Nuova operazione di propaganda fascista
 
1) Parma 17/12: Assemblea pubblica della Officina Popolare sul film "Red Land – Rosso Istria"
2) Claudia Cernigoi: Recensione del film "Red Land – Rosso Istria"
3) Alessandra Kersevan: Recensione del film "Red Land – Rosso Istria"
4) Gli sceneggiatori del film “Red Land – Rosso Istria” (di Claudia Cernigoi)

 
Sullo stesso tema:
 
Dossier de “La Nuova Alabarda” a cura di Claudia Cernigoi
IL CASO NORMA COSSETTO
Claudia Cernigoi presenta il dossier su Norma Cossetto, 16 marzo 2013
 
 
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Parma, lunedì 17 dicembre 2018 
alle ore 19:30 in Piazzale Volta
 
12ª assemblea pubblica
 
Il 17 dicembre sarà proiettato all'Astra un film di propaganda contro i partigiani.
Incredibilmente il cinema Astra (di proprietà del Comune di Parma) ha concesso a vari personaggi dell'estrema destra locale l'uso della sala.
Per togliere ogni dubbio sulla compagnia della serata, basta pensare che la locale sede di CasaPound fornirà un centinaio di biglietti d'ingresso.
Prendiamo spunto dal titolo dell'ultima assemblea di strada
"LEGGERE IL FASCISMO PER QUELLO CHE È"
per lanciare questo presidio democratico, il dodicesimo da questa estate. 
Leggere il fascismo vuol dire anche svelare le menzogne che vogliono riscrivere la storia della nostra Repubblica, fondata sui valori che ci hanno tramandato i popoli ed i partigiani di tutto il mondo che hanno opposto, pagando un durissimo tributo, la loro vittoriosa resistenza al nazifascismo.
Per questo saremo presenti in piazzale Volta il 17 dicembre, a partire dalle 19.30.
Anche quella sera attingeremo, con i canti, le letture, i racconti, allo sterminato patrimonio della cultura antifascista.
Ci saremo di certo non per voglia di censura, ma per rispondere una volta di più alla marea di odio e di ignoranza che ci circonda. Invitiamo tutte e tutti a partecipare, con la presenza, gli scritti ed il canto. 
 
Officina Popolare Parma
 
 
 
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RED LAND – ROSSO ISTRIA: UNA RECENSIONE

4 Dicembre 2018
 

Facendo violenza su noi stessi siamo andati a vedere il film su Norma Cossetto (regia di Maximiliano Hernando Bruno, del quale nella foto sopra potete leggere una sorta di proclama al popolo per la visione del film), dei cui sceneggiatori (Antonello Belluco e lo stesso regista Bruno) abbiamo parlato in un altro articolo reperibile qui: http://www.diecifebbraio.info/2018/11/gli-sceneggiatori-del-film-red-land-rosso-istria/ . 

In sostanza possiamo dire che anche come opera di propaganda è davvero un brutto film. Un mix tra commedia italiana anni ‘40 (nei dialoghi stile Liala che si scambiano sia le donne che gli uomini) e horror (per le scene di violenza in cui sangue e stupri si sprecano), in un trionfo di stereotipi, il cui clou è la figura del ferocissimo, al limite del ridicolo, partigiano Mate, ridotto ad una macchietta di sadico psicopatico avvinazzato (obiettivamente però in tutto il film sembra che gli attori, sia i “buoni” che i “cattivi” non facciano altro che tracannare vino in ogni occasione) con un perenne ghigno isterico sul volto (una menzione va all’attore sloveno Romeo Grebensek che si è prestato a questa opera di diffamazione della Resistenza jugoslava, avallando il concetto che “slavo è comunque cattivo”, ma anche stupido) a capo di un gruppo di altrettanto avvinazzati, stupidi e violenti “titini” (termine che nel 1943 non veniva usato, ma non è questo l’unico anacronismo presente nel film, come i personaggi che si danno del lei quando all’epoca, dopo vent’anni di bombardamento di slogan come “a chi ti dà del lei ancora adesso non dare il voi né il tu, dagli del fesso”, il voi era in uso obbligato soprattutto tra militari e apparati del regime).

Oltre alle pessime interpretazioni, il film si basa su una serie di “coincidenze” e di eventi improbabili: dopo una specie di prologo con la caccia al cervo nel bosco (il cervo in Istria è una rarità, tra l’altro) e due mani insanguinate che si agitano in una voragine, entra in scena Geraldine Chaplin, che interpreta una vecchia incartapecorita (la presenza delle rughe escluderebbe la presenza del botulino sul suo volto, ma a questo punto l’assenza di espressione dell’attrice non è giustificabile neppure con la presenza del botulino), va con una nipote piuttosto stralunata fino al Magazzino 18 nel porto vecchio di Trieste (ah, i danni di Cristicchi!), magazzino che ovviamente nella fiction è accessibilissimo, basta spingere la porta per aprirla ed entrare; inoltre il pavimento e le masserizie sono puliti e privi di polvere, e lei capita, guarda un po’, proprio davanti all’armadio della sua infanzia (simile ad una quantità di altri armadi lì conservati, ma che lei riconosce a colpo d’occhio) e recupera la bambola che aveva nascosto in un doppio fondo (bambola che peraltro, in una scena del lungo flashback che seguirà risulta essere stata pugnalata e sventrata dal perfido Mate, ma che a distanza di settant’anni era ancora miracolosamente come nuova), il che fa precipitare la vegliarda ai ricordi della sua infanzia.

E da qui parte il flashback: nella prima scena che si svolge a Padova si vede una ragazza (Norma, per chi conosce la storia) correre, apparentemente terrorizzata, inseguita da un marinaio in divisa, ed alla fine di questo lungo inseguimento, dopo essere finiti in una stanza dell’ateneo dove veniva discussa una tesi, sotto gli occhi tra il severo e il divertito dei docenti e del laureando, i due finiranno col baciarsi in mezzo alla strada: come se un marinaio in divisa nel 1943 (piena guerra, anche se il film non lo lascia intendere) potesse comportarsi a quel modo solo per giocare con la sua fidanzata.

