(english / italiano)

L'Ucraina che resiste ai fascisti e all'aggressione imperialista

1) BABIJ JAR. 1941: l’occupazione nazista di Kiev (Zambon Editore)
2) L'Ucraina che resiste ai fascisti e all'aggressione imperialista (Flavio Pettinari)
3) Ukraine and the pro-imperialist intellectuals (Alex Lantier)


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Da: < zambon @zambon.net>
Oggetto: L'Ucraina.doc
Data: 05 febbraio 2014 11:00:02 CET

L’Ucraina è attualmente sconvolta da una marea montante di “ribellione popolare” che sembra mobilitare l’intera popolazione della parte occidentale del Paese che, come già ai tempi della Rivoluzione arancione, segue le “indicazioni” delle centrali di potere europee, cioè tedesche. Alcuni personaggi si sono posti alla testa della rivolta; tra essi primeggia la figura di Vitali Klitschko, l’uomo di fiducia della Fondazione Konrad Adenauer (la stessa che, nel tentativo di stroncare i movimenti di indipendenza dell’Africa nera, aveva a suo tempo finanziato squadre di tagliatori di teste addestrate nella repubblica razzista del Sudafrica per seminare il terrore tra la popolazione dei territori liberati del Mozambico).
Allo scopo di rendere comprensibili le radici profonde dei fatti che si stanno oggi svolgendo, potrà essere utile leggere il libro Babij Jar (di Anatolik Kuznetsov, ed. Zambon 2011), un libro che descrive il comportamento della popolazione ucraina all’indomani dell’invasione nazista del 1941 e che in particolare analizza i contrasti che si verificano all’interno di una famiglia dove convivono il vecchio padre anticomunista da un lato, che esulta per l’arrivo dei tedeschi “che metteranno ordine e faranno giustizia premiando chi vive del proprio lavoro”, e la figlia dall’altro lato, il cui marito si dà alla macchia e combatte con i partigiani dell’Armata Rossa.
Anche oggi c’è a Kiev identificazione con l’Occidente e opposizione al mondo slavo, di cui gli stessi Ucraini sono parte, ammirazione per i Tedeschi e incondizionata disponibilità a credere – esattamente come allora – alla loro propaganda “convincente”, anche perché supportata, ieri, dalla violenza armata e, oggi sostenuta soltanto, per il momento, da generosi finanziamenti agli intrepidi “patrioti”. La storia si ripete: da un lato l’Ucraina occidentale agricola, cattolica, sottomessa già dai tempi dell’Impero austro-ungarico ai valori della “civiltà” europea; dall’altro lato l’Ucraina orientale industrializzata, ortodossa e bolscevica.

Anatolij Kuznetsov
BABIJ JAR
1941: l’occupazione nazista di Kiev

A cura della redazione italiana della Casa editrice Zambon
Introduzione di Adriana Chiaia
Formato: cm 13x21
Pagg. 240
Prezzo: 12.00 euro
isbn 978-88-7826-65-4

Nel quadro dell’occupazione nazista di Kiev, durata più di due anni, la testimonianza dell’autore, a quei tempi un ragazzo di dodici anni, descrive il massacro di decine di migliaia di ebrei, di combattenti dell’Armata Rossa, di comunisti, di cittadini ucraini e di altre nazionalità, catturati nei rastrellamenti o presi in ostaggio, i cui corpi venivano gettati nell’enorme burrone di Babij Jar, nei pressi della città.
L’autore offre inoltre uno straordinario e contraddittorio panorama di personaggi positivi e negativi: partigiani e collaborazionisti, resistenti e delatori, solidali e profittatori, generosi e gretti, uomini, donne e bambini, strappati alla quotidianità del passato e costretti ad arrabattarsi per sopravvivere alla guerra con la sua sequela di atrocità, bombardamenti, distruzioni, saccheggi, fame e miseria materiale e morale.
Il libro è stato arricchito dalla sezione “Lineamenti di storia” composta di due schede. La prima tratta del diritto all’autodecisione dei popoli nella concezione del Partito comunista (b) e nella prassi del potere sovietico.
La seconda ripercorre le vicissitudini dell’Ucraina, dalla rivendicazione dell’autonomia al patto costitutivo dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, inserendole nel loro contesto storico.
In appendice uno scritto di Il’ja Erenburg e stralci di un documento della Commissione governativa sulle distruzioni e le atrocità commesse dagli invasori tedeschi nella città di Kiev. (Processo di Norimberga).

