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Troppi finti tonti

1) Troppi finti tonti sul clima di guerra in Europa (di Sergio Cararo, 20 febbraio 2018)
2) Unione Europea, spostarsi a destra e preparare la guerra (Doug Nicholls, 03/03/2018)
3) La militarizzazione dell'Unione europea mina la pace e la sicurezza (CPPC, 24/02/2018)


Si vedano anche:

GERMANIA, AUSTERITÀ + NUOVO AVVENTURISMO MILITARE: CRONACA DI UN FALLIMENTO ANNUNCIATO (di Federico Nero, 13/03/2018)
...  i nomi, le date e il luogo sperduto in cui sono morti i 109 soldati spediti all’estero da un governo che, come vedremo, ha tradito la loro lealtà e il loro impegno. Tutti questi soldati sono morti in una delle missioni che dal Kosovo all’Afghanistan hanno visto un coinvolgimento sempre maggiore della nuova Germania... La Bundeswehr oggi è impegnata in una dozzina di paesi...

WILLING TO GO TO WAR (GFP, 21.2.2018) 
The Munich Security Conference, which ended yesterday, was marked by appeals for "Europe" to be more willing to go to war and have a resolute EU "global projection of power." In addition to a significant arms buildup, the EU needs a "common desire to actually use its military weight," German Defense Minister Ursula von der Leyen admonished. German Foreign Minister Sigmar Gabriel warned that Europe's future "projection of power" cannot "do without" military force. Currently, this is not yet possible without the involvement of NATO or US armed forces; however, cooperation with Washington should be "on a par" and "not as deputies." In the foreseeable future, the EU will be able to buildup its arms to such an extent that it will no longer need US support. Gabriel branded Russia and China - current "rivals" to the Western "system" - as "autocracies." ...
https://www.german-foreign-policy.com/en/news/detail/7539/
ORIG.: DER WILLE ZUM KRIEG (GFP, 21.2.2018) 
https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/7536/


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Troppi finti tonti sul clima di guerra in Europa


di Sergio Cararo, 20 febbraio 2018

“Se l’Europa non si interessa alla guerra, questa non mancherà di interessarsi all’Europa”. A dirlo così esplicitamente è stato due giorni fa, alla annuale Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, il primo ministro francese Edouard Philippe chiedendo ai principali alleati un “impegno operativo” con un calendario ben preciso in materia di politica militare europea. Entro pochi anni «l’Europa dovrà disporre di una forza d’intervento, un bilancio per la difesa e una dottrina strategica», ha aggiunto Philippe..

A fargli da spalla è arrivato il sostegno scontato del ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel che ha evocato “la necessità per la Ue di disporre di una propria proiezione di potere nel mondo”. Per essere compreso meglio il ministro degli esteri tedesco Sigmar Gabriel ha sottolineato come l’Europa ha bisogno di un “progetto di potenza” comune per evitare di rimanere un “vegetariano con molti problemi in un mondo di carnivori”.

Commentando l’annuale Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, la Stampa parla di “strappo di Parigi e Berlino per una difesa europea comune” e della piccata replica del segretario della Nato secondo cui “contro la Russia avete bisogno di noi”.. “Dal crollo dell’Unione sovietica a oggi, mai il rischio di un conflitto tra grandi potenze è stato così elevato”, ha ammesso il presidente della Conferenza Wolfgang Ischinger, ex alto diplomatico tedesca. “Sembra che la diplomazia sia arrivata alla fine della strada”, ha evocato Matthias von Hein in un editoriale sul Deutsche Welle che riprende un analogo concetto espresso dall’analista della Bloomberg.

Su diversi aspetti della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, in particolare sullo scontro dentro e intorno all’Ucraina, ha già scritto ampiamente ieri su Contropiano il nostro Fabrizio Poggi

Commentando la conferenza di Monaco, il New York Times, segnala il crescente nervosismo degli Stati Uniti per il rafforzamento della politica militare europea “indipendente” dagli Usa, e riferisce che il ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che: “Vogliamo rimanere transatlantici ma anche più europei in materia di difesa, affinché gli europei possano dare forma all’ordine internazionale”.  “Il contesto è cambiato rispetto a qualche anno fa”, ha ammesso il commissario Ue al Bilancio, Günther Oettinger: “Vogliamo mantenere intatto l’asse (con gli Stati Uniti, ndr)”, ma “la loro posizione sull’Iran e la decisione sull’ambasciata a Gerusalemme” testimoniano che “c’è un alto livello di nervosismo”.

