TRA RIBELLISMO VIRTUALE ED IMPERIALISMO REALE

La difficile chiarificazione della strategia di politica estera del PRC


Con grande sorpresa di tanti compagni, interni o meno al Partito della
Rifondazione Comunista, su "Liberazione" del 17 maggio scorso veniva
pubblicato un lungo articolo di Fausto Sorini, Coordinatore nazionale
del Dipartimento Esteri del PRC, contenente una ampia e chiara analisi
della situazione internazionale. Nell'articolo [Allegato 1], gia'
apparso sul mensile "L'Ernesto", si delinea la possibile convergenza di
interessi tra innumerevoli soggetti che, sulla scena mondiale,
frappongono ostacoli alla espansione della sfera di controllo
statunitense e del capitale monopolistico: non solo formazioni della
sinistra, partiti comunisti e movimenti di liberazione, ma anche Stati
la cui indipendenza e sovranita' venga minacciata dalla espansione degli
interessi imperialistici degli USA e dei loro alleati.

Dopo la immediata replica sulle pagine di "Liberazione" (19/5/00) da
parte di Ramon Mantovani, parlamentare e responsabile Esteri del PRC, la
questione del "nuovo internazionalismo" ha occupato la riunione di
Direzione di venerdi 30 giugno scorso. La salutare polemica tra Sorini e
Mantovani ha visto dissociarsi dalle posizioni di Mantovani (e
Bertinotti) [Allegato 2] anche i compagni Pegolo e Grassi della
segreteria nazionale.
Tutti i lavori della Direzione sono stati pubblicati su "Liberazione"
del 1 luglio c.a., ma molte questioni ci sembra siano rimaste in
sospeso. Colloquiando con i militanti medi del partito, ci sembra di
rilevare come l'approfondimento delle tematiche sia stato ancora una
volta mortificato sul nascere, e come pure i risvolti per linea e la
stessa vita interna del PRC siano sottaciuti, come chiaramente appare
dal... silenzio assoluto ristabilitosi sulle colonne di "Liberazione"
dopo le suddette "uscite".

Vorremmo fare almeno due considerazioni su questo difficile dibattito
all'interno di un partito nel quale pure alcuni di noi hanno nutrito
speranze, talvolta militando all'interno di esso.

La prima considerazione e' che, nonostante tutto, lo scambio delle idee
nel PRC non riesce a decollare ne' su queste, ne' su altre questioni
cruciali. Non e' certo solo un problema del PRC; ma il PRC sconta anche
una dinamica interna che definire strana e' un eufemismo: le
comunicazioni si tengono con difficolta' tra le varie "anime" del
partito, che e' tuttora strutturato in "cordate" talvolta fisse su
posizioni anche inconciliabili fra loro. Si pensi ad esempio all'ala
ex-quartinternazionalista da una parte ("Bandiera Rossa", REDS e
"Balkan"), che ha sostenuto la frantumazione della RFS di Jugoslavia e
tuttora appoggia il separatismo grandealbanese, ed ai compagni viceversa
attivi nella solidarieta' alla RF di Jugoslavia dall'altra, primo fra
tutti il giornalista di "Liberazione" Fulvio Grimaldi.
Stessa incompatibilita' per tutta una serie di questioni:
Russia/Cecenia, Cina, eccetera.

La comunicazione e' asfittica, "Liberazione" anziche' aiutare impedisce
una corretta informazione sulle contraddizioni interne al partito, e
cosi' la politica "interna" si fa a forza di personalismi e pettegolezzi
tra singoli. Specchio di questo malvezzo e' proprio l'articolo di
Mantovani del 19/5, che attacca Sorini usando continuamente il suo nome
ed accusandolo "ad personam" di essere "fuori dalla linea del
partito"... Partito che poi in realta' non e' nemmeno chiaro se vuole
essere tale, avendo liquidato da un pezzo il "centralismo democratico"
ed essendo sempre rimasto in sospeso nel processo di "rifondazione"!

Viceversa, l'analisi di Sorini e' "scientifica", ha il grande merito di
andare proprio nel merito dei problemi, senza polemiche politicistiche,
di fornire elementi di conoscenza che nella confusione e disinformazione
mediatica sono oscurati e che nemmeno il PRC o "Liberazione" in genere
rendono noti. Ad esempio, il PRC ha contatti con una miriade di forze
politiche e movimenti rivoluzionari, le cui posizioni pero' non solo
spesso non vengono sostenute dal partito, ma non vengono nemmeno rese
note ai militanti! E', di nuovo, il caso della Jugoslavia, dove in tutti
questi anni delegazioni ufficiali hanno fatto spola, persino ai
congressi del tanto vituperato Partito Socialista della Serbia (leggi:
"Milosevic"), SENZA MAI qui in Italia riportare sinceramente le
posizioni e le attivita' di quelle realta', agevolando cosi' la
costruzione dei pregiudizi e delle visioni preconfezionate.

Qui si innesta la nostra seconda considerazione di fondo. La "linea"
espressa da Mantovani e' massimalista a parole, debolmente riformista e
priva di prospettive nei fatti. Mantovani ripete spesso anche in
occasioni pubbliche che "il PRC ha contatti con tutte le forze
democratiche e di sinistra nei vari paesi", ma non chiarisce mai se con
qualcuna di queste forze si intenda mai arrivare ad una unita' di
intenti, ed a che pro - la collettivizzazione dei mezzi di produzione?
Non lo chiarisce perche' il "nuovo internazionalismo" di Mantovani e'
puramente virtuale, e' la fascinazione retorica per tutti i luoghi
(soprattutto virtuali e mediatici, "di moda": Chiapas, Seattle, Tebio,
eccetera) dove si esprime una moralistica ripulsa per la globalizzazione
e/o il "nuovo ordine mondiale". E' il movimentismo come infinito lavoro
di Sisifo, contro ogni ipotesi di costruzione di organizzazione reale di
forze, partiti, nazioni contro l'imperialismo. Dietro al Moloch della
"globalizzazione" - quasi un "superimperialismo" che avrebbe vinto tutte
le sue contraddizioni interne, ed al quale tenderebbero tutti gli Stati
- Mantovani nasconde il frutto avvelenato della RESA su tutti i fronti:
infatti "non c'e' opposizione che non sia globale", quindi ovunque nello
stesso tempo e su tutto il pianeta, pero'... La Cina no, Milosevic no,
Putin no, l'Islam meno che mai, gli "stalinisti" ed i "settari"
nemmeno... Insomma CHI sono gli interlocutori del PRC e della
Rivoluzione su scala mondiale? Il Vaticano? Il Comandante Marcos? I
Centri sociali del Nord Est? Ocalan?
La realta' e' che non ci sono!

Noi crediamo, diversamente da Mantovani, che l'espansione imperialistica
non sia un processo gia' concluso - nemmeno a livello
ideologico-culturale: essa viene costantemente portata avanti usando
vari "piedi di porco" che vanno dalla "globalizzazione" mercantile, al
controllo informativo ed informatico, ad ingerenze "umanitarie" di vario
tipo, compreso l'appoggio a movimenti micronazionalisti e terroristi e
comprese le bombe al DU. Ovunque essa trovi un ostacolo, li' scatta uno
dei suddetti "piedi di porco". Il fatto che Mantovani e collaboratori,
mentre incontravano esponenti dell'UCK ed attaccavano il "regime di
Milosevic", non fossero in grado di prevedere ad esempio l'imminente
aggressione militare della NATO contro la RF di Jugoslavia, dimostra che
non hanno per niente chiaro quanto lavoro concreto, proprio nelle
realta' specifiche ritenute cosi' anacronistiche, ci sia da fare per
opporsi alla suddetta espansione imperialistica

Italo Slavo

-

Per l'uso dei compagni abbiamo preparato una piccola sintesi del
dibattito sulla querelle Mantovani-Sorini. I materiali usati per questa
sintesi provengono in gran parte dalla mailing list "LINEA ROSSA"
<Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.> e dall'omonima rivista telematica:
http://www.planio.it/linearossa/somm.htm

Da quest'ultima suggeriamo anche la lettura di
"Imperialismo, “globalizzazione” e questione nazionale"
( http://www.planio.it/linearossa/lr16azzara.htm - "La contestazione e
la sistematica distruzione del leninismo e del concetto di imperialismo
sembra essere l’obiettivo delle principali proposte di rinnovamento
della sinistra “critica”", di Stefano G. Azzarà).