INFO: zambon @zambon.net - www.zambon.net


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L'Ucraina che resiste ai fascisti e all'aggressione imperialista

4 Febbraio 2014 

di Flavio Pettinari per Marx21.it


Nelle ultime due settimane abbiamo assistito ad un’escalation significativa dell’impegno internazionale dei tre capibastone dell’opposizione ucraina - Klichko, Tjagnibok e Jacenjuk: la presenza alla recente conferenza di Monaco, gli incontri con il senatore repubblicano statunitense John McCain (e, per par condicio, con il segretario di Stato USA, il democratico John Kerry), alcune delegazioni occidentali a Kiev. Il tutto mentre la piazza di Kiev, assieme a quella delle altre città, va perdendo il tenore di “manifestazione di massa” lasciando spazio agli sparuti gruppi dell’ultradestra - coloro che non si riconoscono neanche in Svoboda (e infatti non sono mancati scontri e tafferugli tra quest’ultimo partito e gruppi come il Pravyj Sektor). Lo stesso Klichko, il 31 gennaio, attraverso l’ufficio stampa del suo partito, Udar, ha dichiarato che questi gruppi estremisti “operano per screditare l’opposizione” e “saranno identificati e condannati”. (sic!).1

L’impressione è quella che i tre leader dell’opposizione si siano resi conto del loro calo di popolarità e vogliano tentare un pericoloso colpo di coda, coinvolgendo apertamente (anche perché l’ingerenza straniera in Ucraina è ormai un segreto di Pulcinella) gli sponsor europei e statunitensi: recentemente la stampa ucraina ha fornito i primi risultati di alcune inchieste sui finanziamenti alle organizzazioni d’opposizione, con tanto di numeri di conto corrente e intestatari. Torneremo sopra questo argomento, per il momento accenniamo solo che si tratta di decine di milioni di dollari incassati settimanalmente dai nazionalisti.2

Il crollo di partecipazione alle manifestazioni è ben raffigurato in questa mappa, aggiornata al 27 gennaio:
http://www.marx21.it/images/mappe/ucraina_map.jpg
Oltre all’area metropolitana di Kiev, dove i partecipanti alle manifestazioni superano mediamente le 5mila unità, è evidenziata la regione di Ivano-Frankivsk, l’oblast’ tristemente nota dove l’estrema destra di Svoboda e il resto dell’opposizione hanno occupato i palazzi dell’amministrazione statale varando delle norme per la messa fuorilegge del Partito Comunista d’Ucraina e del Partito delle Regioni (il partito di appartenenza del Presidente Yanukovich). Altre regioni in cui si registra una significativa presenza media di manifestanti sono quelle di Lvov, Chernihiv e Chmelnyckij (dai 500 ai duemila) mentre il resto dei capoluoghi del paese vede scendere in piazza meno di 500 persone - pochi, ma spesso bene organizzati militarmente.

