PER ANDREA ROCCHELLI E ANDREJ MIRONOV, TRE ANNI DOPO

1) Il fotoreporter morto in Ucraina. «È stato ucciso in un agguato»(C. Giuzzi / CdS, 6/5/2017)
2) Parlano per la prima volta i genitori del fotografo morto nel 2014 a Sloviansk (L. Sgueglia / L'Espresso, 10/10/2016)
3) Perché Kiev non dice la verità sulla morte di Andy Rocchelli? (M. Allevato / Il Foglio, 23/5/2015)


--- SUL DUPLICE OMICIDIO SEGNALIAMO ANCHE:

Professione reporter: ricordando Andy Rocchelli  (Radio3 Mondo, 01/05/2017)
Puntata speciale dedicata ad Andy Rocchelli, il giovane fotoreporter italiano ucciso insieme al suo interprete Andrei Mironov, durante la realizzazione di un reportage sulla guerra in Donbass, il 24 maggio di 3 anni fa... il documentario di Elisabetta Ranieri riproporrà gli audio ritrovati tra gli effetti personali del fotografo e restituiti alla famiglia, interviste realizzate durante i giorni chiave della proclamazione della Repubblica indipendente di Donetsk con la popolazione stremata nascosta nei bunker. Sarà un modo per ricordare il sacrificio di Andrea Rocchelli attraverso queste voci e attraverso le testimonianze di chi l’ha conosciuto, la sua famiglia, i suoi colleghi del collettivo di fotoreporter Cesura, gli organizzatori del Festival dei diritti umani di Milano che ricorderanno proprio in questi giorni questa triste vicenda che non vede ancora una colpevole. A Milano saranno anche in mostra gli ultimi scatti di Andy. Sarà il contributo di Radio3mondo, in questo 1 maggio, alla difesa di una professione, quella del giornalista, sempre più sotto attacco.
AUDIO: http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-1f3e7afd-b9a7-4995-90b5-8a4e5078fce4.html

--- ALTRE BREVI E LINK SULLA VIOLAZIONE DELLA LIBERTA' DI STAMPA IN UCRAINA:

Ucraina, torturato e ucciso il giornalista filorusso rapito (di Redazione Online CdS, 14 luglio 2014)
http://www.corriere.it/esteri/14_luglio_14/ucraina-torturato-ucciso-giornalista-filorusso-rapito-6da5fd04-0b36-11e4-9c81-35b5f1c1d8ab.shtml
L’uomo era sparito quasi un mese fa mentre raccoglieva informazioni sulle violazioni dei diritti umani delle forze ucraine
Serghei Dolgov, un giornalista di Mariupol (Ucraina orientale) sequestrato il 18 giugno scorso, è stato trovato morto vicino a Dnipropetrovsk (Ucraina centrale): lo ha reso noto su Facebook Konstatin Dolgov, co-presidente dell’organizzazione separatista filorussa Fronte popolare Novorossia, secondo il quale dopo il rapimenti il suo omonimo sarebbe stato portato a Dnipopetrovsk e torturato. La vittima era il direttore del giornale «Khaciu´ v Sssr» («Voglio tornare all’Urss») e raccoglieva informazioni sulle violazioni dei diritti umani delle forze ucraine nel conflitto nell’est del Paese.

Deputata PD sostiene chi uccide i giornalisti (fonte: pagina FB "Con l'Ucraina antifascista", 22/1/2015)
https://www.facebook.com/ucrainaantifascista/photos/a.588029701278288.1073741828.587994241281834/763652713715985/ 
La deputata PD Eleonora Cimbro racconta su FB [
]  dell'incontro con l'ambasciatore ucraino Perelygin, ovvero colui che lo scorso giugno a Catania gridava "viva Bandera!" - il nazionalfascista ucraino, collaborazionista dei nazisti, che durante la seconda guerra mondiale fece stragi di civili nell'Ucraina occidentale. Ci si sarebbe aspettata una discussione a proposito della repressione dell'opposizione, della violenta censura contro la stampa o dello stato delle indagini sull'assassinio del giornalista italiano Andrea Rocchelli - ucciso dall'esercito ucraino. Niente di tutto ciò. Alla Cimbro è parso più interessante discutere della situazione di tale Savchenko, militare ucraina di estrema destra, combattente nelle file del battaglione di volontari Ajdar, arrestata e reclusa in Russia in quanto sospettata di aver ucciso due giornalisti russi. E' spontaneo chiedere: per chi lavorano certi parlamentari?
*** A proposito di Perelygin: 
Catania. Contestato l'ambasciatore ucraino che inneggia al nazista Bandera (Redazione Contropiano, 20 Giugno 2014)

