* "Il fascismo italiano e gli ustascia", recensione del libro di P. Juso
* Intervista a Stipe Suvar del Partito Socialista Operaio - SRP


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IL FASCISMO ITALIANO E GLI USTASCIA
di PASQUALE JUSO, GANGEMI EDITORE, 1998, ROMA

Il testo è dedicato alle relazioni che il regime fascista italiano
intrattenne con il movimento separatista croato degli ustascia. Rapporti
che si ebbero a partire del 1928 fino alla Seconda guerra mondiale (il
testo arriva fino al 1941, anno in cui venne costituito lo Stato
Indipendente Croato).
Secondo l'Autore, l'intervento italiano si svolse su tre livelli
distinti:
1) A livello diplomatico, l'Italia cercò di creare una sorta di "cordone
sanitario" attorno al Regno di Jugoslavia. Infatti, tra il 1928 e il
1934, Roma allacciò stretti rapporti diplomatici con Albania, Austria,
Ungheria e Bulgaria, allo scopo di favorire sia il separatismo
antijugoslavo, sia l'istituzione di un contrappeso alla Piccola Intesa
formata da Francia, Jugoslavia, Romania e Cecoslovacchia.
2) A livello di appoggio, in territorio italiano, del movimento
ustascia; infatti Ante Pavelich venne ospitato in Italia a partire dal
1929. Inoltre a Como venne istituito un centro di reclutamento che fu
spostato, in seguito, prima a Bologna (Oliveto), poi a Lucca e infine in
Abruzzo. Furono anche costituiti due organi istituzionali preposti alla
logistica e al controllo del movimento ustascia operante in Italia:
- l'Ufficio Croazia, nato, nei primi anni '30, dall'Ufficio Albania del
Ministero degli esteri, diretto inizialmente da Cortese, quindi in
seguito da Mazzantini e poi da Vidau.
- l'Ufficio Speciale del Ministero degli interni affidato al questore
Conti, destinato a controllare e a gestire direttamente la presenza
ustascia in Italia. Tale ufficio si occupava dell'addestramento
militare, del vettovagliamento, della logistica e perfino dei debiti
lasciati dai singoli ustascia.
3) A livello "Occulto" (come lo definisce l'Autore); si trattava
dell'intervento diretto ad appoggiare il movimento ustascia in
Jugoslavia (terrorismo, sabotaggi, ecc.). Perciò furono istituite due
basi di appoggio operativo: una a Trieste affidata a tal
Godina e un campo di addestramento militare situata a Janka Pusza in
Ungheria e diretta da un ex-ufficiale dell'esercito austroungarico:
Servatzi.
All'indomani dell'assassinio del Re di Jugoslavia, Mussolini, per timore
che si scoprissero i legami tra Italia e ustascia (e anche dalle
preoccupazioni suscitate dall'intromissione nazista nell'assassinio di
Marsiglia), fece trasferire nelle Isole Eolie e in paesi dell'entroterra
del messinese, la maggior parte dei profughi separatisti croati. A meta'
del 1937 risultavano presenti in Italia circa 550 ustascia, ma dopo
l'accordo tra Ciano e Stoijadinovich, iniziò il rimpatrio di parte di
tali profughi. Questa operazione si svolse, però, molto lentamente,
tanto che alla vigilia dell'attacco alla Jugoslavia risultavano
rimpatriati neanche la metà dei profughi. Ciò era dovuto soprattutto al
fatto di non consegnare né gli ustascia addestrati nei campi fascisti,
nè i quadri e dirigenti del movimento. Per Mussolini essi
rappresentavano un'importante carta da giocare contro la penetrazione
tedesca nei Balcani. Inoltre, molti rimpatriati (tra cui Budak, già
braccio destro di Paveliche e che Stoijadinovich aveva con tattato per
risolvere la questione croata, ma in realtà per fare pressioni su
Machek, l'altro leader del separatismo croato, allo scopo di indurlo a
un accordo di governo in cambio dell'autonomia alla Croazia nell'ambito
del regno) ripresero la lotta armata contro il regime centrale di
Belgrado.

