Most za Beograd - Un ponte per Belgrado in terra di Bari - Associazione
culturale di solidarietà con la popolazione jugoslava

c/o RdB, via M. Cristina di Savoia 40, 70126 BARI
tel/fax 0805562663 e-mail: ponte@... Codice Fiscale 93242490725
conto corrente postale n. 13087754 intestato a: Associazione Most za
Beograd - Un ponte per Belgrado in terra di Bari
-c/o RdB, via M. Cristina di Savoia 40, 70126 BARI



INIZIATIVE DI SOLIDARIETA' CON I LAVORATORI DELLA ZASTAVA DI KRAGUJEVAC
BOMBARDATA DALLA NATO



Bari, 15 settembre 2000

Abbiamo approfittato delle ferie estive per recarci finalmente a
Kragujevac a fine luglio e consegnare di persona,
direttamente alle singole famiglie, il denaro raccolto per l'iniziativa
di "adozione a distanza" per i mesi di luglio e agosto
(100 marchi a testa per tutti i 169 bambini "a carico"
dell'associazione: 16.900 DM).



Abbiamo inoltre consegnato un'altra parte del denaro ricavato dalla
vendita del libro di poesie Gli assassini della
tenerezza: 8.400 DM, che si aggiungono ai 5.450 DM già consegnati da noi
in febbraio. Col ricavato dei libri venduti da
altri singoli o associazioni e consegnati direttamente a febbraio ai
delegati della Zastava, abbiamo superato i 17 milioni di
lire, che i delegati del Samostalni Sindikat di Kragujevac hanno deciso
di destinare all'acquisto di legna per l'inverno per le
famiglie più bisognose.



Abbiamo potuto renderci conto di persona dell'importanza - economica e
morale a un tempo - che ha la nostra iniziativa.
Mariella Cataldo ne dà un ampio resoconto nei suoi Appunti di viaggio,
allegati a questa lettera. Il salario medio di un
operaio della Zastava corrisponde a meno di 100 DM. Ma solo per quel 50%
che è ora in produzione. Gli altri percepiscono
un'indennità di disoccupazione di circa 20 marchi più un sussidio della
Federazione jugoslava in generi di prima necessità. I
prezzi dei generi alimentari, delle sigarette e di altri beni di largo
consumo sono abbastanza più bassi che in Italia, ma,
molto molto alti se rapportati al salario operaio (insegnanti e medici
non stanno meglio). I prezzi di libri, quaderni,
penne, zaini e altro materiale didattico non sono molto più bassi dei
nostri, mentre altri beni, divenuti da noi di uso
comune, quali personal computer, fotocopie, ecc., costano in assoluto
più che in Italia. Da questi scarni dati ci si può
rendere conto di quanto sia dura e difficile la vita di questo popolo,
sorretto da una grande dignità e spirito di resistenza, e
quanto sia significativa anche sotto il profilo economico quella modesta
somma che noi inviamo ogni mese. Torniamo da
Kragujevac ancor più decisi a continuare e sviluppare l'iniziativa delle
"adozioni a distanza". Abbiamo avviato la ricerca di
sostenitori di un sesto gruppo di 31 bambini, che portano a 200 il
numero complessivo di quelli affidati alla nostra
associazione. Ogni sostenitore potrebbe trovarne altri, coinvolgendo
amici, colleghi di lavoro, conoscenti. Lo hanno già
fatto con successo alcuni sostenitori di Bolzano e di Bologna, dove sono
state costituite delle associazioni di solidarietà,
che hanno realizzato un buon numero di "adozioni a distanza".



Durante l'assemblea alla Zastava di Kragujevac, quando abbiamo
consegnato il denaro alle famiglie e abbiamo parlato con
loro, abbiamo esposto il progetto di pubblicare - ovviamente con il
consenso dei diretti interessati - le lettere più belle e
interessanti della corrispondenza tra i bambini della Zastava e i loro
sostenitori italiani, per farne un libro, Lettere da
Kragujevac, che avrà la duplice funzione di essere una testimonianza
diretta del vissuto in una grande città operaia
bombardata e, al tempo stesso, serva a finanziare una campagna di
solidarietà, come abbiamo già fatto con discreto successo
con Gli assassini della tenerezza. Prego vivamente perciò quanti - e
sappiamo che sono tanti - abbiano ricevuto lettere,
anche brevi, degne di nota, di farcele pervenire (per fotocopia, fax,
e-mail, ecc.).



Come è stato già spiegato in precedenti lettere, abbiamo deciso - per
motivi facilmente comprensibili - di consegnare
sempre una somma uguale per tutti i bambini dello stesso gruppo,
ripartendo tutto il denaro raccolto per il numero di
bambini. Ci è stato possibile anticipare il mese di agosto e coprire
anche le quote di alcuni sostenitori "ritardatari", grazie
al fatto che alcuni degli aderenti a questa iniziativa di solidarietà
hanno preferito versare subito più mensilità in anticipo
(alcuni hanno coperto la quota di un intero anno) e grazie ai fondi
raccolti per la popolazione jugoslava. Chi ha scelto
volontariamente e responsabilmente di aderire all'iniziativa, sa bene
quanto sia importante la regolarità e costanza nei
versamenti: abbiamo suscitato aspettative e speranze in persone colpite
dalla guerra, dall'embargo, dalla distruzione
dell'apparato economico, dall'inquinamento dell'ambiente provocato dai
bombardamenti: non si può deluderle, né giocare
con le loro sofferenze e la loro vita.



Accanto all'impegno, che rimane per noi principale, delle "adozioni a
distanza", abbiamo aderito - con la somma di 1.400
marchi, raccolti in precedenti iniziative pubbliche a sostegno della
popolazione jugoslava - all'iniziativa di acquisto di
materiale didattico per l'inizio dell'anno scolastico a Belgrado per 28
bambini profughi dal Kosovo (a causa delle continue
aggressioni e violenze attuate tra l'estate del '99 e la primavera 2000
dall'UCK).



Accludo il bilancio sintetico del denaro che abbiamo finora consegnato e
di quello attualmente in cassa per il bimestre
settembre-ottobre (che dovremmo consegnare a Kragujevac alla metà di
ottobre).



Dopo qualche lungaggine burocratica, abbiamo ora il numero di conto
corrente postale intestato all'associazione:
13087754, di cui accludo un paio di moduli per gli eventuali versamenti.
Resta inteso che per tutto il tempo necessario di
questa fase transitoria rimarrà disponibile per l'attività
dell'associazione anche il ccp intestato al sottoscritto, finora
utilizzato da diversi sostenitori.



