complessivo di Outreach, "consentirà al Tribunale" - come nota lo stesso Vice Segretario di Stato Harold Koh - "di portare il suo messaggio di giustizia imparziale non solamente ai governi ed ai rappresentanti legali dell'ex Jugoslavia, ma, soprattutto, alle famiglie delle vittime". >> Una dichiarazione tanto nobile da far venire le lacrime agli occhi, soprattutto se si pensa che questo signore mentre parlava rappresentava uno Stato - gli USA - che proprio in quei giorni stava causando dolori enormi e disgrazie a quelle stesse famiglie tramite i bombardamenti.
(19) Conferenza stampa tenuta il 17 maggio 1999.
(20) Le recenti incriminazioni ed arresti contro alcuni esponenti minori della "manovalanza" UCK non mutano questo quadro complessivo; lo stesso vale per l'arresto di Nasir Oric, musulmano della Bosnia responsabile di micidiali "sortite" delle sue truppe dalla "enclave protetta" di Srebrenica a danno dei serbi dei villaggi circostanti nel 1992-1993 - e dunque ben prima dei fatti del 1995 sui quali la stampa internazionale ha tanto insistito, benché la loro vera dinamica ed entità sia tuttora da chiarire (si veda in proposito in: Juergen Elsaesser, op. cit.). Nel caso dei croati, mentre nessun leader politico è stato "incriminato" dall'Aia, lo Stato croato ha finora negato ogni tipo di collaborazione anche per i militari responsabili della eliminazione fisica degli  abitanti serbi della Slavonia e delle Krajine.
(21) Franjo Tudjman, oggi defunto, è stato l'autore di testi revisionisti sul nazismo; Alija Izetbegovic, autore della "Dichiarazione Islamica" e legato all'Arabia Saudita, all'Iran, al Pakistan ed a Bin Laden, è sospettato di avere fatto parte dei filonazisti "Giovani Musulmani" durante la II Guerra Mondiale; i leader dell'UCK, anche macedone, sono personaggi ricercati dalle polizie di mezzo mondo per le loro frequentazioni criminali. Tutti costoro subirono condanne e spesso scontarono pene nella RFSJ per reati quale l'”istigazione all'odio tra le nazionalità”.
(22) La pagina 11467 degli Atti, relativa alla seduta del 10 ottobre 2002, resterà leggendaria poiché in essa per la prima volta nella storia un "magistrato" (Richard May) dichiara che la Corte accetta il "sentito dire" come prova.
(23) La "necessità" di una indagine contro Milosevic veniva annunciata alla conferenza stampa congiunta tenuta dalla "madre del Tribunale ad hoc", Albright, e dall'ex-procuratore Louise Arbour (successivamente sostituita dalla Del Ponte) a Washington D.C. il 30 aprile del 1999: si veda il documento ufficiale dell'ufficio del portavoce del Dipartimento di Stato USA: http://secretary.state.gov/www/statements/1999/990430a.html .
(24) A sottolineare il vero e proprio affronto operato da questi agenti della NATO nel governo serbo, ai danni del paese e della sua stessa dignità e memoria storica, basti guardare al giorno in cui il sequestro è avvenuto: 28 giugno, una data altamente simbolica per la nazione serba. Quel giorno, nel 1389 si concludeva la nota battaglia contro i Turchi; nel 1914 avveniva l'attentato di Sarajevo; nel 1989 Milosevic teneva il famoso discorso a Kosovo Polje, invocando la convivenza e la parità tra tutte le etnie (per il testo si veda: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1112 ).
Non è perciò un caso se una manifestazione internazionale contro il "Tribunale" dell'Aia è stata convocata dal comitato "Sloboda" all'Aia per il prossimo 28 giugno.
(25) La opinione contraria della Corte Costituzionale è stata formalizzata il 6 novembre 2001; il testo è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della RF di Jugoslavia N.70/01 il 28 dicembre 2001.
(26) I cosiddetti "Amici curiae", la cui scarsa serietà è dimostrata dal fatto che dopo pochi mesi uno di loro ha rilasciato alla stampa una intervista dicendosi convinto che Milosevic sarà condannato, e per questo è stato sostituito nell'incarico in seguito alle proteste di Milosevic.