Suggeriamo inoltre di seguire gli articoli che appaiono su "L'Ernesto"
( http://www.egroups.com/message/crj-mailinglist/282 )
rivista vicina alle posizioni di Fausto Sorini.

---

ALLEGATO 1

http://www.planio.it/linearossa/sorini1.htm

Liberazione - il Dibattito - Mercoledì 17 maggio 2000 -


Per una alternativa al nuovo ordine mondiale. Spunti per una riflessione

Le nuove contraddizioni della politica internazionale

____________________________________di Fausto Sorini
_________________________________

L'articolo qui di seguito è stato oggetto di discussione nella riunione
della Segreteria nazionale
con il Compagno Fausto Sorini, coordinatore del dipartimento esteri. il
6 marzo 2000.

In quella sede è stata sottolineata la necessità di affrontare gli
argomenti proposti con una replica
da parte del responsabile del dipartimento esteri, compagno Ramon
Mantovani. e una successiva
discussione in Direzione nazionale. Inoltre, trovandoci in quel momento
in piena campagna
elettorale e considerata l'esigenza di concentrare su quella
l'attenzione di tutte le compagne e i
compagni. si era perciò congiuntamente convenuto di dar luogo a tali
passaggi solo dopo le
elezioni del 16 aprile 2000. Dopo la pubblicazione odierna dell'articolo
di Fausto Sonni seguirà
perciò quella di Ramon Mantovani venerdì 19 maggio.

Quali sono i contenuti oggi possibili e qualificanti di una piattaforma
antimperialista mondiale,
definita non sulla base di principi astratti e reiterati, bensì tenendo
conte delle caratteristiche
determinate e dei rapporti di forza che definiscono il nuovo ordine
mondiale, dopo la fine del
mondo bipolare e il crollo del sistema sovietico? Quali sono le forze
motrici, dotate di sufficiente
forza materiale, capaci, in un prevedibile orizzonte temporale di anni o
decenni, di far avanzare
almeno parzialmente tali contenuti? Di costruire cioè alcuni elementi di
un ordine mondiale
alternativo?

Sono interrogativi grandi come il mondo. E la riflessione delle maggiori
forze comuniste,
progressiste ed antimperialiste a livello internazionale, ancora
embrionale. Proviamo, senza
alcuna pretesa di compiutezza, ad ordinare alcune idee su cui già
sembrano delinearsi
convergenze importanti e unificanti, che trascendono cioè le peculiarità
dei diversi contesti
nazionali o di area.



CONTENUTI UNIFICANTI

Sul terreno economico la globalizzazione imperialista si afferma come
privatizzazione e
appropriazione delle risorse mondiali, dei processi produttivi, dei
flussi finanziari, ad opera di
alcune centinaia di grandi imprese multinazionali che si spartiscono il
mondo, con il supporto
strategico e imprescindibile dei rispettivi Stati nazionali. Queste
imprese, pur espandendo la loro
attività in ogni angolo del pianeta, continuano ad avere una
fondamentale base territoriale e un
retroterra strategico nei paesi d'origine; il primato delle
multinazionali americane, giapponesi,
tedesche, inglesi, francesi, anche italiane (si pensi alla Fiat) sarebbe
impensabile senza il
supporto dei rispettivi Stati nazionali. Essi non solo non deperiscono,
ma acquistano un peso
crescente nell’epoca della globalizzazione capitalistica e di una
accentuata competizione
Interimperialistica per le zone di influenza, che ha ormai assunto una
dimensione planetaria.
Quelli che invece vengono destrutturati sono i poteri pubblici e le
statualità dei paesi che sono
oggetto dell’espansione imperialista (cioè la maggioranza dei paesi del
mondo) alfine di
indebolirne ogni possibilità di resistenza sovrana alla penetrazione
delle multinazionali e di
controllo sulle proprie risorse. In questo senso si è parlato
correttamente di "Stati disgreganti" e
"Stati disgregati". E’ vero invece che anche nei paesi imperialisti si
attaccano le funzioni sociali
dello Stato e i settori pubblici dell'economia vengono progressivamente
privatizzati, al fine di
sottrarre ai poteri pubblici le basi strutturali di ogni possibile
programmazione dell’economia e di
condizionamento del capitale privato. Per aprire ad esso nuove fonti di
profitto anche nel settore
dei servizi (previdenza, assicurazioni, sanità, scuola,
telecomunicazioni, trasporti). In questo
quadro, la difesa intransigente della sovranità degli Stati, delle
risorse nazionali e dei settori
pubblici dell’economia assume un carattere obbiettivo di resistenza alla
espansione e alla
penetrazione imperialistica, anche quando tale resistenza si manifesta
da parte di regimi che
esprimono prevalentemente gli interessi di borghesie nazionali e di
élite politico-militari, (penso a
paesi come l’Iraq, l’Iran, l’Algeria...). E’ proprio un esponente non
sospetto di sciovinismo come
Samir Amin, a introdurre in proposito la distinzione tra "nazionalismi
positivi" e "nazionalismi
negativi": i primi, "diretti contro i potenti del sistema, gli Stati
Uniti in particolare" (e qui Samir
Amin cita l’esempio della Cina, ma l’argomentazione si potrebbe
estendere a Cuba, Venezuela,
Libia, Jugoslavia, Bielorussia, alla stessa Russia "patriottica"; I
secondi, "invocati da stati
dirigenti ormai alle strette e che per lo più si dirigono contro altri
deboli, mai contro i potenti nella
gerarchia del sistema mondiale". E quì l'esempio citato è quello del
nazionalismo croato. "Questi
nazionalismi negativi - commenta Samir Amin - sono del tutto funzionali
alla gestione
capitalistica, mentre i primi non lo sono affatto". Nell’epoca di una
crescente interdipendenza
delle relazioni economiche internazionali, la difesa della sovranità
nazionale non può affermarsi
nel quadro di una impossibile autarchia. Essa suppone, al contrario una
fitta rete di relazioni tra
Stati sovrani, con accordi tra settori e imprese pubbliche (o miste) dei
rispettivi Paesi, volti a
costruire entità economiche integrate a livello sovranazionale, capaci
di reggere l’urto e di
esercitare un parziale elemento di contrappeso al predominio delle
multinazionali private. Penso,
per fare un esempio, ai molteplici accordi per la ricerca e lo
sfruttamento del petrolio e del gas
naturale che, a vari livelli, hanno coinvolto, imprese pubbliche o miste
di nazionalità russa, cinese,
vietnamita, algerina, cubana, irachena, iraniana, libica, kazacha,
siriana... e che hanno visto in
alcuni casi anche il coinvolgimento dell’Italia attraverso l’Eni
(ricordate la filosofia "del caso
Mattei"?). Penso alla competizione per il controllo del petrolio nella
regione caucasica, foriere di
guerre presenti e future, dove la logica imperialista delle
multinazionali che operano, con il
coinvolgimento di Stati Uniti, Israele e Turchia (stati tutt’altro che
in via di estinzione!) si scontra
con l’esigenza di altri paesi della regione, ad esempio Russia e Iran,
di mantenere il controllo sulle
proprie risorse.