Tre incisi:
- Godina, Servatzi e gli altri coinvolti nelle operazioni "occulte",
furono tenuti lontani dagli altri separatisti presenti in Italia, ciò
allo scopo di non rilevare il grado di coinvolgimento del regime
fascista nei tentativi di distruzione dello stato balcanico.
- Assieme agli ustascia, l'Italia aveva dato ospitalità anche a Bandera
e ad altri nazionalisti ucraini che gli ustascia volevano utilizzare per
suscitare la rivolta della minoranza ucraina presente in Jugoslavia.
Si nota quindi che nella storia dei tentativi di compiere la distruzione
della Jugoslavia, l'Italia, allora come oggi, è sempre stata in prima
fila.
- Nel periodo che va dall'assassinio di re Alessandro alla creazione
dello stato ustascia, Pavelich decise di intrattenere sempre più stretti
rapporti con il nazismo, allo scopo di giocare sulle rivalità tra Roma e
Berlino e ampliare, quindi, il proprio margine di manovra. L'Autore fa
notare, però, che questo tentativo si risolse in una sempre più
accentuata sudditanza degli ustascia ai dettami politico-strategici di
Hitler.

Il quadro storico tratteggiato dall'Autore e', però, troppo ristretto
all'ambito della storia delle istituzioni politiche italiane; infatti
manca una analisi ampliata al livello europeo del movimento ustascia.
Mentre si da un quadro dettagliato dei conflitti interni alla colonia
ustascia in Italia, manca una spiegazione approfondita del processo di
avvicinamento del movimento ustascia alla Germania nazista.

(a cura di A. Lattanzio)

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Da "Il manifesto" del 31 Marzo 2000:

CROAZIA
Dopo l'entusiasmo, l'attesa: sotto esame il nuovo governo

Sconfitto il regime, resta uno stato in bancarotta "Ma non si risolve
privatizzando", critica la sinistra
"La legge sul lavoro resta quella di Tudjman". Intervista a Stipe Suvar,
presidente del partito socialista operaio

- GIACOMO SCOTTI - ZAGABRIA

Negli ultimi due tre mesi, improvvisamente la Croazia è diventata il
fiore
all'occhiello di molti statisti europei e d'oltre oceano. Viene da
chiedersi come mai, allora - nonostante le denunce degli organismi
dell'Onu, degli osservatori dell'Osce, della stessa Unione europea e del
Tribunale internazionale dell'Aja (al cui mandato di cattura per crimini
di
guerra Franjo Tudjman è sfuggito, morendo) - come mai, ripetiamo,
l'Occidente ha direttamente o indirettamente sostenuto e alimentato il
regime di Tudjman per dieci anni, fino alla morte del dittatore, facendo
ben poco per aiutare le forze democratiche croate nella loro difficile
lotta per abbattere col voto un regime supernazionalista, filofascista e
fondamentalmente antieuropeo.

Nella speranza che le promesse fatte nelle ultime dieci e più settimane
dallo stesso Occidente, di dare una mano al nuovo governo democratico
croato per facilitare il rientro dei profughi serbi in Croazia e il
ripristino dei diritti umani e civili, per migliorare la posizione
socio-politica delle minoranze nazionali, per la deustascizzazione delle
strutture create dal vecchio regime, eccetera, ascoltiamo una voce fuori
dal coro, una delle poche ma autorevoli voci della sinistra in Croazia.

Stipe Suvar, presidente del piccolo ma battagliero Partito socialista
operaio, fu l'ultimo massimo esponente della Croazia nella presidenza
collettiva della Repubblica socialista federativa di Jugoslavia fino
alla
vigilia della sua dissoluzione. Ed è stato il primo a criticare, da
sinistra, il nuovo governo del socialdemocratico Ivica Racan, perché "ha
proclamato una politica di radicale privatizzazione" delle industrie e
aziende di proprietà sociale o statale ereditate dal socialismo
autogestionario - che il regime tudjmaniano non era riuscito ancora a
vendere ai nuovi tycoons .

