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Kosovo, bilancio di sei anni di "indipendenza"

1) Il Kosovo, un modello spaventoso dell’Europa di domani
2) By bombing Yugoslavia US wipes floor with int'l law - expert
3) NEWS: ferimento di tre poliziotti serbi / presidente ceco Zeman diffida di un "Esercito kosovaro" / minacce sul portone del monastero serbo Visoki Dečani
4) Kosovo, un Paese con poche speranze: bilancio di sei anni d’indipendenza (G. Tesoro)


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Il Kosovo, un modello spaventoso dell’Europa di domani

05 Maggio 2014 
da “Solidarité Internationale PCF” | Traduzione di Massimo Marcori per Marx21.it


Che ne è del Kosovo, 15 anni dopo l’intervento della NATO, e dopo cinque anni dalla sua indipendenza dai risultati tragicomici?

Sul piano economico e sociale, è un disastro. Ufficialmente, quasi il 50% della popolazione è disoccupata sui 2 milioni di abitanti che conta il paese, in una popolazione in cui il 75% ha meno di 35 anni.

Le cifre della povertà sono spaventose: un terzo della popolazione vive con meno di 1,5 dollari al giorno, fatto che pone il Kosovo tra i paesi più poveri d’Europa e del mondo.

Infernale per il suo popolo, il Kosovo è certamente un paradiso per le imprese poiché il paese ha scelto la “flat tax”, un tasso di imposizione unico per le imprese e per i redditi (alti) al 10%.

Sul piano politico, è un paese sotto tutela. Ironia dell’indipendenza di facciata. Nel 1999, il primo segno di indipendenza del Kosovo è stato quello di adottare il…marco. Il Kosovo, ha potuto però entrare in seguito nell’euro, senza essere nell’UE, un caso unico.

Il paese è ancora completamente assistito, retto dalle potenze straniere: così l’Unione europea dirige ancora la polizia, la giustizia e le dogane del paese nell’ambito dell’EULEX messo in piedi nel 2008, dopo l’indipendenza.

La KFOR della NATO, esercito di occupazione del Kosovo, si incarica ancora di seguire l’aspetto militare a partire dalla preziosa base di Bondsteel, la più grande base americana nella regione.

Sul piano umanitario, si raggiunge il colmo. Il non rispetto della minoranza serba è stato palese sulla scia dell’intervento NATO nel 1999. Soprattutto dopo l’indipendenza, il Kosovo è divenuto lo snodo di traffici di tutti i tipi, della criminalità organizzata, sotto lo sguardo impotente o complice delle “autorità”dell’UE e della NATO.

E’ ormai accertato dopo il rapporto Marty rimesso nel 2010 al Consiglio d’Europa, che i leaders dell’UCK (esercito di liberazione del Kosovo) hanno organizzato un traffico di organi internazionale a partire dalle loro scorte di prigionieri serbi barbaramente torturati e poi uccisi sommariamente.

Si conosce bene l’ipocrisia dei paesi occidentali che classificarono l’UCK come organizzazione terrorista fino alla fine degli anni 1990…prima di celebrarli come i “liberatori del Kosovo” dopo il 1999, Bernard Kouchner in testa.

Tra gli altri traffici fiorenti, si può pensare: al traffico di armi, il Kosovo è la prima filiera di armi illegali verso la Francia!; al traffico di droga, l’eroina ha finanziato lo sviluppo dell’UCK. Oggi 60 tonnellate transitano ogni anno, riportando 3 miliardi di dollari. Nel 2000, le agenzie internazionali stimavano che il 40% dell’eroina consumata in Europa provenisse dal Kosovo; infine al traffico di donne, i canali kosovari alimentano la prostituzione illegale verso l’Europa occidentale. La prostituzione si era egualmente sviluppata in modo intenso nel Kosovo a causa…dell’appetito dei soldati della KFOR che, secondo un rapporto di Amnesty International, rappresentavano il 20% dei clienti delle prostitute kosovare nel 2003. Ragazze ridotte alla schiavitù sessuale, a volte fin dall’età di 11 anni, secondo le ONG.


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6 May 2014, 15:52

By bombing Yugoslavia US wipes floor with int'l law - expert

15 years ago the United States cut up Yugoslavia's map. If prior to that Washington had played behind the scenes, in the situation of Serbia the Americans acted openly. Without the UN SC resolution, the NATO bombed peaceful cities for 11 weeks ruthlessly destroying the civilian and military infrastructure, thus in essence wiping the floor with international law.