Il film sarebbe ufficialmente (così ha scritto Fausto Biloslavo sul Giornale ispirato al diario redatto da un cugino di Norma Cossetto, Giuseppe, che lo scrisse a 96 anni nel 2016, poco prima di morire (quindi a distanza di settant’anni dagli eventi), ma in realtà dei diari di Cossetto nel film non c’è nulla. Praticamente tutta la storia è inventata di sana pianta, sono inseriti personaggi che non risultano nelle memorie dell’epoca, ed altri personaggi appaiono con nomi cambiati (il professor Ambrosini, interpretato da Franco Nero, prestatosi dopo una carriera di tutto rispetto ad interpretare un dispensatore di luoghi comuni, che vive in un palazzo imponente e ricco come a Visinada non esistevano, dovrebbe essere il professore D’Ambrosi di Cittanova, che aveva aiutato la vera Norma Cossetto per la sua tesi, ma non si comprende il motivo di cambiare il nome e la residenza di questo personaggio, se non per inserire una sorta di “coscienza” nel paese in cui si svolgono i fatti). Non sono esistiti, inoltre (non ne fa cenno nessuno dei testimoni dell’epoca) i componenti della famiglia di Carlo Visentrin (cognome che peraltro non esiste) che secondo il film si trovava a Trieste con Cossetto padre, ed i cui figli maggiori (Adria e Angelo) vengono descritti come i traditori che si uniscono ai partigiani comunisti e “titini”: Angelo, un ragazzone poco sveglio che scrive slogan comunisti in un diario che nasconde sotto il materasso, sembra praticamente plagiato dalla sorella Adria, perfida amica d’infanzia di Norma, che le lavorerà contro (forse perché invidiosa dell’amica?); e verrà ammazzato perché, pentitosi, voleva impedire ai “titini” di portare via i prigionieri per “infoibarli”; e poi c’è la figlia minore, Giulia, la ragazzina della bambola. Né, da quanto ci è stato detto da una signora che i fatti li conosce davvero, si trovava in casa Cossetto la cugina Noemi, moglie del tenente Bellini che si trovava invece a Trieste col marito. Marito che tornerà in Istria con Giuseppe Cossetto assieme alle truppe nazifasciste (anche se nel film il loro ritorno è appena accennato e descritto come se avessero affrontato il viaggio per conto proprio) ed i due verranno uccisi nei combattimenti per il ripristino del controllo del Reich sull’Istria, la famosa Operazione Nubifragio (Wolkenbruch) che causò migliaia di morti, e che nel film, verrà vagamente descritta con un incontro tra gerarchi nazisti; poi le immagini, lungi dal presentare le colonne blindate e corazzate che devastarono l’Istria ed i suoi abitanti, rappresentano sparuti manipoli di militari nazisti che si muovono a piedi entrando nei villaggi di soppiatto per non farsi accorgere dagli abitanti.

Del resto nel film praticamente tutti i fatti sono raccontati diversamente da come li abbiamo letti nelle varie ricostruzioni (che, va detto, sono già esse tutte diverse tra di loro). Né il film rende giustizia alla figura di Norma Cossetto, che sarà anche stata una fanatica fascista (non lo si sa per certo), ma comunque non era una ragazzina trasognata ed a volte vagamente isterica come Selene Gandini la rende al pubblico (occupandosi più a spalancare gli occhioni azzurri che a recitare una parte), ma una donna di 23 anni (all’epoca a 23 anni le donne erano ben che adulte, sia che fossero contadine analfabete, sia che fossero acculturate come Norma), che aveva lasciato la casa paterna per andare a studiare a Gorizia già nella prima adolescenza, ed a Padova, dove frequentava l’università era attiva in vari campi, sportivi ed associativi; inoltre aveva avuto un’esperienza di insegnante nel liceo di Pisino pur non essendo ancora laureata. Una donna volitiva, la si sarebbe definita all’epoca, che forse proprio per questo suo atteggiamento disinvolto ed indipendente aveva potuto mettersi in mostra al di là del fatto di avere avuto un padre fascista. Ma alla fine la figura di Norma Cossetto invece di essere centrale nel film sembra quasi una figura di contorno, che di fatto appare poche volte nel corso di tutta la vicenda.

Nessun inquadramento storico viene fornito nel film, a parte le poche didascalie che parlano dell’arresto di Mussolini e dell’armistizio, senza una continuità di tempi, con solo un breve accenno a “la guerra è finita” quando, l’8 settembre, la popolazione va in piazza a bere (tanto per cambiare) e festeggiare (va dato atto che in tutto il film le comparse sembrano muoversi su un piano parallelo che non interagisce coi protagonisti, ma si limitano a muoversi avanti e indietro, come se non si rendessero conto di ciò che accade loro intorno); l’Istria sembra essere stata un’isola lontana da tutto il mondo, tranquilla e senza problemi almeno finché non arrivano i “titini”, cioè il gruppo di croati locali cui si era aggiunto Mate, inviato appositamente da Dubrovnik (come se i “titini” avessero psicolabili sadici tra i loro comandanti e commissari politici… ma è ovvio che il comunista è cattivo e se è slavo è ancora peggio), ed al quale molti dei coloni si oppongono dicendo che loro sono sempre stati trattati bene dai Cossetto; così il feroce comandante col ghigno ordina anche la loro esecuzione e lo stupro delle loro mogli e figlie (stupri che si sentono in sottofondo mentre Mate tracanna vino spiegando il suo progetto di eliminazione degli italiani dall’Istria: progetto che ribadisce del resto ogni volta che parla con un italiano, sia il professore che non vuole collaborare, sia Angelo ed Adria che devono comprendere che come collaboratori non dureranno a lungo, dato che sono italiani). Altro personaggio inventato è lo “scemo del villaggio”, forse non a caso battezzato simbolicamente Italo, che vive alla giornata perché è senza famiglia ma ha i ricci biondi perfettamente curati mentre si aggira straparlando sulla belva con la bocca spalancata che inghiotte la gente nel bosco, ed i ricci gli rimarranno intatti anche nella scena in cui si vede il suo cadavere sfregiato dalle torture inflittegli dai “titini”.