Insomma è questo il clima che si è respirato in una Conferenza sulla Sicurezza, nata per “attenuare le tensioni” ma che invece le ha rappresentate pienamente, e non solo per il ripetuto show di Netanyahu, lo stesso che sei anni fa esibì il disegno di una bomba pronta ad esplodere come “linea rossa” nelle tensioni con l’Iran.

Ma se questo è il clima che ormai si respira a pieni polmoni, per ora solo nelle diplomazie europee, sul piano concreto continua a rafforzarsi quello che possiamo definire il complesso militare-industriale europeo. Un complesso con un fortissimo e determinante nucleo intorno a Francia e Germania, ma che attrae intorno a sé anche le aziende strategiche italiane come Leonardo (ex Finmeccanica).

E proprio Francia e Germania stanno pianificando uno dietro l’altro progetti militari rilevanti. Ad esempio quello di un nuovo aereo da combattimento che vada a sostituire i Rafale e gli Eurofighter. Venerdì scorso Dirk Hoke, l’amministratore delegato della Airbus Difesa e Spazio, branca militare del colosso franco-tedesco, ha detto alla Reuters che nella seconda metà dell’anno verranno resi noti i “contorni iniziali” del programma del nuovo aereo da caccia destinato a entrare in servizio non prima del 2035 e verrà valutata l’adesione di altri Stati..

Hoke ha sostenuto che Airbus appoggia l’ingresso di nuovi partner sottolineando che altri paesi potrebbero portare la loro esperienza in diversi segmenti ma precisando che molto dipenderà dal livello di investimenti dei Paesi che vorranno aderire al programma.

Il Sole 24 Ore di ieri riferisce poi che il nuovo cacciabombardiere “è solo il primo di una serie di programmi militari varati da Berlino e Parigi le cui industrie realizzeranno insieme anche nuovi elicottero da attacco, artiglierie, carri armati, munizioni guidate e missili anche se su quest’ultimo fronte la Francia è già impegnata in una serie di nuove armi sviluppate congiuntamente con la Gran Bretagna nell’ambito del gruppo MBDA (di cui è azionista anche l’italiana Leonardo col 25%) con programmi varati prima della Brexit”.

Il 6 febbraio Stéphane Mayer, amministratore delegato di Nexter e copresidente della KNDS, il colosso dell’industria militare terrestre nato dall’unione tra la francese Nexter e la tedesca Krauss-Maffei Wegmann, ha annunciato che Francia e Germania hanno un “calendario condiviso” per lo sviluppo di un nuovo carro armato teso a sostituire i Leclerc francesi e i Leopard 2 tedeschi. «Prevediamo di costruire un prototipo nel 2020», ha detto Mayer, che stima per il 2030 le prime consegne del nuovo tank. Oltre allo sviluppo di mezzi militari per entrambi gli eserciti Mayer ha esortato Parigi e Berlino «a mettersi rapidamente d’accordo per una politica di esportazione comune». Aspetto che completerebbe quella saldatura tra le due principali potenze economiche e militari dell’Unione europea che non nascondono l’obiettivo di esercitare un’egemonia continentale nel campo della politica militare e della relativa industria

“Parigi e Berlino del resto corrono anche sul fronte della politica di difesa, complementare e trainante rispetto al comparto industriale, come confermano le dichiarazioni rilasciate alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco” sottolinea l’esperto militare del Sole 24 Ore Gianandrea Gaiani. Si tratta di una “Integrazione industriale e intesa sull’export militare supportate da programmi comuni, bilanci della Difesa in crescita oltre i 40 miliardi di euro annui (quasi il triplo dell’Italia) e soprattutto una visione politica congiunta e basata su aspirazioni da “grande potenza” tracciano la rotta franco-tedesca che costituisce al tempo stesso una minaccia e un’opportunità per l’Italia”. Il quotidiano della Confindustria non evita si rammentare l’importanza di questa opportunità (sic!), “Il Fondo europeo per la difesa offre qualche opportunità e negoziare coi franco-tedeschi un ruolo di rilievo nei nuovi programmi non dovrebbe essere impossibile per la terza economia dell’Unione” scrive Gaiani “È però necessario già da oggi prevedere gli investimenti da cui dipenderà il peso politico e industriale di Roma nella difesa europea”.