What in the West would later be called "humanitarian intervention" has in fact nothing to do with humanism – 78 days of bombing took lives of 2,000 people, two thirds of whom were peaceful civilians. Over 10,000 people were wounded.
By late 1990s the USA finally took the leading position in the world politics. Back then Washington faced a new task – to install that fact firm in the minds of the world community. The American authorities picked Yugoslavia as the instrument of persuasion.
The antiterrorist operation of the Serbian Special Forces in the village of Račak in January 1999 was picked as the pretext for the bombings of that country. Portraying that case as a mass murder of civilian population the USA announced the beginning of the "humanitarian intervention" and started to ruthlessly destroy the civilian and military infrastructure of Yugoslavia without any decision made by the UN Security Council. By acting that way Washington practically wiped the floor with international law, thinks Vladimir Kozin, an expert at the Russian Institute for Strategic Studies.
"For 78 days the Americans and the NATO bombed Yugoslavia; they dropped 27,000 tons of various missile and bomb ammunition; 2,000 civilians were killed, of them 400 children; 40,000 houses were destroyed."
Only later it came to light that the mass burial of representatives of the civilian Albanian population reportedly shot by the Serbian troops was a falsification organized by the American special services. The majority of people found near the village of Račak were rebels of the Liberation Army of Kosovo.
The NATO aggression resulted in the fall of Yugoslavia. The economy of the countries that made up that entity was totally destroyed; the agriculture was eliminated by a wave of sanctions, while the industrial production was practically completely demolished.
Washington did not choose Yugoslavia as its victim accidentally. According to Elena Guskova, head of the Center for the Studies of Modern Balkans' Crisis at the Institute for Slavic Studies of the Russian Academy of Sciences, the military aggression against that country was a part of a complex operation to destroy the multinational state.
"The causes were the refusal of Yugoslavia's leadership to take orders and its unwillingness to accept the will imposed from the outside. The talks between Slobodan Milošević and Richard Holbrooke (who back then was the US Special Envoy to Cyprus and Yugoslavia) in October 1998 did not bring the desired results. Slobodan Milošević did not allow deploying NATO troops on his territory. Then he was told, "we will punish you"."
As a result of the NATO operation Kosovo declared its independence. That was what Washington was after. The Americans immediately built their military base Camp Bondsteel there – second largest in Europe. It allows the USA to control the area of the Mediterranean and the Black Sea and the routes in the Middle East, Northern Africa and in the Caucasus, as well as the transit of energy resources from the Caspian Region and Central Asia. For the USA its military base in Serbia is quite legal and beneficial. The Americans do not pay for the use of the land in Kosovo.

Ksenia Melnikova


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Ufficio per il Kosovo ha condannato il ferimento di tre poliziotti


01. 04. 2014.

L’ufficio dell’esecutivo serbo per il Kosovo ha condannato il ferimento di tre poliziotti di nazionalità serba nel villaggio Banje, nel comune di Zubin Potok nel Kosovo settentrionale. L’ufficio ha chiesto alla comunità internazionale di assicurare le condizioni per una vita normale a tutti gli abitanti del Kosovo. Chiediamo che siano trovati e puniti i delinquenti che nell’imboscata hanno aperto il fuoco contro il veicolo nel quale si trovavano i membri della polizia doganale. Condanniamo ogni forma di violenze contro i cittadini della regione, in primo luogo gli attacchi contro gli appartenenti delle forze di sicurezza, è stato precisato nel comunicato diffuso dall’ufficio dell’esecutivo serbo per il Kosovo. Tre membri della polizia kosovara sono stati feriti lunedì sera nella sparatoria nel comune di Zubin Potok.


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Il presidente Ceco Zeman: “L’ armata kosovara” – riarmamento del UCK terroristico.

