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LIBIA: APPELLO AI FIRMATARI DI APPELLI

31 luglio 2014

Di fronte al baratro nel quale è sprofondata la Libia (attestato, ora, anche dalla precipitosa chiusura dell’ambasciata USA) ci sarebbe da chiedere ai vari firmatari degli appelli in difesa della “rivoluzione libica” (se volete sapere i loro nomi non avete che da clikkare qui o qui [*]) se non sentano oggi il dovere di scusarsi con il popolo libico per una guerra che i loro appelli hanno, nei fatti, favorito e per il loro silenzio quando questa assumeva i connotati di un gigantesco massacro, come è stato, ad esempio, a Sirte. Non avremmo posto questa sgradevole domanda se quei distratti, se non colpevoli, appelli – così come quelli attuali inerenti la Siria o quelli già in cantiere sulla Nigeria – non si fossero basati su inequivocabili falsi che davvero stupisce non siano stati subito riconosciuti come tali. Primo tra tutti il “mitragliamento dagli elicotteri” effettuato dagli scherani di Gheddafi su inermi manifestanti che faceva da pendant con la “notizia” dei piloti libici disertori e atterrati a Malta per non voler sparare sui loro connazionali. Ovviamente, neanche una fotografia da un cellulare per attestare simili bufale; solo una anonima “testimonianza” rilasciata alla tv araba “al-Jazeera” subito certificata dalla “Lega libica per i diritti umani”, (fondata da tale Ali Zeidan, poi diventato Presidente della Libia e poi scappato in Germania con un container pieno di lingotti d’oro). Ma tanto bastò per dare la stura agli “appelli”.

Perché queste “notizie” non furono subito classificate come menzogne di guerra (al pari, ad esempio di come fu fatto per le “incubatrici rubate nel Kuwait dai soldati di Saddam”) ma diedero vita, anzi, in Italia alle prime manifestazioni contro Gheddafi? Intanto perché Gheddafi aveva il torto di apparire alla “sinistra” italiana come “amico di Berlusconi”, il che era un buon motivo per toglierselo davanti a tutti i costi. Ma ci sono altre più importanti motivazioni, sulle quali ci soffermeremo in seguito.

Ma, prima, – per capire la fogna mediatica nella quale siamo immersi – ricordiamo le “fosse comuni dove Gheddafi faceva seppellire gli oppositori uccisi”. Oggi tutti sanno che si tratta di una bufala; ma, a dire il vero, le inoppugnabili documentazioni che lo dimostrano circolavano su internet già nel gennaio 2011. Nonostante ciò le foto, “prova dei i crimini di Gheddafi” (in realtà, raffigurano lavori di routine nel cimitero di Ashaat) per due mesi (due mesi!) hanno troneggiato sugli schermi TV e sulle prime pagine dei giornali. Con la complicità di noti e strapagati (per quanto riguarda la RAI, da noi) giornalisti che, certamente, già sapevano la verità. E che, finita la guerra, per rifarsi una verginità politica hanno tenuto conferenze e incontri pubblici, dove – accolti a braccia aperte da non pochi allocchi di “sinistra” – hanno avuto la spudoratezza di dichiarare di essere stati “ingannati”. E forti di questa aureola, sono poi andati in Siria: altre bufale, altri appelli.

Molte altre bufale hanno spianato l’attacco militare alla Libia del 19 marzo 2011 (una per tutte: le “donne stuprate” come arma di guerra, ancora oggi attestata dalla Boldrini) e se sono state fatte proprie da gran parte della “sinistra”, ciò non è certo da addebitare alla sua dabbenaggine. Vale la pena di soffermarsi sugli aspetti politici – e, quindi, anche psicologici – della questione, anche perché se oggi le manifestazioni contro i massacri a Gaza o in Ucraina sono ridotti a ben poca cosa, la causa – a nostro avviso – è anche il non aver fatto i conti con il “peccato originale” del sostegno dato, da non pochi compagni e “democratici”, alla guerra alla Libia.

Intanto, come recitano le leggi della propaganda, una menzogna per diffondersi e radicarsi ha assoluto bisogno di un terreno già predisposto ad accoglierla. Fa testo a riguardo l’esaltazione – quasi una mitizzazione – delle “primavere arabe” che ha impedito di vedere come in molti casi queste siano state, in parte, teleguidate dall’Occidente, ad esempio, con l’utilizzo di cecchini che sparano indiscriminatamente su polizia e manifestanti (una tecnica già impiegata in Romania nel 1989; poi nel Venezuela 2002; poi in Ucraina nel 2004; poi in Egitto nel 2010; poi in Libia e Siria nel 2011… infine, nel 2014 a Kiev). Perché molti compagni non hanno voluto tener conto di episodi come questi (che pure venivano segnalati anche da siti internet non certo “rosso bruni)? Perché la stagnazione dei movimenti di lotta e la conseguente demoralizzazione aveva finito per generare l’illusione che, in fondo, non poi era così importante come veniva abbattuto un regime; l’importante era sostenere quella “rivoluzione” che, qui da noi non si era stati in grado di attuare. E anche per questo sono stati ribattezzati “rivoluzionari” personaggi altrimenti impresentabili ad una platea di compagni o – per parlare della Siria – presenziare a manifestazioni e fiaccolate in sostegno di altri “rivoluzionari” schierati su posizioni francamente abominevoli. Ugualmente sciagurato è stato affidarsi ciecamente alle dichiarazioni di ONG, ONLUS e varie “organizzazioni umanitarie” “presenti sul campo” che, un tempo – forse – meritavano una totale stima ma che, in molti casi, sono ormai diventate le vivandiere dell’imperialismo; soprattutto se, come accade in Italia, sono sempre più dipendenti per le loro attività – quasi a libro paga – dal Ministero degli Esteri.

Ovviamente, nelle mobilitazioni internazionaliste le cose non sono mai nettamente bianche o nere ed è certamente sbagliato addebitare ogni rivolta ad un “complotto” e additare, di conseguenza, chi le appoggia. Ma da qui a non voler vedere tutti quegli elementi che lasciavano presagire un diretto intervento militare dell’Occidente in Libia (primi tra tutti l’appoggio dei nostri governanti alle “rivolte” o la valanga di inequivocabili falsi riversati dalle TV) è molto peggio di una “disattenzione”. E, almeno oggi, dopo che è emersa la verità sulla essenza della “rivoluzione” in Libia, e la tragedia di quello che era un paese laico e relativamente florido trasformato in un abisso di miseria, violenze, integralismi, ci saremmo aspettati un generale ripensamento, in tutti, a cominciare dai firmatari degli appelli di cui sopra.