Tutto il lavoro che abbiamo svolto è volontario e completamente
gratuito. Per quanto riguarda le spese per l'attività
dell'associazione (spese di registrazione atto costitutivo, spese di
viaggio per i delegati jugoslavi, materiale per le mostre
fotografiche, fotocopie, manifesti, carta, buste, spese postali,
materiale di cancelleria, ecc.), abbiamo finora provveduto
con alcuni contributi volontari degli associati, con qualche contributo
versatoci da alcuni aderenti all'iniziativa di
adozione a distanza, con alcuni contributi saltuari raccolti durante
alcune iniziative, con la percentuale sulla vendita di
alcuni libri sull'argomento Jugoslavia e i Balcani, o il ricavato della
vendita (detratte le spese di produzione) del
bollettino 24 marzo 1999 - Un anno dopo - Lezioni da una guerra. Spese
per telefono, fax, e-mail non gravano sul
bilancio dell'associazione: si è fatto ricorso a quello della propria
abitazione personale. In due occasioni, grazie
all'intervento di un sostenitore, abbiamo avuto la possibilità - come si
può leggere nel rendiconto - di non pagare nessuna
commissione e nessuna percentuale per il cambio lire-marchi (che le
banche si fanno pagare in genere a caro prezzo,
finendo col far costare 1 DM qualcosa in più di 1000 lire) e abbiamo
iscritto quanto risparmiato tra i contributi per le
spese generali dell'associazione. Per quanto riguarda la sede, la RdB ci
ha messo a disposizione la sua come domicilio
legale dell'associazione e per le abituali riunioni settimanali del
mercoledì. In questa situazione, ogni contributo per
l'attività dell'associazione è sempre molto ben accetto...

Ci sono pervenute alcune richieste di tesseramento
all'associazione. La quota annuale è di L. 50.000 per i lavoratori e di
L. 20.000 per studenti, lavoratori precari, disoccupati. Ai soci verrà
inviato un bollettino periodico di informazione e
documentazione sulle questioni dell'area jugoslava e balcanica e
sull'attività dell'associazione (che, come si è può leggere
nella "carta di presentazione", è stata molto intensa e si propone di
esserlo altrettanto in futuro).



Diversi comitati e associazioni di solidarietà hanno costituito
nei mesi scorsi il coordinamento nazionale La Jugoslavia
vivrà, che si è posto, tra gli altri, l'obiettivo di una grande
mobilitazione contro l'embargo imposto da USA e UE alla
Repubblica Federale Jugoslava. L'embargo -come abbiamo noi stessi potuto
constatare di persona e come è tristemente
noto già per l'Iraq (un milione e mezzo di vittime in 10 anni di
sanzioni) - mina alla base le possibilità di sussistenza e di
sviluppo economico del paese. E' già cominciata la raccolta di
medicinali e di beni necessari per far partire a fine anno un
grande convoglio per la Jugoslavia (possibilmente una nave dal porto di
Bari): testimonianza concreta e manifestazione
aperta della volontà di tanti cittadini italiani di non essere complici,
ancora una volta, della distruzione di un popolo.
Chiunque senta l'importanza di questa battaglia per la vita è invitato a
partecipare con proposte e attività
(sensibilizzazione al problema, raccolta di firme, raccolta di
medicinali e materiali). A supporto della campagna contro
l'embargo, sarà presto disponibile il nuovo video di Fulvio Grimaldi,
Popoli di troppo: embargo! (durata circa 40'),
presentato a Bari (all'Auditorium della Vallisa, nella città vecchia)
ancora in versione non definitiva. Il costo di ogni
videocassetta sarà di 25.000 lire e tutto il ricavato (tolte le spese di
produzione) andrà a sostegno della campagna contro
l'embargo (privilegiando l'acquisto di beni utili per la popolazione).

Fraterni saluti

Andrea Catone











Ho seppellito il mio cuore a Kragujevac...

appunti di viaggio di Mariella Cataldo

dell'associazione Most za Beograd - un ponte per Belgrado in terra di
Bari

c/o RdB, via M. Cristina di Savoia 40, 70126 Bari, tel/fax 0805562663 -
e-mail Ponte@...



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Il nostro viaggio comincia martedì 25 luglio. All'aeroporto di
Belgrado ci attendono Rajka, Salvatore Cinque e sua
moglie Alba. A Kragujevac ci danno il benvenuto Ruzica, presidente del
Samostalni Sindikat, Sreten, segretario del
sindacato della Zastava automobili, Milan, della Zastava Iveco, Giorgio,
il cassiere. Siamo alloggiati all'albergo
"Sumarice".

Kragujevac è una città operaia di 250.000 abitanti, di cui 38.000
lavoravano alla Zastava. Prende il suo nome da kraguj, il
rapace grifone che popolava i boschi della Sumadja. L'albergo è nel
Parco della Memoria, tra sconfinate distese di betulle
in cui si erge il Monumento delle Ali Spezzate che ricorda la terribile
rappresaglia nazista del 21 ottobre 1941: 7.300
persone fucilate, tra cui 300 studenti ginnasiali con i loro professori.
Ogni anno, il 21 ottobre, lezione di storia: i bambini,
invece di andare a scuola portano fiori a questo monumento. C'è anche il
monumento chiamato Il Fiore per ricordare i
piccoli lustrascarpe rom trucidati per essersi rifiutati di lucidare gli
stivali insanguinati dei nazisti.



Mercoledì 26 un pulmino della Zastava, guidato da Branko, ci porta
in gita al Monastero di S. Sava. Sulla strada
costeggiamo immensi campi di mais arsi dal sole e resi sterili
dall'uranio impoverito e Rajka li innaffia con lo sguardo
sussurrando "quest'inverno sarà dura...". Infatti quest'anno il raccolto
sarà scarso per la siccità. Mentre proseguiamo
nella calura estiva, io penso che mentre nazisti e NATO si sono così
accaniti su questa terra sfortunata, la natura si è
vendicata regalando filari di acacie, noci, betulle, ippocastani. Tutto
a piene mani... come le bombe a grappolo e all'uranio.
Il giorno di S. Sava, i bambini ricevono regali. All'interno del
monastero, affreschi del 1200, prima della battaglia di
Kosovo Polie, mentre una devota mano ha deposto un rametto di basilico
sfiorito davanti all'icona del santo. Nel giardino
delle monache, cespugli di peonie e di jorgovan - i lillà - a
profusione. Milan ci regala una croce ortodossa e una piccola
preghiera per i viaggiatori. Lungo la strada incontriamo carri di
zigani, mentre Branko si scatena con musica serba
"strazzacore", che come un baklave inzuppa di miele i fondi del nostro
cuore.