Svendita dei beni comuni

"Si va - dice Suvar - verso un'ulteriore svendita dei gioielli di
famiglia,
delle capacità produttive e di altri beni nazionali": destinati a finire
in
gran parte nelle mani di compagnie straniere, tedesche in primo luogo,
dalle telecomunicazioni alle banche, all'industria petrolchimica. Suvar
critica anche la scelta di una politica fiscale che dovrebbe stimolare
gli
investimenti, "ma tenendo conto più del capitale che del lavoro".

Suscita particolare malumore nella sinistra croata il fatto che il
governo,
nonostante le promesse elettorali, non abbia ancora affrontato la
revisione
o l'annullamento della "pretvorba", ovvero le ruberie commesse nel
processo
di trasformazione della proprietà statale in altri tipi di proprietà e
di
gestione. In molti casi il passaggio di proprietà è stato fittizio e ha
permesso a poche centinaia di speculatori, gerarchi del regime
tudjmaniano,
di impossessarsi gratuitamente o quasi di industrie e catene
commerciali,
arricchendosi a dismisura a spese dei lavoratori, gran parte dei quali
sono
stati gettati sul lastrico dai nuovi padroni, o privati dei diritti più
elementari.

Quando si comincerà a scovare i ladri e a punirli? - si chiede Suvar,
interpretando il pensiero di mezzo milione di operai mal pagati (su un
milione tra stipendiati e salariati) e di circa 400 mila disoccupati su
una
popolazione di appena 4 milioni e mezzo di abitanti. E non parliamo
della
legge sul lavoro in vigore: una legge tudjmaniana, da Suvar definita
"scandalosa" - certo la peggiore in Europa dopo quella della
Bosnia-Erzegovina - in cui è assente qualsiasi norma a tutela del lavoro
e
degli interessi dei lavoratori.

Lo stesso termine "lavoratore" è stato cancellato dal vocabolario croato
e
dalle leggi: non esistono lavoratori né operai, e invece è stato coniato
un
neologismo che, tradotto, significa "colui che riceve il lavoro". E
questo
"colui" può essere licenziato in qualsiasi momento e senza spiegazione.
"Esistono, dunque - dice Suvar - molti elementi che suscitano dubbi
sulla
qualifica di centro-sinistra data a questo governo". Secondo il nostro
interlocutore, "non è vero che la Croazia abbia svoltato a sinistra"; il
regime è stato destituito perché la gente "ha finalmente capito che la
Croazia stava andando alla rovina", che si erano dimostrate false le
promesse di Tudjman nel 1990, di "una società di benessere e felicità".
Il
paese è anzi precipitato nella miseria, e la popolazione ha reagito
abbattendo il regime dell'Hdz, portando al potere le forze politiche
rimaste per anni all'opposizione.

"Ma - insiste Suvar - non vedo un orientamento a sinistra, nelle prime
mosse, e nelle altre annunciate, del nuovo governo; e neppure nel
programma
del 'nuovo corso' indicato nella campagna elettorale dei due principali
partiti - socialdemocratico e social-liberale -che guidano l'attuale
governo esapartito".

Il leader della sinistra croata non può non ammettere che c'è stata una
"svolta democratica", e che le nuove forze al governo hanno almeno
salvato
il paese da un regime autoritario e filofascista. Teme, però, una fase
di
delusione e frustrazione delle "masse popolari che hanno votato non solo
per cambiare il regime, ma anche e soprattutto sperando che molte cose
rapidamente migliorassero". Certo, il nuovo governo ha trovato un paese
in
bancarotta, uno Stato con le casse praticamente vuote, e circa 20
miliardi
di dollari di debiti (esteri e interni), ma attenzione: "una
disillusione
provocata dall'inerzia e dall'inefficienza potrebbe portare a rivolte
sociali". Ancora, nota Suvar, seppur sono stati sostituiti ministri,
viceministri, capi-dipartimento, direttori generali dei principali enti
statali, "sono però rimasti grossi papaveri del vecchio regime".


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