Zeman: "Kosovska armija" - ponovno naoružavanje terorističke OVK


Sre, 02/04/2014

Stvaranje takozvane "kosovske vojske" značilo bi ponovo naoružavanje pripadnika terorističke Oslobodilačke vojske Kosova, izjavio je predsednik Češke Miloš Zeman tokom posete Srbiji. S obzirom na to da je OVK za vreme ratnih sukoba u Pokrajini izvodila terorističke akcije, plašio bih se formiranja "kosovske vojske" koja ne bi predstavljala ništa drugo do ponovo naoružanu OVK - rekao je Zeman češkim novinarima. On je napomenuo da je raspuštanje OVK bilo jedan od glavnih zahteva tokom mirovnih pregovora o Kosmetu. Češki predsednik je podsetio i na dokument specijalnog izvestioca Saveta Evrope Dika Martija u kojem se navodi da su lideri OVK trgovali organima otetih i zarobljenih Srba. Ukazujući da samoproglašenu nezavisnost Kosmeta nije priznao veliki broj zemalja i da je on lično od početka bio protivnik takvog projekta, Zeman je ocenio da je reč o teritoriji na kojoj veliki uticaj ima narko mafija.

(izvor : Tanjug)


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In Kosovo sta rinascendo l’esercito di liberazione che era stato messo al bando?

Di Redazione • 03 apr, 2014 • Categoria: Mondo


La Repubblica ceca ha espresso una forte preoccupazione per il formarsi di una forza militare ufficiale nel paese che si è reso indipendente dalla Serbia nel 2008




Per il presidente ceco Milos Zeman, la creazione di regolari Forze armate del Kosovo, annunciata dalla dirigenza di Pristina, significherebbe in definitiva un riarmo di quello che era un tempo l’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) della guerriglia indipendentista albanese, responsabile di azioni terroristiche durante il conflitto armato con i serbi della fine degli anni novanta. «Considerando che durante la guerra nella ex Jugoslavia l’Uck si rese responsabile di una quantità di atti terroristici, io avrei paura di un Esercito indipendente in Kosovo, che altro non sarebbe che una Uck armata», ha detto Zeman ai giornalisti cechi al suo seguito nella visita degli ultimi due giorni a Belgrado.

Zeman, il cui Paese ha riconosciuto l’indipendenza di Pristina, ha ricordato che lo scioglimento dell’Uck era uno dei punti qualificanti degli accordi di pace. «Ora tuttavia quella forza viene in sostanza ripristinata. Io ritengo che il Kosovo sia un Paese a dir poco molto strano. Un Paese sotto il forte influsso del traffico di droga», ha affermato il presidente ceco, che ha ricordato al tempo stesso come l’Uck – uno dei cui leader era l’attuale premier kosovaro Hashim Thaci – è sospettato del traffico di organi umani, accuse presentate nel 2010 anche dal relatore del Consiglio d’Europa Dick Marty.

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da www.glassrbije.org 

Messaggi di minacce sul portone del monastero serbo Dečani Alti

25. 04. 2014. 

Sul portone del monastero Serbo Decani Alti, nel Kosovo sud-occidentale, stamattiona sono apparse le iscrizioni UCK, cioè l’Esercito per la liberazione del Kosovo, ha comunicato l’eparchia di Raska della Chisa serba ortodossa. Questa è soltanto l’ultima provocazione della popolazione albanese che ha scritto messaggi simili anche sul muro della chiesa ortodossa a Djakovica, e sulle case serbe a Orahovac. Il portone del monastero Decani Alti, il quale è stato inserito nel 2005 nella lista dell’UNESCO del patrimonio mondiale, si trova a una decina di metri dal contingente italiano della Kfor. I messaggi del genere sono una minaccia ai sacerdoti e i monaci del monastero, i quali negli ultimi quindici anni sono stati attaccati quatro volte con le armi da fuoco e innumerevole volte verbalmente, ha comunicato l’eparchia di Raska della Chisa serba ortodossa.

 

Grafiti UČK ispisani na kapiji Manastira Visoki Dečani

Pet, 25/04/2014

Na kapiji Manastira Visoki Dečani su osvanuli grafiti sa natpisom UČK, takozvane Oslobodilačke vojske Kosova, saopštila je Eparhija Raško-prizrenska. Ovo je poslednji u nizu sličnih provokacija albanskih ekstremista koji su prethodno poruke mržnje ispisivali na zidu crkve u Đakovici, a potom na srpskim kućama u Orahovcu na Kosovu i Metohiji. Ekstremisti su grafite ispisali na samoj manastirskoj kapiji u Visokim Dečanima i to svega nekoliko desetaka metara od italijanskog punkta KFOR-a. Eparhija Raško-prizrenska ovaj akt doživljava kao otvorenu pretnju Manastiru Visoki Dečani i njegovom bratstvu koji su u poslednjih 15 godina takozvanog međunarodnog mira na Kosovu i Metohiji četiri puta oružano napadani granatama od strane albanskih ekstremista, i kojima su više puta upućivane pretnje.