Ci rechiamo poi alle terme di Vrnjacka Banija, dove visitiamo il
sanatorio dei lavoratori della Zastava che hanno
problemi di intestino e di diabete. Il presidente del sanatorio ci parla
dell'ospedale con 900 letti. I pazienti vengono qui a
curarsi su indicazione medica. Essi gestiscono cinque sorgenti di acqua
minerale. Il sanatorio ha acque termali per massaggi
e diete riducenti (efficaci in 15-21 giorni). Anche gli sportivi di
fitness vengono qui. Le aziende pagano per ogni
lavoratore il 60%, il restante 40% è pagato da un fondo pensionistico
statale. Per un cittadino jugoslavo il soggiorno e la
cura costano circa 20.000 lire, per gli stranieri circa 35.000.
Salvatore ci fa un pensierino e prende dépliants da distribuire
in Italia. Ci sono anche acque sulfuree. Qui tutti ricordano Pertini e
questo ci fa sentire meno vigliacchi come italiani.



Giovedì 27, cerimonia di consegna del denaro raccolto dalla nostra
sottoscrizione ai bambini della Zastava. In tutta la
mattinata prenderanno dalle nostre mani il loro "stipendio" circa 500
bambini, perché insieme con noi di Bari c'è la
delegazione della CGIL di Brescia con Salvatore e Alba. E' presente la
TV nazionale. Ruzica, presidente del Samostalni
Sindikat, ci presenta, dicendo che abbiamo sacrificato le nostre ferie
per i bambini della Zastava.

Salvatore Cinque chiede scusa a nome di tutti i cittadini democratici di
Brescia, per quello che i nostri governi hanno fatto,
specificando che quello che noi facciamo non è carità ma un piccolo
risarcimento. Egli porta l'aiuto di tanti operai che
stentano a tirare avanti e fa l'esempio di una scuola di Brescia i cui
scolari hanno rinunciato per un giorno al pasto mensa
per adottare due bambini. Porta il saluto di Lino Anelli, tra i
coordinatori del progetto Zastava, del sindaco di Brescia che
ha dato come comune 10 milioni di lire, si sente onorato di aver
conosciuto gli operai che hanno fatto da scudo umano per
difendere la fabbrica. Promette di darsi da fare con i sindacati europei
per far cessare l'embargo. Bacia poi il bimbo Rados
perché dia un bacio a tutti i bambini della Zastava. Ruzica consegna
quattro tessere di iscrizione al sindacato Samostalni a
Salvatore e a sua moglie Alba, ad Andrea e a me. Alba consegna
personalmente il denaro raccolto dalla CGIL di Brescia ai
bambini. Facce di operai apparentemente fredde e distaccate ci sfilano
davanti e un operaio, dopo aver preso la busta ci
saluta ad occhi bassi, quasi a volersi scusare per averci dato quel
fastidio: la commozione è alle stelle! Anche un bambino
rom, nerissimo e secchissimo, accompagnato dalla mamma, prende il
"salario". Un operaio in tuta blu prende la busta per
il suo bambino. Una donna bacia la mano a Rajka dicendo: "Tu sei il mio
angelo salvatore". Quante mani abbiamo stretto
quella mattina, anche quelle di una bambina con il peluche di un
coniglietto celeste, quante speranze abbiamo seminato in
quei cuori sfiduciati!

Sreten presenta poi la delegazione barese composta da Andrea e me. Dice
che noi li abbiamo aiutati durante l'aggressione
della NATO, che siamo insegnanti e non siamo pagati bene. Racconta della
calorosa accoglienza che la delegazione della
Zastava ricevette a Bari i febbraio (l'associazione era a corto di soldi
per l'albergo e li ospitammo in casa). Spiega che
abbiamo svolto un lavoro di sensibilizzazione a Bari e in altre città
d'Italia (Taranto, Bologna, Bolzano). Parla del nostro
lavoro difficile, dell'alto numero di bambini "adottati" dalla nostra
associazione (169), del fatto che se un donatore non
invia l'aiuto mensile, l'associazione interviene. Parla della nostra
umanità e dice ai bambini presenti che il loro dovere è
scrivere ai donatori italiani: le loro letterine serviranno per aiutare
altri bambini.

Parla poi Andrea, che, a nome dei cittadini italiani che si sono opposti
alla guerra, chiede scusa per non aver avuto
sufficiente forza per sconfiggere chi ha portato l'aggressione alla
Jugoslavia. "La nostra associazione si chiama Most za
Beograd, perché noi vogliamo costruire ponti che la Nato non potrà
distruggere (ponte in serbo si dice "most"). La guerra
contro la Jugoslavia continua con l'embargo; chi ha decretato le
sanzioni vuole imporre i governanti che fanno comodo
all'Occidente. E' un vero e proprio assedio per imporre la
capitolazione. Noi faremo una battaglia contro le menzogne
costruite contro la Jugoslavia, siamo impegnati per la verità, nelle
scuole, nelle fabbriche, ovunque". (Nel frattempo
Giorgio piange come una fontana). Andrea ricorda che Kragujevac è una
città martire dell'aggressione nazifascista. Allora
i partigiani jugoslavi, i primi e i più decisi in Europa, hanno saputo
sollevarsi, come fecero poi i partigiani italiani. Allora
si costruì un fronte comune nella lotta antifascista, oggi, i cittadini
italiani che hanno una mente e un cuore sapranno
sollevarsi e lottare insieme contro chi vuole strangolare la Jugoslavia
e imporre il "nuovo ordine mondiale". Ieri era
Hitler, oggi è la NATO. Il fine della nostra associazione non è la sola
"beneficenza", ma la solidarietà, cioè il sostenersi
reciprocamente nella lotta contro il neocolonialismo e l'imperialismo.
Noi non siamo ricchi (come crede il piccolo
Stepan, che ci ha scritto una simpatica lettera), siamo gente comune e
facciamo i mestieri più disparati, non siamo dei
benestanti. Il nome Zastava significa bandiera e questo rappresenta per
tutti noi la bandiera di chi vuole resistere contro
l'oppressione. Andrea espone poi il progetto dell'associazione di
pubblicare un libro delle lettere e dei disegni dei bambini
di Kragujevac: il ricavato delle vendite, come si è già fatto per il
libro di poesie Gli assassini della tenerezza andrà in
solidarietà ai lavoratori della Zastava. Invita ad intensificare la
corrispondenza con i sostenitori italiani: ogni piccolo
scrittore contribuirà così ad aiutare altri suoi coetanei...



