Guerra a cannonate

1) Le colombe armate dell’Europa (Manlio Dinucci su il manifesto, 21 febbraio 2017) 
2) Un voto che prepara la guerra (Giulietto Chiesa su SputnikNews, 20.02.2017)
3) A sinistra dirimente è la guerra (Tommaso Di Francesco su il manifesto, 19 febbraio 2017)
4) La NATO in marcia verso Est (Corrispondenza dalla Lituania di Julius Anulis per la “Pravda”)
5) Altro che obsoleta, la Nato con Mattis si allarga a sud con un «Hub» di guerra (Manlio Dinucci su il manifesto, 16 febbraio 2017) 
6) Missioni militari. 1,5 miliardi per mostrare i muscoli in giro per il mondo (Alessandro Avvisato, 15 febbraio 2017)
7) Guantanamo (Cuba), 4-6 maggio 2017: SEMINARIO INTERNAZIONALE CONTRO LE BASI MILITARI STRANIERE


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TORCHBEARER OF THE WEST (Berlin calls to replace the US as the West's "torchbearer", GFP 2017/02/14)
In the run-up to the Munich Security Conference this weekend, leading German foreign policy experts are calling on the EU to reposition itself on the world stage, replacing the United States as the West's "torchbearer." Since Washington's change of government, the United States no longer "qualifies as the symbol of the West's political and moral leadership," according to Wolfgang Ischinger, Chair of the Munich Security Conference. It is therefore up to Europe "to make up for this loss." ... "We Europeans" could become an "impressive political and military power," Ischinger cajoled...


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L’arte della guerra
 
Le colombe armate dell’Europa 

Manlio Dinucci
  

Ulteriori passi nel «rafforzamento dell’Alleanza» sono stati decisi dai ministri della Difesa della Nato, riuniti a Bruxelles nel Consiglio Nord Atlantico. Anzitutto sul fronte orientale, col dispiegamento di nuove «forze di deterrenza» in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, unito ad una accresciuta presenza Nato in tutta l’Europa orientale con esercitazioni terrestri e navali. 

A giugno saranno pienamente operativi quattro battaglioni multinazionali da schierare nella regione. Sarà allo stesso tempo accresciuta la presenza navale Nato nel Mar Nero. 

Viene inoltre avviata la creazione di un comando multinazionale delle forze speciali, formato inizialmente da quelle belghe, danesi e olandesi. 

Il Consiglio Nord Atlantico loda infine la Georgia per i progressi nel percorso che la farà entrare nella Alleanza, divenendo il terzo paese Nato (insieme a Estonia e Lettonia) direttamente al confine con la Russia. 

Sul fronte meridionale, strettamente connesso a quello orientale in particolare attraverso il confronto Russia-Nato in Siria, il Consiglio Nord Atlantico annuncia una serie di misure per «contrastare le minacce provenienti dal Medioriente e Nordafrica e per proiettare stabilità oltre i nostri confini». Presso il Comando della forza congiunta alleata a Napoli, viene costituito l’Hub per il Sud, con un personale di circa 100 militari. Esso avrà il compito di «valutare le minacce provenienti dalla regione e affrontarle insieme a nazioni e organizzazioni partner». 

Disporrà di aerei-spia Awacs e di droni che diverranno presto operativi a Sigonella. Per le operazioni militari è già pronta la «Forza di risposta» Nato di 40mila uomini, in particolare la sua «Forza di punta ad altissima prontezza operativa». 

L’Hub per il Sud – spiega il segretario generale Stoltenberg – accrescerà la capacità della Nato di «prevedere e prevenire le crisi». In altre parole, una volta che esso avrà «previsto» una crisi in Medioriente, in Nordafrica o altrove, la Nato potrà effettuare un intervento militare «preventivo». L’Alleanza Atlantica al completo adotta, in tal modo, la dottrina del «falco» Bush sulla guerra «preventiva». 

I primi a volere un rafforzamento della Nato, anzitutto in funzione anti-Russia, sono in questo momento i governi europei dell’Alleanza, quelli che in genere si presentano in veste di «colombe». Temono infatti di essere scavalcati o emarginati se l’amministrazione Trump aprisse un negoziato diretto con Mosca. 

Particolarmente attivi i governi dell’Est. Varsavia, non accontentandosi della 3a Brigata corazzata inviata in Polonia dall’amministrazione Obama, chiede ora a Washington, per bocca dell’autorevole Kaczynski, di essere coperta dall’«ombrello nucleare» Usa, ossia di avere sul proprio suolo armi nucleari statunitensi puntate sulla Russia. 