Non autarchia quindi, ma accordi sovrani ed integrati tra stati che
intendano resistere alla morsa
del nuovo ordine mondiale; e che congiuntamente intendano condurre una
battaglia comune e
convergente all’interno dei grandi organismi economici internazionali,
come il Fondo monetario, la
Banca mondiale, il WTO. Dai quali sarebbe allo stato attuale impensabile
e velleitario prescindere;
nei quali al contrario, come ha auspicato di recente Fidel Castro, una
possibile azione
convergente di grandi potenze "non allineate" come la Russia, la Cina,
l’India, insieme ai paesi del
terzo mondo (la cosìddetta cooperazione sud-sud), può introdurre
elementi di controtendenza
nell’attuale assetto mondiale, facendo leva su contraddizioni e rivalità
(emerse anche a Seattle)
che oppongono Stati Uniti, Giappone e Unione Europea, utilizzandole a
proprio vantaggio per
isolare volta a volta, a seconda del tema l'avversario principale.
Condizione necessaria anche se
non sufficiente di una strategia alternativa alla mondializzazione
imperialistica è quindi il
consolidamento e il recupero di sovranità degli Stati nazionali, in
primo luogo in campo economico,
con la difesa (o il ripristino e la qualificazione di un forte settore
pubblico. Con accordi tra questi
Stati e forme di cooperazione e/o integrazione in grado di pesare sui
processi mondiali, in ambito
politico-istituzionale e militare, si evidenziano alcune priorità: la
difesa della sovranità degli Stati,
contro ogni pretesa o diritto d'ingerenza, comunque motivato, da parte
di organismi sevranazionali
"dl parte" (Nato, G7, Unione europea...).Oggi l'insieme della comunità
Internazionale riconosce
solo all'Onu e al suo Consiglio dl Sicurezza, in casi eccezionali e in
ambiti ben delimitati, diritto di
eccepire al principio di sovranità. Sono oggi le maggiori potenze
lmperialistiche, in primo luogo -
Stati uniti e la Nato, che hanno interesse e premono per forzare tale
principio, nel nome delle
"ingerenze umanitarie" al fine di garantirsi diritti di intervento nei
conflitti e nelle controversie
internazionali, aggirando l’autorità e il sistema di veti e contrappesi
garantito dall’Onu (in
particolare il veto di Russia e Cina, in alcuni casi anche quello della
Francia), come è stato nel
caso della guerra nei Balcani; la difesa del primato dell'Onu e del suo
Consiglio di Sicurezza (il
cui ruolo và riformato, democratizzato, reso più rappresentativo ed
efficiente, ma non vanificato)
nella regolazione delle controversie internazionali, contro la pretesa
di altri organismi come la
Nato e i vertici G7/G8 di prenderne più o meno surrettiziamente il
posto, "più Onu meno Nato".
Nessuno si nasconde i limiti delle Nazioni Unite attuali, ma non
esistono allo stato attuale altre
soluzioni e istituzioni più avanzate e garanti del diritto
internazionale; - l’opposizione ad ogni
ulteriore espansione della Nato e del suo ruolo globale: piattaforma
comune - salvaguardia della
sovranità nazionale sulle proprie risorse, centralità dei poteri
pubblici in economia, accordi
regionali e internazionali di cooperazione tra stati e tra imprese
pubbliche o miste; - difesa della
sovranità politica, istituzionale e militare degli stati, in un quadro
di regole garantite dall'ONU.
Primato dell'ONU rispetto a ogni altra istituzione sovranazionale (NATO,
G7); piu'ONU, meno
NATO; no all'allargamento della NATO; - accordi bilanciati sul disarmo,
a partire dalle potenze
più armate; - multipolarismo contro unipolarismo.

FORSE MOTRICI E SCHIERAMENTI

Su questi contenuti c'è oggi la convergenza di uno schieramento
internazionale vasto e
diversificato, che include movimenti di lotta e di liberazione, popoli e
paesi, governi e stati che
comprendono la grande maggioranza della popolazione del pianeta. Anche
se, va detto subito, ciò
non si esprime ancora e prevedibilmente cosi' sarà per un periodo non
breve in un movimento
coordinato e strutturato mondialmente. Ciò attiene principalmente alla
crisi del vecchio
internazionalismo, definitivamente consumatori con il crollo dell'URSS e
del vecchio campo
"socialista" (ma la cui crisi comincia a manifestarsi già con la
drammatica rottura tra comunisti
sovietici e cinesi negli anni 60); che ha avuto come conseguenza, tra le
altre, quella di una
tendenza delle varie componenti comuniste e antimperialiste
sopravvissute al terremoto di fine
anni 80, a rinchiudersi prevalentemente nelle rispettive realtà
nazionali, dovendo sovente far
fronte a complesse emergenze e a problemi di vera e propria
sopravvivenza. Sono stati per tutti
anni difficili e in alcune situazioni (come quella italiana) non si può
certo che l'emergenza sia
terminata. Ma si sono pure manifestati, nel corso dell'ultimo decennio,
importanti fattori di tenuta
e di ripresa di un'insieme di forze antimperialiste e tra esse le
maggiori e più' influenti forze
comuniste del mondo, che delineano un quadro difficile, ma non
disastroso né privo di prospettive.
Il fallimento del vertice di Seattle, dovuto principalmente ai contrasti
di interesse fra Stati Uniti,
Unione europea e Giappone, all'opposizione dei paesi del terzo Mondo e,
sia pure
simbolicamente, alle contestazioni dei manifestanti, ha messo in luce
che il processo di
globalizzazione imperialistica procede in modo tutt'altro che lineare e
produce contraddizioni e
controtendenze significative. I processi in atto negli ultimi anni su
scala mondiale non consentono
alcun ottimismo facilone: le ripercussioni disastrose sui rapporti di
forze mondiali seguite al crollo
dell'URSS sono tutt'altro che recuperate, come ha dimostrato anche la
guerra della NATO contro
la Yugoslavija e lo slittamento neoliberale e atlantista della gran
parte della socialdemocrazia
europea. Ma non ve dubbio che importanti segnali di tenuta, di ripresa,
di nuova accumulazione di
forze nell'ambito dello schieramento antimperialista di cui sono parte
essenziale i comunisti si
sono manifestati nelle principali aree del mondo, con una propensione
crescente a definire forme
di raccordo, su basi quantomeno regionali, della loro iniziativa.

AMERICA LATINA

In America latina è andato crescendo, attorno al forum di San Paolo il
raccordo di tutte le sinistre
del continente, la cui influenza elettorale media in tutta la regione
sfiora ormai il 30%.In
particolare si evidenziano: lo sviluppo delle forze comuniste e
rivoluzionarie in Colombia (che
incidono ormai sulla metà del territorio); la nuova situazione
dirompente creatasi in Venezuela
con la presidenza "bolivariana" di Hugo Chavez e il forte movimento
popolare e nazionale cui ha
dato impulso; la ribellione popolare in Ecuador, giunta alle soglie del
potere; la grande avanzata
del fronte delle sinistre nelle elezioni presidenziali in Uruguay dove
il candidato del Frente
Amplio, Tabarè Vazquez ha perso per un soffio il ballottaggio sfiorando
la maggioranza assoluta
dei consensi; il consolidamento di una forte sinistra sociale e politica
nel continente brasiliano,
attorno ai comunisti e al Partito del Lavoro (Pt) architrave di tutto il
coordinamento
antimperialista in America Latina è sempre Cuba e il suo partito
Comunista. In fase ormai di
ripresa dopo gli anni più difficili del "periodo special", essa conferma
la sua grande capacità,
tipica della migliore "scuola leninista", di coniugare fermezza
politico-ideologica e costruzione di
larghe alleanze su contenuti avanzati e possibili.

AFRICA

In Africa la regione più interessante è quella sub-equatoriale, dove il
nuovo Sud Africa
progressista (maggiore potenza economica, industriale e militare del
continente) sta diventando il
perno di un raccordo che comprende tutti i governi della regione,
espressione di quei movimenti
antimperialisti della regione che hanno segnato la storia passata e
recente di questi paesi.
Quattordici stati della regione si ritrovano oggi nel SADC (Southern
Africa development
community) - tra cui Angola, Repubblica Democratica del Congo,
Mozambico, Namibia, Sud
Africa, Tanzania e Zimbabwe, cui è destinato presto a collegarsi anche
il nuovo Congo
progressista (ex Zaire) di Laurent Cabila - espressione di una comunità
regionale che si propone
di fronteggiare unita i problemi posti dalla globalizzazione
capitalistica. Decisiva per tutti sarà
l'evoluzione dell'orientamento del Sud Africa, dove all'interno della
Anc - che governa con una
maggioranza assoluta del 65% - si è aperto uno scontro politico tra
tendenze moderate e neo
liberali (incarnate dal nuovo presidente della repubblica Thabo Mbeki,
succeduto a Mandela) e
l'ala sinistra dell'organizzazione, rappresentata dal Partito comunista
e dalla potente
confederazione sindacale Cosatu (2 milioni di iscritti, il più grande di
tutta l'Africa), che
esprimono circa la metà della Anc e del suo gruppo parlamentare e 1/3
dei suoi ministri. Un ruolo
importante svolge anche la Libia del colonnello Gheddafi, il cui
rinnovato protagonismo si propone
di rilanciare, insieme al Sud Africa e alle altre forze progressiste del
continente, un progetto di
unità africana, non sottomessa alle pretese del nuovo imperialismo.