(27) Neil Clark sul "New Statesman" del 28 aprile di quest'a nno a proposito del libro: "Yugoslavism: histories of a failed idea (1918-1992)" di Dejan Djokic (editor), Hurst & co. (369 pagine, ISBN 1850656630).
(28) La strana carriera di Carla Del Ponte risalta dalla clamorosa  intervista di J. Elsaesser al testimone-chiave nella vicenda Mabetex-Pacolli, Felipe Turover, che ha accusato la Del Ponte di avere  insabbiato l'inchiesta e di aver messo a repentaglio la vita dei testimoni (KONKRET, dicembre 2002. In italiano su: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2137 ).
(29) È oggi però possibile seguire le udienze (le cui trascrizioni oramai ammontano a molte migliaia di pagine) via internet sui siti:
http://www.slobodan-milosevic.org/
http://www.domovina.net/Icty/eng/room1.ram
http://hague.bard.edu/video.html
http://tribunal.freeserbia.com
(30) ''Hussein e Milosevic ... in quanto dittatori si assomigliano. Il problema che si pone il mondo civile è quello di annullare le potenzialità dei dittatori, per andare sempre più verso la democrazia ... Noi kosovari dobbiamo ringraziare Dio per l'intervento della NATO che è servito a salvare un popolo e una civiltà''. Rugova, testuale, dall‘ANSA del 13/02/2003.
(31) La cancellazione della "Jugoslavia" è stata un passaggio coerente nell’ambito del programma politico della DOS, di impronta reazionaria. Due fatti ulteriori, tra i tanti, possono attestare tale carattere reazionario:  Kostunica, nel suo primo discorso in piazza da presidente jugoslavo, a Belgrado durante il golpe del 2000, con un lapsus rivelatore salutava il pubblico rivolgendosi alla "Serbia libera" anziché alla "Jugoslavia libera"; tra i primi atti di natura simbolica effettuati dal governo Djindjic c’è stata la consegna del passaporto e della ex residenza reale (la “Casa Bianca”) all’”erede al trono” della famiglia Karadjordjevic, esiliato in Gran Bretagna sin dalla II Guerra Mondiale.
(32) Beta/Tanjug, 4 maggio 2003. Vujanovic è stato eletto l'11 maggio 2003 in elezioni cui ha partecipato meno della metà del corpo elettorale sia a causa del boicottaggio da parte dell'opposizione sia per il sentimento generalizzato di disaffezione e disprezzo, imperante nell'opinione pubblica. Nonostante vari tentativi di insabbiamento, proseguono le inchieste italiane sulla mafia del contrabbando di sigarette, che vedono implicati tra gli altri l'ex presidente Djukanovic (pure lui secessionista) ed il camorrista Francesco Prudentino (già residente in Montenegro). All‘inizio di luglio i PM della Procura della Repubblica di Napoli hanno chiesto l‘arresto di Djukanovic, che è oggi Primo Ministro, per “associazione per delinquere  finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri  (articoli 416 e 291 quater)“ (ANSA 4/7/2003). Questa inchiesta può essere anche vista come parte di una più ampia azione intrapresa dalla UE contro certe multinazionali statunitensi come la Philip Morris e la RJ Reynolds che si sono giovate del contrabbando (vedi: IWPR Balkan Crisis Report, No. 446). Un contrasto USA/UE dunque emerge in questa vicenda, come pure nella differenza di posizioni riscontrabile a molti livelli sul problema dello sfascio annunciato della “Unione“ serbomontenegrina.
(33) Il conte (sic) Nikolaus Graf Lambsdorf, capo dell’ufficio dell‘ex rappresentante speciale ONU in Kosovo Michael Steiner, dichiarava lo scorso 9 maggio durante una conferenza a Vienna che "il Kosovo non farà mai più parte della Serbia" (Beta, 11/5/2003); la portavoce di Steiner sottolineava: "il Kosovo non è una provincia della Serbia" (Beta, 11/5/2003). Il magnate George Soros – legato al National Endowdment for Democracy, cioè alla CIA, e pesantemente influente nei Balcani grazie alla rete delle sue organizzazioni cosiddette non-governative nonché grazie ai numerosissimi media sotto il suo controllo, compresa quella Radio B-92 che riecheggia nel nome i famigerati bombardieri statunitensi – ha spiegato ai governi UE “che cosa bisogna fare nei Balcani“ (sic) con un articolo pubblicato sul Financial Times del 23 maggio scorso, in vista del summit di Salonicco: come primo punto ci sono l'"indipendenza" del Kosovo-Metohija e la dissoluzione della "Unione" di Serbia e Montenegro. Stesse identiche sono le priorità secondo Richard Holbrooke (intervista a Koha Ditore, 12/7/2003).