Da film d’azione hollywoodiano di bassa lega invece la scena dell’irruzione “titina” nella caserma (non si capisce se dei Carabinieri o della Milizia) allo scopo di prelevare armi: ma anche questa azione è piuttosto incomprensibile, se consideriamo che Angelo era andato nel posto per arruolarsi ed approfittando di un momento di confusione (erano stati catturati alcuni partigiani – che evidentemente però non avevano contatti con i “titini” di Mate – ai quali era stato sequestrato un ingente quantitativo di armi, armi delle quali poi i “titini” vorranno impadronirsi) aveva rubato le chiavi del magazzino. A quale scopo quindi fare quel po’ po’ di assalto con tanto di armi automatiche (che, vero che non siamo esperti, ma abbiamo dei dubbi esistessero all’epoca) e gas (terribilmente kitsch la scena in cui Mate si staglia in controluce sull’ingresso nei vapori fumogeni con tanto di maschera antigas mentre il comandante della caserma invoca pietà perché sta soffocando), se avrebbero potuto con meno fatica penetrare nel solo magazzino e portare via le armi? Certo in tal caso sarebbero mancate l’azione e l’ennesima dimostrazione della ferocia “titina”, ferocia che appare anche in un’altra scena orripilante (e priva di logica), in cui si vede il prete del luogo (che aveva rifiutato di concedere ai “titini” la canonica come deposito di armi) impiccato alle corde delle campane (e gocciolante sangue sull’inconsapevole Angelo venuto a cercarlo). Va detto che un simile tipo di esecuzione non risulta mai essere stato operato da partigiani, mentre fu il parroco di Canfanaro ad essere impiccato dai nazisti, nel corso dell’Operazione Nubifragio di cui si è detto prima. Il che fa pensare che la sceneggiatura non sia stata scritta in base a mancanza di informazioni ma in perfetta coscienza di mistificazione storica.

Patetiche le interpretazioni dei militari, col generale Esposito (che tenne la piazza di Trieste durante tutta la guerra, anche sotto occupazione nazista) che sembra un vecchietto che non riesce a decidersi su cosa fare, come se il dilemma fosse se andare a bere il caffè al bar o farselo a casa.

Abbiamo poi il partigiano Giorgio, interpretato dallo stesso regista, disertore aggressivo ed impulsivo, che si unisce ai “titini” per antifascismo, innamorato segreto di Norma, che sarà (per ordine di Mate) costretto ad arrestare, accompagnato da un manipolo di “croati”. Anche qui la fiction contraddice la storia, dato che la sorella di Norma, Licia, dichiarò più volte che Giorgio era venuto da solo in motocicletta a casa loro e che Norma lo seguì di propria volontà (cosa scritta peraltro anche nel “diario” del cugino Giuseppe, cui si sarebbe ispirato il film). Alla fine ciò che resta della storia di Norma Cossetto sono lo stupro (più o meno in diretta e prolungato in modo insopportabile) e l’infoibamento, cui avrebbe assistito Giulia, la ragazzina della bambola, che avevamo lasciato a Visinada bloccata in un rastrellamento nazista con sua madre e le Cossetto, Licia e la madre dopo l’ammazzamento di Adria, e che non si comprende come abbia potuto raggiungere da sola e presumibilmente a piedi la foiba, distante una decina di chilometri dal villaggio (così nel film, perché nella realtà Norma fu infoibata in una località molto più distante da Visinada).

Notiamo ancora che la foiba vista dall’esterno ha un’apertura piuttosto ristretta, mentre nelle scene girate all’interno tale apertura sembra non solo molto più grande, ma la cavità sembra svilupparsi in orizzontale e non in verticale (cosa questa già vista nell’orribile precedente dal titolo Il cuore nel pozzo, altro prodotto di propaganda goebbelsiana); e nella (lunghissima e lugubre) scena che mostra gli infoibati precipitare nell’abisso, quando tocca a Norma essere gettata dentro la discesa sembra non finire mai, ma appare evidente che il luogo dove è stato girato il tutto è un ghiaione di montagna e non una cavità sotterranea; né si comprende come dopo una caduta di tanti metri alla fine la ragazza sia ancora viva; e qui riappaiono le mani insanguinate della scena iniziale, momento di collegamento col “presente”, ossia l’apparizione della Giulia ormai anziana accompagnata dalla nipote, sempre più stralunata, giunte, non si sa come, dal Magazzino 18 alla foiba in mezzo all’Istria. Qui si chiuderà il film, con una scena orribile: dopo che Giulia avrà gettato con espressione astiosa la bambola dentro la foiba, si vedranno nuovamente le mani insanguinate di Norma Cossetto che chiedono aiuto.

Nonostante si tratti di un lavoro brutto sotto tutti i punti di vista, lungo, noioso, recitato male, privo di coerenza e di inquadramento storico, i recensori dei giornali (anche “di sinistra”) ne hanno parlato bene, senza entrare nel merito del film, ma per il solo motivo che tratta un argomento “scomodo” di cui “non si è mai parlato prima”. E se questi sono i presupposti (di Norma Cossetto si è iniziato a parlare nel 1943, subito dopo la sua morte), possiamo ben capire, data l’ignoranza totale su questi argomenti storici, quanto male potrà fare questo film nell’opinione pubblica e soprattutto tra i giovani (si parla di proiettarlo nelle scuole), che in coda riporta informazioni “storiche” completamente false: non furono un migliaio gli infoibati nel settembre 1943, non furono settemila quelli dopo la fine della guerra (va detto che nel precedentemente citato Cuore nel pozzoil numero degli infoibati era dato in diecimila).

Ma è più facile veicolare bufale scrivendole in coda ad un film che diffondere informazioni tramite libri storici seri, che vengono tacciati di “negazionismo” dagli stessi propagandisti di bassa lega che diffondono falsità erigendosi a paladini di una verità che non esiste.

