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Contro la retorica europeista
 
1) EUROPA E RETORICA EUROPEISTA (di M. Veronese Passarella)
2) STORIA:
– Ventotene (Luigi Longo, 1965)
– Quando il PCI non era europeista  (di Alessandro Pascale)
3) V.I. LENIN: SULLA PAROLA D’ORDINE DEGLI STATI UNITI D’EUROPA
– Estratto 
– Un secolo dopo (KKE, 2016) 
– Lenin 1916 über Propaganda für »Vereinigte Staaten von Westeuropa« ohne Russland
4) LETTERATURA:
– Günter Grass: Europas Schande / Sramota Europe (2012)
– Srečko Kosovel: Destrukcije (1926)
– Miroslav Krleža o Evropi (1926–1953)
– Đuro Jaksić: Evropi / A Te, Europa (1867–1875)
 
 
Segnaliamo anche:
 
Europa: Il problema è il nazionalismo tedesco (anche se nessuno lo dice) (Matteo Zola, 11 settembre 2019)
 
Breve guida sul lobbismo nelle arene dell'Unione Europea (di Gary Dagorn e Stéphane Horel | lemonde.fr, 24/05/2019)
 
I comunisti e l’Unione Europea: VIDEO integrale del dibattito organizzato sabato 11 maggio 2019
 
L’Unione Europea? Una baracca pericolosa per chi ci vive dentro… (di Paolo Savona * Milano Finanza, 16 marzo 2017)
http://contropiano.org/documenti/2017/03/17/lunione-europea-baracca-pericolosa-ci-vive-dentro-089979
 
 
=== 1 ===
 
 
Europa e retorica europeista
 
di Marco Veronese Passarella *
28 Novembre 2019
 

Ci riflettevo oggi. Il mio dissenso con la maggioranza degli economisti critici italiani non riguarda, in realtà, la specifica risposta alla questione “Uscita sì? Uscita no?” da Unione Europea e sottoinsiemi. Io stesso non ho una posizione così netta su questo punto, essendo l’uscita semmai una conseguenza (dagli esiti incerti) e non la causa di politiche economiche radicali. 

Il mio dissenso é invece legato ad una triplice riduzione o identificazione che gli unionisti fanno e che io trovo invece infondata e fuorviante: quella tra Area Euro e Unione Europea, quella tra Unione Europea ed Europa, e infine quella tra Europa e Bene Assoluto.

Non mi soffermo sulla prima, perché sapete tutti a cosa mi riferisco. Passo dunque alla seconda identificazione, Unione Europea=Europa, che non è solo un’inesattezza sul piano storico, geografico e politico. 

Il richiamo emotivo all’Europa (sia esso giocato in positivo, “l’unione dei popoli europei come reazione all’orrore delle guerre mondiali”, ovvero in negativo, “la riproposizione con altri mezzi del Terzo Reich”) impedisce di guardare all’Unione Europea per quello che è: un’area di libera circolazione di merci e capitali dotata di un coordinamento macroeconomico deflazionista – sigillato dall’obbligo di adozione della valuta unica, che vale ad impedire qualsivoglia riallineamento dei tassi di cambio reali attraverso un aggiustamento dei cambi nominali.

Evito, invece, di entrare qui nel merito del rapporto di gemellanza siamese, e sia pure non priva di contraddizioni, tra Unione Europea e dispositivo di difesa atlantico in chiave anti-russa.

Nota a margine per gli amanti del “ce lo impone la globalizzazione”. Non vi è alcuna evidenza empirica che la maggior dimensione geografica si associ a migliori condizioni di vita e di lavoro, o a migliori risposte tecnologiche alle tanto strombazzate sfide globali, essendo i primi paesi in Europa per reddito pro-capite, uguaglianza e innovazioni tutte piccole economie che hanno aderito a condizioni speciali o non aderito affatto all’Unione Europea (Danimarca, Svezia e Norvegia).. 

D’altra parte, un Green New Deal su scala continentale, o anche solo nazionale, é in questo momento impedito, non incentivato, dalle regole unioneuropee. Le quali non sono state fatte per incentivare la collaborazione tra paesi, ma per favorire la centralizzazione-concentrazione di capitali e tecnologie lungo l’asse franco-tedesco. 

Ecco perché faremmo meglio a relegare il feticismo della dimensione ad altri e più gratificanti (si spera) ambiti della nostra vita associata.

Venendo alla terza identificazione, Europa=Bene Assoluto, non ho da obiettare se per qualcuno Europa significa, che so, i capolavori della musica classica, l’illuminismo e, perché no, la fondazione della Prima Internazionale. Va da sé che Europa significa anche questo. 

Ma “anche questo” non vuol dire “solo questo”. Europa significa altresì deportazione di schiavi, colonialismo e campi di concentramento. Significa bombardamenti su Belgrado, appoggio ai nazisti ucraini contro il nemico r(u)sso e finanziamenti a bande criminali in Turchia e Libia per bloccare i flussi migratori.

Insomma, anche a voler accettare le prime due riduzioni, non vi è alcunché di intrinsecamente positivo (o negativo) nell’essere europei. Così come non vi è nulla di intrinsecamente positivo (o negativo) nell’essere italiani, catalani o tedeschi. A meno di non rispolverare vecchie suggestioni che faremmo bene a lasciare nel dimenticatoio della storia.

Ecco perché se non possiamo non dirci europei, possiamo ed anzi dobbiamo rifuggire ogni retorica europeista. Ma su questo, a quanto pare, sono in pochi a pensarla come me.

* da Facebook

 
=== 2: STORIA ===
 
 
Ventotene
 
di Luigi Longo, confinato politico a Ventotene
 
Per ristabilire un minimo di verità storica sul confino di Ventotene, diventato immeritatamente e a colpi di fake news, il simbolo dei precursori dell'imperialismo UE, si propone quanto l'indimenticabile grande dirigente comunista Luigi Longo ha scritto nel suo libro Un popolo alla macchia a proposito dell'esperienza vissuta dagli eroici militanti (in gran parte comunisti) segregati nell'isola dalla dittatura fascista di Mussolini.
 
