1) FOIBE, SE IL MIUR ANTICIPA MELONI (Mario Di Vito, 15/11/2022)
2) UNA FRONTIERA TROPPO CONTESA (Gino Candreva, 1 Febbraio 2023)
 
 
Altre segnalazioni dal sito Storiastoriepn.it :
 
A proposito delle “Linee Guida per la didattica della Frontiera Adriatica” – 3. I maggiori punti critici del documento (Gigi Bettoli - 6 Febbraio 2023)
http://www.storiastoriepn.it/a-proposito-delle-linee-guida-per-la-didattica-della-frontiera-adriatica-3-i-maggiori-punti-critici-del-documento/
A proposito delle “Linee Guida per la didattica della Frontiera Adriatica” – 2. La struttura del documento (Gigi Bettoli - 23 Gennaio 2023)
http://www.storiastoriepn.it/a-proposito-delle-linee-guida-per-la-didattica-della-frontiera-adriatica-2-la-struttura-del-documento/
A proposito delle “Linee Guida per la didattica della Frontiera Adriatica” (del governo Draghi) (Gigi Bettoli - 1 Dicembre 2022)
http://www.storiastoriepn.it/a-proposito-delle-linee-guida-per-la-didattica-della-frontiera-adriatica-del-governo-draghi/
Quanto sono state segnate le chiese italiane dalle fughe di massa e dalle deportazioni durante e dopo la Seconda guerra mondiale? (non scordando di correggere qualche allegato alle “Linee guida” ministeriali) (Bruno Gabrielli - 24 Gennaio 2023)
 
 
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FOIBE, SE IL MIUR ANTICIPA MELONI 
 
Mario Di Vito
su Il Manifesto del 15/11/2022
 
Nel mondo della scuola esplode la polemica sulle nuove «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica» firmate dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi come ultimo atto
 
 

Il giorno prima della nascita del governo Meloni, come suo ultimo atto da ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi ha messo la firma su un documento di 90 pagine intitolato «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica». Si parla, insomma, di foibe e, benché il tutto sia stato approvato a metà settembre da un larghissima commissione variamente composita, la sua divulgazione, alla vigilia dell’insediamento del governo di destra, testimonia un curioso passaggio di consegne, nella migliore delle ipotesi, oppure un grande riposizionamento generale all’interno del Miur. Queste linee guida stanno facendo discutere molto nel mondo della scuola, sia per questioni di merito sia per fatti di metodo. Per cominciare, in effetti, è curioso che un ministero si occupi in questa maniera di un tema tanto specifico, e – a memoria di molti insegnanti – nessun argomento sin qui si è meritato un fascicolo di 90 pagina tutto per sé. Inoltre, l’invasione di campo è evidente: il tema delle foibe e dei fatti avvenuti al confine orientale negli anni Quaranta sono già affrontati nei manuali.

LA SCUSA della «verità taciuta» ormai non regge più: il giorno del ricordo – fissato al 10 febbraio, là dove il resto d’Europa conserva la memoria degli accordi di Parigi che posero formalmente fine alla Seconda Guerra Mondiale – è stato istituito nel 2004, dunque ormai 18 anni fa. I redattori delle linee guida sono docenti di chiara fama (Raoul Pupo, Giuseppe Parlato, Guido Rumici e Roberto Spezzali), ma basta guardare i revisori per rendersi conto di quanto sia politica l’operazione: venti persone, in rappresentanza di tutte le associazioni degli esuli, oltre a figure extraistituzionali come i rappresentanti dei «liberi comuni in esilio» di Zara e di Pola. Come e perché questi signori siano finiti a occuparsi di faccende didattiche non è chiaro, ma tant’è.

NEL MERITO, poi, queste linee guida sembrano rappresentare un malriuscito esempio di «memoria condivisa», in cui si parla sì dei crimini perpetrati dagli italiani durante l’occupazione di quei territori, ma in cui pure si specifica che i due eventi non sono da mettere in correlazione. Si parla, in proposito, di «strategia dell’elusione».

«Se nell’ambito di un’unità didattica sulle foibe la maggior parte del tempo è dedicata ai precedenti di violenza del fascismo di confine e delle truppe italiane in Jugoslavia – si legge a pagina 17 -, questa non va considerata come corretta contestualizzazione. Bensì quale mera elusione». Le cause, dunque, andrebbero ricercate in una «pluralità di contesti tra loro connessi», dalla fine dell’impero asburgico all’inizio del comunismo.