C’è infine un mistero collegato alla realizzazione di questo lavoro. Nel 2015, subito dopo l’uscita del film sull’eccidio di Codevigo, il regista Antonello Belluco (co-sceneggiatore di Red Land) tenne una conferenza stampa a Padova in cui annunciava l’uscita per il Giorno del ricordo del 2016 di un film su Norma Cossetto, con le musiche di Simone Cristicchi, che era presente all’iniziativa (e che aveva espresso la propria solidarietà all’asserito “boicottaggio” del Segreto d’Italia: è curioso come ogni volta che escono produzioni su questi argomenti gli autori parlino sempre di boicottaggio ma allo stesso tempo di grande successo di pubblico). Non si comprende quindi perché il film, uscito infine con un ritardo di quasi tre anni, sia stato realizzato da un altro regista e Cristicchi non abbia scritto le musiche.

Claudia Cernigoi, 4 dicembre 2018

 
 
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Resoconto dopo la visione (molto sofferta...) del film RED LAND

 

  

Il film è costruito con metodo goebbelsiano, punta molto sull'emotività, non si preoccupa della coerenza ma dell'impatto psicologico; il punto di vista è sempre quello degli italiani (e dei fascisti) per cui anche quando vengono dette delle frasi che sembrerebbero portare qualche elemento di informazione storica, la cosa viene subito superata dalla visione di un fatto tragico di segno contrario.

La storia è completamente decontestualizzata e nei particolari in buona parte inventata.

Per spiegare meglio vale la pena citare quanto detto dal prof. Roberto Spazzali, in un libro pubblicato ancora nel 1990 addirittura dalla Lega Nazionale (i cui presidenti, come Luca Urizio, evidentemente non leggono neppure i libri che pubblicano): in Foibe. Un dibattito ancora aperto, a pag. 149, dopo avere accennato agli articoli del dicembre 1943 sul Corriere Istriano in merito al recupero della salma di Norma Cossetto, Spazzali scrive che «l’ampia letteratura di quegli anni e del dopoguerra* dedicherà un consistente spazio alla morte ed al rinvenimento di Norma Cossetto intrecciando ai fatti realmente accaduti incontrollate fantasie e presunte testimonianze»*. La narrazione di Antonio Pitamitz, sulla morte ed il rinvenimento del corpo di Norma Cossetto riprende, secondo Spazzali, «la più fantasiosa delle ricostruzioni», e cioè quella che al giorno d’oggi è diventata la versione “ufficiale”, cioè il sequestro della giovane, le sevizie, le ripetute violenze carnali cui avrebbe assistito una donna, rimasta anonima, che trovandosi in casa propria attraverso le persiane socchiuse, avrebbe visto quello che accadeva nella scuola di fronte (cioè lo stupro di Norma Cossetto).

 

* Spazzali cita “a puro titolo di esempio”, sia il testo di Luigi Papo (Foibe, pubblicato come Paolo De Franceschi) del 1952, sia gli articoli di Antonio Pitamitz su Storia Illustrata del 1983). Uno dei mantra ripetuto durante il cosiddetto Giorno del Ricordo (e in molteplici altre occasioni) dallo stuolo dei “foibologi” nato negli anni '90 è che in Italia non si sia mai parlato di questi fatti.

 

1) L'Istria viene rappresentata come abitata da italiani e da non italiani (non viene detto esplicitamente, ma in alcune brevi scene la gente parla in croato con traduzione sottotitolata), si accenna anche alla italianizzazione forzata, ma questi accenni di sfuggita non hanno alcuna importanza nel prosieguo del film, servono solo a parare la possibile critica di aver tralasciato di parlarne. Infatti poi gli “slavi” vengono presentati o come vittime degli stessi “titini” (nome continuamene usato per definire i partigiani*), oppure come sanguinari ubriaconi, assetati di vendetta e tanto stupidi da fare orribili violenze gratuite (torture fino alla morte allo “scemo di paese”, profeta della “tragedia” imminente; l'uccisione del prete impiccato alle campane, scena orripilante ma completamente inventata; stupri di donne “slave” accusate di essere mogli di “italiani”; stupro della figlia di una di queste; e via di questo passo – tutto in preparazione dello stupro finale, in diretta, da parte dell'“orda” di slavi sul corpo di Norma Cossetto – tutto esplicito e “senza veli”). Una scena addirittura ridicola è quella in cui un gruppo di “ribelli” comandati dal crudele slavo protagonista (naturalmente con stella rossa sul berretto e giacca di pelle e cinturone come un nazista, con ghigno ridente sulle proprie malefatte) assaltano la caserma dei carabinieri con bombe, non si capisce se lacrimogene o a gas; fatto sta che sulla porta in controluce ad un certo punto si staglia il suddetto crudele slavo con maschera antigas.

 

* Nel film ci sono numerosi anacronismi; uno riguarda il fatto che i partigiani jugoslavi vengano insistentemente chiamati “titini”, termine che nei documenti del '43, neppure in quelli fascisti, viene mai usato. È stato poi usato nel dopoguerra in modo spregiativo.

2) L'8 settembre del '43 viene rappresentato come una tragedia per gli “italiani” dell'Istria. La rappresentazione della gioia e dei festeggiamenti della popolazione per la (creduta e sperata) fine della guerra serve solo da sfondo per il realizzarsi della tragedia. Saranno anche fascisti, dice ad un certo punto uno dei protagonisti, ma gli “slavi” prima uccideranno i fascisti e poi tutti gli italiani. Infatti poi nel film vengono uccisi tutti i personaggi “italiani” che si erano entusiasmati alle idee comuniste, presentati nella trama come traditori che però pagano il fio accorgendosi della “bestialità” degli “slavi”, e con un loro ultimo atto più o meno di eroismo o di contrizione e pentimento muoiono* (perdonati finalmente dal pubblico).

*Format narrativo con catarsi finale che da migliaia d'anni ottiene gran successo.

3) Nel film non si accenna a nessun altro contesto della guerra. Non esiste per esempio l'aggressione alla Jugoslavia nel 1941 da parte del Regio Esercito (che aveva fatto diventare il Friuli e la Venezia Giulia, con l'istria, zone di guerra), le centinaia di migliaia di morti che l'occupazione italiana fino all'8 settembre ha comportato per il popolo jugoslavo (un milione e mezzo comprendendo l'intera guerra e l'occupazione tedesca). Non esistono le rappresaglie, le fucilazioni di ostaggi, l'incendio di villaggi, la deportazione in campi di concentramento italiani di oltre 120 mila jugoslavi e la morte di almeno 7000 (donne, vecchi, bambini e uomini, di fame e malattie conseguenti)*.

