La Regione Giulia nella sua lotta per la autodecisione...

0) Nuove segnalazioni e link
1) Il Miur e il concorso scolastico sulle vicende istriane (Marco Barone )
2) Tre interventi di Claudia Cernigoi: Leo Valiani e l'occupazione italiana / Bruno Lubiana e Giuseppe Mungherli "martiri delle foibe" / A proposito di razzismo fascista


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NUOVI INSERIMENTI sul sito Diecifebbraio.info:

L’ONORE DELLA DECIMA MAS (di Claudia Cernigoi – 4 ottobre 2016):

Dicono gli storiografi e gli apologeti della Decima Mas che questo Corpo non fu mai collaborazionista né fascista, ma che i suoi militi furono sempre e solo italiani ed indipendenti dal nazismo, e che il loro comandante, il principe nero Junio Valerio Borghese (il futuro aspirante golpista) fu sempre malvisto dai nazisti perché operava per amor di Patria e non si adeguava ai loro ordini. Però le cose erano un po’ diverse... e lo spiegheremo in questo articolo.

NELLA SEZIONE DOCUMENTI –  http://www.diecifebbraio.info/documenti/ :

Dal volume plurilingue "La regione Giulia nella sua lotta per la autodecisione e per la congiunzione alla repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia"
"Memoriale del Comitato Provinciale di Liberazione per il Litorale Sloveno e Trieste" 
presentato alla Commissione interalleata per la delimitazione del territorio nella Regione Giulia nel 1946
http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2016/09/memoriale.pdf
Sommario delle cartine, foto, grafici e documenti vari presenti nelle tre sezioni: 
"Le basi etniche ed economiche della Regione Giulia"
"La lotta del popolo della Regione Giulia per la libertà e per il diritto di autodecisione"

Bibliografia sulla Regione Giulia e Trieste tratta da  "Zgodovinski časopis” (Lubiana 1948-49) 

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PETIZIONE: Abroghiamo la legge 92/2004 sulle foibe

promossa dal Comitato di Lotta Antifascista Antimperialista per la memoria storica Parma


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Il Miur e il concorso scolastico sulle vicende istriane 


Marco Barone 
Lunedì, 26 Settembre 2016

Il MIUR ha comunicato a tutte le scuole la possibilità di partecipare ad un concorso nazionale, in vista del giorno del ricordo.
Come è noto la storia del '900 è studiata poco, per nulla alla primaria, e comunque le vicende del confine orientale, che sono complesse ma anche un vero unicum, non vengono trattate. Partendo dal fatto che vi è un vuoto, proporre un bando come quello che ora brevemente commenterò per le scuole, che situazione si rischia di fomentare?
Si sta dicendo in tutti i modi, in tutte le lingue che il nazionalismo è sempre stato un male, e che continua ad esserlo oggi, perchè tradisce lo spirito fondamentale della fratellanza dei popoli che avrebbe dovuto caratterizzare la nostra vecchia Europa.
Il titolo già è fuorviante: Nasce la Repubblica italiana senza un confine. Si parla del referendum per la Repubblica dove si evidenzia che “Se il referendum istituzionale del 2 giugno è considerato l’atto di nascita della Repubblica italiana, una parte della popolazione non vi poté partecipare non per scelta ma per condizione in quanto il territorio della Venezia Giulia, pur formalmente ancora italiano, era diviso e sotto il controllo, rispettivamente, delle forze armate anglo-americane e jugoslave.”
Sulla base di quale criterio storico, giuridico, sostanziale si può sostenere " formalmente ancora italiano"?  E poi, cosa intendono per Venezia Giulia? Quella che si è determinata dopo la prima guerra mondiale o quella attuale? Giocano sull'ambiguità. Forse si sono dimenticati che questa parte d'Italia era stata praticamente annessa al Litorale Adriatico (Adriatisches Küstenland), che verrà liberata nel maggio del '45, amministrata prima da comitati esecutivi italosloveni, poi angloamericani. Dimenticano l'esistenza della linea Morgan.
Non era formalmente italiano questo territorio almeno da quando l'Italia crollò dopo l'armistizio del 1943 che diede il via libera all'occupazione nazista. E quel sentimento di italianità e di ingiustizia, in un tema che dovrebbe essere oggettivo, continua. “In verità un plebiscito ci fu ma simbolico e morale: prima con le manifestazioni in occasione della visita della Commissione alleata (marzo 1946) – quelle filo italiane nei territori controllati dagli jugoslavi furono ufficialmente impedite – e poi con la decisione di diversi partiti di accogliere tra i candidati all’Assemblea costituente rappresentanti delle province del confine orientale” La Venezia Giulia viene fatta passare come solo vittima del fascismo
“Erano momenti sicuramente di alto coinvolgimento e di passione civile, considerando che le popolazioni della Venezia Giulia non avevano votato alle elezioni politiche del 1919 mentre quelle del 1924 erano state condizionate dalla legge Acerbo che aveva consegnato l’Italia al fascismo.”
Quando si omette che qui il fascismo è nato ben prima della Marcia su Roma, anticipato da quella su Fiume, dall'assalto al Narodni Dom di Trieste o di Pola nel 1920. Ma deve prevalere il sentimento di vittimismo.
Così come il modo in cui ci si riferisce alla vicenda degli esuli: “La Patria italiana era ciò che gli esuli giuliani, fiumani e dalmati andavano cercando, serbando in loro un rammento romantico e sentimentale di una Patria che non forse non era mai stata come l’avevano immaginata da quell’angolo remoto e verso la quale si sentivano legati da un debito di amara gratitudine, coscienti però che sul loro destino erano ricadute le colpe maggiori del fascismo e della guerra perduta, ma che non rimaneva altra strada da percorrere se non quella di rinunciare alla propria identità.”
Ma chi ha scritto questo testo? E' innegabile che gli esuli hanno vissuto momenti drammatici, così come il fatto che poi in gran parte hanno avuto significativi aiuti da parte dello Stato italiano. Poi se si vuole fare di tutta l'erba un fascio generalizzando l'intera vicenda storica articolata degli esuli e si vuole sostenere la ratio che vennero tutti perseguitati perchè italiani, e non che in gran parte decisero di andare via perchè non volevano diventare cittadini Jugoslavi e vivere in un sistema comunista e per eventuali sentimenti di ostilità diffusa, che dire?
Che se nella scuola italiana esiste un vuoto sulla storia del '900 questo concorso ancorato al giorno del ricordo è veramente pessimo ed il testo da riscrivere almeno nei suoi passaggi fuorvianti. La prossima volta cosa scriveranno? Riprendiamoci l'Istria? O ritorneremo?