La diminuzione generalizzata del numero dei partecipanti ai “majdan locali” non ha però tranquillizzato né i partiti della sinistra (Partito Comunista in testa), né il Partito delle Regioni (forte prevalentemente nell’est del paese), né l’opinione pubblica, che temono, oltre un colpo di stato spalleggiato dall’estero, anche le incursioni dei fascisti nei capoluoghi locali: esemplare è il caso di Zaporozhie, dove il 26 gennaio i fascisti (provenienti prevalentemente da fuori regione) hanno tentato di assaltare la sede regionale del Governo, per essere poi respinti dalla popolazione. Proprio Zaporozhie è diventata celebre negli ultimi due giorni perché su iniziativa del comitato regionale del PCU è stata organizzata la Milizia, annunciata nelle sedute del consiglio comunale del capoluogo e del consiglio dell’oblast’, rispettivamente dal segretario regionale Vitalij Mishuk e dal consigliere Elena Semenenko.

Riportiamo estratti dalla Dichiarazione del gruppo consiliare del Partito Comunista di Ucraina alla sessione del Consiglio Comunale di Zaporozhie (31 gennaio 2014):

[...] A causa della situazione politica estremamente tesa in Ucraina, ai tentativi dei gruppi radicali filo-fascisti di impadronirsi con la violenza del potere statale, all’occupazione degli edifici delle amministrazioni statali regionali, dei ministeri e dei dipartimenti, alle sommosse, agli atti di vandalismo contro i monumenti ai dirigenti di governo del periodo sovietico, contro le tombe dei soldati della Grande Guerra Patriottica - il paese è sull'orlo dello scontro civile.

Le manifestazioni di massa sotto gli edifici dell’amministrazione statale regionale di Zaporozhie e i tentativi di occuparli con l'assalto del 26 gennaio 2014 da parte di militanti provenienti dalle regioni occidentali dell’Ucraina ci dicono che tutta questa infezione è strisciata fino alla regione di Zaporozhie. Le persone non capiscono - perché il Presidente non agisce? Perché il garante della Costituzione ha cessato di essere il garante della pace e della tranquillità civili? Perché il governo non vuole proteggere se stesso e il suo popolo?


[...]

(le organizzazioni aderenti alla Milizia, NdT) hanno avviato la costituzione nella nostra città del Consiglio della Milizia (in seguito, Consiglio) il cui obiettivo principale sarà il controllo dell'ordine pubblico nella città, la creazione di squadre di intervento rapido contro le rivolte di massa, il contrasto all’occupazione degli edifici amministrativi, agli atti vandalici e così via.

Il Consiglio intende opporsi a qualsiasi forma di restauro del fascismo e di giustificazione dei crimini commessi dai terroristi dell’OUN-UPA (Organizzazione dei nazionalisti ucraini – Esercito Insurrezionalista Ucraino, collaborazionisti dei nazisti, NdT) e simili. Il Consiglio sarà un’organizzazione pubblica non paramilitare e indipendente da tutte le forze politiche. Può essere membro dell’organizzazione qualsiasi cittadino o ente pubblico su base volontaria.

Facciamo appello al popolo della regione di Zaporozhie, alla direzione della città e della regione a sostenere l'iniziativa per la creazione di questa formazione pubblica. Invitiamo tutti i cittadini interessati della regione di Zaporozhie a unirsi alle schiere della Milizia.
[...] 3

Il 30 gennaio, la Milizia, in maniera analoga a quanto fatto a Zaporozhie, ovvero durante una seduta del Consiglio comunale, era stata presentata a Stahanov, città operaia di circa 90mila abitanti nella regione di Lugansk. Il primo segretario della locale organizzazione del Partito Comunista e consigliere comunale Viktor Sinjaev ha chiesto la messa fuori legge dei partiti fascisti, primo fra tutti Svoboda, e ha delineato la struttura organizzativa della Milizia che raccoglie operai, giovani e cosacchi.4

Il 31 gennaio, anche nel capoluogo Lugansk è stata presentata (da Maksim Chalenko, primo segretario cittadino del PCU) la Milizia locale. Chalenko ha spiegato che la Milizia ha la sua base presso la sede regionale del PCU e conta su 200 militanti, coordinati in modo da poter rispondere e respingere in breve tempo eventuali attacchi fascisti, inclusi gli assalti agli edifici della pubblica amministrazione. Chalenko ha informato che in ogni angolo della città vivono dei comunisti, che hanno il compito di monitorare la situazione e sono preparati ad agire in caso di necessità.5

Torneremo in articoli successivi a seguire l’evoluzione delle Milizie che si stanno costituendo su iniziativa dei comunisti, anche in occasione della marcia antifascista che si terrà a Zaporozhie, come anche in altre località, l’8 febbraio.