Kiev ha rilanciato l’offensiva nel Donbass contro i russi di Ucraina, sia attraverso pesanti bombardamenti, sia attraverso l’assassinio sistematico di capi della resistenza in attentati dietro cui vi sono anche servizi segreti occidentali. Contemporaneamente, il presidente Poroshenko ha annunciato un referendum per l’adesione dell’Ucraina alla Nato. 

A dargli man forte è andato il premier greco Alexis Tsipras che, in visita ufficiale a Kiev l’8-9 febbraio, ha espresso al presidente Poroshenko «il fermo appoggio della Grecia alla sovranità, integrità territoriale e indipendenza dell’Ucraina» e, di conseguenza, il non-riconoscimento di quella che Kiev definisce «l’illegale annessione russa della Crimea». L’incontro, ha dichiarato Tsipras, gettando le basi per «anni di stretta cooperazione tra Grecia e Ucraina», contribuirà a «conseguire la pace nella regione».
 
(il manifesto, 21 febbraio 2017) 



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Un voto che prepara la guerra

20.02.2017
Giulietto Chiesa

“Nella mia qualità di Presidente sono guidato dalla volontà del mio popolo e indirò un referendum sulla questione dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato”. Con queste parole Poroshenko annunciava, il 9 febbraio scorso, le intenzioni sue e dei suoi burattinai per “chiedere” il cerchio del colpo di stato che lo portò al potere a Kiev nel febbraio 2014.