(34) Sulla attuale situazione politica nella Repubblica ex-Jugoslava di Macedonia (FYROM) si veda il precedente articolo su questa stessa rivista (n.5/2002). Nulla è cambiato in questi mesi, a parte lo "scambio di ruolo" tra partiti secessionisti pan-albanesi, con i terroristi di Ahmeti oggi in doppiopetto al governo, ed i "democratici" di Xhaferri invece a proclamare la necessità di spaccare il paese in base a criteri "etnici".
(35) Si noti d'altronde che anche in Bulgaria, dove pure già vige un regime filo-occidentale come in Macedonia, la presenza di una minoranza turca costituisce per la NATO uno strumento potenzialmente utile per far saltare gli equilibri del paese non appena ciò sarà ritenuto necessario.
(36) La Grecia ha pure acquisito, tra grandi polemiche, la maggioranza delle azioni della raffineria Okta di Skopje. La Hellenic Petroleum, che ha una forte partecipazione russa, possiede oggi anche la Jugopetrol montenegrina (Tanjug 11/10/2002).
(37) Dispacci AP 7/9/2002, ANSA 9/9/2002.
(38) Sulla crisi del petrolio come chiave di lettura delle “nuove guerre“ si veda: A. Di Fazio, in "Contro le nuove guerre", Odradek 2000 (http://www.scienzaepace.it ); sulla conflittualità interimperialistica nella “corsa“ all‘accaparramento dei combustibili fossili si vedano invece i materiali di M. Chossudovsky ed altri, pubblicati su http://www.globalresearch.ca . Negli scorsi anni, gli europei sono "arrivati prima" in Asia Centrale, ad esempio in Kazakistan, anche grazie ad una politica di avvicinamento alla Russia, ma nei Balcani essi hanno agito in maniera paradossalmente autolesionistica: i bombardamenti del 1999 hanno di fatto nuociuto a causa dei gravi danni arrecati alle infrastrutture dell'asse danubiano (il "Corridoio 10"). La "guerra infinita" proclamata dagli USA dopo l'11 Settembre sta inoltre ridisegnando completamente la geopolitica del petrolio. La recente aggressione USA-GB contro l'Iraq ha colpito gli interessi petroliferi francesi e russi, e sembra scalzare via gli europei anche dalle posizioni che sembravano acquisite.
(39) Si noti la sequenza degli eventi: all'inizio del 2000, la Commissione Europea aveva avviato con la Bulgaria, la FYROM e l'Albania le negoziazioni per l'ingresso nella UE. Nell'aprile del 2001 la FYROM era diventata il primo paese dei Balcani a firmare un "accordo di stabilizzazione e associazione". Ecco allora che, proprio negli stessi giorni, il terrorismo dell'UCK, armato ed addestrato adesso soprattutto dagli angloamericani, esplode in tutta la sua violenza, per portare viceversa il paese alla de-stabilizzazione ed allontanarlo dalla UE. Il capo della missione OSCE in Macedonia Robert Frowick (statunitense) ha voluto legittimare l'UCK macedone come interlocutore e porre la FYROM sotto ricatto; secondo vari osservatori, tra quell'UCK e gli europei (specialmente i tedeschi) i rapporti invece non sarebbero più tanto idilliaci.
(40) Il consorzio AMBO ("Albanian, Macedonian and Bulgarian Oil") ha sede legale negli USA ed è direttamente collegato al potere politico-militare statunitense attraverso la famigerata Halliburton, la società del vicepresidente USA Dick Cheney già appaltatrice delle forniture e della stessa costruzione della base di Camp Bondsteel (tramite l'associata Brown & Root), ed ora di tutta la enorme "torta" irachena.
(41) Precisamente, gli investimenti erano stati promessi in luglio dalla US Trade and Development Agency (Tanjug 22 e 23/7/2002), ed il protocollo tra Croazia, Romania e Serbia è stato firmato il successivo 10 settembre.