Kancelarija za KiM osudila ispisivanje grafita „OVK“

Kancelarija za Kosovo i Metohiju osudila je ispisivanje grafita sa natpisom „OVK“ na manastirskoj kapiji u Visokim Dečanima i zatražila da KFOR preuzme svu odgovornost za bezbednost monaha u toj srpskoj svetinji. To je još jedan vid pritiska na bratstvo Visokih Dečana i na bezbednost celokupnog srpskog kulturnog i verskog nasleđa na KiM, istaknuto je u saopštenju Kancelarije. Ukazuje se da je poruka jasna - proterati pravoslavne sveštenike sa KiM, a sa njima i celokupno srpsko stanovništvo, na čemu albanski ekstremisti rade već godinama. Kancelarija podseća da nisu pronađeni ni oni koji su nedavno ispisali poruke mržnje na crkvi u Đakovici i na srpskim kućama u Orahovcu. Parole su osvanule na manastirskoj kapiji pored koje se, na udaljenosti od svega nekoliko desetina metara, nalazi italijanski punkt KFOR-a. Manastir Visoki Dečani je od 2005. godine na spisku Svetske baštine UNESKO-a.

(Izvor: Tanjug, foto: radioKiM)



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17.02.2014 10:07 CET

Kosovo, un Paese con poche speranze: bilancio di sei anni d’indipendenza

Gabriella Tesoro


Era il 17 febbraio 2008 quando il Parlamento del Kosovo, riunito in seduta straordinaria, dichiarò unilateralmente la propria indipendenza dalla Serbia, a 15 anni di distanza dal sanguinoso conflitto che coinvolse i due Paesi. Quel 17 febbraio, il primo Stato a riconoscere l'indipendenza di Pristina fu la Costa Rica, seguito il giorno dopo dai più importanti Paesi del mondo, come Germania, Italia, Francia, Regno Unito e Stati Uniti. Oggi, a sei anni di distanza, il Kosovo è riconosciuto come Stato sovrano da 105 Paesi del mondo, di cui 23 dell'Unione europea. A opporsi fortemente rimangono Spagna, Grecia, Cipro e Romania, che vedono in questo riconoscimento una gravissima minaccia interna a causa delle forti forze centrifughe che regnano in questi Paesi, senza contare ilsecco "no" di Russia e Cina, oltretutto membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ribadiscono la validità della risoluzione Onu 1244, che mette il territorio kosovaro sotto la sovranità della Serbia.

Un'indipendenza che lascia ancora oggi perplessa la comunità internazionale. Nel luglio del 2010, il caso finì al Tribunale dell'Aja in quanto, su iniziativa di Belgrado, venne chiesto alla Corte se la dichiarazione d'indipendenza del Kosovo avesse violato le norme del diritto internazionale. I giudici dichiararono l'azione di Pristina non illegale, ma si guardarono bene dal definirla legittima, tant'è che il verdetto finale non formulò un diritto alla secessione. Insomma, punto e a capo.

Se da una parte il dibattito sullo status del Kosovo è ancora aperto, dall'altro il Paese sta facendo degli enormi sforzi per essere accettato a pieno titolo dalla comunità internazionale, ma, per fare questo, Pristina ha compreso che deve come minimo cercare di normalizzare i rapporti con i vicini di Belgrado che, volente o nolente, rimane comunque il Paese più influente e importante dei Balcani occidentali. Lo scorso aprile, i due acerrimi nemici hanno raggiunto un accordo di pace a Bruxelles, ma un riconoscimento ufficiale da parte della Serbia rimane molto, molto lontano. "Sono convinto che la Serbia riconoscerà l'indipendenza del Kosovo - ha affermato il premier kosovaro, Hashim Thaci - Quando accadrà? Dipende dalle autorità serbe. Non possiamo definire una data". Stesso problema è rappresentato dalla Russia, ma anche in questo caso, il premier pare ottimista: "Ho la speranza e la convinzione che anche la Russia cambierà posizione. Il Kosovo e la Russia non sono nemici. La Russia non riconosce ancora l'indipendenza del Kosovo, a causa di Belgrado, ma se lo farà, questo aiuterà anche la Serbia".