La citazione testuale, nello strano silenzio di tutti i media occidentali, venne pubblicata dall'importante quotidiano tedesco Frankfurter allgemeine Zeitung. Ed era a corredo della notizia di un recente sondaggio d'opinione, secondo il quale il 54% degli ucraini sarebbe ora favorevole a un immediato ingresso nella Nato. Il condizionale è d'obbligo, ma la cifra potrebbe essere credibile se si tiene conto del martellamento propagandistico cui gli ucraini sono stati sottoposti negli ultimi tre anni da tutti i media del regime (cioè da tutti i media).
Il contenuto di un tale martellamento non è stato diverso, in sostanza, da quello subito dalle opinioni pubbliche di tutti i paesi occidentali, e i suoi contenuti sono noti: la causa di tutti i mali dell'Ucraina, remoti, passati, presenti, è la Russia (inclusa l'Unione Sovietica); la Russia ha aggredito l'Ucraina e l'ha invasa; la Russia ha "annesso" con la forza la Crimea; la Russia ha preso il Donbass etc.
Se si tiene conto che l'ultimo sondaggio prima del colpo di stato a Kiev del 22 febbraio 2014, aveva detto che i favorevoli a un ingresso dell'Ucraina nella Nato erano soltanto il 16%, si può misurare l'efficacia di un tale martellamento. Del resto identico a quello cui sono stati sottoposti i cittadini di Estonia, Lettonia, Lituania, già membri della Nato e convinti in maggioranza di una cosa del tutto assurda e priva di elementi di supporto, secondo cui la Russia di Putin sarebbe in procinto di invaderli.
Ma il punto non è questo. Il punto è che il governo fantoccio di Kiev ha già ri-avviato la guerra contro le due repubbliche di Donetsk e di Lugansk, in plateale violazione degli accordi di Minsk 1 e 2, bombardando i centri abitati, moltiplicando gli attentati terroristici. Ultimi in ordine di tempo l'assassinio di Mikhail Tolstykh (Givi)comandante del Battaglione Somalia dell'esercito della DNR, quello del capo di Stato Maggiore dell'esercito popolare di Lugansk, colonnello Oleg Anashenko, e quello del colonnello Arsen Pavlov, delle forze armate del Donetsk, dello scorso 16 ottobre. A queste provocazioni terroristiche si aggiungono quelle, anch'esso sanguinose, sventate dai servizi russi, contro la Crimea.
Il proposito è chiaro ed è perfino pubblicamente e ripetutamente proclamato. Come ha detto recentemente il ministro di Kiev per le "regioni temporaneamente occupate", Jurij Grymciak, "noi riteniamo che nel prossimo futuro, un anno e mezzo all'incirca, noi ci riprenderemo i territori (del Donbass e della Crimea, ndr) quando il loro mantenimento si rivelerà troppo costoso per la Federazione Russa".
Sbalordisce il silenzio dell'Europa di fronte a queste dichiarazioni, che rivelano le intenzioni di Kiev di non rispettare, né ora né mai, gli accordi siglati a Minsk, che prevedono un negoziato preliminare con le Repubbliche che si sono proclamate indipendenti, e che escludono la legittimità di una ripresa delle azioni belliche nei loro confronti. Un silenzio che non solo protegge l'aggressione, ma che indica la totale irresponsabilità verso le conseguenze. E' evidente infatti che l'isteria artificialmente creata nei confronti della Russia, sommata a un voto di adesione alla Nato, creerebbe una miscela esplosiva non disinnescabile. Una offensiva ben preparata (e tacitamente approvata dalla Nato) contro la DNR e la LNR metterebbe la Russia nella situazione di dover decidere se lasciare massacrare i russi delle due repubbliche, oppure se reagire. Per non parlare della Crimea che, in quanto parte integrante della Federazione Russa, è impensabile possa essere abbandonata a un destino di tragedia.
A quel punto ogni azione del Cremlino, diversa dallo scenario preparato da Kiev e dagli europei occidentali verrebbe qualificata come "aggressione". Ma non più soltanto come aggressione della Russia contro l'Ucraina (fake news ripetute anche dai nostri media italiani) come, bensì come aggressione della Russia contro la Nato. La "logica" di questa concatenazione di eventi dovrebbe balzare agli occhi a qualunque persona responsabile. Fidarsi dei nazisti di Kiev e dei generali Stranamore che guidano la Nato è cosa insensata. Fidarsi della CIA, che ha organizzato il colpo di stato nazista a Kiev e che sta organizzando l'impeachment contro Trump (il quale a sua volta, ha idee assai confuse sulla gestione di questa crisi, tant'è vero che ha fatto dichiarare al suo portavoce l'augurio che la Russia restituisca la Crimea ai nazisti), significa far precipitare la situazione. Come dice il già citato Grymciak, i tempi sono brevi: un anno e mezzo-due.
Infatti Petro Poroshenko, proprio il 9 febbraio, annuncava l'inizio di una esercitazione militare senza precedenti in territorio ucraino, con la partecipazione di ingenti forze della Nato, segnatamente di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Canada. Decine di convogli militari, e di treni speciali sono in movimento in tutta l'Europa centrale: direzione Ucraina. Solo un cieco potrebbe non connettere i punti di questo disegno. L'America di Trump non mostra segni di rinsavimento rispetto a quella di Obama-Clinton. L'Unione Europea tiene bordone. C'è solo una cosa da fare: impedire l'ingresso dell'Ucraina nazista nella Nato. Sappiamo che il governo italiano non muoverà un dito in questa direzione. È dunque un compito del popolo e dei suoi rappresentanti ancora non avvelenati dalla manipolazione dei dementi che spingono verso la guerra. Gli ucraini possono votare quello che vogliono, assumendosene collettivamente la responsabilità. Ma l'Italia ha un voto dirimente per decidere se questa Ucraina può o non può entrare nella Nato. Occorre fare tutto il possibile per costringere il governo a opporre il proprio diniego. Non si tratta qui di uscire dalla Nato, si tratta di impedire che la Nato ci trascini in una guerra insensata e mostruosa, dove molti di noi moriranno. Poiché è di questo che stiamo parlando.