«Mentre tutto intorno crescevano e s'avvicinavano le fiamme della guerra, mentre nelle città e nelle campagne lavoratori, impiegati, professionisti e intellettuali si agitavano, si muovevano, premevano per avere pace e libertà, nelle carceri e nelle isole di confino italiane centinaia e migliaia di antifascisti si struggevano nella loro forzata inattività, tendevano ansiosamente l'orecchio a tutti i suoni, a tutte le briciole di notizia che giungevano dall'esterno, soffrivano crudelmente per le pene della patria e sentivano che presto, forse prestissimo, sarebbero stati chiamati a prendere in mano le sorti del paese e a tentarne l'estrema salvazione.
 
L'isola di Ventotene era come la capitale di questo mondo di captivi. Nella primavera del '43 essa raccoglieva un migliaio circa di dirigenti e di umili militanti di tutte le correnti dell'antifascismo italiano. Eravamo finiti là provenienti da tutte le parti - molti dopo cinque, dieci e anche quindici e più anni di reclusione sofferta - prelevati dalle città e dalle campagne d'Italia perché sorpresi a parlare contro il fascismo e la guerra; reduci, noi garibaldini di Spagna e gli emigrati, dai campi francesi di internamento, dove eravamo stati rinchiusi allo scoppio della guerra. Ci affratellavano le comuni sofferenze, le stesse speranze e un uguale amore di libertà.
 
Due volte la settimana un battello congiungeva l'isola al continente: portava le provviste, qualche familiare e sempre nuovi confinati. Ma portava anche i giornali e le notizie dall'Italia. Scorrevamo avidamente i comunicati ufficiali, che cercavamo di completare e di arricchire leggendo tra le righe, ma; soprattutto, correvamo a scoprire le comunicazioni confidenziali, “illegali”, che ci arrivavano nascoste nelle pieghe di un vestito, nella copertina di un libro, nei “doppi” più impensati.
 
Con emozione indicibile seguivamo in quei giorni il corso della guerra, apprendevamo le rovine che si accumulavano nelle nostre città bombardate, salutavamo le prime manifestazioni di resistenza popolare alla folle politica fascista. Il sentire - come sempre di più sentivamo - la grande anima dell'Italia vicina a noi ci risollevava, ci riempiva di fierezza e di speranza. Erano lunghe serate di attesa, nelle tristi camerate della nostra deportazione: lunghi giorni di meditazione, dinanzi al mare d'Italia; un'impaziente preparazione alla lotta aperta, tempestata di presentimenti amari, di preoccupazioni non mai sopite per la sorte del nostro. popolo. Era la nostra vigilia immediata? Si giungerà in tempo? Si potrà evitare che il popolo venga defraudato dei suoi sacrifici e della sua riscossa? Si salverà l'Italia dal tedesco e da nuovi tradimenti?
 
Intanto non si perdeva il tempo. Ventotene non era soltanto l'isola di confino voluta dal fascismo, ma era anche, come ogni carcere e ogni altra isola di deportazione, un centro di formazione politica dei confinati e di direzione del movimento per la pace e la libertà all'interno del paese. Molti, tra coloro che salparono da Ventotene dopo la caduta del fascismo, lasciarono la vita sulle montagne o nelle segrete nazifasciste. Non per nulla gli antifascisti definivano, con una punta di scherzo e una di profonda serietà, “governo di Ventotene” il gruppo dei confinati. Tra Ventotene e il paese si svolgeva, soprattutto a mano a mano che la lotta si acuiva, un ricambio continuo e proficuo: il lavoro unitario dell'isola si rifletteva sui «fronti nazionali» dell'interno, e viceversa; avveniva uno scambio, un'osmosi incessante fra le esperienze di Ventotene - che non erano meramente teoriche, proprio perché operavano sulla realtà dei rapporti politici e umani tra i suoi “ospiti”, e influivano sulla ben più complessa realtà del paese - e quelle del continente.
 
Nonostante la sorveglianza, nessuno dei confinati rimaneva all'oscuro degli avvenimenti, e soprattutto delle considerazioni politiche che se ne potevano trarre. Per i comunisti ad esempio, Scoccimarro, Secchia, Li Causi, Roveda, Di Vittorio, io, elaboravamo ogni settimana un rapporto di informazione sulla situazione italiana e lo diffondevamo “a catena”, fino a toccare tutti i compagni dell'isola nel giro di cinque o sei giorni. Ognuno di noi si dava a passeggiare con due compagni, tirandosi appresso le guardie incaricate di pedinarci, le quali però si stancavano presto e finivano per mettersi a passeggiare e a chiacchierare tra di loro. Ciascuno dei due compagni, a sua volta, ripeteva la relazione che aveva udita ad altri due. Non si poteva certo giurare che il primo e l'ultimo contesto dicessero esattamente la stessa cosa; ma un orientamento, una qualche indicazione arrivava in questo modo, di certo, su tutte le questioni più importanti a tutti i compagni del confino».
 
Luigi Longo “Un popolo alla macchia” Editori Riuniti 1965
 
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Quando il PCI non era europeista 

di Alessandro Pascale  14/07/2019
 

Di recente Luca Cangemi ha pubblicato un prezioso libro che meriterebbe ampia diffusione. Si intitola Altri confini.. Il PCI contro l'europeismo (1941-1957) [1], edito per DeriveApprodi, con prefazione di Giorgio Cremaschi. Fin dal titolo si capisce il contenuto dell'opera, il che costituirà una sorpresa per chi non conosce la storia del PCI; purtroppo sono molti i “compagni” odierni che non hanno avuto la pazienza o il tempo per farlo. Penso soprattutto ai più giovani della “generazione erasmus” che crescono in un clima di sfrenato filoeuropeismo e che assorbono come spugne, e non senza una certa indifferenza, qualsiasi amenità raccontata dai media e dalla gran parte del ceto politico attuale.

L'opera in questione invece ha il pregio di ricordare, in maniera snella (un centinaio di pagine ben scritte) un'altra storia di cui proverò a tracciare i contenuti essenziali, limitando al minimo ulteriori osservazioni.

Il peccato originale

Occorre innanzitutto partire dalla “decisiva matrice statunitense” della comunità europea (poi UE), così come ricordato ad esempio da Lucio Caracciolo, direttore della prestigiosa rivista Limes [2]. Il perché è presto detto: l'unità dell'Europa occidentale era necessaria in funzione antibolscevica nell'ambito della guerra fredda, scatenata dagli USA fin dal 1945. Di tutto ciò ha dato prova inoppugnabile Filippo Gaja in un libro troppo spesso dimenticato come Il secolo corto (1994).