(42) Sui crimini di guerra italiani nei Balcani durante la II Guerra Mondiale va segnalato il documentario della BBC "Fascist Legacy", che pur essendo stato censurato dalla RAI sta circolando in una miriade di iniziative, grazie all'impegno della militanza diffusa ed in particolare in seguito ad una iniziativa-dibattito organizzata  dal Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia a Torino. Ma i "buchi neri" sono tanti ed a vari livelli: dall'addestramento dei terroristi "ustascia" di Pavelic in Italia negli anni Trenta, fino alla creazione della Grande Albania nazifascista, passando per il trafugamento del Tesoro della Banca Nazionale di Jugoslavia nel 1941 (episodio del quale fu protagonista un giovanissimo Licio Gelli), la Storia del ruolo italiano nei Balcani è stata scritta poco e male.
(43) "Vidaliani" dal nome di Vittorio Vidali, leader del PCI triestino e della sua tradizione "cominformista". Subito dopo il 1948 a Trieste la tensione tra comunisti di diverso orientamento - non sempre coincidente con l'appartenenza nazionalitaria! - era alle stelle. La figura di Tito a Trieste continua ad essere soggetta a rimozione, o all'uso esclusivo della propaganda delle destre, nonostante Trieste sia stata liberata dal IX Korpus jugoslavo. Al di là della rottura Tito-Stalin - che comunque nel merito non c'entrava niente con la storia ed i rapporti diretti tra comunisti italiani e jugoslavi - nel PCI si ritenne di poter trarre ulteriore legittimazione nazionale ed istituzionale posizionandosi sulla questione di "Trieste italiana" (1953). Tito e la Jugoslavia accettarono di buon grado la mediazione di Togliatti, e presto abbandonarono ogni rivendicazione su Trieste, città che pure avevano liberato nel 1945 e che sarebbe altrimenti rimasta "territorio libero" (T.L.T.). Ma a Trieste/Trst la popolazione slava era e resta una grande percentuale degli abitanti, soprattutto nei quartieri popolari, nelle periferie operaie e nei sobborghi carsici, che sono tuttora di lingua slovena.
(44) Le ragioni dell'esodo furono molteplici, ma esso non fu dovuto ad una ostilità di carattere nazionalitario come vorrebbe certa storiografia neofascista. Da una parte, il moto migratorio dalle campagne alle città in quell'epoca era generalizzato, e comportò ad esempio anche la emigrazione di triestini ed istriani verso città industriali più grandi, ed anche verso l'estero; dall'altra, interagirono fattori di carattere politico-ideologico (anticomunismo ovvero accuse di collaborazionismo), tanto è vero che in quel periodo Trieste pullulava di esuli sloveni, croati e serbi legati ai movimenti fascisti e nazisti delle loro terre.
Per quanto riguarda le "foibe", va premesso che durante la guerra, dopo l'8 settembre, Trieste ed il suo entroterra divennero parte della regione del Terzo Reich denominata "Adriatisches Küstenland". In questa regione il collaborazionismo - di ogni "etnia" - si rese responsabile di crimini facilmente immaginabili. La risposta a tutto questo, da parte dei partigiani, fu quella necessaria e ben raramente sconfinò nelle vendette personali. Di fatto, queste ultime - regolarmente sottoposte a giudizio dai Tribunali jugoslavi nel dopoguerra - causarono assai meno lutti nella regione giuliana di quanto nello stesso periodo non successe, ad esempio, in  Piemonte o in Emilia-Romagna. Eppure, nel clima della Guerra Fredda, sui media italiani la questione delle "foibe" assunse per la pubblica opinione italiana connotati abnormi, legandosi alle operazioni di guerra psicologica dei servizi segreti, in quella zona imperniati attorno alla Decima Mas ed alla Gladio. Questa campagna ha ripreso particolare enfasi dopo il 1991 come forma di pressione su Slovenia e Croazia (cfr. C. Cernigoi, "Operazione Foibe a Trieste", ed. KappaVu, Udine 1997). Per inciso, mentre la campagna sulle "foibe" - peraltro iniziata dalla stampa nazista dell'Adriatisches Küstenland – si avvale oggi del contributo in senso revisionista di storici di “centrosinistra” ed arriva a lambire persino l'insegnamento nelle scuole dell'obbligo, nella stessa Italia vengono sottaciuti gli episodi relativi ai crimini di guerra italiani, e raramente si ricorda cosa fu il campo di concentramento nazista della Risiera di San Saba, proprio dentro la città di Trieste.