* Eppure nella nostra regione ne abbiamo avuti di questi terribili campi fascisti gestiti dall'esercito (Gonars e Visco) con la morte di almeno 500 civili jugoslavi (donne, vecchi, bambini, uomini, di fame e malattie conseguenti); altri, terribili, erano vicino all'Istria e in Dalmazia (Arbe, Melada, Mamula e Prevlaka...).

4) Dopo il 25 luglio e fino al settembre avanzato, la vita in Istria sembra svolgersi ancora in pace e senza problemi (se non la sottile “paura”, ora che “il duce non c'è più”, per la sorte degli “italiani” minacciati dagli “slavi”), fino a quando il crudele slavo con stella rossa sul berretto non convince alcuni popolani non meglio identificati a una sorta di ribellione (da fumetto horror) con spreco di inutili ancorché inumane sevizie contro donne e uomini indifesi, italiani o croati italianofili.
E i tedeschi, che fanno nella finzione film? Ci sono un paio di scene: una prima in cui sembrano avanzare circospetti ma senza incontrare alcuna resistenza. Una seconda, quasi alla fine, in cui decidono l'Operazione “Nubifragio” per la conquista dell'Istria, ma anche questa volta, pur essendo armati fino ai denti, non c'è nessuna resistenza. Non si capisce quindi perché, non incontrando ostacoli, abbiano concluso la conquista dell'Istria appena il 9 ottobre (data e circostanze che nel film si guardano bene dal riferire). Infatti la cosa è trattata in maniera storicamente improponibile: i ribelli locali e i partigiani vengono presentati come dei vigliacchi che dopo aver ucciso e stuprato (come sopra), fuggono all'arrivo dei tedeschi, lasciando la popolazione in loro balia.
A questo punto le omissioni, gli anacronismi e le mistificazioni sono talmente tante che ci vorrebbe più di un articolo o volantino. Basterà ricordarne qualcuno. Cosa fanno i tedeschi nella realtà? Alla fine dell'Operazione “Nubifragio” i nazisti si vantano di aver eliminato, tra stragi, fucilazioni, incendi di villaggi e deportazioni in Lager, almeno 13 mila istriani. Si può immaginare quindi la Resistenza che incontrarono. Nella loro Operazione i nazisti furono guidati dai fascisti, ma ciò non viene rappresentato nel film. In una delle scene finali c'è una irrealistica scena in cui i tedeschi uccidono una italiana comunista “traditrice” proprio mentre viene aiutata dalle donne della famiglia Cossetto.

5) I fascisti istriani vengono presentati in maniera edulcorata, fascisti “solo perché se non avevi la tessera non lavoravi” (un prof. Ambrosin, interpretato da Franco Nero, il quale negli anni Settanta aveva invece partecipato al film jugoslavo “La battaglia della Neretva”); o fascisti “per fedeltà alla patria” o “al giuramento” (il soldato che non vuole essere “disertore”); o fascisti perché “tutti gli italiani lo erano” (lo dice la madre di Norma Cossetto); o fascisti perché il ruolo sociale lo imponeva (il padre di Norma Cossetto, ex podestà del paese, camicia nera, capomanipolo e gran possidente, sfruttatore di coloni “slavi”, cosa quest'ultima non detta). Non c'è il minimo accenno ai circa 40 mila italiani giunti in Istria per esercitare un potere coloniale (gerarchi fascisti, carabinieri, finanzieri, segretari comunali, maestri, famiglie intere di agricoltori, dato che con l'Ente Tre Venezie l'Italia fascista aveva sottratto migliaia di ettari ai contadini sloveni e croati, assegnandoli a famiglie provenienti da altre regioni d'Italia).
Di tutto questo non si fa cenno nel film. Invece in una scena particolarmente truce, il crudele partigiano slavo con stella rossa sul beretto fa uccidere un colono, ne fa stuprare la figlia dai suoi sgherri e poi lui stesso la moglie, solo perché il colono aveva detto di essere stato sempre trattato bene dal padrone (fascista). Gli sceneggiatori del film non possono sapere, ottenebrati dal loro razzismo, che i partigiani jugoslavi ottennero una grande adesione di popolo proprio perché furono particolarmente bravi e attenti nella propaganda politica, nello spiegare a chi aveva ancora una mentalità “servile” la necessità di ribellarsi.

6) Nel film, insomma, c'è un completo ribaltamento storico tra carnefici (i fascisti italiani) e le vittime (civili e partigiani jugoslavi) che vengono rappresentati come aggressori assetati di sangue e di vendetta, mentre stavano combattendo una strenua lotta per la loro sopravvivenza, dato che il fascismo aveva decretato la loro eliminazione (bonifica nazionale*).

* Ne parlo documentalmente nel mio libro Lager italiani, Nutrimenti 2008 o anche in Gonars 1942-1943. Un campo di concentramento fascista, Udine 2003)

7) La vicenda di Norma Cossetto, con il ben conosciuto metodo della “demonizzazione del nemico” viene isolata da tutto il contesto precedente (oppressione fascista) e da ciò che stava avvenendo in quei giorni nella penisola istriana, invasione tedesca e riconquista fascista, facendole assumere una valenza quasi mitologica, se non agiografica, presentando la giovane come un'eroina, buona per definizione, sospesa in una sorta di suo mondo fatto di giovinezza, studi, amore, amicizia, fede, bontà, e preda, improvvisamente, del “male assoluto”, rappresentato qui non dalla strega cattiva, ma dagli slavi e per di più comunisti.
Fuori dal mito, la storia personale di Norma Cossetto è quella di una delle tante donne che furono travolte dalle atrocità della guerra, atrocità che non furono certo iniziate dai partigiani jugoslavi. La versione filmica della sua sorte viene presentata come verità storica, mentre sulle circostanze, i modi e i responsabili non c'è documentazione e i particolari dello stupro, dell'infoibamento e tutte le scene raccapriccianti su cui il film si sofferma lungamente sono stati, se non del tutto inventati, basati su labili dicerie, ben usate nella guerra psicologica antipartigiana.
L'episodio viene ancora presentato come se nessuno ne avesse mai parlato prima. In realtà lo sciaccallaggio politico sulla figura di Norma Cossetto era già iniziato da parte dei repubblichini nel 1943; era uno dei tasselli di quella enorme operazione propagandistica messa in piedi dai servizi disinformativi della Xa Mas, continuata poi nel dopoguerra con un'infinità di libri, come ricordava anche Roberto Spazzali nel testo citato all'inizio di questa recensione. Le versioni del fatto sono innumerevoli e tra loro contrastanti, e chi, come Claudia Cernigoi ha analizzato i documenti dimostrandone l'inconsistenza e contraddittorietà, è stato minacciato e pesantemente diffamato da personaggi e ambienti (neo)fascisti.