Ci sono certamente altre ragioni per cui l'Europa sia nata con il consenso delle classi dirigenti europee: ad esempio quella di garantire gli interessi coloniali europei, in un momento, quello del dopoguerra, in cui sono in centinaia di milioni in tutto il mondo ad alzare la testa per emanciparsi dal brutale dominio occidentale: “l'unità dell'Europa diventa quindi funzionale a questa resistenza geopolitica e ideologica, che si esercita soprattutto contro le lotte anticoloniali dei popoli dell'Africa e dell'Asia” [3]. All'epoca i comunisti hanno consapevolezza della questione, e ricordano fin dal 1944 come le iniziative ‘europeiste’ degli anni '30 fossero “di origine fascista”, miranti a costruire nient'altro che “una diga antisovietica” [4].

Spinelli e le influenze culturali del manifesto di Ventotene

Certo, la celebre prospettiva federalista del manifesto di Ventotene matura negli anni '40, non è imputabile di simpatie fasciste. Eppure il suo maggiore ispiratore, Altiero Spinelli, “si nutre di una cultura estranea e ostile al movimento operaio”, tanto da negare nettamente “la coincidenza tra socialismo e marxismo”, oltre che tra “collettivismo e lotta di classe” [5].

Maggiore ispirazione gli viene invece, come ammesso dallo stesso Spinelli, dal liberale Luigi Einaudi, in un esito eterodosso che lo conduce a rifiutare nettamente “la logica degli Stati sovrani”. Come costruire il nuovo ordine federalista? Influenzando le élites politiche: “Le masse sono programmaticamente escluse” dall'azione politica di Spinelli, in quanto “mosse da sentimenti e non da ragionamenti” [6].

Gli europeisti al servizio della reazione

Oltre al ben noto Spinelli chi sono gli altri europeisti dell'epoca? Gente che non può “che rafforzare la diffidenza e l'ostilità” dei comunisti: all'estero il noto anticomunista Winston Churchill; in Italia, nell'ambito della “sinistra di matrice marxista”, dei “marginali e isolati uomini e gruppi” come quelli che si raggruppano intorno alla rivista Europa Socialista diretta da Ignazio Silone, consapevole collaborazionista della CIA (così come Spinelli d'altronde) [7]. C'è poi anche una piccola corrente interna al Psiup, guidata da “Zagari, Libertini [tra i padri fondatori del PRC, ndr], Vassalli, Solari e altri” il cui organo di stampa viene significativamente denominato Iniziativa Socialista per l'unità europea [8]. Davvero poco altro, con gran dispiacere di Spinelli ed Ernesto Rossi.

L'impronta atlantico-cristiana

Logico quindi che Spinelli inizi nel 1947 ad esaltare il piano Marshall, giudicato utile per costruire “un'Europa occidentale fortemente legata agli interessi e alle strategie degli USA, orientata decisamente in senso antisovietico” [9]. Mentre gli USA aggiornano febbrilmente i piani militari per un bombardamento nucleare preventivo dell'URSS, nel 1948 partono i preparativi per costruire “un patto militare in difesa dell'Europa occidentale”, pensato da inglesi e francesi come uno strumento per mantenere un ruolo internazionale indipendente tra i due blocchi, pur tenendo ferma l'alleanza con gli USA [10]. L'Europa che si va progettando, con il supporto dei “capi socialisti di destra”, è nella sostanza un polo imperialista, che viene mascherato dalla sempre più forte “matrice democristiana” con cui ci si richiama all'Europa “di Carlo Magno”, ossia al carattere di guida dato dal cristianesimo cattolico-conservatore, volenteroso di restare ancorato al fronte atlantico e anticomunista [11].

Lo scontro interno al mondo marxista

Il collaborazionismo mostrato da ampi settori della II Internazionale (quella socialista ed eurocentrica) riaccende vecchi conflitti ideologici che si credeva sedati, come quando Lenin polemizzava con Trockij sulla parola d'ordine degli Stati uniti d'Europa [12]. Se le tesi di Trockij erano state sconfitte definitivamente nel congresso del Comintern del 1928, il loro riaffiorare in forme simili nel dopoguerra spinge i comunisti alla ferma opposizione [13]. Così Togliatti nel 1952: “Tutte queste chiacchiere sull'unità dell'Europa, sul federalismo europeo, dobbiamo dunque saperle smascherare a dovere, mostrare a tutti che si tratta di un ciarpame vergognoso, col quale si copre la rinascita del militarismo tedesco e del militarismo italiano e la costituzione di un blocco di forze aggressive al servizio dell'imperialismo americano” [14].

Anche in campo socialista però non mancano le perplessità e i dubbi su questo europeismo atlantista e conservatore, tant'è che PSI e SPD se ne pongono all'opposizione fino alla seconda metà degli anni '50 [15].

La matrice militarista

Nonostante un ampio fronte socio-politico (in Italia comprendente anche settori di Confindustria e della sinistra DC) contrario al progetto della Comunità europea di difesa (CED), l'esercito integrato europeo sarebbe probabilmente nato già a metà anni '50 se non ci fosse stata l'opposizione parlamentare francese; ciò ha l'effetto decisivo al “ripiego” di riarmare e inserire nella NATO la Germania occidentale, generando la proposta di nuovi accordi come l'UEO (Unione europea occidentale), presto bollata da Emilio Sereni come “un nuovo aperto attentato contro la sovranità nazionale e contro la pace” [16].

Il fatidico 1956 e la svolta socialdemocratica

A segnare la grande svolta sul tema europeista sarà il fatidico anno 1956, con la destalinizzazione lanciata da Chruscev. Alla denuncia socialdemocratica dello stalinismo si accompagnerà la critica serrata anche “dei dati strutturali del sistema sovietico” e la ricerca di un “europeismo socialista”, ciononostante ancora pensato come alternativo all'europeismo atlantista [17].