ECCO, IL COMUNISMO e la rivoluzione di Tito occupano il posto d’onore sul banco degli imputati di queste linee guida. Non manca spazio, ovviamente, per il Pci, al quale (pagina 78) viene dedicato un paragrafetto intitolato «Il silenzio di partito», che così recita: «Il Pci evita di parlare dell’argomento per non rendere evidente la propria posizione, legata anche alle indicazioni di Mosca, su quanto avviene lungo il confine nordorientale». Tre righe appena che, qui sì, annullano completamente il contesto, addossando ai comunisti italiani una sorta di concorso di colpa per quelle vicende, senza fare il minimo cenno al dibattito interno, che pure ci fu, e ai complicati rapporti tra Tito e Togliatti, documentati da ampia storiografia. Poco sotto, stessa pagina, si parla anche di «silenzio di Stato» (per qualche ignoto motivo diverso da quello del Pci) in cui si afferma che le varie forze politiche preferirono lasciar perdere la questione delle foibe «per non aprire i conti col passato» e cercare di celare il fatto che l’Italia la guerra l’aveva persa. Il nodo, in fondo, sarebbe tutto qui: ogni guerra significa morte e distruzione, le recriminazioni dei vinti sulla ferocia dei vincitori sono sì argomento interessante, ma anche spesso e volentieri interessato. Del resto, quella delle foibe è da sempre una vicenda che la destra italiana più o meno postfascista utilizza per bollare la Liberazione come un evento tragico per il Paese e non come uno dei mezzi grazie al quale siamo diventati una democrazia.

Da notare, infine, come curiosamente le linee guida affrontino in maniera parziale la questione del numero delle vittime delle foibe. Si legge a pagina 19: «Mentre sul piano della pietà sarebbe importante conoscere esattamente la sorte di ogni vittima, lo stabilire un ordine di grandezza in molti casi può risultare sufficiente sul piano dell’interpretazione storica».

E VA BENE, ma qual è questa grandezza? Nessuna indicazione. Si parla di «esagerazioni» (pagina 62), ma si mette anche in guardia «dall’assumere in sede interpretativa il medesimo punto di vista degli autori delle stragi, ribaltando sulle vittime l’onere di provare la loro innocenza». Così si parla di repressione su un numero di persone comprese tra le 60 mila e le 100 mila, ma niente viene detto sulle vittime. Questo, è del tutto evidente, offre uno scudo istituzionale alle «esagerazioni» di cui sopra. E il problema, dunque, non è la giustificazione delle stragi, ma l’apertura delle porte del ministero a ogni tipo di revisionismo.

 
 
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Una frontiera troppo contesa

Gino Candreva
1 Febbraio 2023
 

Nell’ottobre del 1993, tra i ministri degli esteri di Italia e Slovenia si conveniva di dare vita a una commissione mista di storici che esaminasse le vicende dell’Alto Adriatico, in modo da giungere a una lettura condivisa delle relazioni tra i due Stati e, in senso più generale, tra le popolazioni italofone e slave dell’area. Il documento comune, dal titolo Relazioni italo-slovene 1880 – 1956, approvato dopo sette anni di lavoro, in Italia non fu mai accolto dai canali ufficiali né diffuso come concordato, contrariamente a quanto avvenuto in Slovenia. Abbandonata la commissione bilaterale, a partire dall’istituzione del “giorno del ricordo”, nel 2004, si è poi imboccata la strada della costruzione di una verità di Stato, alle cui esigenze adeguare il dibattito tra storici.

Il recente documento del Ministero dell’Istruzione, approvato dal governo Draghi pochi giorni prima delle sue dimissioni, le Linee guide per la didattica della frontiera adriatica (d’ora in poi Linee guida), aspira a fornire una sistematizzazione didattica di questo processo di adeguamento. L’intento è chiaro fin dall’elenco dei componenti il gruppo di lavoro, che ha escluso qualsiasi contributo che provenga da parte slovena o croata, sia storico che memorialistico, mentre ha incluso solo le associazioni degli esuli giuliano-dalmata. Fino ad una bibliografia, che omette alcuni degli studi scientifici più seri e aggiornati, e una sitografia limitata ai siti internet degli esuli, estremamente selettive. A questo scopo, gli intenti dichiarati del documento “il recupero della memoria … accompagnato dal riferimento alla storia in quanto disciplina critica” (p. 13) sono ampiamente disattesi, visto che qualsiasi storia “critica” è espunta dal testo del Miur. Lo stesso richiamo a una memoria condivisa (p. 61) cade nel vuoto nella misura in cui le memorie dell’altro sono sottaciute. Ne emerge, persino nei suoi tratti più problematici, una visione nazionalista unilaterale che misura la storia delle terre di confine sul metro della presenza italiana, recuperando le ragioni dell’irredentismo adriatico, fino all’invito a recuperare, a scuola, gli inni patriottici (p. 78).