Perché questa è la realtà: “Red Land” è un film di pura propaganda fascista, basato su stereotipi anticomunisti e razzisti antislavi, sullo stravolgimento della realtà storica per riabilitare il fascismo distruggendo l'immagine della Resistenza antinazifascista, e soprattutto del contributo dei comunisti.
La cosa più grave è che un film di pura propaganda fascista sia coprodotto dalla RAI, quindi al di là dell'inesistente valore storico-artistico e del più o meno scarso successo di pubblico, verrà proiettato più volte dalla RAI e probabilmente da altri canali televisivi, venendo visto comunque da milioni di persone; con l'appoggio della potente lobby delle associazioni degli esuli avrà sicuramente la massima diffusione in circoli, manifestazioni di vario tipo e forse nelle scuole (anche se perlomeno la estrema crudezza di tante scene comporterebbe di vietarne la visione ai ragazzi). Quindi non dobbiamo affatto sottovalutarne l'impatto sulla coscienza della gente.
Intanto a Udine viene proiettato in un cinema come il Visionario, che è stato uno dei luoghi culturali della sinistra e dell'antifascismo.
Io credo che si debba cercare di mobilitare il più possibile tutto l'antifascismo che rimane.

Udine, 27 novembre 2018
Alessandra Kersevan

 

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http://www.diecifebbraio.info/2018/11/gli-sceneggiatori-del-film-red-land-rosso-istria/

GLI SCENEGGIATORI DEL FILM “RED LAND – ROSSO ISTRIA”

di Claudia Cernigoi, 13 novembre 2018

È in distribuzione nei cinema un film (co-prodotto dalla Rai) ispirato alla vicenda di Norma Cossetto, la giovane istriana la cui salma fu recuperata da una foiba nel novembre 1943, e che è diventata, suo malgrado, un “simbolo” per gli anticomunisti ed i neoirredentisti, che narrano, pur non conoscendola (non esistono notizie certe sulla sua cattura e sulla sua morte, come abbiamo scritto nel dossier Il caso Norma Cossetto, che trovate a questo indirizzo http://www.diecifebbraio.info/2012/01/il-caso-norma-cossetto/ e vi consigliamo di leggere), una vicenda tragica e ricca di particolari al limite del morboso.

Il film Red Land – Rosso Istria è stato sceneggiato da un regista argentino, Maximiliano Hernando Bruno, del quale abbiamo trovato in rete una biografia da cui risulta che «tra i lavori più interessanti possiamo citare la partecipazione nel film Red Land (Rosso Istria) (2018) di Maximiliano Hernando Bruno» (!) e da un regista padovano, Antonello Belluco, che possiamo considerare “recidivo”, in quanto autore di un film sul cosiddetto “eccidio di Codevigo” (Il segreto d’Italia), in cui ebbe modo di disinformare gli spettatori anche su questo fatto storico. Non aveva ancora finito di girare questo film che Belluco aveva già dichiarato di voler realizzare anche un film su Norma Cossetto (il progetto originale prevedeva la colonna sonora di Simone Cristicchi, reduce dal successo teatrale di un’altra opera di disinformazione storica, Magazzino 18, di cui abbiamo diffusamente parlato su queste pagine), ma alla fine Belluco si limiterà a curare la sceneggiatura del film assieme al regista Bruno.

Tale sceneggiatura si baserebbe, sembra, su un “diario” scritto dal cugino di Norma Cossetto, Giuseppe, deceduto nel 2017: ma non è un diario che risale all’epoca dei fatti, è stato scritto (su pressione della figlia, da quanto si legge in un articolo di Fausto Biloslavo[1]), nel 2016, quindi a più di settant’anni di distanza dai fatti e quando l’autore aveva 96 anni. Ci sembra il caso di citare, prima di proseguire, quanto scrisse un funzionario di polizia giudiziaria in una relazione inserita in una delle inchieste sulle “foibe”:

«È opportuno rilevare che le indagini finora espletate sono risultate abbastanza complesse, anche in considerazione del lungo tempo trascorso da quei tragici fatti e dalla contemporanea scarsità di testimonianze. D’altra parte i testimoni ancora in vita o sono anziani o sono persone che all’epoca dei fatti erano ancor in tenera età e, pertanto, con ricordi non sempre immuni da suggestioni politico ambientali, sia dirette che per il tramite della carta stampata. La storia della Venezia Giulia nel periodo 43/45 è senz’altro stata tormentata da scontri etnici ed ideologici che certamente non hanno favorito una rivisitazione obiettiva di quanto avvenuto in quel tragico periodo»[2].

In effetti la “testimonianza” di Giuseppe Cossetto, resa dopo tanti anni, contraddice in vari punti quanto aveva scritto all’epoca dei fatti il maresciallo dei Vigili del Fuoco di Pola, Arnaldo Harzarich, che diresse i recuperi dalla foiba in cui era stata gettata Norma: il teste afferma di essere stato chiamato dai “pompieri” per andare ad assistere ai recuperi delle salme e di portare con sé un tronchese per tagliare il filo di ferro che legava le mani degli infoibati, e di avere tagliato lui stesso il filo di ferro che bloccava le mani della cugina. Ma innanzitutto non si comprende perché i Vigili del Fuoco dovessero domandare ad un civile (oltretutto parente della vittima) di portare un tronchese e di procedere lui al taglio del filo di ferro sulle salme; oltretutto va aggiunto che nelle dichiarazioni rilasciate da Harzarich all’epoca dei fatti, egli aveva specificato che la salma della giovane era l’unica a non avere le mani legate, come invece gli altri corpi rinvenuti.