Il 1 febbraio, a Kharkov, su iniziativa del popolare governatore della regione, Mihail Dobkin e del Partito delle Regioni, è stato fondato il movimento “Fronte Ucraino”, alla presenza di oltre 6mila persone. Gli obiettivi del movimento, il cui nome richiama le gesta della resistenza contro i nazifascisti durante la seconda Guerra Mondiale, sono “sbloccare l’isolamento informativo dei cittadini dell’Ucraina occidentale”, “sgomberare senza condizioni tutti gli edifici amministrativi e i luoghi occupati”, “indire il referendum per cancellare l’immunità dei parlamentari” ecc.

Il Fronte Ucraino ha adottato dei colori che sono ormai il segno distintivo di tutto il movimento “antimajdan”, ovvero il nero e l’arancio (accompagnati dalla stella rossa) originari del nastro dell’Ordine di San Giorgio ma arrivati alle nuove generazioni poiché adottati dall’URSS di Stalin a simboleggiare la vittoria contro la Germania nazista.

Lo scontro con il Majdan è infatti non solo uno scontro politico, ma anche uno scontro a colpi di contrapposti riferimenti storici6: da una parte il collaborazionista Bandera e l’OUN-UPA, dall’altra parte i partigiani, l’Armata Rossa, e gli stessi Lenin e Stalin, e questi anche per i non comunisti: a Lutsk, Ucraina occidentale, il 3 febbraio, per celebrare i 70 anni dalla liberazione della città, è stato inaugurato proprio un busto di Stalin.7

Con l’eccezione di Odessa dunque, dove la popolazione è scesa in piazza in massa contro i fascisti già il 25 gennaio (un compagno del luogo mi riferisce che i cittadini di Odessa erano 5mila, i banderovcy al massimo 200), nel resto del paese si sono generalmente seguite fino allo scorso fine settimana le raccomandazione delle forze dell’ordine, ovvero evitare le provocazioni ed evitare di “mettere in difficoltà” le forze speciali del Berkut.

Volendo tratteggiare l’evoluzione della situazione delle ultime settimane, dal punto di vista della reazione popolare alle violenze del Majdan e della nascente mobilitazione popolare, ciò che risalta è il fatto che i comunisti abbiano saputo interpretare la volontà della popolazione progressista, stanca dell’attendismo del Presidente Yanukovich, e come essi siano riconosciuti, assieme ad alcuni esponenti del Partito delle Regioni (che però ha una certa connotazione filo-russa, anche di carattere “etnico”) come una forza credibile politicamente e capace di contrastare i fascisti anche sul piano del confronto diretto, nelle piazze. Non è un caso, quindi, che le sedi del Partito Comunista d’Ucraina siano colpite da frequenti attentati (la sede di Sinferopoli è stata vandalizzata il 29 gennaio, ultima in ordine di tempo) e che vi siano reiterati tentativi da parte di Svoboda per metterlo fuorilegge.

Da comunisti, e conseguentemente internazionalisti, non possiamo non ammirare il coraggio dei compagni ucraini e, con esso, la lungimiranza e la concretezza della loro battaglia politica, condotta nel Parlamento come nelle cittadine periferiche. 

Da comunisti, non possiamo non sostenere la loro lotta che è una lotta anche contro le ingerenze di carattere imperialista dell’Unione Europea - ingerenze che sono la proiezione esterna della politiche antioperaie attuate entro i confini comunitari.