Così, (tranne rarissime eccezioni) non è stato. Anzi, è stato fatto di peggio. In una estrema sinistra che cerca come unica via di uscita al suo minoritarismo l’aggregazione, a tutti i costi, di rottami di questa, tenendosi strette organizzazioni assolutamente “filointerventiste” la parola d’ordine “contro la guerra” è stata, addirittura, bandita in tutte (ripetiamo, tutte) le manifestazioni nazionali che si sono svolte in Italia negli ultimi anni. Peggio ancora per chi, avendo appoggiato a tutti i costi la “rivoluzione libica” non è riuscito più a svincolarsi dal Qatar, che questa “rivoluzione” aveva finanziato. È il caso di Freedom Flottilla che – dopo la sfortunata, ed, ancora oggi, enigmatica, spedizione del 2010, capeggiata da tale Mahdi al-Harati (finito a fare prima il governatore militare di Tripoli e poi il capo di una banda di tagliagole in Siria) continua ad additare al pubblico ludibrio chiunque si permetta di dubitare della genuinità della “rivoluzione” libica o ad organizzare, come se niente fosse – insieme al PD, CGIL, “Un Ponte per” … – sempre più patetiche manifestazioni a sostegno di un’altra “rivoluzione” targata Qatar: quella siriana.


La Redazione di Sibialiria



[*] 
APPELLO 1: Fermiamo il massacro in Libia. Pane, lavoro, democrazia, accoglienza (febbraio 2011)
Firmatari:
Arci, CGIL, Carlo Feltrinelli, Un ponte per, Amnesty International, Libera, UISP, CNCA, FIOM, ACLI, ANPAS, CIPSI, Legambiente, Flavio Lotti coordinatore Tavola della Pace, Livio Pepino Intesos, Arciragazzi, AUSER, Beati i costruttori di Pace, FAIR, Libera Cittadinanza, Rete dei Girotondi, Lunaria, Chiama l’Africa, Senza Confine, Africa Insieme, Todo Cambia, Terres des Hommes, Beati i costruttori di pace, Luisa Morgantini , Fabio Marcelli Giuristi democratici, Associazione per la pace, Don Nandino Capovilla coordinatore di Pax Christi, Peace Waves, La Nuova Ecologia, Rete Romana Solidarietà Palestina, WILPF, Sindacato nazionale scrittori Cgil, Forum Internazionale SEL, Anna Maria Rivera, Chistopher Hein, Mercedes Fria, Tommaso Fattori, Laura Quagliolo, Nicola Vallinoto, Stephanie Westbrook, Lisa Clark, Barbara Spinelli, Massimo Loche, Comunità Rut Suore Orsoline Caserta, Rete Primo Marzo, Iniziativa per la libertà di espressione in Iran, parlamentari, politici, amministratori locali e centinaia di cittadini/e
APPELLO 2: Libia. Alex Zanotelli lancia un appello (febbraio 2011)







Un secolo passato a fare i capri espiatori

1) Sondaggio, austriaci 'incolpano' Serbia per Grande Guerra (ANSA)
2) Prima guerra mondiale, il massacro di civili serbi dalla campagna di agosto del 1914 (M. Barone)


Leggi anche:

Dalla parte di Gavrilo / Na Gavrilovoj strani

Sarajevo 100 anni dopo ovvero l'Europa 100 anni indietro

Sulla prima guerra mondiale
Dossier per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Il centenario della prima guerra mondiale e le analogie con il presente
Sulla prima guerra mondiale
Le ragioni della Grande Guerra
Luoghi comuni o verità sulla prima guerra mondiale?
Un secolo di tradimento della socialdemocrazia
ICS 2014 - 1914-2014: L'imperialismo è guerra - Contributo PCP
ICS 2014 - 1914-2014: L'imperialismo è guerra - Contributo KKE
ICS 2014 - 1914-2014: L'imperialismo è guerra - Contributo PCPE
ICS 2014 - 1914-2014: L'imperialismo è guerra - Contributo WPI


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Questa ci mancava, ma cos'é? un altro "prezzo" da pagare per l'entrata a testa bassa in Europa? (Samantha M.)

Sondaggio, austriaci 'incolpano' Serbia per Grande Guerra
36% intervistati punta il dito su Belgrado per scoppio conflitto

21 luglio, 15:31 (ANSA) - TRIESTE - Il 36% degli austriaci ritiene che la colpa dello scoppio della Prima guerra mondiale debba ricadere sulle spalle della Serbia, solo il 31% sostiene al contrario che l'impero austro-ungarico abbia la responsabilità maggiore per il conflitto.
Lo rivela uno studio dell'istituto di sondaggi Unique Research richiesto dalla rivista austriaca Profil. Il sondaggio ha evidenziato inoltre che il 14% del campione intervistato online, cinquecento persone, ha indicato nella Germania la nazione con più colpe relative allo scoppio della Grande Guerra, il 12% Francia, Russia e la Gran Bretagna. Il 25% non ha risposto alla domanda. (ANSA).


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http://xcolpevolex.blogspot.it/2014/07/prima-guerra-mondiale-il-massacro-di.html?m=1

29/07/14

Prima guerra mondiale, il massacro di civili serbi dalla campagna di agosto del 1914

Quando si parla di prima guerra mondiale, nell'immaginario collettivo, vi è la trincea, i campi di battaglia che vedono le truppe affrontarsi a colpi di fucile o baionetta o cannonate. Ma la prima guerra mondiale, scatenata da colui che dovrebbe essere ricordato come un criminale, quale l'Imperatore Francesco Giuseppe, ha travolto milioni di civili. La Serbia, tutta,  doveva essere punita. Doveva pagare la penitenza, a colpi di cannone, per l'attentato all'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo e sua moglie. Morte colta con molta indifferenza a Vienna ed estrema freddezza dall'Imperatore. L'ultimatum che ultimatum poi non era, perché anche se la Serbia avesse accettato tutti i punti, avrebbero trovato, gli amanti della guerra e della superbia, in ogni caso una scusa per attaccare quel Paese ribelle, era destinata alla punizione, solo per la ragione di esistere in quanto tale. La campagna di agosto, segnerà la prima grande sconfitta dell'esercito austro-ungarico, con la nota battaglia del monte Cer. Esercito che si pavoneggiava, fiero delle proprie divise, condotto da generali e comandanti inadatti, abituati più alla vita da salotto viennese che ai campi di battaglia. La spedizione punitiva di agosto sarà di una violenza inaudita contro la popolazione civile. Si massacreranno contadini, donne, bambini, spesso si risparmiavano le pallottole, per non sprecarle, decidendo di uccidere i civili con la baionetta, tre uomini contro uno solo, colpito ed ucciso come una bestia, vi sono anche testimonianze di persone sepolte vive in piena agonia. E bestialità nella bestialità questo massacro veniva fotografato per esser pubblicato come una sorta di trofeo. Questo perché in Serbia sarà l'intera popolazione a resistere e ribellarsi contro l'invasore. Fatto non previsto dall'esercito guidato e condotto da Potiorek generale e governatore della Bosnia, responsabile delle misure di non sicurezza attuate durante la nota visita dell'erede al trono a Sarajevo.  Fatto, quale la ribellione della comunità serba, che verrà severamente punito e represso.Sì, l'impero austro-ungarico,ha cercato di realizzare una mera pulizia etnica. Basta pensare al modo in cui si comportarono, le truppe imperiali, subito dopo il duplice omicidio. Solo 48 dopo ore l'assassinio in Bosnia furono arrestati 200 serbi, diversi contadini impiccati subito, alla fine di luglio, 5000 saranno i serbi dietro le sbarre e 150 furono impiccati appena iniziarono le ostilità. I conti, alla fine della prima guerra mondiale, i numeri, saranno impressionati. Quasi 750 mila serbi, ovvero un serbo su sei ovvero quasi il 22% della popolazione verrà spazzato via, la percentuale più alta tra tutti i Paesi coinvolti dalla prima guerra mondiale.


fonte foto:

"Srbští chlapci zavraždění před očima matek" di Ignoto - Léta zkázy a naděje 1914-1918, Miroslav a Hana Honzíkovi (Miroslav Honzík and Hana Honzíková).