L'EUROPA

L'Europa - dell'est e dell'ovest - (esclusa cioè l'area ex sovietica)
non è certo una regione del
mondo da cui sia prevedibile attendersi in tempi brevi rovesciamenti di
linea rispetto agli
orientamenti neo-liberali e atlantici prevalenti (incombono semmai
rischi di slittamento ulteriore a
destra, come segnala il caso austriaco). La guerra della NATO nei
Balcani ha visto l'allineamento
dello stesso governo delle sinistre in Francia (un posizionamento sulle
cui implicazioni non si è
riflettuto abbastanza). Ed anche eventuali accordi di governo "alla
francese" che dovessero in
futuro coinvolgere Spagna e Italia, comunque la si voglia valutare (e
non mi addentro), non
muterebbero sostanzialmente la collocazione strategica dell'Unione
europea nel nuovo ordine
mondiale e nella sua subalternità alla NATO. Una alternativa complessiva
nella collocazione del
continente non è all'ordine del giorno e la fase è quella di un lungo
periodo di ricostruzione e di
accumulazione di forze. Entro questi limiti, assistiamo in numerosi
paesi della regione ad una
tenuta o ad uno sviluppo dei maggiori partiti comunisti e di sinistra
anticapitalistica: ad es. in
Francia, Germania, Svezia, Portogallo, Grecia, Cipro, Ungheria,
Repubblica Ceca, (dove gli ultimi
sondaggi danno il partito comunista al primo posto col 23%, con uno
spettacolare raddoppio).
Anche in Spagna e in Italia, dove le recenti lezioni europee avevano
visto un crollo di Izquierda
Unida e di Rifondazione, la situazione resta problematica, ma non
necessariamente irreversibile.
In Turchia il movimento curdo continua a rappresentare una spina nel
fianco per la stabilità di quel
regime. In Romania una sinistra sociale e politica sembra ricostruirsi,
a partire da una forte
ripresa delle lotte dei minatori. Comunque la si voglia valutare, la
sinistra yugoslava al governo
del paese continua a rappresentare un importante punto di resistenza nei
Balcani ad una compiuta
normalizzazione atlantica della regione. Si tratta di operare per un
crescente raccordo
dell'iniziativa di tutte queste forze, superando "muri invisibili" e
pregiudiziali ideologiche che
ancora ostacolano una piena fluidificazione delle relazioni multi
laterali e delle azioni congiunte
tra comunisti e forze progressive dell'est e dell'ovest. L'assenza (o
quasi) di iniziative comuni e
continuative contro la guerra in Yugoslavja non solo è uno smacco grave
per queste forze, ma
segnala grosse difficoltà e resistenze a procedere con spirito unitario
verso livelli più avanzati di
unità d'azione.

REPUBBLICHE EX SOVIETICHE

Nell'area delle Repubbliche ex sovietiche e in Russia assistiamo ad una
persistente e graduale
avanzata delle forze di ispirazione comunista, socialista e
antimperialiste (incluse quelle
componenti nazional-patriottiche, antiamericane e anti-NATO, ostili alla
colonizzazione dei loro
paesi da parte occidentale e che, parafrasando Samir Amin, potremmo
definire di "Nazionalismo
positivo"). Queste forze sono maggioranza nei parlamenti di Russia,
Ucraina, Moldavia, e
compongono il blocco che sostiene il presidente Lukashenko in
Bielorussia. La Russia, grande
potenza in crisi, ma non omologata, resta un paese chiave
dell'equilibrio mondiale. Grazie
all'ampiezza del suo territorio che abbraccia due continenti, alla
ricchezza di materie prime (si
parla del 50% delle risorse del pianeta), del suo potenziale
scientifico, tecnologico e industriale
(oggi frustrato ma non dissolto) ed il suo apparato militare e nucleare,
secondo solo a quello degli
Stati Uniti. Qui, non solo la stragrande maggioranza della gente, ma
anche la gran parte dei
deputati alla "Duma" (inclusa un settore oggi vicino all'eningmatico
Putin) condivide i punti
politici e programmatici che abbiamo definito come cardini di una
piattaforma antimperialista, ed è
presumibile che prima o poi, nonostante trasformismi e doppiezze, ciò
influisca - come in parte
già avviene - sulle scelte di fondo e sulla collocazione internazionale
di quel grande paese.

L'ASIA

L'Asia che include gran parte del territorio dell'ex Urss, è il
continente in cui gioca la sfida per
l'egemonia mondiale nel 21° secolo e, a tutt'oggi, il meno omologato al
"nuovo ordine". Su ciò
concordano - da Kissinger a Brezinskj - tutte le teste d'uovo della
politica globale degli Stati
Uniti. In Asia, sono le tre maggiori potenze non omologate - Russia,
Cina e India - che
comprendono circa metà della popolazione del pianeta e oltre un quinto
della ricchezza prodotta
sul pianeta, con prospettive di giungere a circa un terzo nei prossimi
vent'anni, secondo stime
della Banca mondiale. Grandi paesi non omologati sul piano economico,
perché il modello
neoliberale non vi è organicamente imposto: anche in India, dove pur
essendo assai forte e
penetrante la pressione in questo senso, con il consenso del nuovo
governo della destra Indù,
permane un'importante settore pubblico dell'economia, i cui tentativi di
smantellamento
incontrano resistenze fortissime. Il che è ancora più vero per la
Russia, in cui vi è anzi un revival
di "statalismo" per non parlare della Cina, dove il settore pubblico
resta dominante. Grandi paesi
non omologati sul piano politico e militare, dove si va da collocazioni
di non allineamento a
posizionamenti di aperta ostilità agli Stati Uniti e alla NATO, tutti e
tre i paesi hanno condannato
la guerra contro la yugoslavja, si oppongono all'espansione a est della
NATO, all'egemonismo
americano e atlantico e portano avanti programmi di modernizzazione del
proprio armamento
convenzionale e nucleare il cui obbiettivo di contrappeso alla NATO è
evidente. Ciò è vero
soprattutto per Russia e Cina che hanno siglato negli ultimi anni
diversi trattati di partnership
strategica in campo economico, politico e anche militare, in cui la
componente anti-americana,
anti-egemonista e anti-NATO non è stata dissimulata (ivi compreso
un'accordo di cooperazione
comprendente Cina, Russia, Kazakhistan, Kirghizistan, e
Tadzhikistan).Non è un caso se nel
comunicato congiunto seguito all'incontro di Pechino del dicembre scorso
tra Elzin e Jang Zemin,
vengono citati una serie di punti caldi di divergenza con l'attuale
politica degli Stati Uniti e della
NATO: - sostegno ad un assetto mondiale, democratico e bilanciato,
contro ogni forma di
egemonismo e unipolarismo o pretesa di imporre singoli modelli
culturali, sistemi di valori o
ideologie; - rafforzamenti dell'ONU e della sua centralità nelle
relazioni internazionali, rifiuto
dell'espansione della NATO e del suo ruolo globale; - difesa della
sovranità nazionale degli Stati,
eguale status per ogni stato, rifiuto di ogni interferenza degli affari
interni. Rifiuto del principio
"dell'ingerenza umanitaria", e del criterio per cui "i diritti umani
sono più importati della
sovranità"; - mantenimento del Trattato Abm, come da mozione congiunta
approvata
dall'assemblea dell'ONU, su proposta di Cina, Russia, e Bielorussia; -
opposizione al progetto
americano di un nuovo sistema di difesa antimissile che gli USA
vorrebbero dispiegare nella
regione asiatica del pacifico; - condanna della non ratifica da parte
USA del Trattato sulla non
proliferazione nucleare; - opposizione ad ogni sistema di armamento
nello spazio, avvio di una
Conferenza Internazionale sul disarmo bilanciato, con una agenda
precisa; - sostegno reciproco
per l'ingresso di Russia e Cina nel WTO, con condizioni che assicurino
ad ogni paese eguale
status nel sistema mondiale di commercio estero, e tenendo conto dei
livelli di sviluppo dei diversi
paesi, soprattutto più poveri; - rifiuto di ogni separatismo etnico; -
ritiro delle sanzioni all'Iraq,
affermazione del principio per cui la questione irachena può essere
risolta solo dall'ONU e con
mezzi pacifici; - condanna delle tendenze alla separazione del Kossovo
dalla Repubblica
Federale Jugoslava, richiesta di attuazione piena della risoluzione 1244
dell'ONU che riafferma la
piena sovranità e integrità territoriale della Jugoslavija; - sostegno
russo alla riunificazione di
Taiwan alla Cina, sostegno cinese a Mosca sulla questione cecena,
riconosciuta come affare
interno.