Nonostante l'opposizione di Sandro Pertini (“atlantismo più europeismo uguale a Guerra fredda”) il PSI porrà come proprio obiettivo politico “una nuova organizzazione democratica e unitaria dell'Europa” a partire dal proprio XXXII Congresso [18]. Nello stesso periodo muta anche la linea della SPD, dando luogo al blocco politico che governerà l'Europa fino ad oggi: democristiani + socialdemocratici, all'insegna di un'impianto liberista e atlantista che governa con un “metodo funzionalista” fondato sul “negoziato permanente” tra le classi dirigenti europee.

Nessuno spazio in questa ottica per un federalismo democratico [19], tant'è che Spinelli e i suoi compari, con il nuovo Manifesto dei federalisti europei (maggio 1957) passeranno all'opposizione di una siffatta integrazione continentale che non differisce “sostanzialmente in nulla dalle tradizionali organizzazioni internazionali subordinate alla concertazione dei diversi Stati nazionali, paralizzate dai veti frutto di interessi particolaristici” [20].

Le prime crepe nel PCI

È significativo che in questo periodo si assista alla comparsa delle prime crepe anche nel PCI: è del settembre 1956 la presa di posizione del segretario della FGCI, Renzo Trivelli, a favore di “una posizione più coraggiosa e aperta verso la questione dell'unità europea”, proponendo “unatteggiamento nuovo nei confronti degli organismi europeisti esistenti perché vi prevalgano gli interessi dei popoli” [21]. Ad appoggiare le posizioni revisioniste del “giovane” Trivelli è Alfredo Reichlin dalle pagine dell'Unità nel gennaio 1957, proponendo la necessità di unire le forze progressiste per dare un taglio diverso all'Europa [22].

Togliatti e il gruppo dirigente del PCI non si fanno però incantare dalle nuove sirene e mantengono una ferma opposizione ai trattati europei di Roma, accusandoli di provocare la sottomissione dell'economia nazionale agli interessi dei monopoli e una sostanziale “neutralizzazione” del contenuto sociale della Costituzione Repubblicana [23]. Il PCI non cambierà giudizio sul Mercato comune (Mec) neanche negli anni '60, preferendo porre l'enfasi sulle vie nazionali al socialismo.

In questo periodo “sulla comunità europea, in modo abbastanza defilato, si attiva un meccanismo che possiamo definire di adattamento”, con cui si critica, forse con eccessivo “estremo realismo”, la sostanza antidemocratica dell'Europa, rivendicando un'inclusione e un diritto di tribuna negli organismi rappresentativi, tra cui il “decorativo” Parlamento europeo. Nonostante l'apparenza d'altronde è in questa fase che germogliano i semi del revisionismo all'interno del partito, lasciando la “questione europea” all'azione politica di Giorgio Amendola e più in generale alla corrente dei miglioristi.

Dall’euro-comunismo al trionfo di Napolitano

La svolta effettiva del PCI sul tema avviene negli anni '70 con la fase berlingueriana dell'eurocomunismo, che consente l'incontro con il redivivo Altiero Spinelli, eletto con i voti comunisti da indipendente nel Parlamento nazionale (1976) e poi in quello europeo (1979): “Spinelli però tenne sempre a precisare che erano i comunisti che aderivano alle sue posizioni”, ricorda Cangemi, con un velato atto di accusa alla direzione berlingueriana dell'epoca. Non è un caso che in questo periodo Spinelli dissenta pubblicamente dal Partito che lo ha fatto eleggere “su temi essenziali come lo Sme e il dislocamento in Europa dei missili USA Cruise e Pershing” [24].

È in questo periodo, e ancor più negli anni '80, che assume un ruolo via via crescente “il vero fulcro della narrazione migliorista, Giorgio Napolitano”, di cui l'autore sottolinea i rapporti con settori europei più o meno riformisti e socialdemocratici, “ma anche statunitensi”. L'europeismo del PCI si accentuerà ormai inesorabile negli anni '80, “fino a fare dell'europeismo uno dei riferimenti ideali centrali dell'ultimo PCI (si veda il congresso del 1986) e poi, soprattutto, uno degli assi della costruzione del PDS” [25].

La riscrittura della storia e l’invenzione del mito

Rimaneva da costruire una nuova narrazione retrospettiva, compito assolto da una serie di storici revisionisti compiacenti (giudizio mio) come i miglioristi Severino Galante (filo-amendoliano) [26], Mauro Maggiorani e Paolo Ferrari (filo-Napolitano) [27].

Cangemi sottolinea infine come la celebrazione di Spinelli sia costruzione politica recente, dovuta in particolar modo all'azione politica di Napolitano, che svolgerà il primo discorso pubblico da Presidente della Repubblica il 21 maggio 2006, a Ventotene, in occasione del 20° anniversario della scomparsa del “federalista europeo”. Napolitano è stato quindi determinante per dare linfa ad una “tradizione inventata di sana pianta” (Hobsbawm). Scrive Cangemi: “Il ruolo effettivo di Spinelli nel dibattito politico sulle istituzioni europee, anche in Italia e non solo sul piano continentale è, almeno fino all'elezione nelle liste comuniste, di un rilievo assai minore di quanto si tenda ad accreditare. Nulla, invece, può considerarsi la sua efficacia sui processi reali. È però soprattutto l'opinione, diffusissima, che esso rappresenti, sin dal manifesto di Ventotene, il punto di vista di sinistra sull'unità europea che è del tutto destituita di ogni fondamento”.

Spinelli, diventato in anni recenti “icona del traghettamento della sinistra italiana, e in particolare di quella di origine comunista, da un'antica opposizione a un europeismo acritico”, è diventato famoso grazie a “risorse imponenti” e alla “mobilitazione di grandi apparati istituzionali, accademici, editoriali» in un'operazione in cui il ruolo di Giorgio Napolitano «è stato assolutamente centrale” [28].

Se qualcuno voleva capire l'origine dei problemi della sinistra odierna ha sicuramente con questo libro molti elementi su cui riflettere.

 

Note

[1] L. Cangemi, Altri confini. Il PCI contro l'europeismo (1941-1957), Derive Approdi, Roma 2019.

[2] Ivi, pp. 13-14.

[3] Ivi, p. 18.

[4] Ivi, p. 21.

[5] Ivi, p. 23.

[6] Ivi, p. 24.