(italiano / english / srpskohrvatski)

Protiv Izraelskih vojnih operacija u Palestini

1) La "soluzione" del Likud per Gaza (Manlio Dinucci)
2) Ecco da che parte sta l’Italia (Manlio Dinucci)
3) ZAJEDNIČKO SAOPŠTENJE KOMUNISTIČKIH OMLADINSKIH ORGANIZACIJA PROTIV IZRAELSKIH VOJNIH OPERACIJA U PALESTINI
4) Popular Front for the Liberation of Palestine: ‘Shuja’iya massacre will stain the hands of all who are silent and complicit’


Leggi anche:

Per la fine immediata del massacro del popolo della Palestina
Sessantasei Partiti Comunisti e Operai hanno già firmato un comunicato comune in cui “condannano l’assalto barbaro e criminale dello Stato di Israele contro il popolo della Palestina”, manifestano “piena solidarietà al popolo della Palestina” e chiamano “i lavoratori di tutto il mondo a mobilitarsi perché si rafforzi l’ondata di condanna di Israele, e sia espressa in forma pratica la solidarietà con il popolo della Palestina”…
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/nel-mondo/24364-per-la-fine-immediata-del-massacro-del-popolo-della-palestina.html

La solidarietà di Fidel per i popoli palestinese e ucraino
Fidel Castro Ruz | granma.cu - 18/07/2014
http://www.resistenze.org/sito/os/mp/osmpeg20-014838.htm

Polizia: “Netanyahu sapeva che Hamas non aveva rapito i coloni”
27 lug 2014 - La BBC riporta le dichiarazione del portavoce della polizia Rosenfeld: “Hamas non era coinvolta”. Così Tel Aviv ha giustificato un attacco preparato da tempo…
http://nena-news.it/gaza-polizia-netanyahu-sapeva-che-hamas-non-aveva-rapito-coloni/

Gaza: la verità sulle menzogne di oggi in un rapporto ONU del 2009
26 luglio 2014 By Redazione Sibialiria

Gaza, quello che l’occidente non vede 
Fabio Amato - 23 lug 2014


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"Leadership ebraica"

La "soluzione" del Likud per Gaza

di Manlio Dinucci
da il Manifesto del 25 luglio 2014, pag. 3

Il segretario-generale dell’Onu Ban Ki-moon, all’ombra del segretario di stato Usa John Kerry di cui apprezza il «dinamico impegno», sta cercando a Gerusalemme il modo di «porre fine alla crisi di Gaza». Sembra però ignorare che qualcuno l’ha già trovato. Il vicepresidente della Knesset, Moshe Feiglin, ha infatti presentato il piano per «una soluzione a Gaza» [1].

Esso si articola in sette fasi. 1) L’ultimatum, dato alla «popolazione nemica», cui viene intimato di abbandonare le aree in cui si trovano i combattenti di Hamas, «trasferendosi nel Sinai non lontano da Gaza». 2) L’attacco, sferrato dalle forze armate israeliane «attraverso tutta Gaza con la massima forza (e non con una sua minuscola frazione)», colpendo tutti gli obiettivi militari e infrastrutturali «senza alcuna considerazione per gli scudi umani e i danni ambientali». 3) L’assedio, simultaneo all’attacco, così che «niente possa entrare a Gaza o uscire da Gaza». 4) La difesa, per «colpire con la piena forza e senza considerazione per gli scudi umani» qualsiasi luogo da cui sia partito un attacco a Israele o alle sue forze armate. 5) La conquista, attuata dalle forze armate israeliane che, dopo aver «ammorbidito» gli obiettivi con la loro potenza di fuoco, «conquisteranno l’intera Gaza, usando tutti i mezzi necessari per minimizzare qualsiasi danno ai nostri soldati, senza alcun’altra considerazione». 6) L’eliminazione, attuata dalle forze armate israeliane, che «annienteranno a Gaza tutti i nemici armati» e «tratteranno in accordo col diritto internazionale la popolazione nemica che non ha commesso malefatti e si è separata dai terroristi armati, alla quale sarà permesso di lasciare Gaza». 7) La sovranità su Gaza, «che diverrà per sempre parte di Israele e sarà popolata da ebrei», contribuendo ad «alleviare la crisi abitativa in Israele». Agli abitanti arabi, che «secondo i sondaggi desiderano per la maggior parte lasciare Gaza», sarà offerto «un generoso aiuto per l’emigrazione internazionale», che verrà però concesso solo a «quelli non coinvolti in attività anti-israeliane». Gli arabi che sceglieranno di restare a Gaza riceveranno un permesso di soggiorno in Israele e, dopo un certo numero di anni, «coloro che accettano il dominio, le regole e il modo di vita dello Stato ebraico sulla propria terra» potranno divenire cittadini israeliani.

Questo piano non è frutto della mente di un singolo fanatico, ma di un uomo politico che sta raccogliendo crescenti consensi in Israele. Moshe Feiglin è il capo della Manhigut Yehudit (Leadership ebraica), la maggiore fazione all’interno del Comitato centrale del Likud, ossia del partito di governo. Nell’elezione della leadership del Likud nel 2012, ha corso contro Netanyahu, ottenendo il 23% dei voti. Da allora la sua ascesa è continuata, tanto che in luglio ha aggiunto alla carica di vicepresidente della Knesset quella di membro della influente Commissione affari esteri e difesa.

Esaminando il piano che Feiglin sta attivamente promovendo, sia in Israele che all’estero (soprattutto negli Stati uniti e in Canada), si vede che l’attuale operazione militare israeliana contro Gaza comprende quasi per intero le prime quattro delle sette fasi previste. Sotto questa luce, si capisce che la rimozione dei coloni israeliani da Gaza nel 2005 aveva lo scopo di lasciare alle forze armate mano libera nell’operazione «Piombo fuso» del 2008/2009. Si capisce che l’attuale operazione «Margine difensivo» non è contingente ma, come le altre, parte organica di un preciso piano (sostenuto per lo meno da una consistente parte del Likud) per occupare permanentemente e colonizzare Gaza, espellendo la popolazione palestinese. E sicuramente Feiglin ha già pronto anche il piano per «una soluzione in Cisgiordania ».