=== 3 ===


A sinistra dirimente è la guerra

il manifesto, 19 febbraio 2017

di Tommaso Di Francesco
La Nato incrollabile. Il vice-presidente Usa Mike Pence in Europa a rassicurare sul rifondato Patto atlantico. Come dimenticare che la guerra è entrata nel dna della sinistra che si è fatta governo?
«Tu puoi anche non mostrare alcun interesse per la guerra, ma prima o poi la guerra si interesserà sicuramente a te»: non sappiamo a chi attribuire questa massima ma certamente ha una attualità sconcertante. Parliamo del silenzio assordante e sempre più affluente sulla condizione della crisi mondiale che attraverso la guerra mostra il suo vero volto, internazionale quanto domestico.
Accade sotto i nostri occhi che, al di là degli annunci ondivaghi, teatrali quanto sprezzanti, alla fine la scelta del nuovo presidente di destra degli Stati uniti d’America Donald Trump sia quella di considerare l’Alleanza atlantica come baluardo «incrollabile».
Lo ha trasmesso ieri il vice-presidente Usa Mike Pence in visita in Europa dove è venuto a rassicurare sulla condivisione del rifondato Patto atlantico. Quello che ha inglobato tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia portandoli da decenni in tutte le guerre devastanti che l’Occidente ha consumato non solo in Medio Oriente e che si allarga a est sulla frontiera russa con truppe, sistemi d’arma, scudo antimissile che monta testate nucleari.
E prima lo aveva affermato due giorni fa il nuovo capo del Pentagono Jim Mattis, non solo ribadendo «amicizia incrollabile» ma chiedendo – bene accolto dagli alleati – un aumento della spesa per la difesa, del 2% del Pil, ai Paesi europei dell’Alleanza atlantica.
Così l’Italia che è «solo» all’1,1% del Pil in speseper la difesa, per un equivalente di 55 milioni di euro al giorno, potrà serenamente arrivare a circa 100 milioni di euro al giorno. Perché l’Unione europea, dalla Merkel alla Mogherini rispondono che sì, «la Nato va rafforzata» e certo anche «l’Ue e l’Onu». La Nato che resta istituzionalmente sotto comando militare dello Stato maggiore americano. Mentre Mike Pence l’Ue nemmeno la nomina.
Allora, vista la crisi drammatica dell’Unione europea che non a caso ha perso con la Brexit la sua fetta atlantica, forse è meglio riflettere. Perché al punto in cui siamo appare evidente che più atlantismo vuol dire solo meno europeismo. Infatti è la Nato che resta «incrollabile», che aumenta il suo bilancio, che si allarga a est, che riempie di basi il Vecchio continente, che si allunga a Sud. Mentre è in forse l’esistenza dell’Unione europea. Sullo sfondo c’è certo la crisi ucraina. Ma come dimenticare che nel 2013 sarebbe stata possibile una diversa soluzione di quella crisi, prima economica e poi politica, se su piazza Majdan fosse arrivata la Commissione di Bruxelles a trattare le condizioni della crisi economica simile a quella greca. Invece arrivarono il capo della Cia John Brennan, il vice presidente democratico Joe Biden e il repubblicano anti-trumpista McCain, a fare comizi e ad arringare folle per buona parte guidate dall’estrema destra xenofoba ucraina. Aprendo un precipizio, dall’impunita strage di Odessa, all’annesione russa della Crimea, alla guerra civile in Donbass. Un precipizio su cui la Nato ha soffiato e soffia con passione. A Est e a Sud. Come in Libia dove, alla fine del memorandum trattato con l’Italia, di fronte alle divisioni del paese e alla rottura con il generale Haftar, il «nostro» premier Sarraj, che non controlla neanche Tripoli, richiama in soccorso proprio la Nato. Lo stesso organismo militare che ha distrutto con i raid aerei il Paese nel marzo 2011.
La guerra è distruzione di vite umane e risorse, è seminagione di odio, è dominio-imperio degli spazi economici e finanziari con la violenza militare; è attivazione della asimmetrica (e strumentale) spirale terroristica. La fuga disperata di milioni di esseri umani che chiamiamo migranti è epocale perché corrisponde all’epoca delle guerre occidentali in Medio Oriente, che hanno distrutto tre stati, l’Iraq, la Libia e la Siria, fondamentali per gli equilibri mondiali; ed è epocale perché corrisponde alla rapina epocale, da parte delle multinazionali, delle ricchezze dell’immensa Africa dell’interno. Ora di fronte a chi fugge dalle guerre e dalla «miseria da rapina» l’Europa, nonostante le evidenti responsabilità, erige muri e militarizza i propri confini. Fino alla soluzione del blocco navale militare e alla pratica di esternalizzare l’accoglienza dei profughi a Paesi esperti in tortura e campi di concentramento. Ecco la nuova governance: la guerra e gli universi concentrazionari.
Nelle stanze domestiche, solo pochi giorni fa in Italia si è consumato un vero e proprio «golpe» da parte del governo Gentiloni (fotocopia di Renzi) che ha approvato un disegno di legge per implementare il «Libro Bianco per la sicurezza internazionale». Di fatto si istituzionalizza la guerra con l’assegnare alle Forze armate missioni che stravolgono la Costituzione: gli «interessi vitali» del Paese (invece della patria, come da art.52 della Costituzione); il contributo alla difesa collettiva della Nato e al mantenimento della stabilità nelle aree incidenti sul Mare Mediterraneo; la gestione delle crisi al di fuori delle aree di prioritario intervento; e, dulcis in fundo, si affida alle Forze armate sul piano interno «la salvaguardia delle libere istituzioni…con compiti specifici in casi di straordinaria necessità e urgenza». Non si tratta di spalare la neve. Siamo alla istituzionalizzazione della «guerra umanitaria» che dai Balcani, all’Afghanistan – dove le truppe italiane sono nel contingente Nato in una inutile quanto sanguinosa guerra da 16 anni – fino all’Iraq e alla Libia non solo non hanno risolto le crisi internazionali ma le hanno aggravate.
Come dimenticare che la guerra sia entrata negli ultimi 25 anni prepotentemente nel dna della sinistra che si è fatta governo? Fino a diventare bipartisan? E come sorprendersi se una nuova destra nazional-populista cresca sui disastri sociali che la guerra e lo sfruttamento di risorse e ambiente hanno prodotto?
A sinistra dirimente è la guerra. È l’assunzione della parola d’ordine della pace costituente. Il rifiuto della guerra e la difesa dell’articolo 11 della costituzione non vanno in appendice alla consapevolezza individuale e collettiva, ma al primo posto. Non c’è alternativa se non si mobilita una nuova umanità contro lo stato di guerra delle cose presenti.
il manifesto, 19 febbraio 2017