Le poche o tante righe di questo articolo descrivono fatti, cose reali che avvengono mentre in molti, troppi, si mostrano distratti o furbetti sull’aria di guerra che tira nel mondo ed anche in Europa. Appare piuttosto evidente come la politica militare e la sua proiezione globale sia diventata una priorità per le classi dominanti nell’Unione Europea. Forse l’illusione che lo “spirito europeo” sia immune dalle ambizioni di potenza e dal militarismo, continua a giocare brutti scherzi, a destra come a sinistra. Ed è opportuno che qualcuno suoni l’allarme, come sta cercando di fare da tempo la Piattaforma Eurostop cercando di amplificarne l’eco anche dentro una esperienza importante come Potere al Popolo, unica forza politica, finora, ad avere un punto specifico contro la Nato e l’Esercito Europeo e per il disarmo nucleare nel suo programma.



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Unione Europea, spostarsi a destra e preparare la guerra 

L’UE ha acuito la propria aggressività e il proprio militarismo allo scopo di meglio difendere i propri piani per quanto riguarda il “mercato unico” e le sempre maggiori spese per gli armamenti.

Doug Nicholls
 
 03/03/2018

La struttura organizzativa dei vertici UE è stata fin dall’inizio profondamente antidemocratica e legata a doppio filo con gli interessi dei circa trentamila lobbisti “di stanza” permanente a Bruxelles. Ad affiancare questi personaggi nella determinazione delle politiche militari comunitarie sono i vari gruppi di interesse facenti capo alle varie industrie che si occupano della produzione di armamenti. Questi piani sono balzati agli onori della cronaca durante la campagna per il referendum circa la possibilità di rimanere o meno all’interno dell’UE. Ovviamente da parte di coloro che premevano per il “remain” c'è stato un atteggiamento di assoluto silenzio circa la conferma o meno di queste voci.

Una volta passato l’uragano-referendum i vertici europei sono tornati a battere sui tamburi di guerra. Come detto dai portavoce della Campagna Contro il Commercio delle Armi (CAAT) “la macchina UE si è progressivamente adattata al ruolo di sostegno agli interessi del complesso industriale militare”. Pertanto nei tempi più recenti si è assistito alla sempre maggiore militarizzazione dell’Unione Europea.

Nel 2016 è stato varato il Piano Europeo di Azione Difensiva (EDAP), seguito da un Programma di Ricerca (EDRP) con l’intento lucrativo di spendere circa tre miliardi e mezzo di euro nel periodo 2021 – 2027. Dopo un investimento pilota di circa novanta milioni di euro provenienti dai Fondi Comuni Europei per il periodo 2017 – 2019 la Commissione sta proponendo una spesa di cinquecento milioni per il biennio 2019 – 2020.

Tale cifra potrebbe salire a un miliardo e mezzo di euro entro il 2021.

Questo si aggiunge alle precedenti decisioni di creare un singolo canale per le operazioni di addestramento alle missioni militari all’estero oltre a un fondo di cinque miliardi e mezzo di euro volto a garantire per i vari stati membri la possibilità di acquistare gli armamenti più all’avanguardia.

Le esportazioni di armi sono cresciute di pari passo con le sempre più concilianti politiche UE nei confronti di alcuni tra i peggiori tiranni del mondo.

Tuttavia i riflettori si sono puntati più intensamente su queste politiche quando è tornata a balenare nell’aria la proposta di creare un esercito comune tra i vari paesi membri. Ventitré dei ventotto stati componenti l’UE hanno sottoscritto a Bruxelles un documento il giorno 13 novembre 2017 (un martedì) prima di effettuare una dichiarazione ufficiale in seno ad un recente summit europeo. Sigmar Gabriel, Ministro degli Esteri UE, ha chiamato tutto questo “una pietra miliare negli sviluppi dell’UE futura”. Gran Bretagna, Danimarca, Irlanda, Malta e Portogallo hanno per ora rifiutato di sottoscrivere il documento lasciando però intendere una possibile modifica di tale comportamento in futuro.

Gli accordi sulla difesa conosciuti come Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) vedranno la partecipazione di stato che stanno sviluppando nuove tipologie di armamenti difensivi come carri armati e droni. Sembra anche che si intenda creare a livello europeo singoli canali per la logistica ed il supporto medico. Si tratta di politiche volte a svolgere una funzione ausiliaria nei confronti delle missioni militari a guida UE presenti e future. L’oscuro piano originario dei Federalisti Europei riguardo un’unica politica monetaria, agricola e migratoria oltre che un unico Parlamento controllato da istituzioni corporative ed un unico mercato protetto da una altrettanto unica politica militare e di difesa è divenuto realtà ed è positivo per le forze socialiste mondiali che almeno la Gran Bretagna abbia mangiato la foglia ed abbia optato per l’uscita dall’UE.