[1] “The Moshe Feiglin’s plan for a solution for Gaza”, by Moshe Feiglin, Voltaire Network, 15 July 2014.


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Ecco da che parte sta l’Italia

di  Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 29.7.2014

Mogherini, mamma mia. La ministra degli Esteri interviene alla Camera sulla «crisi a Gaza»

Inter­ve­nendo alla Camera sulla «crisi a Gaza», la mini­stra degli esteri Fede­rica Moghe­rini ha invi­tato il par­la­mento e l’opinione pub­blica ita­liana a «non cedere alla logica della par­ti­gia­ne­ria, all’idea che ci si debba divi­dere tra amici di Israele e amici della Pale­stina, che si debba sce­gliere da che parte stare nel conflitto».

In realtà l’Italia ha da tempo già scelto, isti­tu­zio­na­liz­zando sotto forma di legge (con larga intesa bipar­ti­san) la coo­pe­ra­zione mili­tare con Israele.
Il memo­ran­dum d’intesa sulla coo­pe­ra­zione mili­tare italo-israeliana, rati­fi­cato nel 2005 dal Senato (in par­ti­co­lare gra­zie ai voti del gruppo Demo­cra­tici di sinistra-Ulivo schie­ra­tosi con il centro-destra) e dalla Camera, è dive­nuto Legge 17 mag­gio 2005 n. 94. La coo­pe­ra­zione tra i mini­steri della difesa e le forze armate di Ita­lia e Israele riguarda «l’importazione, espor­ta­zione e tran­sito di mate­riali mili­tari», «l’organizzazione delle forze armate», la «formazione/addestramento».
Sono inol­tre pre­vi­ste a tale scopo «riu­nioni dei mini­stri della difesa e dei coman­danti in capo» dei due paesi, «scam­bio di espe­rienze fra gli esperti», «orga­niz­za­zione delle atti­vità di adde­stra­mento e delle eser­ci­ta­zioni», «par­te­ci­pa­zione di osser­va­tori alle eser­ci­ta­zioni militari».

La legge pre­vede anche la «coo­pe­ra­zione nella ricerca, nello svi­luppo e nella pro­du­zione» di tec­no­lo­gie mili­tari tra­mite «lo scam­bio di dati tec­nici, infor­ma­zioni e hard­ware». Ven­gono inol­tre inco­rag­giate «le rispet­tive indu­strie nella ricerca di pro­getti e mate­riali» di inte­resse comune.
Con que­sta legge, le forze armate e l’industria mili­tare del nostro paese sono state coin­volte in molte atti­vità di cui nes­suno (nep­pure in par­la­mento) viene messo a cono­scenza. La legge sta­bi­li­sce infatti che esse sono «sog­gette all’accordo sulla sicu­rezza» e quindi segrete.

Poi­ché Israele pos­siede armi nucleari, alte tec­no­lo­gie ita­liane pos­sono essere segre­ta­mente uti­liz­zate anche per poten­ziare le capa­cità di attacco dei vet­tori nucleari israe­liani.
In tale qua­dro, l’Italia sta for­nendo a Israele i primi dei 30 veli­voli M-346 da adde­stra­mento avan­zato, costruiti da Ale­nia Aer­mac­chi (Fin­mec­ca­nica), che pos­sono essere usati anche come cac­cia per l’attacco al suolo in ope­ra­zioni bel­li­che reali. Gran parte del costo (400 milioni su un miliardo di dol­lari) viene anti­ci­pata a Israele da un con­sor­zio for­mato da Uni­cre­dit e da un fondo pen­sione col­le­gato. A sua volta l’Italia si è impe­gnata ad acqui­stare da Israele (con una spesa di oltre un miliardo di dol­lari) il sistema satel­li­tare ottico ad alta riso­lu­zione Optsat-3000, che serve a indi­vi­duare gli obiet­tivi da col­pire, più due aerei Gul­fstream 550 che, tra­sfor­mati dalle Israel Aero­space Indu­stries, svol­gono la fun­zione di comando e con­trollo per l’attacco in distanti tea­tri bellici.

Que­sta è solo la punta dell’iceberg di un accordo, non solo mili­tare ma poli­tico, attra­verso cui l’Italia aiuta nei fatti Israele a sof­fo­care nel san­gue il diritto dei pale­sti­nesi, rico­no­sciuto dall’Onu, di avere un pro­prio stato sovrano.


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http://www.skoj.org.rs/palestina.html

ZAJEDNIČKO SAOPŠTENJE KOMUNISTIČKIH OMLADINSKIH ORGANIZACIJA PROTIV IZRAELSKIH VOJNIH OPERACIJA U PALESTINI

Komunističke omladinske organizacije koje stoje iza ovog saopštenja oštro osuđuju vojne operacije Izraelske države protiv Palestinskog naroda koje su do sada već rezultirale gubitkom više stotina života.

Sjedinjene Američke Države, ali takođe i Evropska Unija, koji ohrabruju kriminalne aktivnosti Izraela pružajući mu punu podršku, izjednačavajući počinioce zločina sa žrtvama, unapređujući političke, finansijske i vojne veze sa Izraelom, organizujući zajedničke vojne vežbe sa Izraelskom vojskom, kao posledicu snose veliku odgovornost za kontinuirane zločine protiv Palestinskog naroda i njegove omladine.

Komunističke omladinske organizacije pozivaju mlade širom sveta da zajedničkom borbom i međunarodnom solidarnošću zaustavimo genocid Izraela nad Palestinskim narodom koji se nalazi na nišanu imperijalističke agresije koja predstavlja deo šire imperijalističke strategije za područje Bliskog Istoka i Istočnog Mediterana.

Zahtevamo:

-Da se vojne operacije Izraelske vojske protiv Palestinskog naroda odmah zaustave.

-Da Izraelska okupaciona vojska i svi naseljenici napuste palestinske teritorije.

-Oslobađanje svih političkih zatvorenika iz Izraelskih zatvora i omogućavanje svim Palestincima da se vrate svojim domovima.

-Ukidanje zajedničkih vojnih vežbi i svih ugovora o vojnoj saradnji sa Izraelom.

-Uspostavljanje nezavisne Palestinske drzave u granicama iz 1967. sa Istočnim Jerusalimom kao glavnim gradom.

Potpisnice:

KO Austrije-KJO

KO Bolivije-JCB

KO Brazila-UJC

KO Kanade

MS Hrvatska-SRP

KO Kipar-EDON

KO Češka-KSM

KO Ekvador-JCE

KO Francuska-MJCF

KO Grčka-KNE

KO Irska

KO Izrael

KO Italija-FGC

KO Luksemburg

KO Meksiko-FJC

KO Paragvaj-JCP

KO Peru "Patrai Roja" - JCP PR

KO Peru-JCP

KO Portugal -JCP

KO Rusija - RKSMb

SKOJ-Srbija

KO Španija-CJC

KO Švedska-SKU

KO Sirija - Khaled Bagdash CY


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Popular Front for the Liberation of Palestine: ‘Shuja’iya massacre will stain the hands of all who are silent and complicit’

By PFLP on July 25, 2014

Statement issued by the Popular Front for the Liberation of Palestine

July 20 — The Zionist enemy carried out a horrific massacre today against the civilians of Shuja’iya neighborhood in eastern Gaza City, targeting homes with mortars, tanks, missiles and aircraft, killing dozens of martyrs and wounding hundreds, where many remain under the rubble of their destroyed homes amid a barrage of shells and rockets.