NUOVI EQUILIBRI INTERNAZIONALI

Il consolidamento in Russia, Cina e India delle tendenze più determinate
a resistere ad una
integrazione subalterna nel nuovo ordine mondiale avrebbe un impatto
enorme sugli equilibri
internazionali, presenti e futuri. E peserebbe innanzitutto, come in
parte già avviene,
sull'orientamento e sulla collocazione dei paesi circostanti,
incoraggiandovi le tendenze meno
omologanti. Penso ad alcuni paesi arabi (Iran, Iraq, Siria, Palestina
…), al Nepal, alla Mongolia, alle
Repubbliche asiatiche dell'ex URSS, alle dinamiche nella penisola
coreana. Penso all'Indocina,
dove già il Vietnam, legato fortemente a Laos e Cambogia, svolge un
ruolo di potenza
subregionale e influisce sulla dialettica interna ai paesi dell'Asia.
Penso alla situazione sociale e
politica esplosiva in paesi come le filippine e l'Indonesia, dove sono
cresciuti forti i movimenti di
massa, sull'onda della crisi asiatica. Penso al segnale incoraggiante e
fortemente simbolico che
viene dal Giappone (paese chiave dell'equilibrio regionale, emblema del
capitalismo più
sviluppato), dove il Partito comunista ha visto negli ultimi due anni
straordinari exploit elettorali
che lo hanno portato ai suoi massimi storici (16% su scala nazionale,
oltre il 20% a Tokyo), con
un forte impulso alle lotte sociali, sindacali e alla mobilitazione
contro alla presenza delle basi
militari USA sul territorio nazionale. Come si vede, il quadro sia pure
sommario e incompleto delle
principali forze che a livello mondiale sono riconducibili, a livelli
diversi, dentro dinamiche di tipo
oggettivamente "antimperialista", antagoniste o contraddittorie rispetto
al nuovo ordine mondiale,
è assai vasto e diversificato. Compito dei comunisti e delle forze
rivoluzionarie è quello di operare
con pazienza e spirito di unità (respingendo ogni tentativo, comunque
motivato, di introdurre
artificiose divisioni o contrapposizioni tra queste forze) alla
costruzione di forme sempre più
efficaci di raccordo e iniziativa comune o convergente, a partire dai
rispettivi contesti regionali.
Nella prospettiva, oggi ancora immatura, ma non eludibile, di un loro
collegamento su scala
globale. Per la costruzione di un "Forum" internazionale di tutte le
forze comuniste, rivoluzionarie
e antimperialiste - a sinistra dell'internazionale socialista, ma capace
di operare sulle sue interne
contraddizioni - che sappia aprire ai popoli del mondo le frontiere di
un nuovo internazionalismo al
passo coi tempi.



Si ringrazia la compagna Patrizia Bezeredy, che ha trascritto il testo
da un paio di fotocopie, tra l'altro quasi illeggibili,
forniteci dal compagno Stefano Ghio di Rosso Operaio che lavora in
Segreteria Prc di Genova. Grazie ad entrambi i
compagni.

Linea Rosa genovese (mercoledì, 19 luglio 2000)