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LEO VALIANI E L’UMANITÀ DELL’OCCUPAZIONE ITALIANA IN JUGOSLAVIA

Uno dei “padri della patria”, l’azionista (ex comunista) Leo Valiani, così si espresse, già nel 1946, riferendosi agli incontri intercorsi tra CLNAI ed Esercito Jugoslavo nel 1944: 
«Il problema delle nostre relazioni con gli slavi della Venezia Giulia è ancora un punto interrogativo. Le truppe italiane in Jugoslavia si erano comportate molto umanamente, nei primi tempi dell’occupazione fascista, così come di cortesia e umanità avevano dato prova, a detta di tutti, in Francia. Ma poi venne la guerra civile tra gli ustascia di Pavelic e i partigiani di Tito. Presi alla sprovvista dallo scatenamento delle passioni popolari, i comandanti italiani commisero l’errore di imitare i tedeschi, cercando di ristabilire col pugno di ferro l’ordine turbato. Ma non godevano del prestigio di cui i tedeschi disponevano ancora in quel periodo e si trovarono coinvolti in una feroce guerriglia, da cui avrebbero voluto, ma non sapevano più come uscire. (…) Tuttavia, l’8 settembre gli slavi lasciarono rimpatriare indisturbate buona parte delle unità italiane (…) alcuni reggimenti italiani andarono ad ingrossare le file dell’esercito di Tito» (in “Tutte le strade conducono a Roma”, La Nuova Italia 1946, p. 77).
Lasciando ai francesi di valutare la “cortesia ed umanità” di cui diedero prova le truppe italiane in Francia (che fu, come suol dire “pugnalata alle spalle” per la decisione fascista di invadere quel Paese), vediamo invece di parlare brevemente di ciò che significò l’occupazione italiana in Jugoslavia.
L’“umanità” e la “cortesia” delle truppe italiane nei territori occupati dopo il 6/3/41, le valutiamo dai documenti del comando superiore delle Forze Armate italiane che recitano (nella famigerata Circolare 3C emanata dal generale Mario Roatta nel marzo del 1942): «il trattamento da fare ai partigiani non deve essere sintetizzato dalla formula “dente per dente” bensì da quella “testa per dente”»; e si aggiunga questo “consiglio” degli generali alle truppe: «si sappia bene che eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non verranno mai perseguiti. Perseguiti invece, inesorabilmente, saranno coloro che dimostrassero timidezza ed ignavia».
Il bilancio delle vittime della sola “provincia di Lubiana” nei 29 mesi di occupazione parla di circa 13.000 morti, dei quali circa la metà internati nei campi di concentramento, soprattutto donne, vecchi e bambini. Del resto il generale Gastone Gambara (il comandante dell’XI Corpo d’Armata che controllava il territorio occupato) aveva scritto di propria mano un appunto a margine di una relazione inviata da un medico in visita al campo di Arbe, datata 15/12/42: «Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d’ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo» (si veda la foto allegata di alcuni bambini internati ad Arbe).
E se da subito (28/9/42) il generale Roatta aveva proposto al Comando supremo la deportazione della popolazione slovena: «si tratterebbe di trasferire al completo masse ragguardevoli di popolazione, di insediarle all’interno del regno e di sostituirle in posto con popolazione italiana», anche dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Italo Sauro (l’“esperto per le questioni etniche sotto il fascismo, poi comandante del II Reggimento MDT Istria) aveva ripreso un suo vecchio progetto, già proposto a Mussolini nel 1939, che prevedeva per «la lotta contro i partigiani (…) il trasferimento in Germania di tutta la popolazione allogena compresa tra i 15 e 45 anni con poche eccezioni». Tale proposta fu fatta al comandante delle SS Wilhelm Günther nel corso di un colloquio: ma fu respinta dall’esponente nazista.
Tutto ciò a proposito della mitologia degli “italiani brava gente”, che “mitigarono la ferocia nazista nelle zone d’occupazione”: ed aggiungiamo, anche se non c’entra con l’argomento specifico di questa nota, che furono i comandi nazisti ad intervenire contro le efferate violenze della Banda Koch a Milano, non le autorità fantocce di Salò.