The Popular Front for the Liberation of Palestine pledged that the blood of the martyrs of the Shuja’iya massacre, of the war crimes and genocide committed by land, air and sea in every inch of Gaza against civilians in their homes, children, women and the elderly, will not be wasted, and that the enemy will never be able to break the will and steadfastness of our people and their valiant resistance which will fight and resist this cowardly and criminal enemy until the last breath.

The Front noted that the Zionist criminal occupation has brought death, destruction and devastation to our neighborhoods, camps and cities, saying that the occupation forces were incapable of stopping the resistance or its qualitative strikes against occupation forces, and have expressed their cowardice by targeting innocent civilians in their homes.

The Front saluted the brave resisters in all the Palestinian military organizations who are willing to sacrifice in order to block the progress of the occupation forces, for our people to survive and confront the war machine, and praised its ongoing painful strikes to the enemy.

Furthermore, the Front emphasized that the international community is responsible for the crimes against our people in Gaza with its ongoing military, financial and political support to the occupation entity, providing it with political cover to commit crimes against our people.

The Front demanded that Palestinian Authority officials and spokespeople stop engaging in the language of defeatism and to instead respect the Palestinian popular mood, which shouts that no voice is louder than the voice of the resistance. Our legitimate resistance is a point of pride for all of our people; we are convinced that we will win, and we will mend our wounds, we will rise from the rubble and the ruins to rebuild our homes again.

The Front saluted with pride the steadfast people in Gaza from Rafah to Beit Hanoun who have suffered so much pain and yet refuse to concede to the threats of the occupation. People with such steadfastness will inevitably triumph and no war machine will be able to defeat them or to force them to abandon their embrace of the resistance.

The Front saluted the inspiring sacrifices and commitment of medical personnel, ambulance workers and civil defense, who faced extreme danger and came under fire in order to evacuate the dead and wounded, as well as the journalists who lost their lives in order to deliver the tragic images in the streets of Gaza to the world.

The Front called upon the Palestinian people throughout Palestine, in the West Bank, Jerusalem and … everywhere in diaspora and exile, saying that the land of the West Bank must burn under the feet of the occupiers, in their settlements and everywhere the occupation is. It is time that the earth is turned to flame beneath the feet of the criminal enemy. There can be no more waiting as the horrific massacres continue in Bureij, Rafah, Khan Younis, Beit Hanoun, Shuja’iya, Gaza.

It also demanded [of] the Arab people and the democratic and progressive forces of the world to remain in the streets and squares, to occupy, surround and storm the Zionist and U.S. embassies and consulates in response to the crimes of the occupation forces, and to condemn the international and Arab official silence and complicity, demanding an immediate end to the siege on Gaza and the unconditional opening of Rafah crossing and in particular to facilitate the entry of medical personnel and aid.

The Popular Front for the Liberation of Palestine confirms that the crimes of the occupation will not go unpunished and resistance to the Zionist genocide against our people is our path. The banner of resistance and confrontation will be raised high by the Palestinian people.

The PFLP demanded that the PLO leadership immediately act to join the International Criminal Court and act to prosecute the fascist occupation war criminals for their massacres against the Palestinian people. The Front expressed its highest honor and salute and deepest mourning for the blood of the martyrs whose blood was shed on the land of Gaza, pledging to march on the path of freedom, self-determination, return and liberation, for which they were killed.








Sionismo e Fascismo

1) Israele e Jugoslavia (A. Martocchia)
2) Antisemitismo, Fascismo e Sionismo (F. De Leonardis)
3) Israele e nazisti ucraini uniti nella lotta (Contropiano)
4) Israele. Verso il fascismo (M. Warschawski)


Leggi anche:

Le sionisme comme nationalisme extrême 
par Rudolf Bkouche, membre de l’Union Juive Française pour la Paix - 24 juillet 2014
http://www.michelcollon.info/Le-sionisme-comme-nationalisme.html

Finkelstein: Basta strumentalizzare l’Olocausto per difendere Israele
Lo storico e politologo ebreo accusa: «I miei genitori hanno partecipato alla rivolta del ghetto di Varsavia e l’intera mia famiglia è stata sterminata dai nazisti. Proprio per questo considero spregevole strumentalizzare l’Olocausto».

The Communist Party of Israel strongly condemns Israeli aggression in Gaza and rejects any attack on civilians (CPI / July 12, 2014)
http://maki.org.il/en/?p=2659

La fatica di essere ebreo e difendere il popolo palestinese
di  Stefano Sarfati Nahmad, su Il Manifesto del 26.7.2014
http://ilmanifesto.info/la-fatica-di-essere-ebreo-e-difendere-il-popolo-palestinese/

Manifestazione per la Palestina degli ebrei antisionisti a New York - 9 Luglio 2014
http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=421:manifestazione-per-la-palestina-degli-ebrei-antisionisti-a-new-york

Moni Ovadia: Gaza e la questione palestinese
Assemblea nazionale L'Altra Europa - 19 luglio 2014

Moni Ovadia: perchè Israele non vuole la Pace
Libera.Tv, 19 luglio 2014

Moni Ovadia: "Israele non vuole la pace"
Moni Ovadia denuncia la mancanza di informazione corretta su quanto sta accadendo in Medio Oriente e sottolinea le ragioni reali dell'invasione della Striscia di Gaza. "Israele non vuole la pace" denuncia l'intellettuale ebreo, "i palestinesi vivono in gabbia sotto un assedio continuo e l'America e l'Europa si bevono la comunicazione imperante: 'Ci buttano i missili e noi abbiamo il dovere di difendere la nostra popolazione'. Ma non è così". L'intervista di Carla Toffoletti
AUDIO: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Intervista-telefonica-Moni-Ovadia-6db16bfa-6182-4f71-baa0-be934d24bb30.html

Gideon Levy: “Israele non vuole la pace”
9 lug 2014 - L’atteggiamento di rifiuto è intrinseco alle convinzioni più radicate di Israele. Qui risiede, a livello più profondo, il concetto che questa terra è destinata solo agli ebrei. Il dato di fatto più evidente è il progetto di colonizzazione. Fin dalle sue origini, non c’è mai stato una più attendibile o più evidente prova inconfutabile delle reali intenzioni di Israele…
http://nena-news.it/gideon-levy-israele-non-vuole-la-pace/

Internationally renowned conductor Daniel Barenboim speaks out in sympathy with the Palestinians
By Fred Mazelis / WSWS, 29 July 2014