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ALLEGATO 2

Una discussione non ordinaria


La discussione che ci accingiamo a fare non è ordinaria, non è, cioè, la
classica discussione di
approfondimento motivata dalla necessità di sviluppare la linea e
l’iniziativa del partito. Essa
prende le mosse da un preciso fatto politico, da un articolo che il
compagno Fausto Sorini,
coordinatore del dipartimento che dirigo, ha chiesto di pubblicare su
Liberazione. La segreteria ha
valutato necessario che io rispondessi, visto che l’articolo conteneva
serissime divergenze di
analisi e di proposta con la linea di politica internazionale fin qui
seguita, ed ha, altresì, deciso di
dedicare una riunione della Direzione al fine di giungere ad un
chiarimento politico sulla base di un
documento da sottoporre al voto. *** A questo serve il documento
proposto alla discussione e,
come si può ben vedere, esso si colloca in una linea di continuità con
l’elaborazione e la pratica
fin qui sviluppata dal nostro partito, ed in particolare con il
documento della Direzione del giugno
’97 e con il documento approvato dal nostro ultimo congresso. Nella
relazione, ovviamente, mi
soffermerò soprattutto sui punti più controversi della nostra
discussione. Vi è innanzitutto, nel
documento che dobbiamo discutere, una precisa tesi: siamo di fronte ad
un nuovo capitalismo.
Non siamo, in altre parole, davanti ad una semplice espansione del
capitalismo come l’abbiamo
conosciuto fino ad ora. Si tratta di un’affermazione molto impegnativa,
soprattutto dal punto di
vista delle conseguenze politiche che dobbiamo trarne. Vi sono, tra le
altre, tre cose molto
importanti che ci portano a parlare di “nuovo capitalismo”. La
dimensione del capitale finanziario e
la sua autonomia da qualsiasi potere politico costituito, la crescita
enorme delle società
multinazionali e il loro progressivo sradicamento territoriale, la
comparsa di nuove contraddizioni
e la loro valenza in tutto il mondo. Una conseguenza, ben visibile, è la
fine della coppia
“sviluppo-progresso” visto che, anche in presenza di crescita economica
e produttiva, abbiamo
contemporaneamente maggiore disoccupazione ed esclusione sociale,
compresa la povertà, sia
nei paesi ricchi sia in quelli poveri. In altre parole, per effetto
dell’applicazione delle politiche
neoliberiste in tutto il mondo, abbiamo dovunque le stesse
contraddizioni ed effetti. Fra gli effetti,
noi parliamo di una crisi degli stati nazionali, del rovesciamento del
loro ruolo, del tentativo di
costruzione di un governo del mondo unipolare. Su questo punto,
effettivamente, fra noi ci sono
divergenze. Che ci sia una crisi degli stati nazionali mi pare lo
riconoscano tutti, ma non si tratta
di una semplice perdita di poteri e riduzione di ruolo, bensì di un
rovesciamento del ruolo storico e
di una nuova funzione. Penso al fatto che gli stati hanno perso
sovranità verso l’alto, e cioè verso
organizzazioni tecnocratiche e finanziarie che decidono in prima persona
le politiche economiche
da applicare, e verso il basso, cioè verso parti del proprio territorio
che tendono a rendersi
autonome, o indipendenti, per meglio stare nella competizione
determinata dalla globalizzazione
dei mercati. Lo stato nazionale, quindi, da luogo della mediazione
sociale capace di produrre un
proprio modello di sviluppo, anche attraverso la partecipazione diretta
nell’economia, si trasforma
in istituzione che privatizza tutto e ristruttura il territorio, il
mercato del lavoro, e perfino la
propria forma istituzionale secondo le esigenze della globalizzazione.
Questo vale per tutti gli
stati, tranne che per gli USA. Per il semplice fatto che gli USA
all’appuntamento con la
globalizzazione si sono trovati già coerenti con il nuovo capitalismo.
Uno stato non proprietario
nei settori fondamentali dell’economia, un modello sociale fondato sul
mercato e
sull’individualismo, ecc. Non è vero, come invece sostiene il compagno
Sorini, che gli stati dei
paesi forti difendono gli interessi del capitalismo di casa loro. E’
vero, invece, che vi è una
competizione fra gli stati forti, nell’ambito di chi meglio promuove e
rappresenta gli interessi del
capitalismo globale. Due esempi per farmi meglio capire. Poco tempo fa
in Colombia, mentre mi
trovavo con una delegazione parlamentare italiana in quel paese, ho
incontrato gli imprenditori
italiani. Fra questi un signore italiano rappresentante una società
multinazionale operante nel
settore dei prefabbricati e presente con 26 stabilimenti in tutto il
mondo. Ovviamente tutti, lui
compreso, chiedevano precise cose al governo e al parlamento italiano,
in favore dei loro
investimenti in Colombia. Io gli ho chiesto come fosse composto il
capitale della sua società e lui
mi ha risposto: il capitale è indiano al 100%, la tecnologia è italiana,
la forza produttiva è garantita
soprattutto dalla consociata statunitense. La domanda è questa: se
l’Italia aiuta questa società di
chi fa gli interessi? Di un presunto capitalismo italiano? Direi proprio
di no. Il secondo esempio è
relativo al Chiapas. Una multinazionale, il cui consiglio di
amministrazione risiede in Europa, ha la
concessione, con i vantaggi scaturiti dal Nafta, l’accordo fra Usa,
Canada e Messico, di
sfruttamento dell’uranio in quel territorio. Il 1 luglio è entrato in
vigore un accordo di
liberalizzazione dei mercati e degli investimenti fra Unione Europea e
Messico. E’ altamente
probabile che vi siano società nordamericane che lo utilizzeranno,
attraverso le loro consociate
europee. Si può dire che il processo di liberalizzazione dei mercati
favorisca un capitalismo a
scapito di un altro? Direi di no, ed anzi, affermo che non si può più
parlare di sistemi capitalistici
diversi e contrapposti fra loro, bensì di un sistema tendenzialmente
unificato. Le contraddizioni
geopolitiche, per questo, non si sposano più con quelle di capitalismi
nazionali o regionali diversi
fra loro. Perciò penso non si possa davvero più leggere nulla con la
categoria delle “contraddizioni
interimperialistiche”. Mentre propongo di considerare vigente la nozione
di “imperialismo”, anche
se è necessario rifondarla, non solo aggiornarla, alla luce del
costituendo governo unipolare del
mondo e della nuova funzione della guerra, entrambe cose sulle quali nel
documento ci si diffonde
molto. *** Alla luce di quanto affermato finora, forse si capisce meglio
la nostra linea politica
sull’Europa. L’egemonia americana non è il dominio Usa sull’Europa, ma
è, appunto, l’egemonia di
chi promuove con maggior forza e velocità gli interessi del capitalismo
globale. Infatti, fra quella
che una volta avremmo chiamato borghesia italiana o tedesca o europea,
abbiamo un vero e
proprio coro in favore di ogni proposta di liberalizzazione dei mercati
e di ristrutturazione delle
economie nazionali proposte dagli Usa. I governi europei, proprio perché
accettano quel
rovesciamento di ruolo dello stato di cui abbiamo parlato, iscrivono la
loro competizione con gli
Usa nell’ambito della costruzione del governo unipolare negli interessi
del capitale globale. Non è
vero, per esempio, che la guerra del Kossovo, che è stato un passo
decisivo in questo processo,
sia stata imposta dagli Usa ai propri alleati in ambito Nato. Furono per
primi alcuni ministri della
difesa europei, tra i quali l’italiano, a proporre agli allora restii
americani di preparare un intervento
militare Nato. Vale la pena di ricordare che allora gli USA
consideravano ufficialmente l’Uck
come un’organizzazione terroristica e Milosevic come un interlocutore
credibile. Per quanto
riguarda la possibilità o meno che si possa aggregare un blocco
“antimperialista” di paesi bisogna
considerare alcuni importanti fattori. Prendiamo ad esempio la Russia.
E’ più che chiaro che
l’allargamento ad Est della Nato e la guerra nel Kossovo hanno inflitto
pesanti umiliazioni alla
Russia. Il tentativo è chiaramente quello di ridurla al massimo a
potenza regionale. La risposta
neonazionalista, condivisa da larghissimi settori della società russa, è
quella di resistere a questa
tendenza rivendicando il proprio ruolo di potenza mondiale. Ma quello
che non si capisce è come
possa, la classe dirigente russa di Putin, sperare di mantenere o
riconquistare questo ruolo di
potenza mondiale proprio mentre si implementa in Russia il processo di
privatizzazioni nei settori
strategici e si favorisce ogni tipo di penetrazione del capitale
straniero. Non a caso Putin, sulla
questione dello scudo spaziale americano, propone che lo si faccia in
collaborazione fra Usa,
Russia ed Unione Europea. Chiaramente si tratta di una proposta che
tatticamente spera di
mettere in difficoltà gli Usa, smascherando la natura egemonica della
proposta americana.
Tuttavia colpisce il fatto che Putin sia così interno alla logica del
governo unipolare del mondo da
proporre uno scudo spaziale che sulla cartina geografica
corrisponderebbe esattamente al Nord
del mondo, senza dire da chi questo Nord dovrebbe proteggersi. Comunque
è chiaro che le
contraddizioni geopolitiche, che esistono e perfino aumentano, non si
possono più leggere con la
chiave dei campi o dei blocchi separati. E’ l’analisi del capitalismo
attuale e le contraddizioni di
classe la base per meglio comprendere la situazione geopolitica. ***
Altro punto molto
controverso è quello della Cina. Noi critichiamo apertamente le scelte
di procedere
all’applicazione di politiche chiaramente neoliberiste e di ingresso nel
Wto, non per presunzione
ma per il semplice fatto che, nell’epoca della globalizzazione, queste
scelte, di un paese così
importante nel mondo, investono direttamente la nostra realtà. Sarebbe
semplicemente assurdo
che, solo perché si tratta di scelte fatte da un Partito Comunista al
potere, noi tacessimo di fronte
ad un processo che produce milioni di disoccupati, privatizzazione di
gran parte dell’economia,
ristrutturazione delle imprese pubbliche, secondo gli stessi criteri che
noi abbiamo visto operare
in Italia, affinché possano competere con le imprese private nello
stesso mercato cinese e sui
mercati mondiali. Per lo stesso motivo, in positivo, pensiamo vada
valorizzata l’esperienza
cubana che tenacemente considera occupazione piena e diritti sociali
come variabili indipendenti
nell’ambito di qualsiasi riforma economica. Per quanto riguarda le
nostre relazioni internazionali la
decisione che abbiamo assunto anni fa di impostarle su base non
ideologica ci ha permesso di
ampliarle enormemente. In questa relazione insisto sulla necessità di
caratterizzarle sempre più
dal punto di vista della ricerca e della collaborazione politica sui
temi della globalizzazione.
Attardarsi in relazioni di semplice scambio di informazioni, che
comunque si fanno sempre, senza
confrontarsi sui grandi problemi del mondo e della lotta contro il
capitalismo contemporaneo,
sarebbe veramente disastroso. Nel mondo, ed in ogni partito, è già in
corso un grande dibattito. E’
evidente che dobbiamo starci con una nostra posizione. In particolare
dobbiamo certamente
sviluppare una più grande collaborazione con quei soggetti sociali e
culturali che assumono
sempre più una dimensione internazionale. Mi riferisco, evidentemente,
alle esperienze come
quella di Seattle. Il compito che da tempo ci siamo dati, connesso alla
nostra idea di Europa, è
quello di lavorare alla costruzione di un soggetto politico
continentale. Ciò oggi è più difficile di
ieri, ma proprio per questo dobbiamo agire secondo una linea ed
obiettivi precisi. Penso che vada
maggiormente valorizzato il nostro lavoro di intervento diretto in aree
e crisi di grande importanza.
Parlo del Kossovo, del Kurdistan, del Chiapas, della Colombia. Su ognuna
di queste realtà, nelle
quali abbiamo agito, si potrebbe parlare molto a lungo. Mi preme qui
sottolineare che non si tratta
di tradizionale solidarietà internazionalista a senso unico, bensì di
azione politica diretta e, in
alcuni casi, come con il Pkk, l’Eeln e le Farc, di una vera
collaborazione politica su obiettivi
politici comuni. Il documento alla discussione della Direzione non
chiude un dibattito, bensì lo
apre. Esso serve a guidare l’azione del partito nelle sue interlocuzioni
internazionali e a compiere
scelte precise. Ogni dissenso, come sempre nel Prc, è legittimo,
nell’ambito di una discussione
che si deve aprire in ogni istanza del partito. Ma era necessario che la
Direzione decidesse e
precisasse una linea superando ambiguità e resistenze.