Giornalista “France-Presse” ferito in bombardamento esercito ucraino a Donetsk (14.06.2015)
Alexander Gayuk, giornalista dell'agenzia stampa “France-Presse”, residente nel quartiere Kuibyshevsky di Donetsk, è stato colpito alla gamba al momento di un bombardamento, ha riferito il capo della amministrazione del distretto cittadino Ivan Prikhodko...

Vi racconto la storia del mio arresto in Ucraina (di Franco Fracassi, 26 giugno 2015)
Arrestato a Kiev appena sbarcato con l’accusa di essere «nemico del popolo ucraino». Il mio reato? Aver fatto il mio lavoro di giornalista. E dopo l’arresto, la scoperta di far parte della lista nera degli squadroni della morte...

Ucraina, espulsa giornalista russa e il Cremlino replica: "Inaccettabile" (Andrea Riva - Gio, 02/07/2015)
Alexandra Tcherepnina, della tv russa Pervy Kanal, ha realizzato un documentario per provare la presenza nazista in Ucraina ed è stata accusata di "attività distruttive" dal governo di Kiev...
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ucraina-espulsa-giornalista-russa-e-cremlino-replica-inaccet-1147637.html

The revealing case of Ukrainian journalist Igor Guzhva. Editor-in-chief of largest daily to be silenced (By Sergei Kiritchuk, 17/08/2015)
Igor Guzhva is one of the most profiled journalists of Ukraine. He has been daring, however, not to follow the political narrative of the government and Ukrainian nationalism at large. Therefore the authorities have been prosecuting him and seem to take the final step in silencing one of the few remaining dissenting voices.
http://www.antiimperialista.org/igor_guzhva

#JesuisBBC: Poroshenko bans western journalists from Ukraine (RT, 17 Sep, 2015)
... President Poroshenko has distracted the Western media from its important role as a cheerleader for his government. Banning BBC journalists was a big mistake for the chocolate king...

Savchenko: Kiev e Washington comandano a Mosca la sua scarcerazione (di Fabrizio Poggi, 23 marzo 2016)
La procura aveva chiesto 23 anni di colonia per Nadežda Savchenko, riconosciuta colpevole di concorso in omicidio per la morte dei giornalisti russi Igor Korneljuk e Anton Vološin e tentato omicidio di civili di Lugansk e, alla fine, il tribunale l’ha condannata a 22 anni di colonia a regime ordinario...
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/03/23/savchenko-kiev-washington-comandano-mosca-la-sua-scarcerazione-076993

L’Ucraina diventa “antidemocratica” solo ora che attacca i giornalisti occidentali (di Eugenio Cipolla. 3.6.2016)
... il 7 maggio il sito web ucraino Mirotvorest (traduzione di Peacemaker), gestito da hacker anonimi filogovernativi, ha pubblicato una lista dei 4.000 giornalisti (con numeri di telefono, mail e indirizzi di casa) che almeno una volta, in questi ultimi due anni, sono stati accreditati in Donbass, per seguire gli sviluppi di un conflitto che, nel bene e nel male, ha influenzato gli equilibri politici mondiali. La pubblicazione aveva un titolo incontrovertibile: ”Canaglie”. Dentro ci sono i nomi di tutti. Reuters, Bbc, Sky news, ma anche Repubblica (Nicola Lombardozzi) e Corriere della Sera (Fabrizio Dragosei). E forse è proprio per questo che il quotidiano di Via Solferino si è improvvisamente svegliato...

Ucraina cuore nero dell’Europa. Arrestata giornalista antifascista (di Patrizia Buffa, 17 agosto 2016)
L’arresto di Miroslava Berdnik, avvenuto a Kiev, nella mattina del 16 agosto 2016, ancora una volta restituisce, con brutale realismo, il senso, la drammaticità e le dimensioni della violenza che il regime fascista di Kiev sta consumando alle porte dell’Europa...