[7] Come riporta con tanto di documenti Frances Stonor Saunders nel suo magistrale Gli intellettuali e la CIA; per quanto riguarda Silone si può vedere anche vd A. Pascale, Il totalitarismo liberale. Le tecniche imperialiste per l'egemonia culturale, La Città del Sole, Napoli 2019, p. 241, 352, 356.

[8] L. Cangemi, Altri confini, cit., p. 32.

[9] Ivi, p. 35.

[10] Ivi, p. 38.

[11] Ivi, pp. 42-43.

[12] Si veda sulla questione l'articolo del 1915 non privo di attualità, riportato da Marxists.org.

[13] L. Cangemi, Altri confini, cit., pp. 46-47.

[14] Ivi, p. 54.

[15] Ivi, p. 48.

[16] Ivi, pp. 58-59.

[17] Ivi, pp. 61, 68-69.

[18] Ivi, p. 74.

[19] Ivi, p. 62.

[20] Ivi, pp. 71-72.

[21] Ivi, p. 64.

[22] Ivi, p. 76.

[23] Ivi, p. 78. Il tema dell'incompatibilità dei trattati europei con la Costituzione è stato ripreso negli ultimi anni da Vladimiro Giacché in V. Giacché, Costituzione italiana contro trattati europei: Il conflitto inevitabile, Imprimatur, Reggio Emilia 2015.

[24] L. Cangemi, Altri confini, cit., p. 94.

[25] Ivi, pp. 85-88.

[26] Il Partito comunista italiano e l'integrazione europea: il decennio del rifiuto, 1947-1957, opera del 1988. Scrive Cangemi a p. 89: “la tesi dello storico, che è anche dirigente comunista, è quella di un partito costretto per la sua storia e per la sua costruzione materiale a seguire l'URSS nella lotta all'europeismo ma senza esserne fino in fondo convinto […]. Lo storico padovano cerca, così, di salvare un'idea di continuità politica, anche laddove ciò appare assai complesso. […] Davvero appare difficile rintracciare un filo rosso che unisca l'opposizione alla CECA alle posizioni nettamente europeiste del congresso del 1986”.

[27] L'Europa da Togliatti a Berlinguer.. Testimonianze e documenti 1945-1984, opera del 2005. Scrive Cangemi a p. 90: “nato con il contributo finanziario del gruppo dei Democratici di sinistra della Regione Emilia Romagna, […] è assai visibile la presenza dell'impostazione di Giorgio Napolitano”. La tesi di fondo, storiografica e politica, degli autori: “l'accettazione cui infine il PCI pervenne di una prospettiva europeistica vagamente federalistica viene discussa e proposta come una svolta positiva nella storia del partito”. Il testo si caratterizza anche per la polemica da destra verso l'eurocomunismo, per il totale oscuramento del tema coloniale, per la rimozione delle razioni nazionali dell'opposizione all'integrazione europea e per la sottolineatura positiva dell'ingresso nel PCI di “settori significativi della borghesia italiana”, che avrebbe favorito il mutamento di prospettiva del partito.

[28] Ivi, pp. 93-95.

=== 3: V. I. LENIN ===
 
Vladimir Ilič Lenin
 
Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa

Pubblicato per la prima volta nel Sotsial-Demokrat, n. 44, 23 agosto 1915
 
 
Un estratto consigliato da Vladimiro Giacchè:

In regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa equivalgono ad un accordo per la spartizione delle colonie. Ma in regime capitalistico non è possibile altra base, altro principio di spartizione che la forza. Il miliardario non può dividere con altri il "reddito nazionale" di un paese capitalista se non secondo una determinata proporzione: "secondo il capitale" (e con un supplemento, affinché il grande capitale riceva più di quel che gli spetta). Il capitalismo è la proprietà privata dei mezzi di produzione e l'anarchia della produzione. Predicare una "giusta" divisione del reddito su tale base è proudhonismo, ignoranza piccolo-borghese, filisteismo. Non si può dividere se non "secondo la forza". È la forza che cambia nel corso dello sviluppo economico. Dopo il 1871 la Germania si è rafforzata tre o quattro volte più dell'Inghilterra e della Francia, e il Giappone dieci volte più rapidamente della Russia. Per mettere a prova la forza reale di uno Stato capitalista, non c'è e non può esservi altro mezzo che la guerra. La guerra non è in contraddizione con le basi della proprietà privata, ma è il risultato diretto e inevitabile dello sviluppo di queste basi. In regime capitalistico non è possibile un ritmo uniforme dello sviluppo economico, né delle piccole aziende, né dei singoli Stati. In regime capitalistico non sono possibili altri mezzi per ristabilire di tanto in tanto l'equilibrio spezzato, al di fuori della crisi nell'industria e della guerra nella politica..

Certo, fra i capitalisti e fra le potenze sono possibili degli accordi temporanei. In tal senso sono anche possibili gli Stati Uniti d'Europa, come accordo fra i capitalisti europei... Ma a qual fine? Soltanto al fine di schiacciare tutti insieme il socialismo in Europa e per conservare tutti insieme le colonie accaparrate contro il Giappone e l'America, che sono molto lesi dall'attuale spartizione delle colonie e che, nell'ultimo cinquantennio, si sono rafforzati con rapidità incomparabilmente maggiore dell'Europa arretrata, monarchica, la quale comincia a putrefarsi per senilità.. In confronto agli Stati Uniti d'America, l'Europa, nel suo insieme, rappresenta la stasi economica. Sulla base economica attuale, ossia in regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa significherebbero l'organizzazione della reazione per frenare lo sviluppo più rapido dell'America.. Il tempo in cui la causa della democrazia e del socialismo concerneva soltanto l'Europa, è passato senza ritorno.

Gli Stati Uniti del mondo (e non d'Europa) rappresentano la forma statale di unione e di libertà delle nazioni, che per noi è legata al socialismo, fino a che la completa vittoria del comunismo non porterà alla sparizione definitiva di qualsiasi Stato, compresi quelli democratici. La parola d'ordine degli Stati Uniti del mondo, come parola d'ordine indipendente, non sarebbe forse giusta, innanzitutto perché essa coincide con il socialismo; in secondo luogo, perché potrebbe ingenerare l'opinione errata dell'impossibilità della vittoria del socialismo in un solo paese e la concezione errata dei rapporti di tale paese con gli altri.
 