Io saluto i bambini dicendo che mi sembra un sogno di essere arrivata a
Kragujevac. Invito i bambini a studiare la loro
storia, le cui pagine più belle le hanno scritte i partigiani jugoslavi,
quelli di ieri e quelli di oggi (gli operai Sreten, Milan,
Rajka, Ruzica, e tutti quanti ostinatamente combattono contro
l'aggressione della NATO). Aggiungo che il popolo
jugoslavo non ha nulla di cui vergognarsi, solo chi non ha storia né
civiltà si accanisce contro chi ne ha per distruggerla: chi
non ha memoria storica non ha futuro. Sarà la tenerezza dei bambini a
legare le mani ai signori della guerra. Un operaio
piange e afferra la mia mano e la bacia; la sera verrà a trovarmi al
ristorante per regalarmi un vasetto di miele che le sue api
hanno prodotto e aggiunge che non ha mai pianto tanto in vita sua
neanche per la morte dei suoi genitori. Si procede poi alla
consegna dei soldi. Milan fa l'appello dei bambini, Milica e George
fanno firmare ed io consegno i soldi. Consegniamo
anche le lettere e i regali dei donatori italiani, combinando un gran
casino perché s'inceppa la "catena di montaggio" della
consegna delle buste... Tutti vogliono dirci qualcosa, tutti vogliono
che Rajka traduca il loro pensiero, tutti vogliono
dirci grazie.

Nevena (la bambina di Andrea) è bellissima e dolcissima. Il pomeriggio
visiteremo la sua famiglia, quella di Danjel (il
mio bambino), della piccola Maja (semicieca, adottata dalla madre di
Andrea) e di Mirjana (adottata da mia madre).
Ovunque, grande accoglienza e tanti regali, tanti dolci, tanti caffè
turchi, tante lacrime. Tutti inzuppiamo una mollica dei
nostri cuori in un mare di lacrime salate. Piangere ha un effetto
catartico dopo tanta vergogna e tanto male che la NATO e
il governo italiano (e la nostra incapacità di contrastarlo
efficacemente) hanno fatto a questa gente ingenua.

La famiglia di Danjel, che abita in un casolare bombardato di fronte ad
una caserma bombardata, vuole regalarci degli
enormi libri di storia della Serbia, ma nonostante Andrea sia tentato di
accettare, io rifiuto con garbo, perché, spiego, non
è giusto privarsi degli strumenti per conoscere la propria storia.
Danjel ci regala un bellissimo acquerello col monumento
delle "Ali spezzate", vicino ha disegnato una lapide con una scritta in
cirillico: "sparate pure, io continuo la mia lezione".
Sono le ultime parole del professore, prima di essere mitragliato dai
nazisti. E' il regalo più bello che abbia portato da
questa terra, dove mi hanno riempito le valigie di regali e del loro
immenso cuore.

A casa di Maja, dobbiamo difenderci dalla generosa ospitalità della
nonna (le nonne serbe sono meravigliose) che ci ha
preparato una cena sontuosa. La piccola Maja è quasi cieca, ha bisogno
di un'altra operazione e di molti soldi, anche il
compagno Nico Perrone e suo figlio Raffaele l'hanno aiutata. I medici
non le hanno dato molte speranze, ma lei,
ostinatamente, vuole tentare, chissà se il suo istinto avrà ragione
sulla scienza. Nonostante la miseria, si respira grande
umanità coraggio e pulizia in questa casa, la nonna ci mostra la stanza
di Maja, con qualche peluche, e un enorme mazzo di
zinnie e garofolini giapponesi sulla sua scrivania.

A casa di Mirjana ho visto la miseria più nera: una casa in aperta
campagna; abbiamo dovuto lasciare la macchina di Rajka
che non ce la faceva ad affrontare una strada sterrata e piena di fossi.
A piedi abbiamo raggiunto un casolare sperduto tra
alberi di melo, terreno spaccato per la siccità, in un campo di fiori di
zucca e peperoncini. La casa è senz'acqua e senza fogna.
La sorellina con gli occhi di felce ci osserva muta con il suo vestitino
a pois verde. La mamma ci ha confessato che l'anno
scorso non hanno mai mangiato un pezzo di carne e che grazie agli aiuti
della signora Maria Antonietta (mia madre) hanno
comprato un maialetto che ci ha salutato coi suoi grugniti al nostro
arrivo. Nonostante questa miseria, le bambine vanno a
scuola, facendo molta strada a piedi e Mirjana scrive bellissime poesie
e ci ha mostrato il suo quaderno. Salutiamo questa
"Madre Coraggio" e siamo soddisfatti che i nostri aiuti vadano nelle
mani giuste. Il maialetto mi ha proprio convinta e
commossa (anche per la sua sorte futura...).