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Il fotoreporter morto in Ucraina. «È stato ucciso in un agguato»

Dopo quasi tre anni svolta nelle indagini sull’italiano Andrea Rocchelli: «Andy», fondatore e membro del collettivo di fotografi indipendenti «Cesura», è stato ucciso ad Andreyevka, vicino alla città ucraina di Sloviansk, il 24 maggio 2014

di Cesare Giuzzi, 6 maggio 2017

Andy non è morto per errore. Non è stato un «danno collaterale» della guerra del Donbass e dei ribelli filorussi. No, quello di Andrea Rocchelli, fotoreporter del collettivo indipendente Cesura, è stato un omicidio volontario. Un bombardamento ripetuto con 40-60 colpi di mortaio e durato più di mezz’ora. Un fuoco «continuato», come scrivono gli investigatori, con le truppe d’artiglieria che prima sparano colpi di mitra contro il taxi dove si trovavano Andy Rocchelli, il suo interprete e giornalista russo, Andrei Mironov e l’inviato francese William Roguelon. Poi si concentrano in modo specifico sulla «buca» dove hanno trovato riparo il fotografo e l’interprete. Fino ad avere la certezza di averli uccisi. 
Dopo tre anni da quel 24 maggio 2014, arriva la prima vera svolta nelle indagini sulla morte del fotoreporter in Ucraina. Il sostituto procuratore di Pavia Andrea Zanoncelli e l’aggiunto Mario Venditti sono convinti che Rocchelli, nato e cresciuto proprio sulle rive del Ticino, sia stato ucciso volontariamente in un agguato e non in un incidente di guerra. Una tesi che in qualche modo collima con quanto sostenuto dalla famiglia e anche dall’unico sopravvissuto all’attacco (l’autista del taxi non venne mai identificato), il francese Roguelon. Proprio il reporter transalpino è stato interrogato venti giorni fa a Milano dai carabinieri del Ros, guidati dal colonnello Paolo Storoni.

[VIDEO: Ucraina, morto Andy Rocchelli. Il racconto del collega francese (25.5.2014)

Gli inquirenti, dopo uno stallo durato più di due anni, sono riusciti a dare nuova linfa alle indagini sequestrando anche documenti inediti. Finora, nonostante gli appelli della famiglia, le rogatorie con Kiev e Mosca non avevano di fatto portato a nessun passo avanti nell’inchiesta (il fascicolo originariamente era stato aperto a Roma). Le risposte arrivate da Kiev sono state giudicate «non soddisfacenti» anche solo per ricostruire la dinamica della sparatoria. Gli investigatori sono adesso convinti di avere individuato una possibile pista dietro l’agguato e, anche se il riserbo resta massimo, potrebbero aver fatto luce anche sugli uomini che fecero parte del gruppo di fuoco di Andreyevka, vicino alla città ucraina di Sloviansk.

[FOTO: Ucraina, gli scatti di Andy Rocchelli

Tra il nuovo materiale sequestrato anche gli archivi sui quali Rocchelli conservava le fotografie scattate durante le giornate di lavoro, i supporti virtuali icloud con i quali inviava il materiale in Italia, a Pianello Val Tidone nel Piacentino dove ha sede il collettivo Cesura, e anche parte dei file che da quegli hardware erano stati cancellati. Il sospetto, ma al momento su questo non ci sono conferme, è che Rocchelli e il giornalista ed ex dissidente russo Mironov, siano stati ammazzati dal fuoco delle truppe ucraine. L’obiettivo principale sarebbe stato proprio Mironov. Ma anche Rocchelli, che già si era occupato della guerra in Cecenia, era un nome piuttosto noto tra i «war reporter» nell’ex Urss.

[VIDEO: Andy Rocchelli: «Ecco come lavora un reporter oggi» (25.5.2014)

I magistrati italiani stanno per chiedere una nuova rogatoria alle autorità ucraine. A questo si unisce la notizia di un secondo filone di indagini nel Maceratese che riguarda possibili contatti tra un trafficante d’armi ascolano e alcuni russi collegati all’inchiesta sulla morte di Rocchelli. L’indagine è condotta dal Ros di Ancona, ma gli investigatori escludono ogni collegamento tra i due fascicoli. Anche se sarebbero emersi elementi «suggestivi».