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Israele e Jugoslavia

(…) Alla fine degli anni Ottanta infuriò anche una virulenta polemica internazionale sulla figura di Kurt Waldheim, che aveva avuto ben due incarichi come Segretario Generale dell’ONU e nel 1986 fu eletto presidente in Austria. In sostanza, in occasione della campagna elettorale (1985-1986), le opinioni pubbliche occidentali scoprirono casualmente che Waldheim aveva celato il suo passato da ufficiale nazista nei Balcani. (…)
Anche Israele ebbe un ruolo-chiave nella denuncia dell'affaire Waldheim, per le persecuzioni subite dagli ebrei in Grecia. Questo potrebbe far pensare che sia esistita una convergenza tra le diplomazie della RFSJ e dello Stato di Israele almeno sul caso Waldheim, ma le cose stanno ben diversamente. Nel secondo dopoguerra, i rapporti tra la Jugoslavia ed Israele avevano avuto andamenti molto diversi. Nel 1947 all’ONU i rappresentanti della Jugoslavia, pur comprendendo le aspirazioni ebraiche ad uno Stato indipendente, si mostrarono favorevoli piuttosto alla creazione di uno Stato binazionale in Palestina, tanto che all’Assemblea Generale nel novembre non votarono per la Risoluzione sulla partizione di quel territorio. E’ evidente che questa scelta rispecchiava l’ideale multinazionale cui si ispirava la stessa struttura dello stato socialista jugoslavo. Tuttavia, in seguito alla proclamazione dello Stato di Israele, la Jugoslavia lo riconobbe già il 19 maggio 1948. [66] Anche per la significativa presenza ebraica sul territorio e per il ruolo svolto dalla comunità ebraica nella Resistenza e nel movimento comunista, nella Jugoslavia socialista non poteva sussistere storicamente alcuna ostilità verso gli ebrei (se non nelle frange sconfitte del nazifascismo cattolico): fu dunque ben tollerata anche la emigrazione ebraica verso la Palestina, furono instaurate relazioni commerciali, culturali e diplomatiche con Israele. 
I rapporti con Israele si deteriorarono però velocemente in seguito alla crisi del Sinai ed alla costituzione del MPNA [Movimento dei Paesi Non Allineati] (Conferenza di Bandung, 1955), fino ad essere completamente interrotti già nel 1967 per diretta iniziativa [67] di Tito. Nelle sue politiche di pace, era questa la prima volta dalla II Guerra Mondiale che la RFSJ rompeva i rapporti diplomatici con uno Stato. [68] 
Meriterebbe in effetti una approfondita analisi l’atteggiamento tenuto da Israele e dalla comunità ebraiche, dentro e fuori la Jugoslavia, in occasione delle minacce secessioniste prima e della vera e propria disgregazione della RFSJ poi. Evidentemente, la rottura del 1967 e le politiche perseguite dal MPNA in favore della pace tra i popoli e gli Stati, attraverso la salvaguardia di tutti i confini internazionalmente riconosciuti, dovettero creare profondo malumore nella leadership sionista israeliana viceversa impegnata a stabilire nuovi confini de facto e ad approfondire la separazione etnica tra la componente ebraica e le altre stanziate in Palestina. Solo così si può spiegare l’incredibile freddezza o addirittura l’appoggio mostrati da Israele e dalle organizzazioni ebraiche egemoni dinanzi alla distruzione della Jugoslavia ed alla ripresa del potere da parte di leadership fasciste e razziste nei nuovi staterelli balcanici. [69] Ha lasciato tutti piuttosto sgomenti l’operazione effettuata dall’ American Jewish Joint Distribution Committee di trasferimento immediato e totale in Israele della popolazione ebraica della Bosnia, attraverso l’aereoporto di Sarajevo, proprio allo scoppio della guerra civile in quella repubblica (aprile 1992). A Zagabria, già nel settembre 1992 la comunità ebraica festeggiava, con la partecipazione formale ed i fondi elargiti dal regime fascista di Tudjman, la riapertura del Centro Ebraico; [70] ed il presidente di Israele come prima tappa dei suoi viaggi nelle nuove repubbliche dei Balcani scelse proprio la Croazia… [71]

Estratto da: IL PROLUNGATO "OTTANTANOVE" DELLA JUGOSLAVIA
di A. Martocchia (segretario, CNJ-onlus). Contributo agli Atti del Convegno TARGET (Vicenza 2009)


Note:
[67] RFE/RL Background Report: Tito Breaks Relations with Israel, Slobodan Stanković, 14/6/1967.
[68] Il gesto diplomatico può essere interpretato come un atto dovuto ai vincoli con i paesi arabi appartenenti al MPNA, in primis l’Egitto che ne era cofondatore, e con i paesi socialisti, con le cui leadership in effetti Tito si era riunito a Mosca in quei giorni; ma è interessante notare che esso fu anche inteso << a prevenire una escalation delle forze imperialiste in altre aree, tra cui anche i Balcani. >> (Radio Zagreb, 13/6/1967, ore 19:30, cit.in ibidem).
[69] Ad esempio, in contrasto con molti singoli esponenti ebraici (incluso lo stesso Simon Wiesenthal, cfr. ad es. Corriere della Sera 1/4/1993) impegnati a denunciare il carattere fascista e razzista dell’ideologia di Franjo Tudjman (che si era reso celebre dichiarando in TV: “Per fortuna mia moglie non è né serba né ebrea”, oltre che per i suoi lavori da storico revisionista sul genocidio ustascia) e della sua “Croazia indipendente”, Nenad Porges, presidente della comunità ebraica di Zagabria, intervenne pubblicamente per capovolgere l’accusa di antisemitismo rivolgendola ai Serbi (cfr. varie fonti raccolte in: http://www.porges.net/JewishHistoryOfYugoslavia.html#Relations %20with%20Israel). Dopo lo scoppio della guerra in Bosnia, la leadership degli intellettuali sionisti si è attivamente impegnata per costruire artificialmente una immagine dei “serbi nazisti” (cfr. Nota 79; sullo strano atteggiamento di Eli Wiesel a proposito dei “lager serbi” si veda: Jean Toschi Marazzani Visconti, Il corridoio, La Città del Sole, Napoli 2005).
[71] Moshe Katsav giunse a Zagabria l'11/07/2003 per una visita di tre giorni.