Venerdì 28 luglio Sreten e Rajka ci portano in visita alla
fabbrica di automobili, la Jugo-Zastava. Sreten ci fa vedere
dalla finestra del suo ufficio il centro elaborazione dati colpito dalla
NATO; tutti i vetri delle finestre sono andati in
frantumi e gli operai ne hanno ricavato dei portacenere. Molti dei
bambini adottati sono figli di operai che facevano da
scudo umano. Sei feriti gravi durante il bombardamento, uno è caduto dal
tetto durante la ricostruzione. Veniamo ricevuti
dal signor Dgiorgevic, direttore della Zastava, che ci ringrazia per
quello che noi facciamo, soprattutto per l'aiuto morale,
che è più prezioso di quello economico. Parla della stupidità
dell'embargo e della forza del popolo jugoslavo che
difficilmente chiede aiuto, poiché è orgoglioso. Spera di ospitarci in
un futuro migliore come amici senza più problemi.
Sreten ci parla poi di questo direttore, ingegnere di ricerca e sviluppo
che in passato ha collaborato con l'Italia. E' un uomo
che lavora molto e la sua salute ne ha risentito. E' onesto, non
appartiene a nessun partito. Quando ci sono trattative
difficili col sindacato, alla fine si riesce ad avere un accordo
favorevole per i lavoratori. Dopo la metà di aprile si è fermata
la produzione perché è difficile importare lamiere e materiale per la
verniciatura. In agosto si spera di riprendere la
produzione, prevedendo di produrre 20.000 vetture in tutto per l'anno
2000. La fabbrica è stata ricostruita per due terzi.
La parte non ricostruita è quella relativa al montaggio e verniciatura.
Dopo l'alluvione sono fuoriuscite tre tonnellate di
PCB,usato nei trasformatori, altamente inquinante. Manca il gas russo a
causa del debito statale e questo incide sulla
ripresa della produzione. Il gas serve per la centrale termica, per la
cottura dello smalto e la verniciatura. La nafta costa
tre volte di più e bisognerebbe ricostruire gli impianti. Nella fabbrica
di automobili sono impiegati 11794 lavoratori di
cui 3500 lavorano a rotazione ogni mese. Gli impiegati sono in
prevalenza disoccupati, e come tali percepiscono
un'indennità equivalente a 20 DM al mese, più pacchi di aiuti della
Federazione jugoslava. Sreten, con malcelata
soddisfazione, ci anticipa una notizia che fa sgranare gli occhi a
Rajka: il sindacato ha strappato con i ministeri un contratto
favorevole per i lavoratori: tutti per il prossimo autunno avranno 10 kg
di zucchero, 25 kg di farina, 10 kg di pollo, 10 kg
di bue, 10 kg di maiale. I due terzi della città lavorano alla Zastava.
Scioperi non ce ne sono stati dopo la guerra: in questa
situazione lo sciopero è l'ultima arma di lotta. Il problema non risolto
è il riscaldamento nei reparti. Molti capannoni
sono scoperti. Nel 1989 la fabbrica aveva prodotto 289.000 vetture. Se
non ci fossero stati 10 anni di embargo ne avrebbe
prodotte 350.000 e sarebbero stati occupati tutti e assunti altri. Il
PCB è conservato ma non distrutto. Servono molti
soldi per distruggerlo. Esso è stato conservato in contenitori di
metallo con trucioli di legno e attende di essere smaltito.
A causa di questo inquinamento una donna su due ha il tumore alla
mammella, crescono le malattie della pelle e delle vie
respiratorie. La mortalità è aumentata di tre volte.

Sreten ci porta in giro per i reparti della fabbrica e molti lavoratori
ci salutano, alcuni di loro hanno ricevuto i soldi dalle
nostre mani il giorno prima e ci hanno riconosciuti. Per festeggiare
hanno portato sul luogo di lavoro bibite ai loro
compagni meno fortunati. Nel nostro giro scopriamo che molti reparti
sono stati ricostruiti grazie alla tenacia degli
operai che nel fango e tra le macerie hanno scavato a mani nude il loro
futuro. Incontriamo un chilometro di macerie
radioattive che sono state dislocate in un luogo isolato in attesa di
essere portate altrove, per non danneggiare la
popolazione. In un punto della Zastava è scritto: Per il successo
occorrono tutti, per l'insuccesso ne basta uno. I reparti
sono stati pitturati con colori diversi per indicare cosa è stato
distrutto e cosa ricostruito. Sreten ci spiega che nei reparti
nocivi (per inquinamento acustico) c'è una riduzione dell'orario di
lavoro: 7 ore al giorno.

All'uscita della Zastava incontriamo e fotografiamo cataste di carbone e
legna che il sindacato, utilizzando i contributi di
solidarietà, distribuisce ai lavoratori per l'inverno (come ha già fatto
per quello passato). Anche noi vi abbiamo
contribuito con il ricavato del libro delle poesie Gli assassini della
tenerezza: in totale sinora circa 17 milioni di lire. Ci
imbattiamo anche nel presidio sanitario Zastava bombardato dalla NATO.
La Zastava prima si chiamava Crvena Zastava
(Bandiera Rossa).

Venerdì sera cena di addio, violini zigani, pianti, abbracci, baci,
regali e un arrivederci a mercoledì prossimo a Pancevo.
Rajka è una fontana di lacrime e rassomiglia sempre di più a Lara del
dottor Zivago.



Sabato 29 ci trasferiamo a Belgrado con Rajka. A casa della
sorella di Rajka abbiamo avuto il complimento più bello da
un ingegnere che lavora a Pancevo, profugo serbo della Bosnia, il quale
ci ha detto, dopo averci ascoltato: "sarebbe bello se
tante persone come voi fossero sparse per il mondo". A Belgrado ci
sistemiamo alla Fondazione Ivo Andric in via
Milutinova 4, dove era ad attendermi un micino nero (chissà da quanti
anni) che per l'attesa si era tutto consumato.
Visitiamo la città anche in compagnia di Svetlana e di Nicola. Vediamo
la televisione bombardata, il palazzo del governo
bombardato, il quartier generale dell'armata, ospedali, palazzi ...
tutti bombardati. Dal parco Kalemegdan, dove non è
raro trovare uno scoiattolo, si vede il palazzo del "CK" (il Comitato
centrale del partito comunista ai tempi di Tito)
bombardato. Era vuoto al momento del bombardamento, ora si erge come una
torcia spenta. Andiamo a vedere
l'ambasciata cinese bombardata che è in un posto isolato, impossibile
sbagliare. Chi l'ha bombardata sapeva cosa faceva. A
Zemun (città vecchia) la strada principale era intitolata al maresciallo
Tito, poi, i radicali di Seselj l'hanno chiamata
"Strada principale". A passeggio per Kneza Mihajlova, un bianco
professore fa naufragio col suo violino sul bel Danubio
blu e i bambini alla fontana vendono i loro giochini, i loro puffi e le
loro scarpette usate. Nicola ci porta a spasso e,
superato il ponte Branko (il ponte da cui Santoro fece la sua
trasmissione TV sotto i bombardamenti) arriviamo sulla via
delle ambasciate. Le ambasciate aperte sono quella italiana (dove non
c'è però un ambasciatore, ma un addetto...), quella
tedesca, quella inglese (dove funziona solo la sezione consolare)
canadese (che raccoglie i visti e li manda in Ungheria
all'ambasciata canadese di Budapest). Per quanto riguarda i visti di
jugoslavi che vogliono andare in America le cose vanno
così: da Belgrado parte alle cinque del mattino un pulmino che porta i
futuri emigranti a Budapest all'ambasciata
americana e la sera stessa essi rientrano a Belgrado. Una scritta in
perfetto stile belgradese mi ha colpito sulla facciata
dell'edificio dell'ambasciata americana ora chiusa: "noi non siamo degli
indiani".



