MARTIRI DI BASOVIZZA, 6 SETTEMBRE 1930

Il 6 settembre cade l’anniversario della fucilazione dei quattro antifascisti sloveni (Ferdo Bidovec, Fran Marušič, Alojz Valenčič e Zvonimir Miloš) condannati a morte dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato nel 1930 nel corso di quello che è passato alla storia come il “primo processo di Trieste”.

Una delle affermazioni che spesso si sentono fare a proposito di questi martiri, attivisti del TIGR (acronimo di Trst, Istra, Gorica, Rijeka) è che in fin dei conti erano “terroristi” riconosciuti colpevoli e condannati a morte da un tribunale e quindi non avrebbero diritto ad onoranze ufficiali.
Il ragionamento potrebbe non essere del tutto peregrino, se non fosse per un paio di particolari di non poco conto. Innanzitutto che dare per oro colato una sentenza di un Tribunale che non era espressione di uno Stato democratico, ma che era stato creato a scopo repressivo per gli oppositori alla dittatura instaurata da Mussolini, non ci sembra un segnale di avere compreso cosa sia la democrazia.
Infatti il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato non era un tribunale imparziale ed al di sopra delle parti, ma uno dei tanti tentacoli di oppressione del regime fascista. Prova ne sia che tutte le sentenze da esso emanate sono state dichiarate illegittime dal decreto legislativo luogotenenziale n. 159, emesso il 27/7/44 ed operativo dal 29/7/44 (data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale). Recita infatti l’art. 1: “sono abrogate tutte le disposizioni penali emanate a tutela delle istituzioni e degli organi politici creati dal fascismo; le sentenze già pronunciate in base a tali disposizioni sono annullate”.
Per processare gli antifascisti del TIGR nel settembre del 1930 il Tribunale si spostò in trasferta a Trieste; il presidente del Tribunale era il console generale della milizia fascista Cristini, mentre il pubblico ministero era il magistrato, già avvocato, Massimo Dessy, la cui carriera nel Tribunale speciale era iniziato un paio d’anni prima, quando era stato nominato pubblico ministero nel corso di un processo, svoltosi nell’ottobre del 1928, a carico dell’operaio comunista Michele Della Maggiora di Ponte Buggianese (PT). Questi era rientrato al proprio paese dopo anni passati all’estero come emigrato, ed era stato sottoposto a pesanti vessazioni da parte dei fascisti locali, gli era persino stato impedito di trovare un lavoro. All’ennesima aggressione aveva reagito sparando contro tre fascisti, uccidendone due. Nel corso del processo il pubblico ministero in carica, Carlo Baratelli, si era rifiutato di chiedere la condanna a morte per il delitto di strage, ed ebbe perciò un duro scontro con il presidente Cristini, che decise di sostituirlo con l’avvocato Dessy. Il nuovo PM chiese la condanna a morte per l’imputato, che fu comminata: questa è la prima sentenza capitale eseguita in seguito ad una decisione del Tribunale speciale.
Per conoscere la storia del Tribunale speciale vi consigliamo la lettura del testo “Aula IV” (edito da La Pietra nel 1976 e curato da Adriano Da Pont, Alfonso Leonetti, Pasquale Maiello e Lino Zocchi), nel quale si trovano i dispositivi di tutte le sentenze da esso emanate e gli elenchi degli imputati e le condanne ad essi comminate ed anche una tabella riassuntiva dell’attività di questo tribunale, che dal 1927 al 1943 giudicò 5.619 persone, condannandone 4.596, comminando un totale di 27.752 anni di prigione, 3 ergastoli e 42 condanne a morte, di cui 31 eseguite (10 nella nostra sola regione: prima dei quattro martiri di Basovizza fu condannato a morte a Pola Vladimir Gortan il 16/10/29 e fucilato il giorno dopo, mentre il 14/12/41 fu emessa la sentenza del “secondo processo di Trieste”, quando furono condannati a morte Pinko Tomažič, Ivan Ivančič, Simon Kos, Ivan Vadnal e Viktor Bobek): le altre furono commutate in ergastoli che vanno aggiunti ai 3 prima citati.