I dati sono tratti da 
Giuseppe Piemontese, “Ventinove mesi di occupazione italiana nella Provincia di Lubiana”, Lubiana 1946;
la prima nota di Sauro si legge in http://www.rigocamerano.it/sfitalosauro.htm, mentre il secondo “appunto” si trova nel Bollettino n. 1/aprile 1976 dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste; http://www.storiaxxisecolo.it/deportazione/deportazionecampi1.htm


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A PROPOSITO DI "MARTIRI DELLE FOIBE"

Tra gli "infoibati" triestini troviamo anche queste due persone, Bruno Lubiana (nelle Brigate Nere, autista del federale del fascio repubblicano di Trieste Edgardo Sambo) e Giuseppe Mungherli (maresciallo dell'MDT ma anche brigatista nero e già nella Decima Mas). I due furono arrestati nel maggio 1945, il primo incarcerato a Lubiana e forse fucilato nel gennaio 1946, il secondo arrestato da partigiani di Longera ed incarcerato a Sesana, ma di lui si persero le tracce.
Mungherli e Lubiana, ai quali ogni 10 febbraio le autorità civili e militari porgono omaggio in quanto "martiri delle foibe", avevano fatto parte, nella primavera del 1944, di una sorta di squadrone della morte annesso alla Decima Mas e comandato dal capitano Beniamino Fumai: «copertosi d’infamia» nel periodo repubblicano specialmente nelle zone d’Ivrea e Novara, responsabile di rastrellamenti, uccisioni ed atti d’inaudita ferocia, fu condannato all’ergastolo, come leggiamo nel quotidiano la Voce Libera del 24/5/47. Nei fatti, «esisteva un gruppo che si chiamava Mai Morti ed era composto da 43 ragazzi triestini e pugliesi, in divisa grigioverde, che arrivarono a La Spezia dal Lago Maggiore. Erano comandati da un ragazzo barese, alto e atletico, fama di ballerino e bevitore: Beniamino Fumai, uno che da giovane aveva militato nelle squadre d’azione e poi, dopo l’8 settembre, si era messo a capo di una specie di corte dei miracoli, dando ai suoi il permesso di fare razzia quando andavano a catturare gli antifascisti o a perquisirne le case. Li aveva tenuti a battesimo Christian Wirth il tedesco che stava alla Risiera di San Sabba. Avevano girato per l’Italia settentrionale, con le divise della Decima Mas, e una loro base era a Verbania. Dopo tante, troppe violenze, quel gruppo venne sciolto dagli stessi nazisti il 10/5/44», scrive Piero Colaprico in calce al romanzo da lui scritto a quattro mani con Pietro Valpreda, "La primavera dei Maimorti" (Tropea 2002), riassumendo quanto ricostruito da Ricciotti Lazzero nel suo "La Decima Mas" (Rizzoli 1984).
Dopo lo scioglimento dei Mai Morti, Fumai andò a comandare il battaglione Sagittario della Decima Mas, mentre molti dei suoi accoliti entrarono nelle Brigate Nere: come Mungherli e Lubiana, appunto.
Ricordiamoci anche di questi personaggi quando parliamo di "innocenti infoibati sol perché italiani".