L’inizio del cataclisma è ufficiale: il Parlamento Europeo, nel mese di novembre, ha detto come le Politiche Comuni Europee sulla Sicurezza e sulla Difesa “dovrebbero portare alla creazione delle Forze Armate Europee”. Da allora si sta operando su più livelli per tradurre queste parole in realtà.

Il Servizio di Azione Esterna UE ha anche prodotto il suo Piano di Implementazione di Sicurezza e Difesa con l’intento di utilizzare le strutture difensive europee per le proprie strategie di politica estera. Una veloce occhiata a queste posizioni in politica estera appunto renderà immediatamente chiara la direzione sulla quale si intenda proseguire. L’imposizione di sanzioni nei confronti del Venezuela e l’aiuto dato all’opposizione antidemocratica all’interno del paese dovrebbero far capire come gli intenti siano tutt’altro che buoni.

Ma queste istanze sono tutto fuorché sconosciute.

È noto come ai tempi i vertici UE abbiano fatto finta di niente quando la Germania decise di riconoscere il governo ribelle croato dando inizio al conflitto interno alla Jugoslavia. In egual modo il sorgere della minaccia fascista in Ucrainae i consistenti spostamenti di popolazione conseguenti alle migrazioni provenienti dai paesi dell’Europa Orientale entrati nell’UE hanno ulteriormente favorito la Germania nel proseguimento della propria strategia. I vertici europei, senza farne mistero, vorrebbero caldamente l’ingresso della Turchia nell’Unione. Nemmeno le attuali politiche di Erdogan volte allo sterminio della minoranza curda sembrano costituire un impedimento al coronamento di questo disegno.

Una sorta di infatuazione per l’Unione Europea ha portato a sottovalutare le sue mire di stampo quasi coloniale. I vertici UE con l’appoggio del governo tedesco e dei circoli militari si sono impadroniti della Grecia e tengono tuttora in scacco i governi dell’Europa Meridionale che non possono o non vogliono sottostare senza batter ciglio alle politiche di austerità imposte da Bruxelles..

Ugualmente, la strenua difesa del mercato unico da parte di esponenti del nostro stesso “lato” politico può portare le future generazioni ad una strenua lotta intestina per accaparrarsi le briciole di un sistema produttivo controllato da pochi eletti che continuano a reggerne le redini al sicuro da qualsiasi rischio di capovolgimento dei rapporti di forza attuali.

Le stesse tensioni diplomatiche tra stati che al momento si affacciano sullo scenario internazionale possono portare in futuro a vere e proprie guerre.. Perché quindi i vertici UE intendono perseguire nel disegno di implementare una politica di difesa comune?

C'è da pensare che essi intendano arrivare a porsi come ulteriore polo di potere internazionale in rivalità con gli Stati Uniti, la Russia e la Cina. Gli stessi paesi che basano una parte consistente della propria economia sulle esportazioni possono trovarsi un domani nella condizione di obbedire forzatamente ai dettami europei dietro la minaccia di vedersi chiuso ogni accesso commerciale a questo immenso mercato per i loro prodotti. L’adesione di alcuni paesi africani ai dettami della corrente agenda economica UE ha portato a una situazione problematica dal punto di vista del poter far fronte alle esigenze alimentari interne.

Come forze socialiste mondiali è opportuno anche denunciare il furto delle risorse dei paesi africani ed asiatici da parte europea con lo scopo di soddisfare la sempre crescente domanda interna mentre andrebbero adottate politiche volte a garantire che questi stessi paesi possano impiegare le proprie ricchezze naturali al fine di sviluppare maggiormente le proprie economie.

Si può dire che l’UE piuttosto che adottare una nuova politica economica volta a garantire uno sviluppo futuro solido e sostenibile ai propri paesi membri sia perlopiù interessata a proseguire nell’attuazione di una serie di politiche di stampo neoliberista, le stesse messe in atto dai vari governi negli ultimi trent’anni. Tutto ciò non farà altro che avvantaggiare le multinazionali a scapito dei diritti dei lavoratori di tutto il mondo.

I difensori del progetto europeo sembrano dimenticare come le forze politiche dominanti all’interno del Parlamento di Bruxelles siano proprio quelle espressione dell’agenda economica neoliberista. Dei settecentocinquanta deputati componenti il Parlamento UE solo una cinquantina fanno riferimento a compagini politiche socialiste o comunque di sinistra.

