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Era l'ex Jugoslavia Oggi è l'oro del calcio

Dai croati ai bosniaci, in Serie A comandano loro: sono 47! Più di argentini e brasiliani

di Ettore Intorcia – mercoledì 12 agosto 2015

ROMA - La Storia ha insegnato che non potevano e non potranno mai più essere uniti sotto la stessa bandiera. Né sullo stesso campo di calcio, luogo per eccellenza dove esaltare i nazionalismi. Ma se il calcio è un gioco, dopo tutto, si può usare anche un po’ di fantasia, prendere la base della Croazia, la più forte delle sei nazionali nate dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia, e metterci dentro i gol di Dzeko e la fantasia di Pjanic, ragazzi della Bosnia, la spinta di Basta e colpi di Ljajic, figli della Serbia, l’esperienza di Pandev, dalla Macedonia, i guizzi di Jovetic, il montenegrino, e le mani di Handanovic, gigante sloveno: non ne verrebbe fuori uno squadrone?

Se fossero uniti tutti insieme - serbi e bosniaci, croati e macedoni, montenegrini e sloveni - da noi in Italia sarebbero il partito di maggioranza: la più grande colonia straniera del nostro campionato. Su 296 (finora) calciatori della nostra Serie A nati all’estero, il contingente della ex Jugoslavia è quello che conta più tesserati: 47 calciatori. Varrebbe, cioè, più di Brasile (40) e Argentina (33) che nell’immaginario pallonaro sono da sempre il luogo del calcio, la più grande riserva di talenti, una miniera inesauribile di dribbling e giocate sopraffine. La tendenza. Comanda, tra le sei nazionalità slave, quella croata, e non è un caso: dal 2013 Zagabria è entrata nell’Unione Europea spalancando definitivamente la frontiera, senza più bisogno di affannarsi per rispettare la norma sugli extracomunitari. Non che la questione dello status sia poi un ostacolo, anzi. La tendenza dell’estate è molto chiara: andiamo sempre più a prendere i calciatori al di là dell’Adriatico, in quella che una volta chiamavamo Jugoslavia. In Serie A sono entrati, finora, un argentino (Vadalà, arrivato alla Juve nell’ambito dell’affare Tevez) e cinque brasiliani: Cassini al Palermo, Fernando alla Samp, Gilberto a Firenze, Wallace (un ritorno, in realtà) a Carpi e Winck a Verona. I nuovi slavi, invece, sono in tutto otto: Dzeko e Krunic dalla Bosnia, Mandzukic dalla Croazia, Pandev (altro ritorno) e Trajkovski dalla Macedonia, Jovetic (ancora lui) dal Montenegro, Milinkovic e Lazovic dalla Serbia, mentre il contingente sloveno è rimasto com’era. Le ragioni. «La realtà è che chi compra da noi, e intendo noi ex jugoslavi, sa di andare sul sicuro, anche più che con brasiliani e argentini. Poi c’è anche una questione di costi: a parità di livello, un giocatore slavo costa la metà di un italiano, parlo di atleti medi presi spesso per completare le rose», spiega Marko Naletilic, procuratore croato e grande esperto del mercato slavo.

L’ingresso nell’Unione Europea ha alimentato il flusso dalla Slovenia ai grandi campionati nell’ultimo decennio e ha fatto impennare i trasferimenti dei croati. Ma a cascata ha fatto bene anche a serbi e bosniaci: non si vanno più a pestare i piedi sulle poche caselle da extracomunitari per venire in Italia. «E poi - aggiunge Naletilic - si tratta di ragazzi molto flessibili sul piano culturale, che sanno ambientarsi rapidamente data la facilità con cui imparano le lingue». Pjanic, per esempio, ne parla sei. Del resto, questa è la generazione nata o quasi sotto le bombe: in tanti sono cresciuti all’estero, dalla Svizzera alla Germania per esempio. La Croazia ha la nazionale più forte, la Bosnia (con la storica qualificazione ai mondiali 2014) è quella che è cresciuta più in fretta di tutte. La Dinamo Zagabria, passando ai club, la società che sa vendere meglio i propri gioielli: Modric al Tottenham per 22 milioni il riferimento. Il prossimo affare? Cedere Marco Pjaca, classe ‘95: dall’Italia si erano informate Milan, Juve e Roma.

@ettoreintorcia