Presso l’Archivio di Stato di Trieste (fondo Prefettura, busta 270/Gab) si trova il seguente carteggio a proposito del magistrato Massimo Dessy. La lettura di questi documenti (dei quali riportiamo la trascrizione) è significativa per la comprensione della qualità della “giustizia” amministrata dal Tribunale speciale. Ringraziamo Primož Sancin che li ha rintracciati e ce ne ha cortesemente dato copia.

Telegramma di Mussolini al prefetto di Trieste Fornaciari (12/4/28).
N.R. 11231 Personale decifri da se stop mi dia precisa notizia sul magistrato Dessy sostituto procuratore et precisamente sulla sua fede fascista et dedizione al regime perché suo nome stato avanzato per tribunale speciale.
Firmato: Mussolini.

Risposta del prefetto Fornaciari (17/4/28).
Radio tel. 123 al N.R. 11231 pers. Dessi (sic) com. uff. Massimo sostituto procuratore applicato Procura generale questa Corte appello risulta ottimo magistrato sotto ogni punto di vista di sicura fede fascista in piena sintonia regime (illeggibile) completo affidamento per funzioni presso Tribunale speciale.
Firmato: Prefetto Fornaciari

Tornando alla querelle sulle cerimonie riteniamo che tale presa di posizione sia del tutto strumentale, infatti in tutti questi anni nessuno di coloro che si sono recati a rendere omaggio alla cosiddetta “foiba” di Basovizza si sono posti il problema di chi sia stato effettivamente ucciso lì dentro. Infatti l’unica persona che risulta (da atti ufficiali) “infoibata” nel Pozzo della Miniera, è un certo Mario Fabian che aveva lasciato il suo posto di tranviere per arruolarsi nell’Ispettorato Speciale di Collotti, ed era stato riconosciuto come uno dei protagonisti del rastrellamento di Boršt del 10.1.45, che causò la morte immediata di tre partigiani, più uno ucciso nella Risiera, senza contare le ruberie e le violenze inflitte alla popolazione del paese. Fabian fu indicato come uno dei torturatori con “l’apparecchio elettrico” e si era pure accanito contro il parroco che aveva cercato di intercedere per gli arrestati. In seguito a ciò Fabian era stato inserito in un elenco di “collaboratori” di Collotti che erano stati condannati a morte dai tribunali partigiani ed era stato quindi emanata una sentenza contro di lui, che alcuni partigiani eseguirono (tutto questo, almeno, è quanto risulta dal processo che fu celebrato a carico di coloro che ammisero di avere ucciso Fabian). Però, come si diceva, nessuno si pone il problema di chi va ad onorare quando si reca alla foiba di Basovizza, “stranamente” certi scrupoli escono fuori solo quando si parla di antifascisti, soprattutto se non erano d’etnia italiana.
Ma torniamo ai quattro martiri di Basovizza. Essi furono condannati dal Tribunale Speciale perché avevano fatto parte di un’organizzazione antifascista. Che questa organizzazione fosse considerata eversiva dallo stato fascista non dovrebbe fare specie a chi si identifica nell’attuale stato democratico antifascista. Che questa organizzazione abbia anche compiuto attentati, non dovrebbe altrettanto fare specie a chi riconosce il diritto alla lotta di liberazione da una dittatura. Tra l’altro bisogna anche ricordare che degli attentati attribuiti ai quattro, solo in uno morì una persona. Ed a questo punto bisogna aprire una parentesi sulla questione dell’attentato al “Popolo di Trieste”, organo del partito fascista, in seguito al quale morì Guido Neri, perché le cose non sono tanto chiare quanto vorrebbero fare credere i nostri nostalgici.
Nella documentazione processuale conservata presso l’Archivio di Stato di Roma, ed a noi trasmessa ancora da Sancin, leggiamo che a Fran Marušič furono sequestrati alcuni articoli di giornale, tra i quali vengono riportati i seguenti:
“La Libertà”, del 15/3/30, titolo “Dopo l’attentato al giornale”. Leggiamo: “Le indagini sull’attentato al Popolo di Trieste non hanno approdato a nulla. La polizia sta perdendo la testa ed arresta a casaccio, poi rilascia gli arrestati per tornare ad arrestarli il giorno dopo. Il noto squadrista Mario Forti, oggi dissidente, era stato arrestato come sospetto dell’attentato e come schiaffeggiatore del console argentino. Ora egli è di nuovo in libertà. È stato invece fermato il Direttore del popolo di Trieste, conte Cardini Saladini, sembra in seguito a verifiche amministrative. Il giornale infatti ha un passivo enorme. Da due anni l’amministrazione non è in grado di pagare l’affitto. Il fascista Guido Neri, rimasto ucciso in seguito all’attentato, era stato in quei giorni licenziato dal giornale, in seguito a dissidio con il direttore.
A proposito degli arresti eseguiti a Trieste per la bomba al Popolo di Trieste, riceviamo conferma che l’attentato è dovuto ad elementi fascisti. Sul luogo dello scoppio sono stati trovati manifestini che si sono dimostrati stampati nella tipografia del giornale. Sono state fatte perquisizioni in case di tutti i tipografi. Pare che il giornale dovesse licenziare una parte dei 25 impiegati e redattori. Certo ora è in stato fallimentare, ridotto com’è a meno di ventimila copie giornaliere.
La conferma di quanto sopra è data dalla scarcerazione di tutti i comunisti e slavi. Rimangono in prigione solo i fascisti. Tra di essi vi è uno dei tipografi. Si tratta di un ex repubblicano passato al fascismo. Fu arrestato, rilasciato e riarrestato… ”
Ed ancora dal numero del 22/3/30. Titolo: “L’attentato di Trieste. Gerarchi fascisti arrestati e accusati di aver collocata la bomba”. Testo. “Perché mai i giornali fascisti non parlano più dell’attentato di Trieste? La ragione è semplice: perché ormai è provato che l’attentato parte dagli stessi fascisti dissidenti. A complemento delle notizie già pubblicate siamo oggi in grado di assicurarvi che a seguito dell’attentato sono stati arrestati l’ex segretario federale fascista Cobolli-Gigli e l’ing. Menesini ex redattore al Popolo di Trieste. È risultato che lo scoppio è dovuto non ad una granata ma a un tubo di gelatina. Pare che la vittima, il giornalista Neri, sia rimasto mortalmente ferito mentre metteva il tubo”.
Siamo d’accordo che questo è quanto scriveva la stampa “di parte”, cioè antifascista (la “Libertà” era l’organo degli antifascisti socialisti esuli in Francia e vi collaboravano anche i fratelli Rosselli), però non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta che i fascisti facevano un attentato e poi ne attribuivano la colpa ad altri. Tenendo inoltre conto della situazione finanziaria disastrosa del giornale, quale modo migliore per sistemare il tutto che farsi un auto-attentato per poi non dover pagare i debiti e licenziare in pace la gente? Capita ancora oggi che qualcuno truffi le assicurazioni con questo sistema.
In sintesi riteniamo che, oltre a chiedere l’annullamento della sentenza in quanto emessa da un Tribunale dichiarato illegittimo, sarebbe anche opportuno riaprire le indagini su questo attentato (intendiamo dal punto di vista storico, ovviamente), per ristabilire la verità storica oltre che giuridica.
Concludiamo riportando quanto Vincenzo Cerceo ha trascritto dai “Diari” del professor Diego de Henriquez, che fornisce una testimonianza diretta ed inequivocabile anche della fucilazione dei quattro antifascisti di Basovizza nel 1930. Ne parla esattamente nel Diario n. 254, pagine 36.720 e seguenti. All’epoca egli era ufficiale della riserva della Milizia fascista in Trieste e per l’occasione fu incaricato di assistere all’esecuzione. Di quell’evento dunque, dà una descrizione dettagliata, integrata anche da uno schizzo topografico del poligono, indicante la dislocazione del plotone di esecuzione e quella dei condannati. Egli era ad una certa distanza dal luogo esatto dell’esecuzione, ma era perfettamente in grado di vedere e sentire tutto. Al momento in cui l’ufficiale della Milizia comandante del plotone d’esecuzione ordinò di caricare e presentare i moschetti, si udirono delle grida non forti ma chiaramente distinguibili, provenienti dal gruppo dei condannati. De Henriquez udì chiaramente queste parole: “Živjo”, oppure “Živeli”, “Viva” e “Jugoslavia”. Si ha, dunque, conferma del fatto che i condannati morirono inneggiando alla Jugoslavia. Di tutto questo de Henriquez afferma di avere riferito al Comando della Milizia con dettagliata relazione.

Claudia Cernigoi

Settembre 2012