=== 4 ===


La NATO in marcia verso Est

17 Febbraio 2017
Corrispondenza dalla Lituania di Julius Anulis per la “Pravda” | da kprf.ru
Traduzione dal russo di Mauro Gemma

La creazione di quattro battaglioni multinazionali in Lituania, Lettonia, Estonia e Polonia sono già stati pianificati per il 2017. La Germania assumerà il comando del battaglione della NATO in Lituania, gli Stati Uniti saranno al comando in Polonia, i britannici in Estonia e i canadesi in Lettonia.

La Lituania ha dato ufficialmente il benvenuto al primo battaglione militare internazionale della base avanzata della NATO. Alla cerimonia nella città di Rukla (distretto di Jonava) il presidente lituano, la bellicosa Grybauskaité ha evidenziato che i reparti internazionali opereranno come forza di deterrenza.

La dislocazione dei soldati della Bundeswehr sul territorio della Lituania, secondo la leadership locale, è un segnale di fiducia verso la Germania. Ma il parere della gente non importa a nessuno. E non c'è stato un referendum sulla presenza delle truppe straniere nel paese. E' in atto un'evidente violazione della Costituzione. E' ciò che ricordano le forze progressiste della sinistra nelle manifestazioni e nelle azioni di protesta.

Nella cittadina di Rukla sono già state rinnovate le caserme, i dormitori e le aree attrezzate in cui si suppone saranno collocati i container delle forze della NATO e le attrezzature militari. In seguito si prevede di trasformare tutto ciò in una moderna cittadella militare, eretta non lontano dalla capitale Vilnius.

Dal febbraio 2017 è iniziato il dispiegamento principale delle truppe straniere. E' previsto che tutte le unità del battaglione delle forze avanzate della NATO arriveranno in Lituania, in piena capacità operativa, entro la metà di giugno. Il battaglione potrà così prendere immediatamente parte all'esercitazione “Spada di ferro”.

Nel 2017-2018 nel battaglione serviranno militari di Germania, Norvegia, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Croazia e Francia. La Germania, al comando del battaglione, partecipa con circa 600 soldati, mentre gli altri paesi ne forniranno tra 200 e 250. Ma in tutto, in Lituania, dovrebbero essere dislocati 1.200 uomini e la NATO si è detta disponibile ad aumentare il contingente delle sue forze avanzate.

I militari portano con loro un equipaggiamento militare pesante: 13 carri armati Leopard-2, 38 veicoli per la fanteria, artiglieria, forze di difesa aerea a corto raggio, blindati CV90, Boxer, Fennek, ecc.

La Lituania fornirà supporto al battaglione della NATO. Il ministero della Difesa del paese spenderà solo nel 2017 8 milioni di euro per il mantenimento e la formazione del contingente militare straniero.

Nel 2018 la spesa per la difesa della Lituania raggiungerà il 2% del PIL, vale a dire circa 1 miliardo di euro. I leader dei partiti politici parlamentari si sono accordati di aumentare fino al 2,5% del PIL, entro il 2020, le spese per la difesa. E perché no, anche per la guerra? Nell'agosto dello scorso anno è stato firmato con la Germania un accordo per l'acquisto di BMP Boxer per un ammontare di 386 milioni di euro: è il più grande contratto nell'intera storia dell'esercito lituano. Le forze armate lituane acquistano anche obici tedeschi semoventi, autocarri, e i soldati da molti anni utilizzano fucili automatici G-36.