Inoltre in questo “diario” Cossetto descrive la salma della cugina: «nuda coperta solo da una canottiera», mentre la sorella di Norma, Licia Cossetto, ebbe modo di rilasciare due dichiarazioni diverse: in un’occasione disse che era stata ritrovata «nuda», ma successivamente affermò che indossava un «golfino tirolese» e che fu da quel capo d’abbigliamento che la riconobbe[3].

Non ci dilunghiamo ulteriormente sulle contraddizioni delle “testimonianze” rese da tutte le persone che hanno dato la loro versione del ritrovamento della salma di Norma Cossetto, ma vi rimandiamo alla lettura del dossier precedentemente indicato.

Torniamo a parlare invece del regista Antonello Belluco, al quale dobbiamo la sceneggiatura. Classe 1956, padovano ma «figlio di esuli istriani»[4], laureato in Scienze politiche, è stato regista di spot pubblicitari e nel 2006 ha girato il suo primo film Antonio guerriero di Dio, dedicato al Santo patrono di Padova. Titolare della Eriadorfilm, casa di produzione cinematografica, sta ora preparando un nuovo film, sempre sui “crimini” dei partigiani, per il quale ha lanciato nuovamente un crowdfunding (come già fatto per Red Land e per il film sull’eccidio di Codevigo Il segreto d’Italia). E proprio in relazione a questo film troviamo un interessante collegamento, perché all’epoca in cui Belluco era ancora alla ricerca di fondi per il suo progetto, dalle pagine della Uomo Libero onlus era stato lanciato questo appello.

«Un regista bravo e scrupoloso, Antonello Belluco, sta realizzando un film su una storia dimenticata avvenuta a Codevigo (Padova), tra l’aprile e il maggio 1945, dove una brigata partigiana si rese protagonista di una vendetta cruenta, passando per le armi 150 fascisti -o presunti tali- rastrellati nella zona. La storia ha inciso profondamente nella coscienza e nella memoria della popolazione locale, tanto da voler essere dimenticata -a tutti i costi- ancor oggi; al punto che quando si è saputo che cosa volesse raccontare Belluco, tutte le porte gli si sono chiuse e un velo d’omertà è calato implacabile, come come la nebbia in quella pianura. Ma Belluco non si è arreso e, da uomo coraggioso e libero qual è, intende andare avanti e terminare la sua bella opera di denuncia e, soprattutto, d’amore e di pietà. Noi abbiamo deciso di aiutarlo, se intendete farlo anche voi guardatevi prima la trama del film su: http://www.eriadorfilm.it/»[5].

E quindi andiamo a vedere le attività di questa onlus, ma soprattutto la biografia del suo fondatore, il trentino Walter Pilo, classe 1951, segretario del Fronte della Gioventù a Bolzano nei primi anni ‘70, che fu tra partecipanti ad un campo paramilitare a Passo Pennes (BZ), scoperto il 1° luglio del 1971, il cui istruttore era quel Giuseppe Sturaro, che molti anni dopo verrà trovato negli elenchi della Gladio, e fu indicato, nel corso della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo come il «vice-comandante dell’Unità di pronto impiego Primula» della struttura Gladio, operante in Alto Adige[6]. Sette anni dopo, tutti i partecipanti al campo furono prosciolti.

Nel 1972 Pilo si rese protagonista, assieme ad altri tre neofascisti, dell’aggressione al locale corrispondente del Manifesto, avvenuta in pieno centro a Bolzano, davanti alla moglie ed al bambino piccolo del malcapitato Sergio Camin; e l’Unità scrisse che Pilo si era già reso responsabile di atti simili per cui aveva anche scontato alcuni mesi di detenzione (si vedano i numeri del 5 e del 12 giugno 1972).

Titolare di un bar a Riva del Garda e ristoratore ad Arco, nel 1993 Pilo registrò come onlus la sua organizzazione di “volontariato”, l’Uomo libero, nel cui sito leggiamo che le « prime iniziative degne di nota risalgono al 1990, con i viaggi nell’est europeo». Ed un rapporto particolare di «stima e collaborazione» questa onlus lo ha avuto con la località di Vitez, nella Bosnia centrale. Consideriamo che la località di Vitez è nota soprattutto per avere dato il nome (Vitezit) ad un particolare esplosivo militare a base di tritolo prodotto in quella cittadina; il Vitezit sembra essere stato usato sia per le stragi di piazza Fontana che di piazza della Loggia ed etichette di esso sono state trovate nel corso delle perquisizione a Giovanni Ventura ed al neofascista bresciano Silvio Ferrari, morto a causa dello scoppio dell’esplosivo che trasportava con la Vespapochi giorni prima della strage di Piazza della Loggia. Davvero curioso che con tutte le cittadine bisognose della Jugoslavia, Pilo sia andato a portare la propria solidarietà proprio nella sconosciuta (ai più, ma forse non a lui) Vitez!

Parliamo di contatti di Pilo con altre organizzazioni “solidariste”, come la Popoli del veronese Franco Nerozzi (autodefinitosi, in un incontro svoltosi a Trieste nel 2003 «bieco e delirante anticomunista»). Giornalista free lance, nei primi anni 90 Nerozzi lavorava per la Rai come corrispondente in zone di guerra e nel 1993 entrò in contatto con la sua concittadina Nidia Cernecca, esule istriana vicina all’MSI, che si era convinta che il responsabile della morte di suo padre Giuseppe, scomparso nel settembre 1943 durante la jacquerie istriana, fosse il dirigente partigiano croato Ivan Motika. Nerozzi, stando a quanto racconta la stessa Cernecca[7], si mostrò interessato e disponibile ad intervistare Motika per un servizio sul TG Sette; il 17/3/93 si recò a Zagabria assieme ad un operatore ed incontrò Motika, che aveva acconsentito a farli entrare in casa a condizione che non fossero fatte riprese (ma l’operatore le fece ugualmente, di nascosto). Nidia Cernecca si trovava in quei giorni in Slovenia per lavoro ed il giorno dopo Nerozzi le fece vedere le riprese, dopo di che i due, assieme all’operatore Capuozzo, andarono all’ospizio di Rovigno per incontrare un certo Tomissich, allora novantenne e cieco, per interrogarlo (sempre con la telecamera nascosta).

