Rubrica "Lettere al Corriere", risponde Sergio Romano

http://www.corriere.it/lettere-al-corriere/15_luglio_03/-DA-SARAJEVO-AL-KOSOVO-GLI-ULTIMATUM-ALLA-SERBIA_bd6973fc-2142-11e5-be97-5cd583b309bb.shtml

Venerdì 3 luglio 2015

DA SARAJEVO AL KOSOVO GLI ULTIMATUM ALLA SERBIA

Ho appena terminato la lettura del libro di Christopher Clark I sonnambuli edito in Francia da Flammarion e in Italia da Laterza. L’autore, nel riportare le incredule reazioni del Segretario agli Esteri britannico Edward Grey e quelle di Winston Churchill per la durezza dell’ultimatum presentato dagli austriaci ai serbi a seguito dell’attentato in cui trovarono la morte a Sarajevo l’erede al trono imperiale Francesco-Ferdinando e la moglie Sofia, sottolinea che il testo era molto più moderato di quello presentato alla Serbia jugoslava nel 1999 sotto la forma di Accordo di Rambouillet per obbligarla ad accettare le decisioni prese sul Kosovo.

Pierpaolo Merolla , p.merolla @ telenet.be

L’ultimatum austriaco del luglio 1914 fu scritto per apparire a Belgrado inaccettabile. Vienna chiedeva alla Serbia di pubblicare sul proprio maggiore giornale una solenne deplorazione, di interrompere le attività di tutte le pubbliche istituzioni in cui l’impero austro-ungarico era oggetto di critiche, di eliminare la letteratura didattica in cui si rivendicavano terre appartenenti all’Impero austro- ungarico, ad accettare che ispettori di polizia austriaca collaborassero sul territorio della Serbia alle indagini sul movimento sovversivo, ad arrestare urgentemente un funzionario di polizia che sembrava essere coinvolto nell’attentato. E terminava chiedendo che la risposta giungesse a Vienna non oltre le 6 pomeridiane del 25 luglio. Forse la reazione jugoslava sarebbe stata diversa se la Serbia non avesse saputo di potere contare sul sostegno della Russia. Ma alcune misure avrebbero pesantemente ferito, se accettate, la sovranità serba. Quanto all’ultimatum contenuto nell’accordo alleato di Rambouillet del marzo 1999, la ricostruzione del testo è resa più complicata dalla esistenza di allegati che sarebbero stati comunicati ai serbi tardivamente e di cui la Russia, a quanto pare, non era al corrente. Uno di questi, in particolare, prevedeva che la Jugoslavia concedesse alle truppe della Nato il diritto di passaggio in tutto il suo territorio nazionale, nello spazio aereo e nelle acque territoriali. Le intenzioni americane, comunque, divennero chiare dal momento in il segretario di Stato americano Madeleine Albright invitò a Rambouillet una delegazione dell’Uck, il movimento della resistenza kosovara che gli Stati Uniti, in altre circostanze, avevano considerato terroristico. Invitandolo alla conferenza, sia pure in anticamera, il segretario di Stato americano promuoveva l’Uck a partner necessario di ogni possibile soluzione. Su questo tema è apparso un articolo di Noam Chomski (Monde Diplomatique del marzo 2000). Chomski è filosofo della lingua, professore del Massachusetts Institute of Technology e noto per le sue per frequenti critiche alla politica americana. In questo caso mi sembra avere ragione quando constata che esistevano ancora, per il futuro del Kosovo, strade percorribili e compromessi possibili. Ma gli Stati Uniti avevano deciso di passare all’azione. L’aspetto più sorprendente di questa vicenda fu l’atteggiamento di alcuni fra i maggiori Paesi europei. Il primo ministro francese era Lionel Jospin, leader del Partito socialista e molto discusso in passato per le sue presunte simpatie trozkiste. Il cancelliere tedesco era Gerhard Schröder che negli anni giovanili aveva fornito una assistenza legale a Horst Mahler, membro della banda Baader Meinhof. Il presidente del Consiglio italiano era Massimo D’Alema, già presidente della Federazione dei giovani comunisti. Non tutti avevano gli stessi poteri, ma tutti avevano un passato molto progressista. Forse erano davvero convinti che la guerra del Kosovo fosse un episodio di «ingerenza umanitaria». Forse volevano dimostrare agli americani che si erano lasciati alle spalle gli ideali della gioventù.