I propagandisti della NATO sono convinti che le unità militari dell'alleanza sul fianco est saranno in grado di “evitare il conflitto, frenando il potenziale aggressore”. Ma la Russia ha ripetutamente dichiarato di non avere alcuna ambizione territoriale nella regione del Mar Baltico, e che sono le forze dell'Alleanza a costituire una minaccia alla sicurezza della Russia.

“Siate vigili!”, esclamò negli ultimi istanti della sua vita l'antifascista ceco Julius Fučík. Non è meno vero anche nei nostri giorni quando l'occupazione strisciante sta inghiottendo i paesi dell'Europa orientale.


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Altro che obsoleta, la Nato con Mattis 
si allarga a sud con un «Hub» di guerra 

Manlio Dinucci
  

Alla riunione del Consiglio Nord Atlantico, apertasi ieri a Bruxelles, la ministra Pinotti e gli altri ministri europei della Difesa hanno tirato un sospiro di sollievo: la Nato non è «obsoleta», come aveva detto il presidente Trump. Nella sua prima dichiarazione ufficiale ieri a Bruxelles, il nuovo segretario statunitense alla Difesa, Jim Mattis, ha assicurato che la Nato resta «la base fondamentale per gli Stati uniti». 

È «l’alleanza militare che nella storia ha avuto il maggior successo», ha detto ai giornalisti mentre era in volo per Bruxelles, portando come prova dell’impegno statunitense nella Alleanza il fatto che l’unico comando Nato con quartier generale negli Stati uniti è quello del Comandante supremo alleato per la trasformazione (Sact), carica già ricoperta dallo stesso Mattis. Il Sact, responsabile del Comitato militare (la più alta autorità militare della Nato), «promuove e controlla la continua trasformazione delle forze e capacità della Alleanza». 

Negli ultimi 20 anni, ha sottolineato Mattis, la Nato si è trasformata (ha infatti inglobato tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre della ex Urss e tre della ex Jugoslavia), ma «deve continuare a trasformarsi per adattarsi a ciò che è avvenuto nel 2014, anno di svolta in cui le nostre speranze di una qualche partnership con la Russia si sono dimostrate infruttuose». Occorre per questo  «essere certi che il legame transatlantico resti forte». 

A riprova di ciò, il segretario generale della Nato Stoltenberg, nella sua dichiarazione congiunta con il segretario Mattis, ha confermato ieri che «truppe ed equipaggiamenti Usa stanno arrivando in Polonia e nei paesi baltici, dimostrando chiaramente la determinazione degli Stati uniti di stare a fianco dell’Europa in questi tempi travagliati».

Sotto comando degli Stati uniti (cui spetta la carica del Comandante supremo alleato in Europa), la Nato continua continua ad allargarsi ad Est, a rafforzare lo schieramento sul fronte orientale in funzione anti-Russia, nonostante le dichiarate intenzioni del presidente Trump di aprire un negoziato con Mosca. 

Allo stesso tempo, la Nato potenzia il fronte meridionale con nuovi dispositivi militari. «Oggi decideremo di costituire un nuovo Hub per il Sud presso il nostro Comando della forza congiunta a Napoli», ha annunciato Stoltenberg, sottolineando che «questo ci permetterà di valutare e affrontare le minacce provenienti dalla regione, a complemento del lavoro svolto dalla nostra nuova Divisione di intelligence costituita qui al quartier generale Nato».

Con grande soddisfazione della ministra  Pinotti, aumenta l’importanza dell’Italia in quella che Stoltenberg, aprendo il Consiglio Nord Atlantico, ha definito «proiezione di stabilità oltre i nostri confini». Il nuovo «Hub per il Sud», che verrà realizzato a Napoli, costituirà la base operativa per la proiezione di forze terrestri, aeree e navali in una «regione» dai contorni indefiniti, comprendente Nordafrica e Medioriente ma anche aree al di là di queste. È disponibile per tali operazioni la «Forza di risposta» della Nato, aumentata a 40mila uomini, in particolare la sua  «Forza di punta ad altissima prontezza operativa», che può essere proiettata in 48 ore «ovunque in qualsiasi momento». 

Il nuovo «Hub per il Sud», realizzato presso il Comando della forza congiunta alleata con quartier generale a Lago Patria (Napoli), sarà agli ordini dell’agguerrita ammiraglia statunitense Michelle Howard che, oltre ad essere a capo del Comando Nato, è comandante delle Forze navali Usa per l’Europa e delle Forze navali Usa per l’Africa. Quindi anche il nuovo «Hub per il Sud» rientrerà nella catena di comando del Pentagono.