Nel dicembre 2002 Nerozzi si trovò coinvolto nelle indagini condotte dalle Procure di Verona e di Torre Annunziata su un sospetto traffico di “mercenari”, finiti in un giro di mercanti d’armi e di armati da mandare in varie parti “calde” del mondo a destabilizzare (o ristabilire l’ordine, a seconda del committente dell’incarico) in zone come le isole Comore, ma anche la Bosnia, il Ruanda, la Birmania. Si era ventilato il sospetto che l’attività “umanitaria” e “solidaristica” di Nerozzi fosse servita come copertura per altre attività illecite (in seguito Nerozzi ricorse al patteggiamento).

Con l’Uomo libero e con Popoli collabora su progetti di “aiuto” internazionale anche CasaPound: e (secondo un articolo di Andrea Palladino) proprio il leader di CasaPound Gianfranco Iannone si recò nel dicembre 2010 nel Kosovo, inviato dall’associazione di Pilo (con finanziamenti della Regione Trentino Alto Adige), assieme a quel Giovanni Battista Ceniti che sarebbe stato identificato tra coloro che tesero l’agguato mortale al cosiddetto “cassiere” di Gennaro Mokbel (uno degli attori della nota vicenda di mafia capitale assieme all’ex terrorista nero Massimo Carminati ed altri) Silvio Fanella, il 3/7/14[8]. Tracce di Ceniti, aggiunge Palladino, si sarebbero trovate proprio nel Trentino, a Riva del Garda dove, in un bar gestito da Walter Pilo il giovane sarebbe stato notato ed avrebbe dichiarato di gestire una pizzeria ad Arco.

Un filo nero davvero lungo… che continua se consideriamo che Belluco compare tra gli “amici” della pagina Facebook della Comunità politica Raido di Roma. Questa associazione (che a Trieste aveva come riferimento la sede ora chiusa di via Rapicio, dove si riunivano anche il Gruppo Unione Difesa ed Identità e Tradizione) porta il nome di una runa (la quinta runa, che rappresenta il carro di Odino ed il viaggio). Tutto il loro sito è permeato di simbologia nazista, e così si presentano:

«Siamo quelli che credono il Fronte della Tradizione si realizzi coi fatti e non con le belle parole… Sostieni RAIDO: dal 1995 iniziativa militante auto-finanziata ed extraparlamentare!».

Tra le loro iniziative, citiamo il convegno svoltosi a Roma il 29/9/07 (data che non rappresenta solo il compleanno di Berlusconi ma anche la ricorrenza di San Michele Arcangelo, cara a molti fascisti eversivi) dal titolo “Il passaggio del testimone – Dalla Rsi ai militanti del Terzo Millennio”. Tra i relatori troviamo il “filosofo” Mario Michele Merlino (l’infiltrato “nero” tra gli anarchici romani all’epoca di Piazza Fontana); il fantasioso studioso pordenonese dei “crimini dei partigiani” Marco Pirina; la nostra concittadina, Marina Marzi dell’Associazione Novecento ed il suo futuro marito, il reduce della Decima Mas Carlo Panzarasa; ma soprattutto un “grande vecchio” del fascismo (vetero e neo), Rutilio Sermonti, il cui intervento è stato così sintetizzato dai redattori della pagina: «con la sua voce stentorea ed “esplosiva” come lo scoppio di una Srcm, ha dapprima sottolineato la formidabile carica motivazionale che spinge tanti giovani a tutt’oggi, ad “abbracciare” gli ideali del Ventennio (…)»[9].

Tra gli “amici” della pagina FB di Raido Roma, oltre al nostro regista padovano, troviamo anche diversi protagonisti della strategia della tensione, cominciando dal terrorista Mario Tuti (prosciolto nelle indagini sulla strage dell’Italicus ma condannato per l’omicidio dei due agenti venuti ad arrestarlo) per proseguire con Luciano Franci, anch’egli accusato per la strage dell’Italicus; e poi Luigi Ciavardini (condannato per la strage di Bologna); Maurizio Murelli (condannato per concorso nella morte dell’agente Marino ucciso dalla bomba tirata dal missino Vittorio Loi il 12/4/73); Mario Michele Merlino ed il figlio Emanuele (regista teatrale che ha al proprio attivo alcuni spettacoli sulle foibe); l’avvocato antisemita pordenonese Edoardo Longo; diversi esponenti di CasaPound e di Forza Nuova; il “foibologo” triestino Giorgio Rustia, il veronese Franco Nerozzi ed anche il giornalista Fausto Biloslavo.

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei…


NOTE

[1] http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/diario-martirio-cos-ho-slegato-i-polsi-cadavere-norma-1598733.html, nel quale articolo sono pubblicate anche alcune pagine del “diario” di Cossetto.

[2] Rapporto della DIGOS di Trieste datato 22/2/93, inserito nel procedimento penale 904/97 RRG della Procura di Roma.

[3] Rispettivamente in Nadia Giugno Signorelli, “Superare fratture e divisioni nel nome di Norma Cossetto”, la Voce del Popolo, 7/10/06 e in Frediano Sessi, Foibe rosse Marsilio 2007, pag. 33.

[4] https://www.film.it/film/attori/p/antonello-belluco/.

[5] Post d.d. 9/12/12 in http://www.luomolibero.it/2012/12/il-segreto/.

[6] http://www.senato.it/documenti/repository/relazioni/archiviostorico/commissioni/X%20LEG_TERRORISMO_DOC_RELAZ/X_%20LEG_TERRORISMO_DOC%20XXIII_52_22.4.92.pdf.

[7] Cfr. N. Cernecca, Foibe. Io accuso, Controcorrente 2004.

[8] http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/17/omicidio-fanella-la-rete-nera-di-ceniti-dal-trentino-al-kosovo/1060862/.

[9] http://www.azionetradizionale.com/2007/10/06/recensione-il-passaggio-del-testimone-29-settembre/

 


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