Originalni tekst: Интервју Ивице Дачића за Курир: Притисци на Србију никад нису били јачи од 1999. године (30 октобра, 2022)

 
 
“La pressione degli USA, della NATO e dell’Ue sulla Serbia non è mai stata così forte”

Intervista al Ministro degli Affari Esteri del governo della Serbia, Ivica Dačić.  Con premessa all'intervista  a cura di Fosco Giannini

Dal sito web del Partito Socialista di Serbia (Socijalistička partija Srbije, SPS). Fonte: Kurir. Versione italiana a cura di F. G. 
13 Novembre 2022
 

“Cumpanis” pubblica questa importante intervista al Ministro degli Affari Esteri del governo della Serbia, Ivica  Dačić, Presidente del Partito Socialista di Serbia, forza politica facente parte dell’attuale coalizione governativa serba (il Partito Socialista di Serbia si costituì il 16 luglio del 1990 da una fusione tra la Lega dei Comunisti di Serbia, SKS, e l’Alleanza Socialista dei Popoli Lavoratori di Jugoslavia, SSRNJ. La Lega dei Comunisti di Serbia, guidata da Slobodan Milošević, era a sua volta l’organizzazione serba della Lega dei Comunisti di Jugoslavia, SKJ, che guidò la Jugoslavia socialista per tutta la sua esistenza).
Affinchè le lettrici e i lettori di “Cumpanis” possano meglio comprendere le questioni che Dačić pone in relazione al rifiuto della Serbia di aderire alle sanzioni USA-Ue contro la Russia, in relazione alla contraietà della Serbia all’entrata del Kosovo nel Consiglio europeo e in relazione alle forti, odierne e pericolose tensioni tra la Serbia ed il Kosovo, proponiamo anche questa nostra, breve, premessa all’intervista.
Nelle ultime elezioni in Serbia del  3 aprile 2022 il partito uscito vincitore è stato, di nuovo e con il 43% dei consensi, il Partito progressista serbo (Sns), un Partito ancora  ostile all’entrata della Serbia nell’Ue, contrario alla NATO e alle sanzioni USA-Ue contro la Russia. Contemporaneamente alle elezioni per il rinnovo del Parlamento serbo (Assemblea Nazionale) si sono tenute, lo stesso 3 aprile 2022, le elezioni per eleggere il Presidente della Repubblica serba, elezioni che hanno visto uscire vincitore, con il 60% dei voti, Aleksandar Vučić, dello stesso Partito progressista serbo.
Il nuovo governo serbo uscito dalle elezioni  è  formato da una coalizione tra Partito Progressista Serbo,  Partito Socialista di Serbia, Partito Socialdemocratico di Serbia, Movimento dei Socialisti, Movimento del Rinnovamento Serbo, Movimento della Forza di Serbia e Partito dei Pensionati Uniti di Serbia.  Alla guida del governo vi è una donna, un’economista e dirigente politica di primo piano del Partito progressista serbo, Ana Brnabić, già Primo Ministro nel 2017. Ivica Dačić, di cui pubblichiamo l’intervista, è Ministro degli Affari Esteri del governo Brnabić.
Sulle questioni più  rilevanti poste da Dačić nell’intervista (sanzioni USA-Ue contro la Russia e tensioni Serbia-Kosovo):