Mercoledì due agosto il pulmino della Zastava guidato da Branko
con a bordo Sreten, Milan, Jelena, Gordana, Nada ci
preleva davanti al teatro nazionale, in piazza della Repubblica. La
destinazione è Pancevo. Lungo il viaggio si scherza e
ogni tanto ci arriva una grande pacca operaia sulla spalla. A proposito
degli aiuti umanitari, chiedo a Sreten se altri paesi
fanno come l'Italia. Risposta: la Francia è inesistente, la IG Metall
tedesca ha regalato un grosso tornio alla Zastava. E'
arrivato dalla Germania anche un tir di grosse mutande da uomo blu e
bianche. Il sindacato distribuisce le mutande
(enormi, tedesche...) ai lavoratori che ringraziano. Ma il giorno dopo
si presentano dicendo: "c'è un piccolo problema, le
mutande non hanno l'elastico!" Così, le donne di Kragujevac si mettono
all'opera e mettono gli elastici. Anche Andrea
avrà da Sreten un simpatico pacchetto a forma di uovo di Pasqua con
dentro due mutande tedesche, una blu e l'altra bianca...
grandi risate, e ancora grandi pacche sulle spalle. Gli operai ci
spiegano che solo la Grecia ha un grande cuore come l'Italia.
Hanno adottato 500 bambini. I greci, durante i bombardamenti avevano
istallato a Kragujevac un'antenna che trasmetteva
via satellite; grazie ad essa i cittadini di Kragujevac erano più
informati. Poi, una bomba l'ha colpita e l'antenna greca non
ha più trasmesso, come pure una bomba assassina ha colpito in pieno un
camion umanitario greco. Tutti morti. Mentre
andiamo a Pancevo parliamo con la crocerossina Gordana, vedova di un
ufficiale serbo morto nella guerra con la Croazia.
Ci parla di un progetto a favore dei bambini profughi del Kosovo: si
tratta di assicurare l'inizio dell'anno scolastico a
bambini di scuola elementare consegnando ad ognuno un pacco del valore
di 50 DM con l'occorrente per la scuola. Il tutto
sarà fatto nella massima trasparenza e con le dovute garanzie. Come
associazione ci impegniamo nel progetto. Ai primi di
settembre un membro dell'associazione, Stefano, recatosi in Jugoslavia a
visitare il bambino "adottato", consegna 1.400
DM per i bambini profughi. La Croce Rossa jugoslava ha rapporti
ufficiali con quelle di Norvegia, Germania, Grecia,
Francia, Inghilterra. Spicca per la sua assenza la Croce Rossa italiana.

A Pancevo ci rechiamo in tre complessi industriali: Petrolchimico,
Fabbrica di azoto e Raffineria. Al Petrolchimico
siamo accolti da Jovanka Kandic che si occupa di problemi ambientali.
Ella ci spiega che il petrolchimico è stato
bombardato due volte ed è rimasto solo il 40% della capacità produttiva.
Il territorio è molto degradato. Molte sostanze
cancerogene si trovano nell'aria, nella terra, nel Danubio. Ella si
occupa di risanare la produzione e il territorio. In
collaborazione con la Focus e col governo svizzero stanno elaborando
progetti collettivi di risanamento. Le sostanze
cancerogene sono ormai nella terra visto che sono stati danneggiati i
contenitori per i materiali dannosi.

Nel frattempo ci mostrano un filmato di una decina di minuti sul
disastro di Pancevo. L'incendio è durato mesi e anche il
monastero che era nella fabbrica è andato distrutto. La schiuma per
spegnere non era sufficiente. Il 18 aprile sono state
colpite tutte le fabbriche. Tutto era fumo nero e fiamme arancione.
Anche i pesci del fiume sono stati avvelenati e la gente
è andata nei villaggi di campagna.

Jovanka ci dice: "In ognuno di noi c'è un muro che divide quello che era
prima e quello che è dopo. Vogliamo dimenticare.
Purtroppo, tutto si deve fare sulle rovine. La gente comune vive in
continuo stress, e ogni volta che un aereo sorvola la
città riviviamo l'incubo". Anche Svetlana ci aveva detto: "Noi abbiamo
dimenticato, noi vogliamo dimenticare. Quello che
è successo si è nascosto da qualche parte nel corpo, non so dove, e un
giorno uscirà fuori, non so da dove...".

Nel petrolchimico ci sono nove fabbriche e tre sono andate distrutte
(quelle più tossiche). E' fuoriuscito il cloruro di
vinile monomero che l'Organizzazione Mondiale della Sanità considera
cancerogeno. Il primo bombardamento del 15
aprile ha colpito gli impianti del cloruro di vinile monomero (VCM) e
del di cloruro di etilene e sono stati pesantemente
danneggiati gli impianti del cloro-alcali e del polivinilcloruro. Il
desiderio della NATO era di mettere fine alla
produzione nonostante nessuna fabbrica producesse materiale bellico. Il
18 aprile hanno bombardato i serbatoi delle
materie tossiche, uno dei due era vuoto, l'altro era pieno. Volevano
provocare una catastrofe e non solo interrompere la
produzione. Il VCM contenuto in un serbatoio di 1200 tonnellate è
esploso dopo essere stato colpito da un missile e
inquinerà suolo e acque per chissà quanti anni. Nella stessa notte è
stato bombardato anche il serbatoio di cloro puro. Il
cloro si usava come gas nervino nella prima guerra mondiale. Per
sopravvivere, spiega Jovanka, hanno cominciato col
risanare la produzione mettendo in funzione le linee risanabili. Ora le
altre fabbriche del petrolchimico lavorano, ma la
linea dell'etilene e quella del cloro sono fuori funzione. Il 25% dei
lavoratori è senza lavoro (cassa integrazione). Essi
ricevono regolarmente il 70% della paga. Il petrolchimico compra le
materie prime all'estero, il popolo jugoslavo,
aggiunge, è un popolo che sempre riesce a farcela.