Si tratta di una cifra molto minore di quella relativa non solo alle forze politiche di destra, ma anche a quelle del gruppo politico dominante nell’assemblea (facente capo al Partito Popolare Europeo) e al numero dei singoli deputati di provenienza tedesca. In un altro contesto, se fosse varata una proposta per l’abrogazione delle correnti politiche economiche e militari dell’Unione Europea, sarebbe opportuno supporre come solo un centinaio di deputati (in regime di voto libero) si esprimerebbero in favore del mantenimento di queste ultime. Volendo essere particolarmente generosi nelle stime, includendo cioè tra i voti contrari anche quelli degli appartenenti al gruppo Alleanza Progressista dei Democratici e dei Socialisti (PASD) di cui fa parte anche la quota di deputati del Partito Laburista di Gran Bretagna, si otterrebbe una cifra di circa centonovanta voti contrari a fronte di circa cinquecentosessantuno favorevoli all’abrogazione.

La natura eminentemente reazionaria dell’UE si evince dalla crescente presa di potere delle forze di destra in molti paesi membri, inclusi quelli dell’area scandinava. Con il proseguimento di scelte in politica economica che si sono finora rese responsabili della perdita per circa venti milioni di lavoratori dei loro rispettivi posti i vertici UE sono sicuramente una delle cause principali della crescente forza di queste compagini politiche.

Le forze politiche socialiste e i sindacati devono sostenere la posizione del “leave” al referendum che avrà luogo in via formale il giorno 29 marzo 2019, impegnandosi a ricordare che quando ci si appresta a trattare con il diavolo bisogna essere pronti a rifiutare qualunque proposta agli faccia, per quanto allettante possa essere.


Doug Nicholls è portavoce di Sindacalisti Contro l’Unione Europea, una rete di sindacalisti britannici che ha fatto campagna per l’uscita e che ora sostiene un programma progressista incentrato sul lavoro. L’articolo ci è arrivato in inglese ed è stato tradotto da Fabio Martoccia



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www.resistenze.org - osservatorio - lotta per la pace - 05-03-18 - n. 664

La militarizzazione dell'Unione europea mina la pace e la sicurezza

Consiglio Portoghese per la Pace e la Cooperazione  | wpc-in..org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

24/02/2018

È con grande preoccupazione che il Consiglio Portoghese per la Pace e la Cooperazione (CPPC) affronta la continua progressione del processo di militarizzazione dell'Unione europea (UE). Il militarismo è, insieme alla riduzione della sovranità degli Stati da parte delle istituzioni sovranazionali dominate dalle grandi potenze e dalla promozione delle politiche neoliberali che attaccano i diritti economici e sociali, uno dei pilastri dell'UE. La creazione di un futuro esercito europeo, nonostante le persistenti contraddizioni, è un obiettivo perseguito da lungo tempo dalle maggiori potenze europee.

Questo processo di militarizzazione - sebbene faccia parte di una complessa relazione che include la collaborazione e la rivalità tra Stati Uniti e maggiori potenze europee - è confluito e determinato nel quadro della NATO, con l'UE come pilastro europeo di questo blocco politico-militare.

Il più recente passo nella militarizzazione dell'UE è stato compiuto lo scorso 13 novembre, con la firma di 23 Stati membri della notifica congiunta sulla Cooperazione strutturata di difesa e sicurezza permanente (PESCO) nella sfera militare, elemento previsto dal Trattato di Lisbona che contempla la possibilità di una maggiore integrazione tra i paesi membri dell'UE.

Le istituzioni dell'UE assumono PESCO come "quadro giuridico ambizioso, vincolante e inclusivo per gli investimenti in materia di sicurezza e difesa" e definiscono tra i suoi obiettivi lo sviluppo comune della "capacità di difesa", l'investimento in "progetti condivisi", il miglioramento della "Prontezza operativa" e l'aumento dei budget militari in ogni paese al servizio di questa cosiddetta cooperazione.

Sebbene il Portogallo non sia tra questi 23 paesi, il governo ha dimostrato la sua intenzione di associare il paese a questo processo di integrazione militarista, che inizierà l'11 dicembre prossimo. Irlanda, Malta, Danimarca e Regno Unito - paese prossimo all'uscita dall'UE - non hanno ancora firmato la dichiarazione di intenti.