– l’attuale governo serbo si rifiuta di aderire alle sanzioni che il fronte imperialista/occidentale ha deciso contro la Russia;
– per ciò che riguarda il Kosovo: occorre innanzitutto ricordare che il Kosovo è parte integrante della Serbia e l’autonomia statuale che oggi Pristina, capitale del Kosovo, rivendica da Belgrado trova le proprie, false, basi su di una dichiarazione unilaterale kosovara di secessione del 2008, riconosciuta da tre membri del Consiglio di sicurezza (USA, Gran Bretagna e Francia) e respinta da Russia e Cina, che continuano a considerare il Kosovo come una provincia autonoma, nello spirito federativo della Jugoslavia di Tito, della Serbia,
Nel marzo del 2022, sulla scorta del via libera dato da Bruxelles all’entrata dell’Ucraina nell’Ue, come premessa all’entrata della stessa Ucraina nella NATO, anche il Kosovo, attraverso la Presidente kosovara Vjosa Osmani, ha chiesto di entrare sia nel Consiglio europeo che nella NATO, chiedendo, per cogliere questo obiettivo, aiuto politico al Presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan.
Naturalmente, la richiesta da parte del Kosovo di far parte sia del Conisglio europeo che dell’Alleanza Atlantica, nel quadro del progetto di secessione di Pristina da Belgrado, ha ancor più inasprito, nell’ultima fase i rapporti tra Serbia e Kosovo.
Nell’accentuarsi della spinta secessionista generale, il governo del Kosovo, nel settembre 2022, ha deciso di rimuovere dalle targhe delle automobili il riferimento all’appartenenza del Kosovo alla Serbia. Anche in seguito a ciò il governo serbo ha chiesto ai cittadini kosovari di etnia serba di lasciare le istituzioni politiche, giudiziarie e di polizia kosovare e  più di 300 agenti, sui 994 serbi in servizio nel corpo di polizia del Kosovo,  hanno inviato per lettera le proprie  dimissioni; quattro stazioni e i valichi di confine a Brnjak e Jarinje sono stati abbandonati, le guardie della compagnia privata di security “Balkan international”, che proteggeva la missione civile europea Eulex, hanno cessato il servizio.
Negli scorsi mesi diecimila kosovari di etnia serba sono scesi in piazza nel quartiere nord di Mitrovica, la città della parte settentrionale del Kosovo che il fiume Ibar divide in zona a prevalenza serba-ortodossa e zona a prevalenza albanese-musulmana. Le bandiere serbe hanno sventolato in ogni quartiere e come risposta la parte kosovara secessionista e filo NATO ha aggredito diversi  kososvari di etnia serba lanciando, tra l’altro, una molotov nella casa di una famiglia serba nei pressi di Gracanica, non lontano dalla capitale Pristina.
In questo quadro e in questa fase il premier kosovaro Albin Kurti ha accentuato le spinte secessioniste del Kosovo dalla Serbia, ha aumentato le pressioni per l’entrata del Kosovo nella NATO acutizzando, conseguentemente, anche gli attacchi contro Belgrado, definendo “criminali” le politiche serbe  volte al mantenimento dell’unità federale tra Serbia e Kosovo.
E’ rispetto a tutto ciò che va letta l’intervista al Ministro serbo degli Affari Esteri, che proponiamo di seguito, Ivica Dačić

“La pressione degli USA, della NATO e dell’Ue sulla Serbia non è mai stata così forte”
Intervista a Ivica Dačić

dal sito web del Partito Socialista di Serbia (Socijalistička partija Srbije, SPS). Fonte: Kurir. Versione italiana a cura di Fosco Giannini

“È una bella sensazione tornare al Ministero degli Affari Esteri, come quando si torna a casa da un viaggio. I miei colleghi del ministero mi hanno accolto calorosamente, ci conosciamo bene perché lavoriamo insieme da anni. Sono sicuro che saremo di nuovo sulla via della vittoria, così come la lotta per ritirare il riconoscimento del Kosovo, per impedire al Kosovo di entrare nell’Interpol e nell’UNESCO, la lotta per riportare l’argomento Jasenovac al suo giusto posto. Abbiamo molto lavoro davanti a noi, ma abbiamo anche molta motivazione e buona energia per farlo nel migliore dei modi, a beneficio della Serbia”, afferma il ministro degli Esteri e leader dell’SPS Ivica Dačić in un’intervista per Kurir.