Ramon Mantovani

---

ULTERIORI CONTRIBUTI

-*-

...mi è parso di capire il compagno
Mantovani difenderebbe la posizione di politica estera del
PRC dalle
critiche del compagno Sorini affermando come l'aspetto nuovo
del
capitalismo sarebbe basata sulla fine delle contraddizioni
interimperialistiche così come da un esautoramento degli
stati nazionali
ad opera di uno "spersonalizzato" capitalismo governato
dalle
multinazionali. Sicuramente il nostro punto di partenza
nell'analisi di
quello che oggi è il moderno capitalismo non può prescindere
dal fatto
che i processi di concentrazione del capitale oggi sono
basati più che in
passato(ciò non vuole dire che in passato ciò che oggi è
pienamente
maturo non vi fosse o comunque non vi fosse in tendenza)
sull'impresa
multinazionale; dobbiamo però interrogarci se si possa
affermare che
oggi non esistono più contraddizioni interimperialistiche
come se, in
parole povere,il capitalismo transnazionale sia una realtà a
se stante e
scissa dalle entità territoriali e statuali.Io ritengo l'
affermare che la lotta
fra Europa, Usa e Giappone oggi sia basata su una sorta di
legittimazione a rappresentare meglio il nuovo capitalismo
sia fuorviante
e anche un poco metafisico.L'esempio fatto dal compagno
Mantovani
sulla società multinazionale in Colombia non regge alla
prova dei
fatti.Questi nella sostanza affermano anzi che le
contraddizioni
interimperialistiche sono oggi accentuate e ciò è palesato
proprio dalla
nascita della cosidetta "Unione Europea" che sta svolgendo
la funzione
di leva per l'accumulo del capitale finanziario europeo
contro quello
statunitense(in un contesto in cui emerge su scala mondiale
sempre più
l'aspetto speculativo e non produttivo del
capitalismo).Pensare
d'altronde che gli interventi militari in Iraq e
Jugoslavia(citiamo gli
esempi più eclatanti di cosa sia,secondo le stesse fonti del
governo
USA,una guerra a bassa intensità) siano dovuti solo ad una
presunta
ricerca di legittimità a rappresentare il nuovo capitalismo
sarebbe
ipocrita o ingenuo. E' vero che oggi gli organismi
sovranazionali che
sovrintendono a questo tipo di interessi sono preponderanti
rispetto ai
singoli stati ma è anche vero che al loro interno sono
pienamente visibili
gli scontri fra diversi interessi nazionali e
statuali(relativi al controllo di
risorse territoriali, economiche e di interesse
militare);perché mai
d'altronde gli USA dovrebbero lanciarsi in solitudine,
contro
l'ONU(oltretutto da questi controllato), in bombardamenti
non
autorizzati all'Iraq? Perché mai ,nell'ambito dell'unità
europea,i tedeschi
si farebbero paladini di una politica
finanziaria(monetarista)
rigorosissima? Pensare che, sia nell'ambito di rapporti fra
stati europei
che fra poli imperialisti, rivalità e strategie militari non
possano essere
letti con la categoria delle contraddizioni
interimperialistiche sia gravido
di conseguenze negative per il movimento comunista
rivoluzionario ed
espressione del revisionismo cui il PRC è giunto. Riguardo
allo
svuotamento di sovranità degli stati nazionali, chi scrive è
convinto che
se è vero che ad esempio il FMI impone a tutti gli stati
rigide politiche
monetariste e di tagli al salario sociale è anche vero che
tali politiche
sembrano andare benissimo alle borghesie nazionali di tali
stati che in
fondo col passare del tempo non stanno tornando ad essere
altro che
comitato d'affari della borghesia. Paradossalmente oggi
tutti gli stati
borghesi sono molto più simili che 20 anni fa a quello
ottocentesco(zero
assistenza sociale o quasi,rinforzamento della polizia e
dell'
esercito,detassazione di profitti e rendite e via
dicendo).Mi pare che si
possa affermare con tranquillità che la perdita di sovranità
riguardi più
che un generico e metafisico stato le masse popolari e i
lavoratori tutti.
Nell'ambito di un tale contesto internazionale e non, penso
si possa
esprimere pieno consenso alle esigenze di lotta e di
coordinamento sul
piano sovranazionale dei comunisti espresse dal compagno
Sorini. Oggi
come oggi la diversità e la modernità del capitalismo
rispetto a quello di
un tempo sta non nell'esaurimento delle contraddizioni
intercapitalistiche(che non escludono forme di difesa degli
interessi
comuni alle diverse borghesie) ma nel "miglioramento" che ha
registrato
sul piano della prevenzione controrivoluzionaria sia su
scala
internazionale che statuale. Le argomentazioni del compagno
Mantovani non sono,per me,condivisibili;esse non sono altro
che il
riflesso verbale dell'attuale linea politica del PRC che
appunto non ha
mai tenuto conto adeguatamente della dimensione
internazionalista e
sovranazionale del capitalismo e che quando lo ha fatto ha
dato di tale
dimensione interpretazioni fallaci e ambigue(come in
occasione di
questa polemica).Non è un caso il ripiegamento del PRC
riguardo ai
criteri di Maastricht e il fatto che lo stesso si illuda di
risolvere i problemi
del proletariato italiano con ricette economiciste
(concepite tutte interne
al recinto italiano) e qualche predica "fratesca".