NOTE

1 http://ei.com.ua/news/397137-klichko-poobeshhal-privlech-k-otvetstvennosti-aktivistov-pravogo-sektora.html
2 http://vremia.ua/rubrics/zakulisa/5321.php
3 http://www.kpu.ua/zaporozhskie-kommunisty-sozdayut-narodnoe-opolchenie/
4 http://www.kpu.ua/luganshhina-kommunisty-staxanova-sozdayut-narodnuyu-druzhinu-i-trebuyut-zapretit-vo-svoboda/
5 http://www.kpu.ua/luganskie-kommunisty-sformirovali-narodnoe-opolchenie-dlya-otpora-boevikam/
6 A gennaio tra l’altro è stata celebrata una ricorrenza estremamente significativa: i 360 anni del Trattato di Perejaslav che sancì la fine del dominio della Confederazione Polacco-Lituana sui territori polacchi e l’inizio del protettorato russo su di essi. Bohdan Chmelnyckij, atamano dei cosacchi ucraini, fu il condottiero della rivolta contro la Rzeczpospolita.
7 http://lenta.ru/news/2014/02/03/monument/


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Ukraine and the pro-imperialist intellectuals

5 February 2014

The “Open letter on the future of Ukraine” issued by a group of Western academics and foreign policy operatives is a vile defense of the ongoing far-right protests in Ukraine supported by Washington and the European Union (EU). It peddles the old lie, repeated over nearly a quarter century of imperialist wars and interventions in Eastern Europe since the dissolution of the USSR in 1991, that US and EU policy is driven only by a disinterested love of democracy and human rights.
It states, “The future of Ukrainians depends most of all on Ukrainians themselves. They defended democracy and their future 10 years ago, during the Orange Revolution, and they are standing up for those values today. As Europeans grow disenchanted with the idea of a common Europe, people in Ukraine are fighting for that idea and for their country’s place in Europe. Defending Ukraine from the authoritarian temptations of its corrupt leaders is in the interests of the democratic world.”
The identity of the imperialist powers’ local proxies demolishes the open letter’s pretense that the imperialist powers are fighting for democracy. They are relying on a core of a few thousand fascistic thugs from the Right Sector organization and the Svoboda Party to topple the Ukrainian regime in a series of street protests, replace it with a pro-EU government hostile to Moscow, and impose savage austerity measures. Washington and the EU are not fighting for democracy, but organizing a social counterrevolution.
In November, Ukrainian President Viktor Yanukovych backed away from plans to integrate Ukraine into the EU and push through tens of billions of dollars in social cuts against workers to pay back Ukraine’s debts to the major banks. Fearing an explosion of mass protests, he accepted a bailout from Russia instead. The far-right opposition redoubled its efforts, as dueling anti-government and anti-opposition protests spread in Ukrainian- and Russian-speaking parts of the country, respectively.
While EU intervention threatens Ukraine with social collapse and civil war, the open letter stands reality on its head, presenting the developments in Ukraine as a threat to the EU: “It is not too late for us to change things for the better and prevent Ukraine from being a dictatorship. Passivity in the face of the authoritarian turn in Ukraine and the country’s reintegration into a newly expanding Russian imperial sphere of interests pose a threat to the European Union’s integrity.”
In fact, neither Ukraine nor Russia has threatened to attack the EU. It is Ukraine—with its energy pipeline network, strategic military bases, and heavy industry—that is emerging as a major prize in an aggressive thrust by US and European imperialism to plunder the region and target Russia. While US and European imperialism threaten to attack Moscow’s main Middle East allies, Syria and Iran, they are threatening Russia’s main Eastern European ally, Ukraine, with regime change or partition.
The drive to impose untrammeled imperialist domination of Eastern Europe, which began after the restoration of capitalism with escalating NATO interventions and wars in Yugoslavia in the 1990s, is at a very advanced stage. It is setting into motion the next campaign, for regime change and ethnic partition in Russia, where Washington is studying a variety of ethnic groups—from Chechens, to Tatars or Circassians—whose grievances can be mobilized against Moscow.