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Vedi anche:

Andrea Rocchelli, attivista della verità (10 ottobre 2016)
Andrea è stato ucciso a 30 a colpi di mortaio, la sera del 24 maggio 2014, in Est Ucraina dove si trovava per documentare le sofferenze della popolazione civile. Nel 2015 gli è stato attribuito postumo il World Press Photo  

Gli ultimi scatti di Andrea Rocchelli prima di essere ucciso (di Tiziana Faraoni, 10 ottobre 2016)
Pubblichiamo un documento unico che ci dice molto  su “Andy”: le immagini scattate sono la testimonianza della capacità e della caparbietà dell’uomo e del fotoreporter, mosso da una tenacia militante e da una passione per la sua professione che lo hanno portato a mostrarci perfino i momenti 
che precedono la sua morte
http://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2016/10/06/news/andrea-rocchelli-1.285200

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Diteci perché è stato ucciso Andrea Rocchelli

«L’Ucraina vuole chiudere l’inchiesta. Senza cercare chi ha sparato. E ora l’unica speranza è che il governo italiano faccia vere pressioni su Kiev». Parlano per la prima volta Rino Rocchelli e Elisa Signori, i genitori del fotografo morto nel 2014 a Sloviansk 

di Lucia Sgueglia, 10 ottobre 2016

A oltre due anni dalla morte di Andrea Rocchelli e Andrey Mironov a Sloviansk, sono arrivati i risultati dell’inchiesta ucraina, trasmessi da Kiev al Ministero di Grazia e Giustizia a Roma in risposta alla rogatoria internazionale lanciata nel 2015 dalla Procura competente di Pavia. Elisa Signori e Rino Rocchelli, i genitori di Andrea, in anteprima per “l’Espresso”commentano i contenuti del fascicolo, dicendosi «molto delusi». E lanciano un appello al governo Renzi: «Aiutateci a fare chiarezza, ora serve un intervento politico». Accompagnano l’intervista le ultime foto scattate da Andrea in punto di morte, totalmente inedite. 

Il lancio della rogatoria segue a una lunga fase di silenzio degli ucraini dopo l’accaduto. Le conclusioni vi soddisfano? 
E.S.: «Il dossier, molto corposo, è arrivato dopo ripetuti solleciti dell’ambasciatore italiano a Kiev, Fabrizio Romano, del ministro Gentiloni e della Procura di Pavia. A breve si attende anche l’esito dell’indagine francese. Il risultato per noi è molto insoddisfacente, carente, elusivo. A partire dalle testimonianze: la maggior parte irrilevanti, non pertinenti. Manca il testimone oculare più importante, il fotografo francese William Roguelon sopravvissuto miracolosamente all’attacco. E non è stato interpellato nessun militare, nonostante l’esercito di Kiev avesse una postazione fissa a poca distanza dal luogo della tragedia. Probabilmente c’erano anche postazioni mobili dei ribelli.
R.R.: «Anche la perizia balistica, condotta con un anno e mezzo di ritardo, è inconsistente: conclude che non si può stabilire né la provenienza né il tipo dei proiettili. La deposizione dell’autista, l’altro testimone oculare, contiene omissioni e falsi.

Nel dossier tuttavia per la prima volta l’Ucraina ammette ufficialmente la possibilità che a colpire possa essere stato il proprio esercito. 
E.S.: «Le conclusioni lasciano aperte due ipotesi: si dice che possono essere morti per fuoco dei ribelli separatisti, oppure “per errore” da fuoco militare ucraino. Con questo, senza nemmeno una conclusione univoca, le autorità ucraine dichiarano di chiudere il caso. Non siamo d’accordo, non ci basta. Indica mancanza di volontà di far chiarezza su un caso scomodo, un caso difficile.

Cosa volete da Kiev? 
R.R.: «Vogliamo che vengano svolte indagini serie. E stabilire una responsabilità precisa. Finora il governo ucraino non aveva nemmeno dato una versione ufficiale dei fatti. Nei giorni successivi alla morte di Andrea, i media ucraini avevano diffuso la tesi della responsabilità dei filorussi.