Il danno calcolato è di 432 milioni di DM. Circa 8 tonnellate di
mercurio sono nel terreno in forma metallica e il resto è
nel Danubio. Le attrezzature per il trattamento delle acque sono andate
perdute non solo per i bombardamenti, ma per i
fluidi liquidi. Circa 170.000 metri cubi sono passati attraverso gli
impianti e contenevano anche mercurio, soda caustica,
petrolio. I centri sanitari hanno controllato regolarmente i cloridi.
Subito dopo i bombardamenti è stata vietata la
raccolta di frutta. Sull'acqua non si può dire molto, ma essa è
continuamente monitorata. "Non troveremo mai
giustificazioni per quello che è stato fatto" aggiunge tristemente.
Jovanka ci dice di essere stata l'estate scorsa a Porto
Marghera per vedere come, in tempi normali, si risana l'ambiente; il
problema più grosso è di ripulire il terreno dal
mercurio, in ciò arrivano aiuti dal governo svizzero tramite
organizzazioni umanitarie e tra un anno si spera di risanare
tutto. Per quanto riguarda il problema dello stoccaggio delle scorie, è
stato creato un sarcofago chiuso in cui c'è il terreno
molto contaminato.

Ci danno poi un dépliant con dati in inglese e ci chiedono di
divulgarlo. Jovanka aggiunge tristemente che solo gli italiani
hanno dato un supporto psicologico pieno e che ci sono cose che si
devono ricordare perché non si ripetano, ma è molto
difficile essere coinvolti in prima persona e parlarne. Ricorda come il
primo giorno dei bombardamenti, tutti i lavoratori
(3000) sono venuti in fabbrica alle sei del mattino. Essi tentavano di
entrare, c'era il pericolo di un'esplosione che poteva
distruggere l'intera città.

Ma non solo la guerra ha creato degrado all'economia, il problema dura
da dieci anni. Nel '92 ci sono state le sanzioni, in
estate la produzione si è fermata per 4 anni fino a luglio '96; era
necessario mantenere tutte le linee per poter ricominciare
la produzione e... nel momento della massima produzione c'è stato il
bombardamento!

Ci spostiamo poi alla fabbrica di fertilizzanti, dove veniamo ricevuti
dal presidente e dal segretario del Samostalni
sindikat. Questa è la più grande fabbrica di concimi (fertilizzanti
minerali) di azoto dei Balcani. E' una fabbrica di base per
altre sei fabbriche. Prima dei bombardamenti le capacità produttive
giornaliere erano di 1300 tonnellate di fertilizzanti.
Poiché questa fabbrica è direttamente legata alle altre, è chiamata
fabbrica per la produzione dei cibi. E' dai fertilizzanti
che dipende la politica della Jugoslavia. Il nutrimento della
popolazione dipende da questa fabbrica e per questo essa è
stata scelta come obiettivo militare, visto che - aggiunge Ljubisa
Nestorovic, presidente del Samostalni - "possiamo
vivere senza vestiti ma non con lo stomaco vuoto".

Dopo i bombardamenti, per sette mesi gli operai hanno lavorato con un
salario di 10 DM. Hanno continuato a lavorare per
risollevare la fabbrica di ammoniaca distrutta. Ora è stata risanata e
la produzione è ricominciata. Per i primi tre mesi sono
state prodotte 440 tonnellate al mese con cui sono stati nutriti i
campi, poi però si sono ridotte le forniture di gas russo e
la paura è di ritornare al salario di 10 DM al mese. Si sta riattivando
la seconda linea (di fertilizzanti complessivi) che si
spera di finire in un anno. Mancano gli investimenti. Per ora fanno da
soli con investimenti cinesi nella fabbrica di urea (la
più grande dei Balcani) in tempi rapidi. "E' una cosa incredibile quanto
siano entusiasti i nostri lavoratori, l'Occidente non
sopporta che si rimetta su questa fabbrica per alimenti. Essa è esclusa
dalle liste nere (sanzioni) solo formalmente. Di
fatto si impedisce a questa fabbrica di produrre, perché sono vietati
gli investimenti. Ciò è una ipocrisia. Ci sono 2000
impiegati e non si sa per quanto ancora resisteranno. Rispetto i miei
amici di Kragujevac, ma si può vivere senza auto, non
senza cibo".

Alla richiesta di Andrea di notizie sui danni provocati dall'embargo e
sul sindacato, Ljubisa dice che ci sono tre sindacati:
Samostalni, Solidarnost e Nezavisnost. "Pancevo è una città di
opposizione, come Kragujevac. Anch'io appartengo
politicamente all'opposizione e non sono d'accordo col governo, ma posso
separare l'interesse generale da quello
personale. Alcuni mesi fa, ci sono state delegazioni internazionali di
sindacati ed io ho potuto notare la vergogna di molti
italiani presenti nella delegazione, ma non si può dare la colpa al
popolo italiano. Dico questo perché non giustifico questo
governo. Il popolo soffre. Il nostro popolo è orgoglioso, non coraggioso
come dicono sempre. Buoni rapporti tra Italia e
Jugoslavia ci sono da 50 anni". Esprime poi preoccupazione per la
situazione del Kosovo che per lui è un problema più grave
dei bombardamenti perché - aggiunge "le origini del nostro popolo si
trovano lì". Andrea aggiunge che, come il
Samostalni tende ad unire i lavoratori senza condizionamenti politici,
la nostra associazione non interferisce nei problemi
interni della Jugoslavia. Le interferenze esterne continuano la vecchia
linea del colonialismo. Ljubisa esprime la sua
soddisfazione per il fatto di trovarsi tra amici. "La nostra patria è
più importante, siamo grati a tutti, ma dovete sapere che
avete a che fare con un popolo buono e orgoglioso e non ci possono
comprare. Così è il Samostalni Sindikat. Possiamo
vivere anche per vent'anni con l'embargo".