Tutto questo costa. Mattis ha ribadito la richiesta perentoria che tutti gli alleati europei portino la spesa per la «difesa» ad almeno il 2% del Pil. Solo cinque paesi Nato hanno raggiunto o superato tale livello: Stati uniti (3,6%), Grecia, Gran Bretagna, Estonia, Polonia. 

L’Italia è indietro con «appena» l’1,1% del Pil, ma sta facendo progressi: secondo i dati ufficiali Nato, la spesa italiana per la «difesa» è aumentata nel 2015-2016 da 17.642 a 19.980 milioni di euro, equivalenti in media a 55 milioni di euro al giorno. La spesa militare effettiva è molto più alta, dato che il bilancio della «difesa» non comprende le missioni militari all’estero, finanziate con un fondo specifico presso il Ministero dell’economia e delle finanze, né il costo di importanti armamenti finanziati anche dalla Legge di stabilità. 

Stoltenberg, felice, annuncia che finalmente la Nato «ha voltato pagina», accrescendo la spesa militare nel 2015-2016 del 3,8% in termini reali, ossia di circa 10 miliardi di dollari. La ministra Pinotti è fiduciosa che l’Italia arriverà al 2%, ossia a spendere 100 milioni di euro al giorno per la «difesa». 

Aumenterà la disoccupazione, ma avremo la soddisfazione di avere a Napoli il nuovo «Hub per il Sud».
 
(il manifesto, 16 febbraio 2017)


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http://contropiano.org/news/politica-news/2017/02/15/missioni-militari-15-miliardi-mostrare-muscoli-giro-mondo-088947

Missioni militari. 1,5 miliardi per mostrare i muscoli in giro per il mondo


di Alessandro Avvisato, 15 febbraio 2017

Nel 2017 il contingente italiano di militari in Iraq sarà secondo solo a quello statunitense. A deciderlo è stato il governo Gentiloni, che ha deciso di aumentarlo fino a 1.497 militari, nell’ambito della “Coalizione dei volenterosi” per la lotta contro l'Isis. I militari italiani avranno anche compiti di ‘force protection’ nell’area di Mosul, in particolare per quanto riguarda la diga, appaltata alla societa’ Trevi. Lo stanziamento previsto per il 2017 e’ di 300,7 milioni. Il contingente militare in Iraq supera quello ancora operativo in Afghanistan.

Ma non c'è solo l'Iraq, c'è anche la Libia dove è stata avviata l'operazione ‘Ippocrate’, intorno all’ospedale da campo di Misurata. Oltre al personale sanitario, ci saranno infatti dei militari con compiti di ‘Force protection’. In tutto saranno impiegati fino a 300 uomini e lo stanziamento per il 2017 e’ di 43,6 milioni. Per fronteggiare l’immigrazione clandestina e assistere la Guardia costiera libica, lo stanziamento e’ di ulteriori 3,6 milioni. Per proteggere il traffico mercantile e le piattaforme petrolifere antistanti la costa libica (operazione Mare sicuro), lo stanziamento e’ di 84 milioni con 700 uomini. Per l’operazione Sophia-Eunavformed contro gli scafisti nel Mediterraneo lo stanziamento è di 43,1 milioni per 585 uomini.

In questo modo le spese complessive dell'Italia per le missioni militari all’estero nel 2017, saliranno a 1,13 miliardi, ai quali vanno aggiunti 295 milioni per la cooperazione che affianca i militari nei teatri di guerra. Gli uomini impiegati nelle missioni militari all'estero saranno 7.459 militari e 167 agenti delle forze di polizia. 

Occorre poi tenere conto che il prossimo anno altri 140 militari partiranno per la Lettonia nell'ambito dello stanziamento di un contingente della Nato. Verrà inoltre rafforzata anche la presenza in altre operazioni in Europa, delle quali quella più numerosa vede impegnati 550 soldati italiani in Kosovo.

Enrico Piovesana, su Il Fatto del 30 gennaio, sottolinea anche il triplicare dello stanziamento (da 5 a 15 milioni) per le operazioni d’intelligence a supporto delle missioni condotte dagli agenti operativi dell’Agenzia di informazione e sicurezza esterna (Aise), attivi soprattutto in Libia, Iraq e Afghanistan. L’incremento è legato alla novità (introdotta un anno fa da Renzi) dell’impiego di assetti militari (forze speciali) a supporto delle operazioni d’intelligence per operazioni segrete.

