VIDEO CONSIGLIATO: "I CAVALLI DI TROIA"
Il Referendum del Veneto e quello annunciato della Lombardia, potrebbero risultare pericolosi perché fornirebbero il pretesto a potenze straniere di intervenire per continuare ad assicurarsi il dominio di fatto del nostro Paese… Pubblicato da Mario Albanesi in data 07/apr/2014

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Veneto. Dal referendum al "tanko"

•  Venerdì, 04 Aprile 2014
•  Aldo Romaro (*)

Tra il 16 e il 21 marzo si è tenuto in Veneto il referendum autogestito promosso da alcune associazioni indipendentiste venete. 
I risultati di questo sondaggio sarebbero clamorosi: secondo il sito plebiscito.eu che rappresenta gli organizzatori del referendum, avrebbero votato più di due milioni di persone, cioè oltre il 60% degli elettori veneti e la stragrande maggioranza (il 90%) avrebbe dato il proprio voto a favore dell'indipendenza del Veneto.

Il condizionale però è d'obbligo e molti organi di informazione hanno contestato i risultati sulla base del fatto che gli accessi al sito da cui si poteva votare on-line, in realtà sarebbero stati, nei giorni del referendum, solo centomila e che quindi il numero dei votanti non potrebbe essere in nessun modo superiore a quello degli accessi. 

Comunque attorno al referendum venetista c'è stata una mobilitazione reale e le firme raccolte ai gazebi sono state davvero molte, con adesioni che sono arrivate sia dall'elettorato di destra che da quello di sinistra.

Ma grazie alla moltiplicazione dei voti on line e alla contemporaneità del referendum in Crimea, anche il referendum venetista ha avuto una enorme risonanza mediatica: ne hanno parlato i quotidiani italiani e internazionali, i telegiornali e i maggiori canali televisivi di informazione, compresa Al Jazeera.

C'è un aspetto però di questo referendum autogestito di cui si è parlato pochissimo. Oltre al quesito sull'indipendenza veneta c'erano anche quelli sull'appartenenza alla Nato, sull'adesione all'Unione Europea e sull'utilizzo dell'Euro.

I risultati di questi quesiti sarebbero stati quanto meno sconcertanti: avrebbero ricevuto il voto solo di un terzo dei votanti e la maggior parte dei voti (rispettivamente il 64, il 56 e il 51%) sarebbero stati a favore del mantenimento dello status quo. Insomma il popolo veneto avrebbe deciso di uscire dall'Italia, ma di rimanere nella Nato e nell'Unione Europea e anche di continuare ad utilizzare l'Euro.


Ora per quanto riguarda la Nato ci può anche stare, vista la paranoia securitaria diffusa ad arte negli ultimi decenni principalmente dalla Lega, ma non solo dalla Lega; per quanto riguarda l'Unione Europea si può anche pensare che il voto sia stato guidato dall'ignoranza su cosa sia effettivamente la UE; ma il fatto che la maggioranza dei votanti abbia deciso anche di continuare ad utilizzare l'odiatissimo Euro ha bisogno di una spiegazione ulteriore.

Veri o falsi che siano i conteggi dei voti, quello che emerge è la riproposizione della ipotesi della secessione già avanzata dalla Lega a metà degli anni '90. 
Ora come allora, in un momento di crisi economica, di difficoltà nel processo di costituzione della UE e di fronte alla possibilità di una Unione Europea a due velocità, la prospettiva che trova spazio nel blocco sociale che fa riferimento alla Lega e agli indipendentisti veneti è quella di secedere dall'Italia... per entrare nella Grande Germania! O se preferite, ma è la stessa cosa, nel club dei "Piccoli Paesi virtuosi" dell'Unione Europea.

La stessa borghesia veneta che si è venduta ai Savoia 150 anni or sono, oggi accarezza l'idea di vendersi ai Tedeschi. Con buona pace della retorica sulla Serenissima e sul Leone di San Marco.

Una prospettiva quanto meno discutibile, non solo dal punto di vista di chi è critico nei confronti della UE, ma anche dal punto di vista della stessa borghesia imperialista europea, che in questo momento non ha alcun bisogno di vedersi costretta ad accelerare l'ipotesi di una divisione tra nord e sud, o tra virtuosi e pigs, ipotesi che deve rimanere solo un velato ricatto sullo sfondo per facilitare, al contrario, un ulteriore avanzamento del processo di costituzione dell'Unione Europea.

La risposta al referendum venetista non poteva non arrivare in tempi rapidi.
Il 2 aprile all'alba i Ros dei Carabinieri hanno arrestato 24 esponenti del movimento indipendentista veneto e ne hanno denunciati altri 27.

Le accuse sono di associazione con finalità di terrorismo, eversione dell’ordine democratico e fabbricazione e detenzione di armi da guerra.

Ora come per molte delle inchieste dei Ros, anche per questa sembra che gli obiettivi politici siano più rilevanti di quelli giudiziari.
Le accuse, per quanto riguarda la fabbricazione e la detenzione di armi da guerra sembrano inconsistenti.  
I telegiornali hanno mostrato le registrazioni video effettuate dai CC nel capannone in cui veniva fabbricato il tanko. Ma nessun video o foto del famigerato cannone. Così come esisterebbero solo delle registrazioni telefoniche per quanto riguarda il proposito di acquistare armi in Albania.

Come la maggior parte delle inchieste dei Ros, si tratta di una operazione di repressione preventiva i cui tempi sono legati alle necessità politiche più che a quelle giudiziarie. 
Se davvero qualcuno aveva in progetto di costruire o acquistare armi, forse dal punto di vista giudiziario sarebbe servito di più aspettare a prenderlo con le mani nel sacco.

Ma le elezioni europee sono alle porte, così come quelle di 300 comuni del Veneto e così il 2 aprile l'operazione dei Ros è scattata comunque.
E Al Jazeera, che aveva dato ampio spazio al referendum venetista, ha dovuto dare altrettanto risalto all'inchiesta dei Ros. 

Insomma verrebbe da concludere parafrasando una famoso detto popolare: "chi di propoganda (referendaria) ferisce, di propaganda (giudiziaria) perisce".

Ma c'è una ulteriore considerazione da fare. Che non riguarda l'aspetto giudiziario, ma quello politico.

Il malcontento dopo sei anni di crisi è vero e reale. L'economia veneta è a rotoli. La piccola borghesia industriale che ne rappresentava l'anima è in via di estinzione. I lavoratori ricominciano a emigrare.

In un simile contesto uno dei metodi classici di garantire lo status quo è quello di "cambiare tutto per non cambiare nulla". Invocando la necessità di una rivoluzione (o di una secessione) senza porsi il problema di indicare una prospettiva e di chiarire quale società si voglia costruire.

Lo si è già visto con il cosiddetto movimento dei forconi, che voleva mandare a casa i parlamentari per dare il potere ai colonnelli, lo si rivede adesso con una secessione che vorrebbe separarsi da Roma con la segreta speranza di potersi unire a Berlino.


* Rete dei Comunisti