Il problema però consiste in due popolazioni estremamente divise che non vedono di buon occhio i progressi che i propri governi cercano di portare avanti. "I nostri popoli non sono abituati alla pace tra Kosovo e Serbia - ha continuato Thaci - Direi persino che ci avrebbero applaudito, a Pristina come a Belgrado, se l'accordo fosse fallito. Abbiamo firmato questo accordo nella prospettiva europea dei nostri Paesi, anche se ci sono state molte critiche in Serbia e in Kosovo. Maquale sarebbe l'alternativa? Dovremmo continuare con i conflitti, i problemi, le ostilità, le uccisioni, la violenza?".

E, difatti, normalizzati i rapporti con Pristina, Belgrado ha avviato i colloqui per entrare nell'Unione europea. La questione è molto più complicata per il Kosovo che non fa nemmeno parte dell'Onu proprio a causa del veto di Mosca e Pechino.

Inoltre, il Paese, ha una miriade di problemi interni. In primis, la situazione finanziaria. La disoccupazione ha raggiunto la cifra record del 45 per cento. Questo significa che un kosovaro su due è senza lavoro e tra i giovani la cifra sale persino al 70 per cento. Dati drammatici che hanno portato una gran parte della forza lavoro a emigrare, per lo più in Germania e in Svizzera. Benché stia cercando di costruire un sistema economico stabile e basato sul libero mercato, il Paese rimane fortemente dipendente dalla comunità internazionale. La maggior parte della popolazione continua a vivere nelle zone rurali, l'agricoltura è inefficiente a causa  della mancanza di competenze tecniche, il sistema industriale è antiquato e utilizza attrezzature obsolete per i bassi investimenti e la fornitura di energia elettrica è limitata e inaffidabile per i continui problemi tecnici e finanziari. Nel luglio 2008, 37 Paesi promisero di fornire al Kosovo 1,9 miliardi per sostenere le sue riforme, ma la crisi finanziaria globale ha ridotto l'afflusso del denaro. La corruzione raggiunge livelli altissimi, tant'è che secondo l'Indice di Percezione della Corruzione pubblicato recentemente da Transparency International, il 75 per cento dei kosovari ritiene i partiti politici del Paese corrotti o molto corrotti.

E poi c'è l'enorme problema della minoranza serba che vive nel nord del Kosovo, al confine con la Serbia, che aumenta il rischio di creare una separazione nella separazione. Difatti, nel nord del Kosovo i serbi rappresentano la maggioranza e minacciano continuamente di separarsi da Pristina per ricongiungersi con Belgrado. Un'ennesima separazione che, se dovesse diventare reale, potrebbe paradossalmente spaccare a metà la città di Kosovska Mitrovica, abitata a nord dai serbi e a sud dagli albanesi. Lo scorso 12 febbraio, nel 22esimo incontro tra kosovari e serbi, svoltosi s Bruxelles sotto la supervisione del capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, è stato raggiunto un accordo, a cui manca però la firma ufficiale. Secondo quanto previsto, dovrebbe nascere un tribunale di Mitrovica che punterebbe a preservare gli interessi serbi, decisione a cui si è fortemente opposta la delegazione kosovara che non voleva dare alcuna connotazione etnica alla Corte. Al momento, il nord del Kosovo è di fatto controllato dalla Serbia, che gestisce la polizia, le dogane, la scuola, la moneta e la giustizia, ma presto alcune strutture, quali la giustizia e la polizia, passeranno sotto il controllo di Pristina.

La situazione però rimane tesa. La patata bollente è del Kosovo, che dovrà cercare in tutti i modi di integrare la minoranza serba. Il problema è che i serbo kosovari non sembrano intenzionati ad integrarsi e non accettano quello che la loro madrepatria, cioè la Serbia, ha negoziato.

Tuttavia, lo scorso anno si sono aperti i colloqui per la ratifica dell'accordo di stabilizzazione e associazione con l'Ue. Se dovessero andare a buon fine, per Pristina significherà ricevere fondi europei, stipulare accordi sulle dogane e rendere più semplice la concessione dei visti per l'espatrio. Un passo in avanti che potrebbe portare Pristina a risolvere molti dei suoi punti critici, ma senza un riconoscimento internazionale, soprattutto da parte di Serbia, Russia e Cina, al Paese rimangono poche speranze.