L’idea di fondo che pervade le Linee guida è la rivendicazione del ritorno dell’Istria e della Dalmazia alla “madrepatria”, ripercorrendo il “cammino bimillenario lungo i sentieri dell’italianità adriatica” (18). Consegue un’idea di “italianità”, risalente addirittura all’epoca augustea, slegata da ogni concetto di cittadinanza e appartenenza nazionale o statuale. Non è chiaro quale “referee” abbia potuto avallare questa interpretazione dell’impero romano.

Ci si sarebbe anche aspettato, da un documento così corposo, una maggiore attenzione agli sforzi compiuti dall’editoria scolastica negli ultimi trent’anni nell’affrontare la questione della frontiera adriatica, che è invece ignorata.

A differenza di quanto è avvenuto con altre pubblicazioni e convegni del Miur (che omettevano integralmente il periodo 1922 – 1945), nelle Linee guida si dà conto del drammatico passaggio dell’oppressione fascista sulla Jugoslavia. Ma il riferimento è generico, quando non relativistico: come a giustificarle, le discriminazioni antislave da parte dell’Italia fascista sono poste sullo stesso piano delle discriminazioni che altri paesi (a p. 31 si nominano Francia, Inghilterra e Polonia) praticavano verso le loro minoranze nazionali, mentre si sottolinea che i rapporti tra le popolazioni “furono in massima parte ispirati a reciproca tolleranza” (ibidem). Anche questa lettura cozza con la realtà storica, visto che, a fronte di casi di convivenza, nel periodo fascista si volle trasformare la popolazione italiana in una vera e propria élite coloniale, non solo con la repressione, ma soprattutto mediante la spoliazione delle terre, la distruzione delle cooperative e delle industrie locali e una politica economica e culturale discriminatoria. Episodi di fraternizzazione avvennero invece nella resistenza jugoslava, alla quale aderirono circa 40.000 militari italiani, approssimativamente un decimo delle truppe di stanza nel paese balcanico. Un fenomeno purtroppo sottaciuto nelle Linee guida.

Pur non fornendo alcuna cifra delle vittime jugoslave dell’occupazione italiana e della guerra di aggressione scatenata dall’Asse italo-tedesco contro il paese balcanico, che secondo gli storici ammontano a oltre 250.000, le Linee guida elencano i campi di internamento italiani e danno conto delle atrocità commesse dal regio esercito ai danni della popolazione civile. E tuttavia le attribuiscono fondamentalmente alla reazione alla resistenza partigiana: “La guerriglia partigiana e la relativa attività repressiva attuata dalle truppe tedesche e italiane divenne (sic!) via via più sanguinosa” (p. 32).

Seguendo l’avvertenza, che sarebbe un’ ”elusione”, e non una contestualizzazione, collocarle come reazione alle violenze fasciste (p. 17), molto più spazio è dedicato invece alla vicenda delle “foibe”. Senza riferimento a fonti precise, si parla di “alcune migliaia di persone … uccise”, ma solo “in parte” gettate nelle voragini del Carso (ibidem). Confondendo fenomeni tra loro assolutamente differenti, il termine “foibe” non indica più un preciso evento storico, ma tutto ciò che avvenne tra Trieste, l’Istria e la Jugoslavia, nell’immediato secondo dopoguerra (p. 35). Nell’utilizzare un termine emotivamente forte, la genericità serve ad accentuare il dramma più che a stimolare una riflessione critica sulle “complesse” vicende della frontiera adriatica. Sarebbe stato auspicabile che Linee guida così corpose avessero riportato una lettura più complessa e problematica delle vicende dell’Alto Adriatico, superando una visione strettamente nazionalistica e riprendendo e approfondendo gli spunti e le riflessioni già consolidati dalla commissione mista degli storici del 2000.

Luigi Candreva, dottorato in storia contemporanea, già insegnante di Storia e Filosofia nei licei, collabora con il Museo della Liberazione di Roma.