Passiamo poi alla Raffineria che visitiamo a bordo di un pulmino in
compagnia di un tecnologo e alcuni sindacalisti. Essi ci
spiegano che la raffineria è stata colpita per ben 7 volte e sono stati
danneggiati 6 impianti, molti contenitori di derivati e
di petrolio, i generatori e i supporti delle pompe per ricevere e
distribuire i derivati. La linea più danneggiata è quella degli
impianti per il trasporto di benzina ad alti ottani. Il 90% è stato
danneggiato e il risanamento di questo impianto è
terminato un mese fa, ma ora è fermo per mancanza di materie prime. Il
tecnologo ci fa vedere un buco dove prima c'era un
forno che è stato distrutto. Si prevede di ricostruirlo in due mesi con
finanziamenti di tasca propria. Il gruppo NIS
(gruppo statale del petrolio serbo) è intervenuto nella ricostruzione
che si prevede di ultimare entro la fine dell'anno. Il
51% rimarrà statale e il 49% diventerà privato (anche occidentale). Nel
frattempo incontriamo una gracile betullina tra i
rottami in una chiazza di petrolio greggio e per associazione di idee la
sua possibilità di sopravvivenza la paragono a quella
del popolo serbo. Incontriamo un impianto danneggiato per il 60% che il
primo maggio è stato rimesso in funzione. E' il
complesso della raffineria dalle cui scorie si produce benzina. Esso è
il più importante e deve essere ricostruito in due
mesi. I danni sono stati più gravi di quelli di Novi Sad. Il generatore
di vapore distrutto al 90% è lì. Solo uno dei tre
contenitori è stato ricostruito. Il secondo e terzo forno sono
completamente distrutti e il quarto lo ricostruiranno ex
novo. Distrutti sono i generatori di corrente e li stanno ricostruendo.
In questi fabbricati sono morti tre lavoratori. Dei
2300 lavoratori, circa l'80% lavorano, il 20% riceve l'80% del salario
(che qui è più alto: 200 DM al mese).

Arriviamo alla casa delle pompe attraverso cui si trasportano i derivati
verso i recipienti. Qui c'erano molte pompe che
prendevano i carburanti che venivano inviati alle cisterne, ferrovie,
ecc. Ci imbattiamo nell'impianto per la fabbricazione
di asfalto danneggiato al 35% che è stato risanato e funziona da maggio.
I più danneggiati sono gli impianti per il trasporto
dei derivati. Prima dei bombardamenti si lavorava per il 60-70%, ora
forse per il 10%, a causa dell'embargo.

Alla domanda se il problema è la Russia, la risposta è negativa: sono
gli Usa ad aver bloccato tutto. Alla fine della visita
un fotografo della fabbrica ci fa una foto davanti al monumento che
ricorda le vittime dei bombardamenti ed è stato
ricavato coi materiali della fabbrica. La foto sarà pubblicata sul
giornale della fabbrica Rafineraz, di cui ci danno una copia
precedente. Intanto, pranziamo alla mensa della raffineria in compagnia
del vicepresidente del sindacato, del tecnologo e
dei nostri amici di Kragujevac. Divorando un karageorgevic ed una trota
del Danubio e brindando con vino veruscko, chiedo
al vicepresidente del sindacato come hanno passato l'inverno senza
nafta. La risposta è: "Solo noi sappiamo come abbiamo
fatto!". Con i distributori privati non sottoposti ad embargo si era
sviluppato il mercato nero. Non tutte le case hanno
impianti di riscaldamento e lì dove c'era l'impianto centralizzato, la
temperatura massima era stata ridotta da 18 a 16
gradi (Ma non c'era il rischio di arrivare a tanto...). Alla domanda se
in fabbrica si verificano morti bianche e in quali
percentuali, la risposta è che in 30 anni c'è stato un solo morto per
incidente sul lavoro: è scoppiato un tubo di un forno, il
dirigente è andato a controllare, ha aperto il finestrino, e così è
morto. La sicurezza dei lavoratori è tenuta in grande
considerazione. Ai lavoratori spettano le cure termali. Ogni anno vanno
400 lavoratori e dopo gli interventi chirurgici
spettano 15 giorni di ferie (circa 200-300 lavoratori all'anno quelli
interessati). Poi ci sono le vacanze semigratuite. Per
quanto riguarda le malattie professionali, su 2300 lavoratori, circa 300
sono invalidi del lavoro ed essi per ora non
vengono licenziati, ma spostati a posti meno pesanti.

Il problema futuro della raffineria sarà quello dei licenziamenti se ci
sarà la privatizzazione. I privatizzatori hanno poco
interesse a comperare la raffineria per produrre petrolio. Mirano più
alla conquista del mercato che alla produzione. Dieci
anni fa la raffineria si preoccupava di far lavorare il più possibile i
lavoratori, ma se un capitalista occidentale comprerà
una ditta così ridurrà il personale. Però, "il sindacato è autonomo e
potente tanto quanto i soldi..."

Alla raffineria prelevo dagli alberi delle foglie di betulla e Sreten mi
regala un grappolo di ippocastani, intendo portarlo
all'amico Franco Selleri perché mi aiuti a farli analizzare.



Ci congediamo da Pancevo e torniamo a Belgrado in compagnia dei nostri
amici di Kragujevac a cui offriamo un gelato alla
gelateria italiana, Milan vorrebbe la Nastro azzurro ma l'embargo non
glielo permette e rimpiange casa nostra. A spasso
per le vie di Belgrado tra panetterie e pasticcerie albanesi,
incontriamo facce intelligenti e dignitose, donne eleganti e
slanciate, autosufficienti. Anche la vecchiaia è composta e asciutta!
Tutti sembrano aver dimenticato. Alla fine ci
separiamo per l'ultima volta dai nostri amici di Kragujevac e le nostre
braccia e i nostri cuori non si vogliono più separare.
Tra poco sarò nel mio plastificato esilio; mi sembra un delitto
abbandonare questo popolo che si consuma come l'agonia
delle candeline per i vivi e per i morti che ho visto al monastero di
San Sava. Questo popolo meraviglioso e ingenuo, non
cinico e freddo come ce l'hanno dipinto, questo popolo ancora capace di
sognare un futuro, nonostante quello che il nostro
governo gli ha fatto, questo popolo che mi ha contagiato mortalmente, in
cui ho visto brillare la febbre degli occhi di
Gavrilo Princip (la sua foto, e tantissime dei partigiani jugoslavi sono
esposte al documentatissimo Museo della Guerra al
parco di Kalemegdan). Questo popolo che ci ama follemente e non è capace
di odiare, come non ci odia Elisabetta, figlia di
genitori separati (lui barese, lei belgradese) che abbiamo conosciuto al
caffè vicino alla facoltà di Filosofia. Lei ha vissuto
a Bari fino all'età di dodici anni, poi si è trasferita a Belgrado e
studia ingegneria e lavora al caffè. Il padre non le ha mai
telefonato durante i bombardamenti. Alla domanda se odia gli italiani
risponde candidamente: "Per odiare ci vogliono
molte energie ed io preferisco impegnarle per amare...". Muto
l'etnografico museo osserva i nostri addii! Le grandi braccia
operaie intrecciano i nostri cuori ed io ho appena la forza di
sussurrare "ho seppellito il mio cuore a Kragujevac e un giorno
verrò a riprendermelo..."


--------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU
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