(Lenin, 1915)
 
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www.resistenze..org - pensiero resistente - imperialismo - 13-12-16 - n. 614

L'UE e le altre unioni imperialiste un secolo dopo l'opera di Lenin Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa

Partito Comunista di Grecia (KKE)kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

12/12/2016

Il 10/12/2016 la delegazione del KKE al Parlamento europeo ha organizzato ad Atene un seminario internazionale sul tema "Un secolo dopo la pubblicazione dell'opera di V.I. Lenin Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa", in risposta all'invito del Plenum dei partiti aderenti alla "Iniziativa comunista europea".

Dimitris Koutsoumpas, SG del CC del KKE, ha dato il benvenuto all'incontro, mentre il discorso introduttivo è stato pronunciato da Kostas Papadakis, membro del CC del KKE ed eurodeputato del Partito.

I seguenti 20 Partiti Comunisti e Operai hanno partecipato al seminario, che fa luce sui seri e complessi sviluppi per i lavoratori correlati alle unioni e agli accordi capitalisti interstatali:

Partito del Lavoro d'Austria, PC del Venezuela, Nuovo PC della Gran Bretagna, PC unificato della Georgia, PV in Danimarca, PC di Grecia KKE, Partito dei lavoratori d'Irlanda, PC dei Popoli di Spagna, PC (Italia), Movimento Socialista del Kazakistan, PC dei Lavoratori della Bielorussia, Fronte popolare socialista di Lituania, PC del Messico, PC di Norvegia, Partito dei Lavoratori ungherese, Unione dei comunisti di Ucraina, PC dei lavoratori russi, Nuovo PC di Jugoslavia, PC di Svezia, PC (Turchia).
 
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junge Welt (Berlin), Ausgabe vom 05.03.2016, Seite 3 (Beilage) / Geschichte
 
Imperialismus heißt Einwanderung

Lenin 1916 über Propaganda für »Vereinigte Staaten von Westeuropa« ohne Russland, die »gegen die Neger Afrikas« und »eine islamitische Bewegung großen Stils« zusammenwirken sollen
 
[PHOTO: Zu den »Verdiensten« des Imperialismus gehört nach Meinung von Freunden des Kolonialismus »die Erziehung der Farbigen zur Arbeit«: Ein iranischer Elektroingenieur am 23. November 2015 an der Grenze zwischen Griechenland und Mazedonien bei Idomeni]
 
Wir müssen nun noch auf eine sehr wichtige Seite des Imperialismus eingehen, die bei den meisten Betrachtungen über dieses Thema nicht genügend beachtet wird. (…) Wir sprechen von dem Parasitismus, der dem Imperialismus eigen ist. (...)

Der deutsche Opportunist Gerhard Hildebrand, der seinerzeit (trat seit 1909 publizistisch für den Kolonialismus ein, jW) wegen seiner Verteidigung des Imperialismus aus der Partei ausgeschlossen wurde (1912, jW), heute aber wohl ein Führer der sogenannten »sozialdemokratischen« Partei Deutschlands sein könnte, ergänzt (John. A.) Hobson ausgezeichnet, indem er die »Vereinigten Staaten von Westeuropa« (ohne Russland) propagiert und zwar zum »Zusammenwirken« gegen ... die Neger Afrikas, gegen eine »islamitische Bewegung großen Stils«, zur »Bildung einer Heeres- und Flottenmacht allerersten Ranges«, gegen eine »chinesisch-japanische Koalition« u.a.m.

Die Schilderung, die uns Gerhart von Schulze-Gaevernitz vom »britischen Imperialismus« gibt, deckt dieselben Merkmale des Parasitismus auf.
 
Während sich in den Jahren 1865 bis 1898 das britische Volkseinkommen etwa verdoppelt hat, hat sich das Einkommen »vom Auslande« in dieser Zeitspanne verneunfacht. Wenn zu den »Verdiensten« des Imperialismus »die Erziehung der Farbigen zur Arbeit« gerechnet wird (ohne Zwang gehe es dabei nicht ...), so besteht die »Gefahr« des Imperialismus darin, dass Europa »die Arbeit überhaupt – zunächst die landwirtschaftliche und montane, sodann auch die gröbere industrielle Arbeit – auf die farbige Menschheit abschiebt und sich selbst in die Rentnerrolle zurückzieht, womit es vielleicht die wirtschaftliche und ihr folgend die politische Emanzipation der farbigen Rassen vorbereitet«. (…)

Zu den mit dem geschilderten Erscheinungskomplex verknüpften Besonderheiten des Imperialismus gehört die abnehmende Auswanderung aus den imperialistischen Ländern und die zunehmende Einwanderung (Zustrom von Arbeitern und Übersiedlung) in diese Länder aus rückständigeren Ländern mit niedrigeren Arbeitslöhnen. Die Auswanderung aus England sinkt, wie Hobson feststellt, seit 1884: Sie betrug in jenem Jahr 242.000 und 169.000 im Jahre 1900. Die Auswanderung aus Deutschland erreichte ihren Höhepunkt im Jahrzehnt 1881 bis 1890, nämlich 1..453.000, und sank in den zwei folgenden Jahrzehnten auf 544.000 bzw. 341.000. Dafür stieg die Zahl der Arbeiter, die aus Österreich, Italien, Russland usw. nach Deutschland kamen. Nach der Volkszählung vom Jahre 1907 gab es in Deutschland 1.342.294 Ausländer, davon 440..800 Industriearbeiter und 257.329 Landarbeiter. In Frankreich sind die Arbeiter im Bergbau »zum großen Teil« Ausländer: Polen, Italiener und Spanier. In den Vereinigten Staaten nehmen die Einwanderer aus Ost- und Südeuropa die am schlechtesten bezahlten Stellen ein, während die amerikanischen Arbeiter den größten Prozentsatz der Aufseher und der bestbezahlten Arbeiter stellen. Der Imperialismus hat die Tendenz, auch unter den Arbeitern privilegierte Kategorien auszusondern und sie von der großen Masse des Proletariats abzuspalten.

