N� con Milosevic, n� con Kostunica

di Marco Ferrando - Liberazione gioved� 26 ottobre 2000 -

I fatti di Belgrado hanno riproposto su ?Liberazione? un
confronto tra due analisi opposte, a mio avviso entrambe
sbagliate. Due analisi che rivelano in realt� problemi
di fondo della Rifondazione: da un lato un mancato bilancio
dello stalinismo e della tragedia che esso ha
rappresentato per il movimento operaio internazionale; dall?altro un
adattamento alla dinamica dei movimenti e allo sventolio
delle bandiere ?democratiche? senza l?autonomia di
un?analisi di classe e, soprattutto, di un autonomo
progetto rivoluzionario. Presentare la caduta di Milosevic
come il semplice prodotto di un complotto imperialistico
mi pare rifletta non solo una visione molto semplificata
degli avvenimenti in corso ma soprattutto,
indirettamente, un?incomprensione profonda della natura obiettiva di
quel regime.

Un paese capitalista

Il regime di Milosevic non incarnava affatto l?ultimo
baluardo del cosiddetto ?socialismo jugoslavo?, neppure
come eredit� della sua versione burocratica, ma una
delle tanti varianti di quella devastante restaurazione
capitalistica che ha investito i Balcani negli anni ?90.
Espressione della disgregazione della vecchia burocrazia
jugoslava, al pari di un Tudjman e di uno Izetbegovic,
Sblobodan Milosevic ha ampiamente gestito la
reintroduzione interna dei meccanismi dominanti di mercato
smantellando una dopo l?altra le vecchie strutture
dell?economia pianificata, peraltro gi� logore e in
disfacimento. Non inganni la perdurante presenza pubblica in
alcuni settori dell?economia serba: � solo la traccia
residuale di un passato archiviato e, in parte, l?espressione di
un?esigenza obiettiva di razionalit� economica in
assenza delle condizioni di una valorizzazione di mercato. In
nessun caso un?espressione di ?socialismo?, non pi� di
quanto lo fosse l?Iri in Italia. Chi peraltro dubitasse della
natura capitalistica della Serbia di Milosevic potrebbe
rileggere le copiose interviste dei suoi ministri economici
sulla stampa occidentale, persino durante la guerra, l�
dove essi vantavano le privatizzazioni strategiche eseguite
e annunciavano ancor pi� ampie disponibilit�. Oppure
potrebbe riguardarsi, ancor pi� istruttivamente, la
nomenclatura proprietaria delle grandi aziende e delle
grandi banche serbe l� dove, come in tanti altri paesi a
capitalismo restaurato, sono i vecchi burocrati del
passato (o i loro figli) ad essersi trasformati nei nuovi
capitalisti, convertendo il segno sociale di un immutato
privilegio e dominio.

Ma perch� allora - si obietter� - l?aggressivit�
imperialistica verso e contro Milosevic? Per due ragioni di fondo,
entrambe riconducibili alla natura particolare di quel
regime. Intanto perch� le particolari caratteristiche
?familistiche?? del regime, ampiamente basate sulla
distribuzione parentale e ?di clan? di propriet� e poteri,
limitavano gli spazi di libera penetrazione economica
del capitale imperialistico in Serbia. Ma soprattutto per la
relativa autonomia politica del regime di Milosevic
dalle centrali dell?imperialismo medesimo: l� dove le velleit�
espansioniste della nuova borghesia nazionalista serba,
non concordate con l?imperialismo, ostacolavano
continuamente la stabilizzazione del suo controllo sui
Balcani. Non � forse del resto per una ragione analoga che
l?imperialismo ha aggredito e aggredisce l?Iraq di
Saddam?

Certo dunque: l?imperialismo ha lavorato ad abbattere
Milosevic, con tutti i mezzi a sua disposizione. Ma per
ragioni ben diverse da quelle della lotta al
?socialismo?. E se � riuscito nell?intento non � solo in virt� delle
rovine
provocate dalla sua guerra criminale o della forza
corruttrice del suo denaro: ma � soprattutto in ragione del
fossato profondo che quel regime aveva scavato con la
maggioranza della societ� serba e con larga parte di
quegli stessi settori sociali che per una fase lo
avevano appoggiato. Non vedere questo elemento decisivo,
significa rimuovere ogni possibilit� di comprensione dei
risultati delle elezioni presidenziali e della rivolta
popolare del 5 ottobre contro i brogli. E significa
indirettamente, a ritroso, continuare a rimuovere pi� in generale
ogni lettura materialistica e di classe della natura e
del fallimento dei vecchi regimi burocratici dell?Est, di cui la
stessa biografica di Milosevic � una delle tante
eloquenti testimonianze.