D. Chi è stato il primo a congratularsi con te per la tua rielezione a ministro?
R. Dato che io e Aleksandar Vučić siamo i presidenti dei partiti, subito dopo l’accordo sul governo, Vučić  è stato, logicamente, il primo a congratularsi con me. Lui e Ana Brnabić. Vučić mi ha proposto per questo incarico ministeriale e sono molto grato per la fiducia che ho ricevuto per svolgere una funzione così importante.
D. C’erano alcuni nel tuo partito, il Partito Socialista di Serbia, che sono stati  scontenti per non aver ottenuto una posizione ministeriale?
R. Nell’SPS le cose non vanno così, non siamo come alcuni altri partiti in cui sono scoppiati seri litigi, lasciando il partito e persino scissioni perché alcuni erano insoddisfatti per non hanno ottenuto ciò che si aspettavano. Nel nostro Paese, tutti sanno bene che non sono solo i seggi al governo o al parlamento ad essere importanti per il successo del nostro partito. Tutti sono importanti per il successo e tutti contribuiscono a tale successo. È anche noto che nessuna posizione è fissata per sempre e che se qualcuno ricoprirà una posizione locale, statale o di partito dipenderà solo dal lavoro costante e nient’altro.
D. Pensi che la Serbia possa ancora resistere alla pressione per imporre sanzioni alla Russia? Avete visto le valutazioni e le previsioni di alcuni media e analisti occidentali secondo cui l’introduzione delle sanzioni potrebbe essere un compito per questo governo…
R. Ho anche visto le loro previsioni di dieci anni fa, secondo le quali Vučić e Dacić avrebbero riconosciuto il Kosovo, ma non l’abbiamo fatto. E cosa posso dire a tali previsori? Loro e molti altri non ascoltano affatto, e sia Vučić che io diciamo costantemente ciò che pensiamo veramente e ciò che sappiamo essere meglio per la Serbia. La questione delle sanzioni contro la Russia non è di ieri, è un argomento dal 2014, quando l’Occidente ha introdotto le prime sanzioni contro Mosca. E sempre abbiamo esposto la nostra posizione chiara: non introdurremo sanzioni perché siamo gli unici in Europa ad essere soggetti a sanzioni e non auspichiamo quell’esperienza a nessuna nazione. Naturalmente, ora le pressioni sono molto più forti e diciamo loro ancora una volta apertamente che prenderemo la decisione da soli, considerando solo il nostro interesse e quello di nessun altro. Qui, per otto mesi, non abbiamo imposto sanzioni alla Russia perché sappiamo anche e benissimo che non sono nel nostro interesse.
D. E se l’Ue iniziasse con pressioni e minacce economiche, come l’annullamento delle sovvenzioni, il ritiro degli investitori?
R.Lotteremo per evitare che ciò accada, stiamo già combattendo ora contro questa eventualità perché le pressioni non provengono da ieri. Anche se le pressioni odierne sono le più forti dal 1999, e sai che il mio ricordo va indietro nel tempo. Dobbiamo parlare costantemente con i nostri partner in Europa e in Occidente in generale, e lo facciamo. Il presidente Vučić è costantemente coinvolto in quei colloqui e ora lo sarò anche io  come ministro degli Affari Esteri. E tutti capiscono molto bene la nostra posizione: essa è molto specifica perché non è facile per noi imporre sanzioni a nessuno. Sono sicuro che  troveremo un linguaggio comune e una comprensione reciproca: non sarà certo così facile, non lo è nemmeno adesso, ma dobbiamo proteggere gli interessi della Serbia con tutte le nostre forze.
D. La scadenza fissata dal premier kosovaro Aljbin Kurti per la sostituzione delle targhe serbe scade la prossima settimana. Pristina sostiene che non ci saranno ritardi nonostante le richieste occidentali… Come interpreta il fatto che Kurti non ascolti le suppliche degli alti funzionari occidentali per posticipare la scadenza per la sostituzione delle targhe? Hai paura della possibilità di un’escalation e di un nuovo pogrom contro i serbi nel Kosovo?
R. Per l’ennesima volta assistiamo alla stessa partita dettata da Pristina – se non andrà come vogliono ci sarà violenza. Questa è l’unica politica che hanno, sia Kurti che Haradinaj, Thaci, chiunque sia nel governo. Lasciamo che coloro che hanno sempre permesso un comportamento così distruttivo ne discutano con Pristina. Hanno sul tavolo una proposta dell’Occidente per posticipare la nuova registrazione, è una proposta ragionevole, perché elimina la possibilità di escalation, porta alla calma e alla conversazione, e questo chiaramente non è ciò con cui Kurti si sente a suo agio. In ogni caso, ci assicuriamo che i nostri connazionali siano al sicuro e che non si espongano il più possibile ad alcun rischio, di fronte al fatto che a Pristina vi sia una squadra di governo tanto aggressiva. Questa è una questione centrale per noi e, come prima, faremo del nostro meglio per proteggere i serbi in Kosovo e Metohija.