L'associazione del Portogallo a questo processo militarista significherebbe un ulteriore passo avanti nella subordinazione e nel condizionamento della politica di difesa nazionale, ponendo le forze armate portoghesi al servizio di interessi, priorità e opzioni politiche estranee al paese e ai principi costituzionali che dovrebbero definire la nostra politica estera e di difesa e il ruolo delle forze armate portoghesi.

La formalizzazione della PESCO segue la creazione, nel giugno di quest'anno, del Fondo europeo di difesa, che mira a coordinare, integrare e ampliare gli investimenti nella ricerca militare, nello sviluppo di prototipi e nell'acquisizione di attrezzature e tecnologie militari. Al vertice del tavolo ci sono anche proposte come il Programma europeo di sviluppo industriale della difesa, con l'obiettivo di sviluppare l'industria degli armamenti e nuove iniziative per garantire il finanziamento dei cosiddetti gruppi di risposta rapida dell'UE..

La reazione della NATO alla creazione di PESCO, espressa lo stesso 13 novembre dal suo Segretario generale, Jens Stoltenberg, indica chiaramente la falsità della tesi secondo cui la militarizzazione dell'UE servirebbe da contrappeso al potere unipolare degli Stati Uniti e del suo strumento militare, La NATO: "La difesa europea che fa bene all'Europa, ma anche alla NATO. Una più forte capacità di difesa europea ha il potenziale per aiutarci ad aumentare la spesa per la difesa, fornire nuove opportunità e anche a migliorare la condivisione degli oneri all'interno dell'Alleanza. Quindi questo è un modo per rafforzare il pilastro europeo all'interno della NATO".

Come denuncia da tempo il CPPC e come afferma lo stesso Trattato di Lisbona, la militarizzazione dell'UE è coordinata con la NATO, in armonia con i suoi obiettivi. Sempre il 13 novembre, tra le varie dichiarazioni, il Segretario generale della NATO parla di "cooperazione" e "complementarietà" tra quella che definisce difesa europea e NATO.

Ricordiamo che dalla sua creazione, nel 1949, ma con una maggiore virulenza da inizio secolo, la NATO è un'organizzazione aggressiva al servizio della politica estera degli Stati Uniti e costituisce una delle più grandi minacce per la pace nel mondo. La NATO e i suoi membri - in particolare gli Stati Uniti e le principali potenze dell'UE - sono responsabili di guerre di aggressione contro paesi come la Jugoslavia, l'Afghanistan, l'Iraq e la Libia, con una lunga lista di morti, sofferenze, distruzione e milioni di sfollati e rifugiati; sono i principali promotori dell'aumento delle spese militari in tutto il mondo; sono responsabili di accrescere le tensioni internazionali, installando forze e mezzi militari in basi e flotte in tutto il mondo, brandendo minacce di aggressione e promuovendo operazioni di destabilizzazione, di intervento, di aggressione, blocchi economici e sanzioni contro stati sovrani. Il fatto che la NATO ammetta, nella sua dottrina, la possibilità di usare un'arma nucleare in caso di primo attacco è particolarmente rivelatore della sua natura guerrafondaia.

Durante gli ultimi decenni, l'UE ha sostenuto o è stata complice delle aggressioni militari e delle operazioni di destabilizzazione contro la sovranità e l'indipendenza di diversi Stati, condotte dalla NATO o dai suoi membri.

La militarizzazione dell'UE, in cooperazione con la NATO, non costituisce un passo verso la difesa della pace. Al contrario, rappresenta più militarismo, maggiori spese militari, maggiore interventismo e minacce di guerra.

L'opzione militarista, con l'aumento delle spese militari, è accompagnata dall'attacco ai diritti sociali da parte dell'UE. Il Consiglio Portoghese per Pace e la Cooperazione rifiuta la militarizzazione dell'UE, in complemento o meno con la NATO, e considera urgente la richiesta di sciogliere la NATO e creare un sistema di sicurezza collettiva che rispetti i principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e spiani la strada a un altro ordine mondiale, votato alla pace, al disarmo, al rispetto della sovranità, al progresso e alla cooperazione tra i popoli del mondo.

Il CPPC ribadisce il suo impegno per la causa della pace, per il disarmo universale, simultaneo e controllato, per la dissoluzione dei blocchi politico-militari, la soluzione pacifica dei conflitti internazionali, la non interferenza negli affari interni degli Stati, l'abolizione di ogni forma di aggressione, oppressione e dominio nelle relazioni internazionali: principi importanti sanciti nella Costituzione della Repubblica portoghese.