Che ruolo ha l’Italia nella vicenda? Cosa vi aspettate dal governo Renzi?
E.S.: «L’iter della giustizia internazionale ha sortito un risultato assai deludente. La Procura potrà chiedere un supplemento di indagine, ma è un cammino lunghissimo e non sembra che Kiev desideri una collaborazione costruttiva. La giustizia qui ha strumenti spuntati. Per impedire l’insabbiamento della vicenda, ora serve un salto di qualità, un intervento politico dall’Italia.
R.R.: «Serve fare pressione a livello politico-diplomatico, un passo più ufficiale. Il governo italiano non può considerare accettabile questo risultato. Occorre impugnare questa sorta di ambiguità e chiedere che venga fatta luce sulla morte violenta di un cittadino italiano, sulla quale finora non sono state date risposte adeguate. La nostra è una richiesta di aiuto: ora ci sono elementi perché la diplomazia si muova.

Cosa lo ha impedito finora?
E.S.: «C’è stata molta tolleranza del governo italiano nell’attendere oltre due anni una risposta che forse poteva venire prima. A lungo Kiev ha usato l’alibi della guerra in corso. Ma Sloviansk è in pace da molto tempo, il ritardo nella consegna del dossier è poco spiegabile. Roma ha scelto di attendere con fiducia i risultati di un paese che è amico e ha con noi relazioni commerciali».

Avete aderito in via privata alla petizione Regeni. So che non volete paragonare le due storie. Eppure hanno qualcosa in comune: l’età, le insinuazioni che Giulio o Andy se la siano “cercata”…
E.S.: «Siamo pienamente solidali con la famiglia Regeni e la loro necessità di giustizia. Ma i due casi sono diversi: lì il contesto dei servizi segreti, qui politica ed esercito. Di entrambi, è vero, è stato detto che sono giovani sprovveduti, e per parlarne si usa sempre l’espressione “ragazzi”: quasi a conferire un alone di immaturità e inesperienza che spiega ciò che gli è successo. In realtà sono giovani uomini che affrontano situazioni difficili con competenza. Nel caso di Andrea e Andrey, una coppia di giornalisti esperti. Andrea era stato per lavoro in diverse zone calde, anche di guerra. Mironov aveva la nostra età ed era noto per la sua prudenza e conoscenza delle situazioni di crisi. Non se la sono “andati a cercare”.
R.R.: «Certo, la situazione a Sloviansk si è aggravata ed è precipitata proprio in quel momento, in coincidenza con elezioni. Andrey e Andrea sono stati i primi due giornalisti vittime del conflitto in Ucraina. Dopo di loro ne sono stati uccisi altri, di nazionalità russa. Va ricordato tuttavia che ufficialmente per Kiev non c’è mai stata una “guerra civile” nell’Est del paese: ancora oggi viene definita dal governo una “operazione anti-terrorismo”».

Con Regeni l’Italia ha tentato pressioni sull’Egitto, pure paese “amico”. Come mai per Andy non è accaduto? 
R.R.: «L’Ucraina di fatto fa il primo passo solo adesso, dopo due anni. La sua strategia è stata prendere tempo, dilazionare, accettando al contempo formalmente le richieste italiane di collaborazione».

Un caso “ostaggio della geopolitica”? Nel conflitto ucraino Usa, UE e Italia si sono formalmente schierate con Kiev, contro la Russia che appoggiava i separatisti. Proprio pochi giorni fa si è conclusa l’inchiesta internazionale sull’abbattimento del Boeing MH17 a luglio 2014 vicino Donetsk, attribuendo la responsabilità ai russi: un macigno sui rapporti con Mosca.
E.S.: «Ne siamo consapevoli. La morte di Andrea e Andrey si è verificata sulla soglia tra la crisi ucraina e la guerra civile. Proprio quel 24 maggio 2014 è stata una delle giornate di passaggio tra i due momenti, di scivolamento verso un conflitto più duro. In un contesto internazionale molto difficile e complesso: l’Ucraina è ai confini dell’Europa, e il caso risente dei tanti intrecci di realpolitik che si giocano su questo tavolo».