Massimo Meloni
19/06/2000

-*-

nell'ambito dell'articolarsi dei
movimenti di resistenza alla penetrazione del capitale
"globale" penso
che non tutte le situazioni siano facili da decifrare;
dicendo ciò mi
riferisco alla distinzione del Compagno Amin fra
nazionalismi buoni e
nazionalismi cattivi così come al "caso cinese". Cerco ora
di illustrare
quali sono le mie perplessità. Riguardo al caso dei
nazionalismi buoni
distinti da quelli cattivi in quanto si oppongono alle
privatizzazioni volute
dal capitale "globale" e dalle sue istituzioni finanziarie e
politiche mi
chiedo: 1) se nell'attuale fase dello sviluppo capitalistico
non si siano
ormai effettivamente chiusi i tempi delle borghesie
progressiste e
anticoloniali(ciò non vuole dire che sia esaurito il periodo
degli stati
qualificabili come semicolonie).Se così fosse parlare di
recupero della
sovranità di stati del "Terzo mondo" ad opera di elites
militari o di
minoranze borghesi autoctone potrebbe essere superficiale e
errato.
Occorrerebbe per meglio verificare questi aspetti del
contesto
internazionale vedere dove eventualmente queste elites
borghesi e
militari siano sottoprodotto del capitale internazionale, e
quindi al di là di
operazioni di facciata demagogiche, sue alleate e dove
effettivamente
queste incarnano(anche al di là di determinati livelli di
democrazia degli
stati di appartenenza) oggettivi interessi popolari.2) Se
comunque
l'appoggio dato a quelle borghesie nazionali o a quelle
elites militari che
si oppongono alla perdita di sovranità dei propri stati ad
opera delle
multinazionali e degli stati imperialisti non debba comunque
essere
accompagnato da un appoggio a quei movimenti politici,
interni ai paesi
governati dalle elites di cui si discorre, ancorati
stabilmente a posizioni
antiimperialiste e magari comuniste. Tali movimenti e
organizzazioni
politiche sono per me l'unica effettiva garanzia affinchè si
possa
garantire a paesi che ancora devono modernizzare la propria
economia
gravemente minata dall'Imperialismo che elites di varia
natura che si
oppongono al capitale "globale" dopo un poco non ne
diventino il
sostituto nazionale. Penso, dunque, che riguardo alle
resistenze
nazionaliste (o,in alcuni casi,presunte tali) si debba
articolare meglio la
nosttra riflessione e il nostro operato per non essere
impreparati alla
sfida dei tempi. Venendo al "caso cinese" i miei dubbi
riguardano in
primo luogo l'effettiva valutazione da dare sulla Cina
"popolare" .Mi
domando se essa non sia ormai ad uno stadio di sviluppo
capitalista
dell'economia invece che a uno socialista(più o meno
avanzato).E'
risaputo del grande numero di disoccupati che le politiche
di
modernizzazione stanno creando in Cina così come della
riaperta
distanza fra città e campagna mentre(ma questa è opinione di
chi scrive)
i dirigenti politici in tale paese tendono sempre più,se già
non lo hanno
fatto, a costituirsi "casta" a se. Illustro questi aspetti
della situazione
interne alla Cina per esprimere i miei timori sull'effettivo
ruolo
antiimperialista che un paese oggi(e qui la mia opinione
diverge da quella
del Compagno Sorini) capitalista può svolgere nel contesto
mondiale. E'
altresì vero,e qui stanno anche le difficoltà di compiuta
valutazione sulla
Cina, che l'agressività dell'attuale capitalismo impone a
paesi che da
tempo gli erano nemici o che gli erano succubi ripiegamenti
tattici quasi
irrinunciabili(sottolineo quasi).Partendo da questo
approccio
problematico al caso cinese ed avendo sotto gli occhi gli
effettivi
contrasti fra Cina (ma anche Russia,India e altri paesi) e
Usa, forse
sarebbe giusto interrogarsi non tanto sull'utilità o meno
alla causa del
Socialismo di tali contrasti ma sulla loro natura. Sono
contrasti fra uno
stato socialista e uno capitalista oppure fra uno stato
capitalista
"giovane" e in ascesa e quello tuttora al vertice del
capitalismo
mondiale? Ponendo questa domanda non abbraccio certo le tesi
di
Mantovani che ho già precedentemente criticato ma cerco solo
di
approfondire alcuni aspetti del discorso del Compagno Sorini
che non
possono essere sottovalutati. E' indubbio infatti che
nell'articolarsi dei
movimenti di resistenza all'Imperialismo e al capitale
"globale" i
comunisti devono essere in grado di sfruttare le più amplie
alleanze
possibili,è anche vero però che qualificare queste alleanze
di modo che
si possa vedere quali sono puramente tattico-strumentali e
quali
strategiche è per i comunisti compito non derogabile. A mio
modo di
vedere le cose il "caso cinese" è da inquadrarsi,allo stato
attuale delle
cose,in questo contesto teorico-pratico e su esso si deve
riflettere
serenamente e costruttivamente.


Massimo Meloni, 20/6/2000

-*-

http://www.planio.it/linearossa/lr16aginform.htm

linea Rossa
(nr.16 -
luglio-agosto 2000)

IN PRIMO PIANO


Una nota dei compagni di Aginform sulla polemica interna al gruppo
dirigente del PRC
inerente la politica internazionale, la concezione dell'imperialismo, il
ruolo di paesi
come la Cina che si richiamano al socialismo. Per comprendere il "dietro
le quinte"

L'IMPERIALISMO REALE

A margine della polemica Sorini-Mantovani




La polemica scoppiata tra Ramon Mantovani e Fausto Sorini (Liberazione
del 17 e 19
maggio), responsabile della commissione internazionale del PRC l’uno e
membro
autorevole della medesima l’altro, ha avuto il merito non solo di
mettere in luce delle
divergenze di vedute sulle questioni internazionali, facendo emergere
posizioni più
articolate e interessanti di quelle che normalmente si possono leggere
su Liberazione,
ma anche di aprire prospettive nuove nella discussione all’interno della
sinistra.
L’attacco violento di Mantovani a Sorini, probabilmente frutto di una
lunga incubazione
all’interno del partito, è basato sull’ipotesi, oggi corrente
all’interno della cosiddetta
sinistra antagonista, che ci troviamo di fronte a una globalizzazione
del conflitto
mondiale, per cui ogni ipotesi tattica e ricerca dii un blocco di forze
teso a contrastare
questa globalizzazione è frutto di una visione arretrata dello scontro e
dei mezzi con cui
farvi fronte. Anzi, certe ipotesi di alleanze diventerebbero il brodo di
cultura per nuove
avventure reazionarie che sarebbero un rimedio peggiore del male.
La posizione di Mantovani a noi sembra una riproposizione di una teoria
già ben
conosciuta, quella della rivoluzione permanente di trotskiana memoria.
Egli, in luogo di
individuare i processi reali che caratterizzano lo scontro con
l’imperialismo, teorizza
una rivoluzione mondiale mutuata dall’immaginario di Seattle, fino alla
nostra versione
casereccia di Bologna.
Solo questa visione delle cose ha, per Mantovani, la dignità di un
confronto vero con i
processi di globalizzazione e rappresenta una sfida a questi processi.
Senza individuare
forze reali e passaggi di una rivoluzione globale per la trasformazione
dell’esistente,
Mantovani va giù duro contro Sorini e contro quelle posizioni che
cercano di
individuare, nella realtà e non nelle fumisterie del subcomandante
Marcos, le
possibilità di uscita da questa situazione dominata dalla iniziativa
strategica
dell’imperialismo USA e dei suoi alleati. Così facendo Mantovani
trascura alcuni
“particolari” che nel suo discorso non possono essere facilmente
collocati. Questi
“particolari” si chiamano progetto di scudo stellare (ora sistema
antimissile), guerra
all’Iraq, guerra alla Jugoslavia, e così via. Che motivazioni avrebbero
gli USA e la
NATO di lavorare a un sistema antimissile o di aggredire la Jugoslavia e
l’Iraq o di
intervenire per interposta persona nel Congo, se la globalizzazione è
compiuta e tutti i
sistemi esistenti nel mondo sono omologati?
Se Mantovani uscisse da quegli schemi devastanti della sinistra
antagonista e del
neotrotskismo, si accorgerebbe che dopo la fine dell’URSS, altro fatto
insignificante
per i trotskisti, si sta svolgendo sotto i nostri occhi uno scontro,
dentro il quale ci
sentiamo impegnati ovviamente anche noi, in cui l’imperialismo USA e
NATO (e
dentro questo imperialismo c’è la sinistra plurale francese) cerca di
imporre il proprio
dominio. Per fortuna di tutti, questa volontà di dominio cozza contro
resistenze e
contraddizioni che ogni comunista e ogni combattente antimperialista
deve saper
analizzare e utilizzare.
Oggi queste contraddizioni si chiamano volontà di pace dei popoli,
rispetto
dell’indipendenza nazionale, collaborazione paritaria tra le nazioni,
fine dei patti militari
aggressivi, sviluppo economico equilibrato e non distruzione delle
risorse finalizzata al
profitto. E’ dentro questi riferimenti che occorre definire un programma
di unità e di
lotta contro la cosiddetta globalizzazione e il suo braccio armato NATO.
Contrapporre discorsi “avanzati”, frutto di suggestioni
intellettualistiche, alla definizione
concreta di un programma vero di lotta contro l’imperialismo e di unità
delle forze
interessate a combatterlo, non ci aiuta certamente e, spesso, favorisce
quelle subdole
campagne filoimperialiste e di matrice trotskista che ritroviamo
puntualmente contro la
Cina e altri paesi “barbari” che resistono alla omologazione.

da Aginform nr.12 – giugno 2000


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