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Antisemitismo, Fascismo e Sionismo

(…) Tra sionismo ed ebraismo non vi è una relazione di identità, bensì di reciproca irriducibilità: il sionismo è una specifica ideologia politica emersa in tempi relativamente recenti, legata al variegato e spesso contraddittorio movimento nazionalista e colonialista che ha dato vita allo Stato d’Israele, laddove l’ebraismo è una religione dalla storia ben più lunga e a cui molti si sentono legati anche quando non sono veri e propri credenti e la considerano piuttosto un’eredità culturale. E la storia dei rapporti tra ebraismo e sionismo, sebbene non lunga, è certamente frastagliata e lungi dall’essere univoca. Nel senso comune, però, i due coincidono: il sionismo è visto come l’incarnazione politica ‘naturale’ dell’ebraismo, e quindi, ça va sans dire, contrapposto all’antisemitismo; da questa deduzione implicita segue l’equazione secondo la quale l’antisionismo sarebbe automaticamente antisemitismo.
Allo stesso modo è un mito – ideologico quindi per definizione – l’idea che il sionismo sia, come movimento e come ideologia politica, intrinsecamente antitetico all’antisemitismo. È su questo mito che si basa la pretesa dello Stato d’Israele (che si vuole stato degli ebrei di tutto il mondo anche se la maggior parte degli ebrei non vive sul suo territorio) di essere il rappresentante e l’erede storico dei sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti, rivendicazione da cui esso trae la propria legittimazione morale e politica. Si tratta però di una costruzione ideologica priva di qualsiasi fondamento storico e/o giuridico, frutto di un’appropriazione in chiave nazionalistica della memoria dello sterminio. (…)
Contrariamente a quanto il senso comune suggerirebbe, l’imbarazzante storia dei rapporti di collusione del sionismo con l’antisemitismo in generale e con il nazismo e il fascismo in particolare presenta diversi capitoli. Quando nel 1933 Adolf Hitler salì al potere in Germania, l’avvenimento suscitò grande apprensione nella comunità ebraica palestinese, timorosa di ciò che sarebbe potuto accadere agli ebrei tedeschi. Ben diverse furono invece le reazioni dei vertici sionisti, cui la vittoria dei nazisti appariva come un’opportunità per incrementare l’immigrazione: “le strade sono lastricate di soldi […] si presenta un’occasione irripetibile per costruire e prosperare”, scrisse Moshe Beilinson del Mapai (i sionisti laburisti) [9] o, per dirla con Ben Gurion, “una forza fertile” [10] per l’avanzamento dell’impresa sionista. La ragione di questa valutazione apparentemente schizofrenica era che poiché i nazisti intendevano espellere gli ebrei tedeschi, l’Agenzia Ebraica avrebbe potuto accoglierli in Palestina e incrementare il peso demografico della locale comunità ebraica a fronte degli arabi palestinesi. Questa logica aberrante non deve stupire: le priorità dell’Agenzia erano sviluppare la colonizzazione ed edificare lo Stato ebraico, quindi gli ebrei tedeschi potevano interessarla solo nella misura in cui erano funzionali a questi progetti. L’Agenzia Ebraica concluse quindi con il governo nazista un accordo che fu detto della haavarah («trasferimento»): un certo numero di ebrei tedeschi avrebbero potuto trasferirsi in Palestina, portando con sé merci e capitali fino ad un valore di 9000 dollari. Ad occuparsi delle operazioni finanziarie relative al trasferimento sarebbero state delle società miste tedesco-sioniste alla cui gestione presero parte il Mapai, il sindacato Histadrut, il Fondo Nazionale Ebraico, l’Agenzia Ebraica e un finanziere polacco legato ai revisionisti [11]. (…) Sempre nel 1933, al fine di migliorare le relazioni reciproche fu invitato a visitare la Palestina il barone von Mildenstein, nazista della prima ora, membro delle SS e predecessore di Adolf Eichmann alla direzione dell’Ufficio per gli Affari Ebraici di Berlino. Von Mildenstein fu accompagnato nel suo tour da Kurt Tuchler, delegato dell’Organizzazione Sionista per i rapporti col Partito Nazista, e raccontò le sue favorevoli impressioni sul giornale di Joseph Goebbels Angriff. Nel 1938 un altro delegato sionista, Teddy Kollek (futuro sindaco di Gerusalemme), incontrò a Vienna per questioni burocratiche Adolf Eichmann, di lì a qualche anno principale esecutore della “soluzione finale”. Incontri simili ebbero luogo fino al 1939, e coinvolsero persino i vertici della Gestapo.
La destra sionista, i cosiddetti revisionisti guidati da Vladimir (Zeev) Žabotinskij, contestò il patto e annunciò il boicottaggio della Germania, accusando i laburisti di essersi alleati ai nazisti. Ma in realtà anche la destra sionista non era del tutto estranea all’operazione haavarah, e la sua vicinanza ideologica all’estrema destra europea fece sì che l’accusa le si ritorcesse contro: la corrente revisionista più estremista era infatti guidata da Abba Ahimeir, fervido ammiratore di Mussolini, il quale affermava pubblicamente che la politica di Hitler era in tutto e per tutto condivisibile, a parte ovviamente l’antisemitismo [12]. Addirittura, nel 1940-41 la fazione Stern dell’Irgun, l’organizzazione armata della destra sionista, arrivò a proporre alla Germania un’alleanza militare contro la Gran Bretagna [13].
Non meno spregiudicati furono i rapporti che i sionisti ebbero con il fascismo italiano…

Estratto da: ANTISEMITISMO, FASCISMO E SIONISMO: TRIANGOLAZIONI INATTESE
di Fabio De Leonardis (storico). Relazione al Convegno I FALSI AMICI (Arezzo 2013)


Note:
[9] Riportato in Tom Segev, Il settimo milione. Come l’Olocausto ha segnato la storia di Israele, trad. it. di C. Lazzari, Milano, Arnoldo Mondadori, 2001 [1991], p. 18.
[10] Riportato in Tom Segev, ibidem.
[11] Ibidem. Sull’accordo della haavarah si vedano anche Hannah Arendt, La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, trad. it. di P. Bernardini, Milano, Feltrinelli, 2005 [1963], p. 68, e Faris Yahia, Relazioni pericolose: il movimento sionista e la Germania nazista, trad. it. di F. De Leonardis, Napoli, La Città del Sole, 2008 [1978], pp. 45-52.
[12] Si noti che la sezione tedesca del Beitar, l’organizzazione giovanile revisionista, continuò la sua attività in Germania sotto la protezione della Gestapo, con cui aveva regolari rapporti e dalla quale anni dopo ottenne persino l’apertura di un ufficio per l’emigrazione nell’Austria occupata, con gran disappunto di Žabotinskij. Il fondatore del sionismo revisionista stigmatizzò questo filohitlerismo dei suoi seguaci, ma il suo essere bandito dalla Palestina dai britannici nel 1930 e la sua precoce morte rafforzarono sempre più queste tendenze all’interno del movimento.
[13] Faris Yahia, op. cit., pp. 111-15.


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Israele e nazisti ucraini uniti nella lotta

Redazione Contropiano, Domenica, 27 Luglio 2014


Qualche inferno li crea e poi li accoppia. Chissà come si sentiranno, da qualche parte, le decina di migliaia di ebrei massacrati dalle bande naziste di Stepan Bandera – l'”eroe” dei neonazisti ucraini al potere come Svoboda o Pravy Sektor – a vedere l'entusiasmo con cui il nuovo regime di Kiev si stringe al governo di Netanyahu e Lieberman.

L'ambasciatore ucraino a Gerusalemme, Hennadii Nadolenko, con un intervento su Haaretz, si dice pronto alla lotta comune “contro il terrorismo”. Basta non guardarsi dentro, e il gioco diventa possibile.