This is raised quite directly in leading sections of the Western press. TheFinancial Times of London wrote Sunday, “Mr. Yanukovych and Mr. Putin are leaders of a similar type and with a similar governing model. If Ukrainians push the man in Kiev out of power, Russians might wonder why they should not do the same to the man in the Kremlin.”
By aligning themselves with the US-EU drive to dominate Eastern Europe, the signatories of the open letter are embracing what historically have been the aims of German imperialism. Berlin twice invaded Ukraine in the 20th century, in 1918 and 1941. Significantly, imperialism’s proxies in Ukraine today are the political descendants of Ukrainian fascists who helped carry out the Ukrainian Holocaust as allies of the Nazis—whose policy was to depopulate Ukraine and prepare its colonization by German settlers through mass extermination.
Now, at this year’s Munich Security Conference, top German officials stated that Berlin plans to abandon restrictions on the use of military force that it has obeyed since the end of World War II.
The disastrous consequences of the Soviet bureaucracy’s self-destructive policies and the light-minded approach of Mikhail Gorbachev as he moved to dissolve the USSR—believing that the concept of imperialism was a fiction invented by Marxism—are emerging fully into view.
Trotsky warned that the dissolution of the USSR would not only restore capitalism, but also transform Russia into a semi-colonial fiefdom of the imperialist powers: “A capitalist Russia could not now occupy even the third-rate position to which czarist Russia was predestined by the course of the world war. Russian capitalism today would be a dependent, semi-colonial capitalism without any prospects. Russia Number 2 would occupy a position somewhere between Russia Number 1 and India. The Soviet system with its nationalized industry and monopoly of foreign trade, in spite of all its contradictions and difficulties, is a protective system for the economic and cultural independence of the country.”
This is the agenda being laid out by imperialism and its fascist proxies: to return Russia and Ukraine to semi-colonial status through internal subversion, civil war, or external military intervention. Processes are being set into motion that threaten the deaths of millions.
Mobilizing the working class in struggle against imperialist war and neocolonial exploitation is the central task in Eastern Europe. Due warnings must be made. In the absence of such a struggle, given the bankruptcy and unpopularity of the region’s oligarchic regimes, there is every reason to think that determined fascist gangs—supported by imperialist governments and given political cover by pro-imperialist academics and diplomatic operatives—will succeed in toppling existing regimes.
This underscores the reactionary role of the signatories of the open letter. Some are top diplomats or “non-governmental” imperialist operatives—such as former foreign ministers Ana Palacio of Spain and Bernard Kouchner of France, or Chris Stone and Aryeh Neier of the US State Department-linked Open Society Institute of billionaire George Soros. Most, however, are academics and intellectuals who are lending their names to give credibility to far-right reaction in Ukraine, through a foul combination of learned ignorance and historic blindness.
Some of the names on the list of signatories evoke regret—such as Fritz Stern, a historian who was once capable of writing seriously on historical questions.
Others, like that of postmodernist charlatan Slavoj Zizek, come as no surprise. They only confirm the alignment of affluent sections of the middle class with imperialist brigandage, and the reactionary role of pseudo-left thought in training mouthpieces for imperialism.
After decades of intellectual war on Marxism in universities and the media, cultural life is in a disastrous state. Hostile to the Marxist conceptions of imperialism and of material interests driving its policies, these layers are left unmoved by imperialist crimes—the destruction of Fallujah during the US occupation of Iraq, or the drone murder campaign in Afghanistan. Their pens spring into action, however, when EU politicians excite their moral glands by denouncing regimes targeted for imperialist intervention. They can be led by the nose, even behind fascists, with a few empty invocations of human rights.

Alex Lantier