Che valore hanno per voi le foto di Andrea pubblicate qui per la prima volta? Sono importanti ai fini dell’inchiesta?
E.S.: «Per noi sono immagini drammatiche, le ultime scattate da nostro figlio poco prima che venisse ucciso. Importanti almeno per due motivi: da un lato confermano la presenza di un quinto uomo nel gruppo, taciuta nell’inchiesta ucraina, un testimone oculare cruciale che andrebbe rintracciato. Dall’altro, come già emerso dal fotografo francese (che parla di 40-60 colpi diretti soltanto su di loro) e dall’autista, dimostrano un accanimento di chi ha sparato proprio sui giornalisti. Non vittime casuali di un tiro rivolto altrove, un fuoco incrociato tra esercito ucraino e ribelli come si era pensato inizialmente. Ma di un fuoco prolungato, che mira sistematicamente al fondo del fosso dove i cinque si erano rifugiati per sfuggire agli spari. Sulla strada adiacente ci sono ancora evidenti segni di bombardamento, li abbiamo visti noi stessi a maggio scorso quando ci siamo recati a Sloviansk. Forse mortai, o granate».
R.R.: «Le foto misurano bene la durata e costanza dei colpi: almeno 14 minuti fino a quando Andrea viene colpito, e muore, l’ultimo fotogramma. Sicuramente il tiro è durato di più».

Come ve lo spiegate? Ipotizzate che non si sia trattato di un mero incidente di guerra? 
E.S.: «Per noi non è un incidente, è un atto di guerra contro inermi. Andrea ha continuato a scattare fino all’ultimo e ci ha lasciato una documentazione di quello che stava succedendo. Forse aveva capito che stavano per morire. Per colpire in quel profondo fosso fino a uccidere due persone e ferirne una terza, bisogna sceglierlo come obiettivo. Non un tiro casuale che serve a spaventare o cacciare via degli intrusi. In quel momento in mezzo alla piana, “scoperti”, c’erano solo loro».
R.R.: «Certo, forse chi ha sparato li ha scambiati erroneamente per ribelli, o per altri soggetti, non lo escludiamo. Ma avevano avuto abbastanza tempo per studiarli, e capire che erano disarmati, civili: dopo l’arrivo hanno scattato foto indisturbati per almeno 10 minuti, in piena visibilità, soltanto dopo sono partiti gli spari.»

Qualcuno può averli presi di mira volontariamente?
R.R.: «Non erano schierati. Il loro compito principale a Sloviansk non era fotografare la prima linea o obiettivi militari, ma documentare le sofferenze dei civili nell’assedio, come nella celebre foto dei bambini rifugiati nel bunker. Andrea nelle sue telefonate ci raccontava sempre che erano ben accetti da tutti, accolti con tolleranza sia da filo russi che dalle forze ucraine. Non si sentivano in pericolo».

Quale giustizia vi aspettate? 
E.S. - R.R.: «Né noi, né sua sorella Lucia né la sua compagna Mariachiara abbiamo obiettivi di vendetta. Vogliamo però certo sapere com’è andata, conoscere la dinamica dei fatti. Che si faccia luce sul caso con serietà e onestà, senza mistificazioni, e venga fatta giustizia. È chiaro che chi fa questo lavoro si espone al rischio. Ma non deve passare con facilità l’idea che l’uccisione di un giornalista venga considerata un rischio fisiologico del mestiere, la sua morte un “danno collaterale” ,“normale” in situazioni di pericolo, o in una guerra non dichiarata come questa».


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Perché Kiev non dice la verità sulla morte di Andy Rocchelli?

di Marta Allevato | 23 Maggio 2015

Mosca. Ci sono stati premi, riconoscimenti e promesse di indagini da parte delle istituzioni, ma ancora nessun colpevole per il primo assassinio di un giornalista straniero nel conflitto ucraino. Resta invece il dubbio che nella versione ufficiale del governo di Kiev qualcosa non torni. E’ passato così, per la famiglia Rocchelli, il primo anno dalla morte, il 24 maggio scorso, di Andrea (Andy per gli amici), il fotografo trentenne di Pavia rimasto ucciso da colpi di mortaio a Sloviansk, ex roccaforte delle milizie separatiste e obiettivo, allora, del primo grande assalto lanciato dall’esercito di Kiev contro i filorussi. La famiglia di Andy – Rino, il padre; Elisa, la mamma; Lucia, la sorella e Mariachiara, la compagna e madre di suo figlio – hanno scelto di non esporsi. Per il dolore e per la fiducia nel lavoro delle autorità competenti. I Rocchelli raccontano oggi questa storia dal loro punto di vista per ribadire le loro speranze, “acuite dal tempo che passa e dalla frustrazione di vedere che la morte dei giornalisti viene normalizzata come effetto collaterale delle guerre”.