Secondo l'Osservatorio sulle Spese Militari italiane, nel 2017 verranno spesi 1,28 miliardi di euro contro gli 1,19 miliardi del 2016. Soldi destinati a finanziare l’impiego di 7.600 uomini, 1.300 mezzi terrestri, 54 mezzi aerei e 13 navali in decine di missioni attive in 22 Paesi, nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Indiano. 

Da troppo tempo su tutto questo si assiste ad un assordante silenzio, sia in Parlamento che fuori. Sarà il caso che le realtà antimilitariste, antimperialiste, tornino a battere un colpo contro le missioni militari? E non è solo una questione di spese, sono la natura e gli obiettivi di queste missioni che dovrebbero inquietare. Soprattutto quando diventano la proiezione della politica dei fatti compiuti dai quali è sembra rognoso recedere.



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Seminario Internazionale contro le basi militari straniere (4-6 maggio 2017)

17 Febbraio 2017

L'invito del Consiglio Mondiale della Pace (CMP)

da cebrapaz.org.br – Traduzione di Marx21.it

Il Consiglio Mondiale della Pace (CMP) ha lanciato un appello alla partecipazione al V Seminario Internazionale della Pace e per l'Abolizione delle Basi Militari Straniere, che si svolgerà a Guantanamo, Cuba, tra il 4 e il 6 maggio 2017. Oltre che dal CMP, l'importante evento è organizzato dal Movimento Cubano per la Pace e la Sovranità dei Popoli (MovPaz) e dall'Istituto Cubano di Amicizia con i Popoli. Tra i promotori vanno segnalati l'Organizzazione della Solidarietà ai Popoli di Asia, Africa e America Latina (OSPAAL), il Centro Martin Luther King Jr. e il Centro di Riflessione Oscar Arnulfo Romero. Anche tutte le entità antimperialiste che fanno parte del CMP promuovono la campagna globale contro le basi “avamposti dell'imperialismo” I contatti per le informazioni riguardanti la partecipazione all'evento sono indicati nel comunicato di MovPaz in cebrapaz.org.br.

Invito alla partecipazione al Seminario Internazionale per la Pace e contro le Basi Militari Straniere, a Guantanamo

All'inizio di quest'anno, sulla base dei nostri più recenti incontri e Assemblea, abbiamo nuovamente esaminato le sfide che i popoli di tutto il mondo affrontano nel rafforzamento della lotta antimperialista per la pace. Tra le sfide che continuano e si intensificano abbiamo messo in evidenza soprattutto la diffusione delle basi straniere al servizio dell'agenda imperialista degli Stati Uniti e delle altre potenze dell'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO).

Per questa ragione il Consiglio Mondiale della Pace (CMP) si unisce al Movimento per la Pace e la Sovranità dei Popoli (MovPaz) nell'invitare tutte le forze di giustizia e di pace, che difendono la sovranità delle nazioni e si oppongono alla logica della minaccia e della guerra imposta dall'imperialismo al pianeta, al V Seminario Internazionale della Pace e per l'Abolizione delle Basi Militari Straniere, tra il 4 e il 6 maggio 2017.

Il luogo in cui si svolgerà il seminario è profondamente simbolico: Guantanamo, Cuba, che ha parte del suo territorio occupata da una base navale degli USA da oltre un secolo. E' la base più antica del mondo, ancora sotto controllo statunitense contro la volontà espressa dal popolo cubano.

Rafforziamo, così, la nostra campagna globale contro le basi militari straniere, chiamando anche a una mobilitazione coordinata in vari paesi e in tutti i continenti, con azioni che esprimano in modo inequivocabile la nostra richiesta di smantellamento di questi avamposti dell'imperialismo, che violano la sovranità dei popoli e cercano di sottometterli in qualsiasi modo.

Ci opponiamo a tutte le forme di manifestazione della minaccia imperialista contro i popoli, di cui le basi militari straniere sono tra le principali. Dall'Africa all'America Latina, dalle Malvine al Giappone, chiediamo finalmente la chiusura delle basi militari imperialiste!

E' per questo che, ancora una volta, abbiamo invitato attivisti e organizzazioni della pace a mobilitarsi e a partecipare al V Seminario Internazionale della Pace e per l'Abolizione delle Basi Militari Straniere, denunciando queste postazioni imperialiste. Troviamoci a Guantanamo!

Socorro Gomes
Presidenta del Consiglio Mondiale della Pace