(45) Talvolta usando persino convogli di organizzazioni religiose o umanitarie, quali la Croce Rossa e la "Kruh Svetog Antuna" legata alla Caritas.
(46) Alojzije Stepinac, "icona" del nazionalismo croato, è stato beatificato da Wojtyla il 3/10/1998. Sul clerico-nazismo croato si veda: M.A. Rivelli, "L'Arcivescovo del genocidio" (Kaos Edizioni: Milano 1999).
(47) Come la Military Professional Resources Inc., con base in Virginia (USA), che ha tra l‘altro assistito la Croazia nelle operazioni “Lampo“ e “Tempesta“, con le quali nel 1995 le zone a maggioranza serba sono state svuotate della loro popolazione autoctona, nella criminale indifferenza della “comunità internazionale“.
(48) La letteratura utile a ripercorrere le recenti fasi della “rimozione“ della Jugoslavia è scarsa, e quasi mai tradotta in italiano. Oltre ai testi già segnalati, merita grande attenzione la analisi cronologica di Diana Johnstone: “Fools' Crusade: Yugoslavia, Nato, and Western Delusions“ (Monthly Review Press, 2003, ISBN 1-58367-084-X). Un altro testo “compilativo“ abbastanza aggiornato è “Hidden Agenda: U.S./NATO Takeover of Yugoslavia“ (International Action Center, 2002, ISBN 0-9656916-7-5), che contiene i contributi di molti autori.
(49) Il movimento di solidarietà alla Jugoslavia in Italia negli anni si è trasformato. Paradossalmente, i bombardamenti della NATO hanno fatto da “volano“ per la riflessione e la iniziativa, rendendo la problematica jugoslava e serba meno impopolare e più decifrabile, benchè la situazione sul campo stesse drammaticamente degenerando, fino alla attuale cancellazione del paese dalle cartine geografiche. La fase che stiamo vivendo oggi è una fase di maturità dal punto di vista dell‘analisi ma anche di parziale riflusso dell‘impegno. Ciononostante, il movimento di solidarietà è tuttora vivo e vegeto, e va registrata positivamente la nascita continua di nuove voci ed iniziative. Rispetto ad un approccio meramente moralistico o solidaristico-emergenziale, tipico della comune pratica di “volontariato“, il caso specifico jugoslavo offre la possibilità di legare assieme immediatamente l‘iniziativa umanitaria al suo significato politico, internazionalista ed antimperialista, ad esempio attraverso l‘esperienza con i lavoratori bombardati ed i loro problemi, oppure constatando sul terreno l‘esistenza di una disinformazione strategica. La problematica jugoslava è però risultata finora troppo poco presente nel più ampio movimento contro la guerra, per molti motivi, tra i quali sicuramente anche una certa incapacità di interscambio e coordinamento tra le iniziative, che ne impedisce la valorizzazione. 
(50) Psicologicamente, il meccanismo di distruzione e “rimozione“ interiore della Jugoslavia assomiglia forse a quello che succede in una coppia, quando i due partner si infliggono reciprocamente ferite gratuite al momento di lasciarsi e seppelliscono le memorie dei momenti belli vissuti insieme per potere andare avanti. Oppure assomiglia alle separazioni e alle scissioni interiori che seguono certe liti famigliari tra fratelli: allo stesso modo, gli jugoslavi tendono ad essere profondamente ingiusti con il proprio passato, a costruire di esso rappresentazioni false, e ad infliggersi ferite ulteriori.
(51) Si tratta dell‘energia creativa testimoniata dalla musica ritmica e dalla cinematografia che tanto successo ha avuto negli ultimi anni; del patrimonio artistico, architettonico e letterario, frutto di tante contaminazioni; del patrimonio naturale, dello sport, dei prodotti tipici... Di tutto quanto insomma va a costituire una identità vitale, affascinante e positiva, da contrapporre ai miti di potenza, identitari, nazionalitari, reazionari e bigotti, vomitati sull‘area balcanica dagli Imperi avvicendatisi nella sua colonizzazione (tedesco-europeo, ottomano, yankee).



Questo testo è in larga parte basato sulla documentazione disponibile, a cura del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (CNJ), sull'archivio del notiziario telematico JUGOINFO: http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages
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