D. I tentativi della Serbia di impedire l’adesione del Kosovo al Consiglio d’Europa sono destinati al fallimento se consideriamo chi c’è dietro il governo di Pristina?
R. Fin dal primo giorno dopo il mio ritorno al ministero degli Affari Esteri, ho affrontato proprio questo problema, perché fa anche parte della pressione generale esercitata sulla Serbia. Non siamo in una posizione favorevole, non è un segreto, perché l’ammissione di nuovi membri al Consiglio d’Europa non richiede il consenso di tutti, ma dei due terzi degli attuali membri. D’altra parte, le pressioni di Pristina per entrare in questa organizzazione vanno avanti da molto tempo, da anni, e finora abbiamo fatto un enorme sforzo per evitare che ciò accadesse. Continueremo a lavorarci, con tutte le forze, sia verso il Consiglio d’Europa che verso tutti i membri Ue, perché sappiamo benissimo che l’ammissione del Kosovo sarebbe un pericoloso precedente e un duro colpo per l’integrità degli Stati europei e l’unità dei popoli. Diciamo loro sempre chiaramente che, aprendo la porta al Kosovo, apriremmo la porta a chissà quale altro territorio separatista che potrebbe anche aspirare all’adesione al Consiglio d’Europa domani.
D. Ritiene che potrebbero esserci nuovi ritiri del riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo?
R. Non è solo possibile, ma anche realistico. A condizione che Pristina violi l’Accordo di Washington e ricominci a chiedere l’ammissione alle organizzazioni internazionali. Questa non è una minaccia, chiediamo solo che venga rispettato quanto già concordato. E se non verrà rispettato, sapremo rispondere.
D. È del tutto ottimista sul fatto che nel prossimo futuro – alcuni citano il prossimo anno – ci sarà una soluzione per il nodo del Kosovo? Vediamo che sia l’Ue che l’America sono più che mai coinvolte in questo problema…
R. Fin dai primi colloqui con Pristina nell’ambito del dialogo mediato dall’Ue, e li ho condotti insieme al presidente Vučić, ho imparato che non è molto saggio essere ottimisti. Mi hanno insegnato quelli di Pristina, perché da lì in tutti questi anni sono venuti ostruzioni, blocchi, ricatti, interruzioni del dialogo, niente del genere è mai arrivato da parte nostra. Hai ragione, l’America e l’Ue sono molto più coinvolte di prima, e questo è un bene, ci fa comodo, perché anche noi non vogliamo che le cose si fermino e, durante quel periodo, tornino le violenze contro i serbi non protetti in Kosovo e Metohija. Ma non permetteremo soluzioni sbagliate, quando sono in gioco i nostri interessi. Vogliamo il compromesso, l’accordo e il rispetto per tutto ciò che viene concordato, perché questo è l’unico modo per ottenere pace e stabilità, sapere che abbiamo un accordo tra serbi e albanesi che durerà a lungo e per le generazioni a venire. Abbiamo l’opportunità per questo, ma abbiamo anche l’enorme responsabilità di proteggere il nostro Paese e la nostra gente. Sono sicuro che finora l’abbiamo fatto con successo e che continueremo a farlo.
D. Cosa puoi dirci sui potenziali negoziati di pace tra i leader di Russia e Ucraina a Belgrado?
R. Natutralmente non abbiamo nulla contro il fatto che  Putin e Zelensky possano incontrarsi a Belgrado. La cosa più importante sarebbe che i colloqui di pace inizino il prima possibile e che la guerra si fermi, è molto più importante di dove si terranno e chi sarà l’ospite o il mediatore. Il fatto che Belgrado sia menzionata anche come luogo per i colloqui di pace significa solo che la Serbia gode del rispetto per il suo atteggiamento nei confronti della guerra in Ucraina. E quella relazione è basata su principi e profondamente sincera perché è un conflitto tra due popoli che sono tra i più vicini a noi, ed è difficile dire quanta infelicità abbiamo provato solo per il fatto che la guerra sia persino arrivata. Fondamentalmente, se c’è un sincero desiderio da entrambe le parti di discutere di pace a Belgrado, non avremo nulla contro. La Serbia non ha contribuito allo scoppio della guerra, ma può contribuire alla pace.