Claudia Cernigoi, 6.10.2016

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A PROPOSITO DI RAZZISMO FASCISTA...
Il Piccolo di oggi ha pubblicato una mia lettera, come da foto. però devo allegare il testo integrale, perché è "saltato" un pezzo a mio parere piuttosto importante, quello relativo alla continuità razzista del fascismo rappresentata dal personaggio Rodolfo Graziani.

Vorrei rispondere brevemente all’intervento di Livio Sirovich pubblicato sul Piccolo del 22/9/16 in merito alla cerimonia di ricordo delle leggi razziali a Trieste.
Il mio parere è che nelle sue valutazioni Sirovich sia caduto nell’equivoco di dare una lettura etnicista e non politica delle vicende storiche. Perché, se da un lato concordo sul fatto che è un circolo vizioso (ma non solo triestino) l’uso invalso negli ultimi tempi per cui se si parla della Risiera si devono ricordare anche le foibe (ormai i viaggi della memoria per le scuole includono il pacchetto “Foiba di Basovizza e Risiera”, come se i due monumenti fossero speculari), non sono d’accordo invece che condannare assieme, nella condanna totale del nazifascismo, le persecuzioni condotte contro gli ebrei e quello contro gli sloveni, gli antifascisti, gli omosessuali eccetera sia un “annacquare” la memoria facendo “il gioco degli estremisti di destra”.
Fin dal suo nascere il fascismo perseguitò le minoranze etniche nei territori annessi all’Italia dopo la prima guerra mondiale: sloveni e croati nella Venezia Giulia, tedeschi nell’Alto Adige; da subito gli avversari politici furono torturati, incarcerati, mandati al confino, assassinati; la politica colonialista causò migliaia di morti nelle guerre di conquista in Libia e nel Corno d’Africa; infine l’emanazione delle leggi razziali nel 1938 (e considerando che tra i firmatari di queste vi fosse anche l’ex governatore della Libia nonché vicerè d’Etiopia Rodolfo Graziani, che per “pacificare” i territori da lui controllati fece migliaia di morti usando anche l’iprite, dimostra la continuità del razzismo fascista), fatta per accontentare l’ingombrante alleato nazista (scaricando in questo modo anche tutti quegli ebrei che erano stati attivi sostenitori del regime, come ad esempio il podestà triestino Antonio Salem, che si trovò da un giorno all’altro tra i “discriminati”, anche se, come ex gerarca, gli fu cambiato il nome e non fece una fine tragica) fu in sostanza l’epilogo di una ventennale politica razzista condotta dal fascismo contro tutti i “non italiani”.
E probabilmente non fu a caso che l’annuncio fu dato a Trieste, la città che Saba definì “la più fascista d’Italia” e che rappresentava il simbolo di come si era condotta una vincente politica di snazionalizzazione nei confronti delle comunità etniche presenti sul territorio.
Proprio per la simbologia di Trieste in questo senso ritengo corretta la memoria così come proposta dal Comitato Danilo Dolci (che ha il pregio di raggruppare una serie di persone e di entità politiche e culturali di tutto rispetto, con buona pace della sbrigativa definizione di Sirovich “comunisti, trotskisti e cattolico terzo-mondisti”) ai cui volontari va comunque riconosciuto che se non fosse stato per il loro capillare lavoro informativo effettuato tramite presìdi, volantinaggi, comunicati e culminato nell’importante convegno sulle leggi razziali svoltosi nel 2013, oggi non ci sarebbe neppure quella piccola e quasi invisibile targa che molti calpestano senza neppure leggerla, posta nella pavimentazione di piazza Unità.
Targa che richiederebbe una dignità maggiore, una spiegazione più ampia, una posizione più visibile: questa la cosa da chiedere al Comune di Trieste, invece di creare polemiche strumentali contro chi continua a ribadire la necessità dell’antifascismo, dato che il fascismo non fu un’idea ma un crimine.