Es muß bemerkt werden, daß in England die Tendenz des Imperialismus, die Arbeiter zu spalten, den Opportunismus unter ihnen zu stärken und eine zeitweilige Fäulnis der Arbeiterbewegung hervorzurufen, viel früher zum Vorschein kam als Ende des 19. und Anfang des 20. Jahrhunderts. Denn zwei der wichtigsten Merkmale des Imperialismus – riesiger Kolonialbesitz und Monopolstellung auf dem Weltmarkt – traten in England schon seit Mitte des 19. Jahrhunderts hervor. Marx und Engels verfolgten jahrzehntelang systematisch diesen Zusammenhang des Opportunismus in der Arbeiterbewegung mit den imperialistischen Besonderheiten des englischen Kapitalismus. Engels schrieb z. B. am 7. Oktober 1858 an Marx, »... dass das englische Proletariat faktisch mehr und mehr verbürgert, so daß diese bürgerlichste aller Nationen es schließlich dahin bringen zu wollen scheint, eine bürgerliche Aristokratie und ein bürgerliches Proletariat neben der Bourgeoisie zu besitzen.. Bei einer Nation, die die ganze Welt exploitiert, ist das allerdings gewissermaßen gerechtfertigt.« (Karl Marx/Friedrich Engels: Werke, Band 29, Seite 358) (…) Und in einem Brief an Kautsky vom 12. September 1882 schreibt Engels: »Sie fragen mich, was die englischen Arbeiter von der Kolonialpolitik denken? Nun, genau dasselbe, was sie von der Politik überhaupt denken ... Es gibt hier ja keine Arbeiterpartei, es gibt nur Konservative und Liberal-Radikale, und die Arbeiter zehren flott mit von dem Weltmarkts- und Kolonialmonopol Englands.« (…)
 
 
N. Lenin: Der Imperialismus als höchstes Stadium des Kapitalismus. Gemeinverständlicher Abriss. St. Petersburg 1917. Hier zitiert nach: Wladimir Iljitsch Lenin: Werke Band 22. Dietz Verlag, Berlin 1960, Seiten 280–289
 
 
=== 4: LETTERATURA ===
 
In einem zornigen Gedicht äußerte sich Nobelpreisträger Günter Grass zur Griechenland-Krise (2012):
 
Europas Schande

Dem Chaos nah, weil dem Markt nicht gerecht,
bist fern Du dem Land, das die Wiege Dir lieh. 
Was mit der Seele gesucht, gefunden Dir galt,
wird abgetan nun, unter Schrottwert taxiert. 
Als Schuldner nackt an den Pranger gestellt, leidet ein Land,
dem Dank zu schulden Dir Redensart war. 
Zur Armut verurteiltes Land, dessen Reichtum
gepflegt Museen schmückt: von Dir gehütete Beute. 
Die mit der Waffen Gewalt das inselgesegnete Land
heimgesucht, trugen zur Uniform Hölderlin im Tornister. 
Kaum noch geduldetes Land, dessen Obristen von Dir
einst als Bündnispartner geduldet wurden. 
Rechtloses Land, dem der Rechthaber Macht
den Gürtel enger und enger schnallt. 
Dir trotzend trägt Antigone Schwarz und landesweit
kleidet Trauer das Volk, dessen Gast Du gewesen. 
Außer Landes jedoch hat dem Krösus verwandtes Gefolge
alles, was gülden glänzt gehortet in Deinen Tresoren. 
Sauf endlich, sauf! schreien der Kommissare Claqueure,
doch zornig gibt Sokrates Dir den Becher randvoll zurück. 
Verfluchen im Chor, was eigen Dir ist, werden die Götter,
deren Olymp zu enteignen Dein Wille verlangt.. 
Geistlos verkümmern wirst Du ohne das Land,
dessen Geist Dich, Europa, erdachte. 
 
Günter Grass 
 
--- PREVOD:
 
Günter Grass: Sramota Europe

Kaosu bliske, zato što nije odgovarala tržištu,
udaljila si se od zemlje koja ti je bila kolijevka.
Što si dušom tražila, a navodno i našla,
ništa ne vrijedi više, ni starog željeza.
Kao dužnica gola na stupu srama, pati zemlja,
a dugovala si joj zahvalnost, u svim svojim frazama.
Zemlja osuđena na siromaštvo, a njeno
bogatstvo muzeje krasi: tvoj čuvani plijen.
Oni, koji su oružanim snagama spopali zemlju
blagoslovljenu otocima, u ruksaku su nosili Hölderlina.
Jedva je trpljena zemlja, čijim si pukovnicima
dozvolila jednom da budu ti partneri savjesti.
Bespravna zemlja kojoj je pravdonoša zvana Moć
stezala remen sve jače i jače.
Antigona je tebi za inat u crnini i u zemlji je cijeloj
odjeven u tugu narod, kojem si ti bila gošća.
Izvan zemlje porodica Kreza drži
sve što zlatno sja u tvojim trezorima.
Pij već jednom! Pij!, viču klakeri,
Ali Sokrat im ljutito vrati pehar, do ruba pun.
U zboru će ti opsovati sve što jesi, oni bogovi,
Čiji Olimp oduzeti tvoja je želja.
Bez duha ćeš uvenuti, bez ove zemlje,
Čiji je duh tebe, Europo, izmislio.


Prevela Anne-Kathrin Godec
Izvor: http://www.jergovic.com/ajfelov-most/page/4/
 
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DESTRUKCIJE

O laž, laž, evropska laž!
Samo destrukcija lahko te ubije!
Samo destrukcija.
In katedrale in parlamenti:
laž, laž, evropska laž.
In Društvo narodov laž, 
laž, evropska laž.

Rušiti, rušiti!
Vse te muzeje faraonov,
vse te prestole umetnosti.
Laž, laž, laž.
O Sofija, o katedrala.

O mrtveci, ki boste rešili
Evropo. O mrtveci
beli, ki stražite Evropo..
O laž, laž, laž.

Rušiti, rušiti, rušiti!
Milijoni umirajo,
a Evropa laže..
Rušiti. Rušiti. Rušiti!