Ma, detto questo, come � possibile per i comunisti
sostenere Kostunica e la rivolta che l?ha condotto al potere?

Un?alternativa filoccidentale

E? vero: questa rivolta ha presentato e presenta elementi
contraddittori al suo interno. Ha visto anche la
presenza di alcuni settori di classe sostanzialmente
assenti nelle mobilitazioni anti Milosevic del ?96-?97. Ed
anche il vecchio sentimento di massa filooccidentale di
quegli anni si � notevolmente stemperato sotto il peso
delle bombe imperialiste: al punto che lo stesso
Kostunica ha potuto vincere, come da tutti osservato, anche
cavalcando la denuncia della Nato. Ma questi elementi
obbligati d?analisi, sicuramente preziosi, non possono
cancellare un dato di fondo: il carattere obiettivo
scopertamente borghese e filoimperialistico della leadership
della rivolta anti Milosevic, la sua forte egemonia
politica, sociale, organizzativa, sulla dinamica della rivolta e i
suoi sbocchi. L?elemento rivelatore della natura
dell?evento sta qui, nel segno politico dominante della svolta: la
?riconciliazione? della Serbia con l?imperialismo europeo.
Se Dindic � uomo dell?imperialismo americano,
Kostunica � l?interlocutore prescelto dei governi
europei nella loro corsa per il controllo strategico dei Balcani.
L?entusiasmo dell?imperialismo francese, italiano e
tedesco � ben comprensibile: il piano economico per la
stabilit� dei Balcani proposto a suo tempo da Prodi e
Solana ha trovato finalmente anche in Serbia il suo
referente politico vincente, con conseguenze rilevanti
sull?intero assetto balcanico; l?abbattimento delle dogane
sulle esportazioni, la nuova ondata di privatizzazioni
in Serbia, la terapia schok ?alla polacca? come
preannunciato dai nuovi consiglieri economici di
Kostunica, delineano oggi non solo un nuovo ricco business per
il capitale europeo, ma la conquista di una posizione
strategica importante nella partita egemonica tra Europa ed
Usa nei Balcani. Se gli Usa hanno dominato lo scenario
della guerra, � il capitale europeo a dominare lo scenario
della pace: l?avviata integrazione economica, politica,
diplomatica e militare della Serbia in Europa consolida
l?egemonia dell?imperialismo europeo nella regione e apre
nuovi varchi ad una sua ulteriore estensione. Peraltro
non � questa forse la specifica finalit� con cui i
bombardieri europei imperversarono sui cieli di Belgrado, al
fianco di quelli americani?

Certo, la nuova prospettiva dischiusa dalla caduta di
Milosevic non � lineare e scontata. Mille difficolt� segnano
la transizione avviata. Lo stesso impatto delle ricette
liberiste annunciate sulle condizioni di vita di larghe masse
gi� penalizzate da anni di embargo e sacrifici, potrebbe
suscitare, passata l?euforia, reazioni sociali importanti. E
paradossalmente proprio l?ampiezza della base sociale
della rivolta del 5 ottobre pu� esporre in futuro la svolta
politica di Belgrado a contraddizioni impreviste nel suo
rapporto con la societ� serba. Ma resta il fatto che se
?Belgrado ride? - come titolava ?Liberazione? - i
comunisti han poco da ridere degli avvenimenti in corso. Il
fallimento di un regime borghese nato dalla dissoluzione
della federazione jugoslava � stato oggi rimpiazzato e
capitalizzato dalla borghesia internazionale, non certo
dal movimento operaio. Si pu� confondere tutto questo con
la vittoria di una ?democrazia? al di sopra delle
classi, in nome del culto del ?movimento? quale che sia la sua
direzione di marcia?

In realt� i fatti di Belgrado ripropongono ancora una
volta un complesso tema di fondo: quello della difficile
ricostruzione storica in ogni paese e su scala mondiale,
nel vivo delle lotte, di una direzione alternativa, comunista
e rivoluzionaria, del movimento operaio, libera da ogni
eredit� staliniana e irriducibilmente opposta alla
socialdemocrazia liberale e all?imperialismo di ogni
colore. Senza la quale temo dovremo rassegnarci alla
continuit� delle sconfitte annunciate: o attribuendole
ai complotti dell?avversario o accompagnandole col plauso
estatico alle masse (incoscienti) e al loro (breve)
sorriso.

Marco Ferrando

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Bollettino di controinformazione del
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