Da mesi ci si aspetta “l’apertura di un’indagine esaustiva e trasparente da parte del governo ucraino, che ricostruisca la dinamica dell’assassinio, individui e persegua i responsabili”, dicono in un’intervista al Foglio. Le condizioni sul campo lo permetterebbero, essendo cessate le ostilità. Sloviansk è tornata sotto il controllo dei governativi. Dopo la presa di Debaltsevo da parte dei filorussi, la cittadina si è avvicinata alla linea del fronte, ma la situazione si è tranquillizzata e in Donbass vige un fragile cessate il fuoco. Alcuni colleghi di Andy, del collettivo di fotografi Cesura, sono andati a porre una piccola lapide sul luogo dove il giovane fotoreporter e l’attivista e giornalista russo Andrei Mironov, suo amico e conoscitore dell’Italia, sono stati uccisi: un passaggio a livello, punto di accesso a una collina strategica, allora avamposto dell’artiglieria ucraina. Da lì sono arrivati i colpi di mortaio. Il giornalista francese William Roguelon, che era nella macchina con i due ed è sopravvissuto all’attacco, ha ipotizzato in una delle sue prime interviste che a sparare siano stati i lealisti. Versione che contraddice quella fornita da Kiev alle autorità italiane e che attribuisce la responsabilità ai ribelli filorussi.
 
In questi mesi, i Rocchelli non hanno mai smesso di cercare la verità sulla dinamica del duplice omicidio: “Abbiamo contattato e parlato con Roguelon, letto la testimonianza che ha depositato alla Gendarmerie Française”. Se si chiede loro che idea abbiano sull’accaduto, rispondono con gentile fermezza che “le opinioni contano poco: quel che conta è che emerga perché e chi ha fatto oggetto di tiri mirati e sistematici tre giornalisti inermi, identificati come tali” (Roguelon al primo colpo ha subito alzato la macchina fotografica e gridato “siamo giornalisti”, ndr). “La qualità dei proiettili, la balistica dei tiri, l’ora e il luogo dell’attacco sono perfettamente identificati, non dovrebbe essere difficile stabilire chi era al comando di queste truppe e come sono andate le cose”. Nonostante le promesse di giustizia fatte all’allora ministro degli Esteri Federica Mogherini e al suo successore Paolo Gentiloni dai rappresentanti del governo ucraino, finora da Kiev nessuno si è mai messo in contatto con i Rocchelli, né con i testimoni a loro noti. “Le autorità italiane, ovvero la procura della Repubblica di Pavia incaricata dell’inchiesta, ci tengono invece costantemente informati, ma in un anno non pare che la giustizia abbia compiuto passi avanti”.
 
Nella famiglia di Andy il dolore non si è mai trasformato in rancore. “Pensiamo che questo anniversario possa avere un significato nella sfera pubblica: serve a riflettere su quanto il diritto all’informazione sia fondamento di una società civile e consapevole, ma anche sul dovere di difendere l’incolumità di giornalisti, che a quel compito consacrano i loro sforzi. Il numero delle vittime, è in costante aumento ma non si preparano strumenti e strategie per proteggerli, né per perseguire i responsabili della loro uccisione o di violenze loro inflitte”, dicono i Rocchelli, che l’anno scorso a Mosca hanno ritirato il premio Anna Politkovskaia, conferito ad Andy dall’Unione dei giornalisti russi. “Siamo orgogliosi dei prestigiosi riconoscimenti al suo valore professionale (tra cui il World Press Photo), sebbene gli siano stati conferiti postumi”.
 
Infine un appello alla comunità europea, perché “assuma queste vicende legate alle violazioni dei diritti umani come un proprio permanente ambito d’impegno, sperando che la realpolitik non oscuri la percezione di tale dovere”.