Srečko Kosovel
(da "Integrali", 1926)
 
 
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Miroslav Krleža:
Evropa danes in drugi eseji
Ljubljana: Založba Sophia, 2014

Prevod: Mica Matković
Spremna beseda: Đurđa Strsoglavec
Urednik/ca: Tanja Velagić 
234 strani, 16.20€ – ISBN: 9789616768771
[Izvirni naslov: Prevod izbranih besedil je narejen po izdaji Sabrana djela Miroslava Krleže (ur. Enes Čengić idr., Sarajevo-Zagreb, 1975-1988)]
 
 

Evropa danes in drugi eseji je amalgam Krleževih esejev, avtobiografske proze, dnevniških zapisov in potopisov, kratkih zgodb, pesniških fragmentov in polemik o evropski zgodovini in kulturi, skozi katere nas avtor popelje v svojem značilnem eruditskem slogu, z družbeno zavzetostjo, lucidnim in strastnim razmišljanjem ter globoko vero v pomen umetnosti. Večina besedil je iz dvajsetih in tridesetih let dvajsetega stoletja, ki veljajo za vrhunec avtorjevega ustvarjanja, obenem pa so dokument časa, izkušnje svetovne vojne in miselnega obzorja, srhljivo podobnega današnjemu, ko je Evropa vnovič na življenjskem razpotju.

  • 1. Evropa danes (1933): polemičen in ironičen razmislek o evropski civilizaciji, vprašanju oboroževanja, vojn, o času, ki so ga pretresali ekonomska kriza, delavske stavke ter vzpon fašizma in nacizma.
  • 2. Amsterdamske varijacije (1934): povod zapisa je bil propad II. internacionale. Razmislek o razmerju med znanostjo, umetnostjo in politiko.
  • 3. Nekaj besed o Heinrichu von Kleistu (1934): razmišljanje ob Kleistovi noveli Michael Kohlhaas, analiza obdobja reformacije, vpeta v razmislek o vprašanjih estetike, politike in družbene angažiranosti svojega časa.
  • 4. O pojavu Jana Panonija (1942, 1955): kritičen zagovor tega pozabljenega pesnika iz 15. stol. in zahteva po njegovi vključitvi v evropsko kulturno zgodovino. Gre za pesnika, ki se je s svojimi satiričnimi, in svobodomiselnimi pesmimi uprl cerkvenim krogom, s političnimi pa razkrival prave interese Evrope.
  • 5. Francisco José Goya y Lucientes (1926): Krleža vidi dobo, v kateri je ustvarjal Goya, kot dobo velikih družbenih vrenj v zgodovini Evrope. Vsa ta dogajanja so zaznamovala tudi umetnike, predvsem vprašanje razmerja njihovega služenja na dvoru in potrebe po kritiki družbene stvarnosti.
  • 6. Pogovor o materializmu (1935): polemičen pogovor dveh oseb, stvarnega grofa Coudenhove – Kalergija, zagovornika idealizma, in osamljenega skeptika Pomidorja, ki ga prekine glas prodajalca časopisov in najava mobilizacije in vojne, glas ulice o stvarnosti tridesetih let.
  • 7. Kako je doktor Gregor prvič v življenju srečal hudiča (1929): prozni fragment iz ciklusa o Glembajevih. Dogajanje je postavljeno na ladjo, ki v času druge balkanske vojne pluje proti Solunu. Na njej se vojak Gregor s Hudičem pogovarja o nasilju, umiranju in odgovornosti posameznika.
  • 8. Letimo nad Panonijo (1929): potopisno besedilo, preplet pripovednih, reportažnih in esejističnih elementov. Doživetje letenja le delno spominja na futuristično navdušenje nad stroji, saj pri Krleži sproži tudi spomine iz otroštva. Besedilo je napoved Krleževega romana Vrnitev Filipa Latinovicza.
  • 9. Pismo iz Koprivnice (1925): potopisni esej o potovanju v Koprivnico, kjer je Krleža urejal revijo Književna republika. Besedilo, polno asociacij, duhovitih opomb, stvarnih podatkov o zgodovini mesta in pokrajine, ki ga spominja na Brueghlova platna.
  • 10. Izlet na Madžarsko leta 1947 (1953): potopisna, predvsem pa memoarska proza o ljudeh in dogodkih iz časa Krleževega šolanja na kadetski šoli v madžarskem mestu Pécs in vojaški akademiji v Budimpešti. Opiše tudi vzroke svoje odločitve o prekinitvi študija na akademiji ter svoje bivanje v Beogradu leta 1912.
  • 11. Ljudje potujejo (1934): besedilo z značilnostmi potopisne proze. Glavni motiv je vlak, ki s svojo dinamičnostjo Krleži omogoča kontrastno predstavljanje oseb in dogodkov.
  • 12. Ter sklepna Tri dunajska pisma.
 
*** O Evropi:

"Fantasticna i nevjerojatna zemlja, puna draguljarskih izloga, luksuza i prosjaka. Cudno stanje, gdje se skupocjene i rijetke vrste velegradskih pasa pokapaju na mramornim grobljima, a geniji, o kojima Evropa deklamira pateticno stoljecima, nestaju u bezimenim grobovima i u ocaju samoubojstva. Evropa je danas luksuzno nocno zabaviste, gdje u rasvijetljenim akvarijima plivaju srebrne ribe za zeluce evropskih sladokusaca, a u mramornim basenima gole zlatovlase zene za postelje evropskih sladostrasnika."

*** Evropa godine tisuću devet stotina četrdeset i druge:

"Gdje naivni su oni glupi dani
kada smo, davno tome, sanjali
o leopardski, zmijski otrovnoj,
o zlatnoj, čudnoj, tajanstvenoj Evropi?
(...)
Evropa leži mrtva."
 
*** Pročitaj takodje:
 
Dio iz teksta "Evropa danas":
 
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Đuro Jaksić: EVROPI 

1867:

Tebi da pevam, tebi, tiranko

1875:

Ah Evropa?
Trulez stara!... Stvor nakazan.
........................
Ta zbrckana stara lutka,
  proglasena prostitutka,
sto razrokim svojim okom
na tirana namiguje...
 
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Đuro Jaksić: A TE, EUROPA

1867:

Te canto, te, tiranna!

1875:

Europa?
Marciume vecchio!... Essere mostruoso.
............................................
Questa vecchia bambola grinzosa,
prostituta dichiarata,
che col suo occhio strabico 
al tiranno fa l'occhiolino...