Ascoltiamone alcune sentite parole:
“Noi, i rappresentanti di Ucraina, abbiamo, insieme al popolo dello Stato di Israele, personalmente sentito la totalità della minaccia posta alla civili da parte delle attività criminali dei terroristi. A questo proposito, abbiamo avuto l'opportunità di assistere all'azione di Iron Dome, il sistema di difesa missilistico israeliano”. 
“Tutti gli ucraini, così come me, condividono il dolore di tutti i parenti e gli amici di coloro che sono stati uccisi, e piangono in profondità con il popolo di Israele”. Gli oltre mille palestinesi, quasi tutti civii, in grande quantità bambini, no; non lo commuovono affatto. 

Lui si sente al livello degli israeliani nell'affrontare quasi lo stesso nemico in casa. “Per me, come rappresentante dell'Ucraina, il problema del terrorismo ha assunto nell'ultimo anno un significato speciale. […] a partire dal 15 luglio, durante le operazioni anti-terrorismo nelle regioni orientali dell'Ucraina, le nostre forze armate hanno perso 258 soldati, e abbiamo avuto 922 feriti”.
Di più: “vorrei sottolineare ancora una volta che il delitto che ha ucciso 298 civili innocenti da tutto il mondo (l'abbattiemnto del volo Mh17 delle linee aere malesi), è un'altra conferma del fatto che il terrorismo di oggi non è vincolato da confini”. 

“Credo che i paesi che si trovano ad affrontare il terrorismo e che cercano di combattere questo male dovrebbero sostenersi a vicenda, e devono unire i loro sforzi al fine di attirare l'attenzione del mondo per la nostra causa. Dobbiamo cominciare a ricevere un aiuto reale e il sostegno di organizzazioni internazionali al fine di combattere questa minaccia”. 
“Pertanto, vorrei sottolineare che, come rappresentante di Ucraina, ho potuto apprezzare l'aiuto che il mio stato ha ricevuto dai cittadini di Israele negli ultimi mesi. Esprimo la mia profonda gratitudine a tutti i membri del gruppo "Israele sostiene Ucraina" e, in particolare, il gruppo di volontari "Israele aiuta Maidan" per il loro sostegno”. 
“In questi giorni difficili per le nostre nazioni, traboccanti di triste notizie, chino la testa in ricordo degli eroi israeliani e ucraini che sono morti difendendo il loro popolo dai terroristi”. Magari in questo passaggio potrebbe essere Bandera a sentirsi offeso nel vedersi equiparato alle sue vittime ebree...

A noi sembra chiaro che si stia creando un “fronte” imperialista – con alla guida gli Stati Uniti e con l'Unione Europea ancora un po' disorientata dalla velocità che stanno prendendo gli eventi – che non distingue più al suo interno tra “progressisti” e reazionari, tra nazisti veri e propri e “liberali” classici; un fronte che ha la guerra come unico orizzonte possibile e che perciò – con il termine “terroristi” - definisce ormai semplicemente il caro, vecchio “nemico”. 

Do you remember “Achtung banditi”?



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Israele. Verso il fascismo

di Michel Warschawski *

Durante gli ultimi 45 anni ho partecipato a numerosissime manifestazioni, da piccole concentrazioni di pochi irriducibili a manifestazioni di massa nelle quali eravamo più di 100.000; manifestazioni tranquillle, anche festose, e manifestazioni nelle quali venivamo attaccati da gruppi di destra o perfino dalla gente che passava. Mi hanno dato colpi e li ho resi, e mi è servito, soprattutto quando avevo delle responsabilità, essere nervoso. Però non ricordo di aver avuto paura.

Mobilitato, di fatto detenuto nella prigione militare per essermi rifiutato di unirmi alla mia unità che doveva andare in Libano, non partecipai, nel 1983, alla manifestazione durante la quale fu assassinato Emile Grunzweig. Di contro, fui il responsabile del servizio d'ordine della manifestazione che, un mese più tardi, attraversava Gerusalemme per commemorare questo assassinio. In quella manifestazione conoscemmo l'ostilità e la brutalità della gente che incrociavamo, ma neppure lì ebbi paura, cosciente del fatto che questa ostilità di una parte della gente che passava non avrebbe superato una certa linea rossa che però era stata attraversata un mese prima.

Questa volta ho avuto paura.

Pochi giorni fa eravamo qualche centinaio a manifestare nel centro della città di Gerusalemme contro l'aggressione a Gaza, convocati da "Combattenti per la pace". Ad una trentina di metri, e separati da un impressionante cordone della polizia, alcune decine di fascisti eruttano il proprio odio con slogan razzisti. Noi siamo qualche centinaio e loro solo qualche decina e comunque mi fanno paura: nel momento della dispersione, ancora protetti dalla polizia, torno a casa attaccato alle mura per non essere identificato come uno di quelli della sinistra che odiano.

Di ritorno a casa, cerco di identificare quella paura che ci preoccupa, ben lungi da essere io l'unico che la prova. Mi rendo conto del fatto che Israele nel 2014, non è più solo uno Stato coloniale che occupa e reprime la Palestina, ma anche uno Stato fascista, con un nemico al suo interno contro il quale prova odio.

La violenza coloniale è passata ad un livello superiore, come ha mostrato l'assassinio di Muhammad Abu Khdeir, bruciato vivo da tre coloni; a questa barbarie si aggiunge l'odio verso quegli israeliani che si rifiutano di odiare "l'altro". Se, per generazioni, il sentimento di un "noi" israeliani trascendeva dai dibattici politici e, salvo alcune rare eccezioni - come gli omicidi di Emile Grunzweig o poi di Yitshak Rabin - impedivano che le divergenze degenerassero in violenza criminale, siamo ora entrati in un periodo nuovo, una nuova Israele.

Questo non è il risultato di un giorno e così come l'assassinio del Primo Ministro nel 1995 fu preceduto da una campagna di odio e delegittimazione diretta principalmente da Benjamin Netanyahu, la violenza attuale è il risultato di una "fascistizzazione" del discorso politico e degli atti che genera: sono innumerevoli già le concentrazioni di pacifisti e anticolonialisti israeliani attaccati da criminali di destra.

I militanti hanno sempre più paura e dubitano se esprimersi o manifestarsi; e cos'è il fascismo se non seminare il terrore per disarmare coloro che considera illegittimi?

In un contesto di razzismo libero e assunto da una nuova legislazione discriminatoria verso la minoranza palestinese in Israele, e da un discorso politico guerrafondaio formattato dall'ideologia dello scontro di civiltà, lo Stato ebraico sta sprofondando nel fascismo.

*[Michel Warschawski (Estrasburgo, 1949) è un giornalista e militante pacifista dell'estrema sinistra israeliana nonchè cofondatore e presidente del Centro di informazione alternativa (http://www.alternativenews.org) di Gerusalemme.]

Fonte originale dell'articolo: http://www.lcr-lagauche.org/israel-vers-le-fascisme/