[Aggiornamento 27.2.2021] Giacomo Massimiliano Desiante ci segnala la straordinaria storia del calciatore cui è stato intitolato il campo nel quale a lungo si è allenata la SS Lazio: Tommaso Maestrelli, partigiano nell'Armata Popolare di Liberazione della Jugoslavia e grande uomo di sport

 

Riportiamo in questa pagina:
1) Articolo da L'ANTIFASCISTA, periodico dell'ANPPIA, anno LXVII - n° 11-12 Novembre-Dicembre 2020
2) Articolo da LA REPUBBLICA (Bari – Cultura), 10 ottobre 2020


Fonte: L'ANTIFASCISTA, periodico dell'ANPPIA, anno LXVII - n° 11-12 Novembre-Dicembre 2020

 

Tommaso Maestrelli, dai campi della Serie A allo scudetto passando per la lotta partigiana

di Massimiliano Giacomo DESIANTE

 

Solo pochi mesi prima aveva disputato da protagonista gli spareggi con Venezia e Triestina che avevano condannato la sua squadra, la Bari, alla serie B. Poche settimane dopo, la prospettive erano radicalmente mutate: il precipitare degli eventi bellici coniugate alla sua condizione di militare lo proiettarono nei Balcani, dove, inquadrato come artigliere nella Divisione Ferrara, si ritrovò in armi su uno dei fronti più caldi del secondo conflitto mondiale.

Tommaso Maestrelli, non era pugliese, era nato a Pisa il 7 ottobre 1922, ma la Puglia ed in particolare la città di Bari lo aveva adottato sin da quando, nel 1935, il padre, un ferroviere, vi si era trasferito con tutta la famiglia. Oltre a frequentare la scuola, il giovane dimostrò presto un grande talento calcistico, tanto che, superato un provino con i pulcini della Bari, fu aggregato alle giovanili e già nella stagione 1938/1939 esordì in prima squadra. L'allenatore József Ging (un ungherese di origini irlandesi costretto dalle autorità fasciste a mutare il suo cognome King in Ging e il suo nome in Giuseppe) non esitò il 29 febbraio 1939 a schierarlo all’Arena di Milano nella gara col Milan terminata sul punteggio di 3 a 1, quando non aveva che 16 anni, 4 mesi e 19 giorni (secondo debuttante più giovane dopo Amedeo Amedei).
L’anno dopo, benché non avesse ancora conseguito i gradi della titolarità, contribuì al raggiungimento della salvezza con il suo primo gol in massima serie nell'ultima partita di campionato contro la Fiorentina, ma dalla stagione 1940/1941 divenne titolare inamovibile nel centrocampo biancorosso.

In Montenegro come sugli altri fronti, le forze armate italiane, nonostante la caduta di Mussolini, sostituito da Badoglio, e le voci sempre più insistenti di una possibile pace con gli angloamericani a scapito dei Tedeschi, restavano a stretto contatto con questi ultimi. Quando l’8 settembre la radio diffuse la notizia dell’Armistizio, la mancanza di direttive chiare determinata dalla fuga ignominiosa dalla capitale del Re e dello Stato Maggiore, provocò il collasso delle forze armate italiane, specie di quelle all’estero. La Divisione Ferrara, dislocata a presidio di Cettigne-Podgorica al comando del generale Franceschini, in un primo momento accettò di collaborare con i tedeschi, ma in breve fu completamente disarmata ed obbligata a marciare verso nord: un cammino lungo quasi cinquecento chilometri, doloroso che si concluse nelle vicinanze di Belgrado dove erano allestiti diversi campi di prigionia. Nonostante la fame, il freddo, le privazioni, le lusinghe nazifasciste, la stragrande maggioranza dei giovani militari italiani preferirono l’internamento alla guerra di Hitler e Mussolini.
Durante l’internamento, la giovane mezzala patì un’infezione alla gamba così fu trasferito in una specie di ospedale dove rimase ricoverato per circa quattro mesi. Rimandato nuovamente al lager di Belgrado, nel settembre del 1944, conosciuta una ragazza slava durante i lavori per lo sgombero di macerie causate dai bombardamenti alleati, riuscì a scappare e trovare rifugio in una cantina. Per oltre un mese, quella ragazza che la propaganda aveva dipinto come acerrimo nemico lo nascose, lo protesse, salvandogli la vita quella volta che la Gestapo si apprestò a perquisire il nascondiglio ma lei, prontamente ed a rischio della propria incolumità, lo condusse in altro rifugio.
Il 19 ottobre 1944, intanto, mentre le forze partigiane erano impegnate nell’assedio di Belgrado nel tentativo di liberarla, Tommaso si presentò al Battaglione italiano Garibaldi, anch’esso schierato accanto ai partigiani di Tito, per essere arruolato. Il giovane centrocampista si fece così partigiano guadagnando in breve il grado di commissario per il 3° battaglione della 1a Brigata Garibaldi, concorrendo prima alla liberazione della capitale, quindi alle battaglie sul fronte dello Srem in Croazia, ed infine alla battaglia per la liberazione di Zagabria fino alla capitolazione definitiva della Germania.

Rimpatriato in Italia, finita la guerra, svestiti i panni di combattente per la libertà, Tommaso Maestrelli potè tornare a calcare i campi di calcio, senza però dismettere l’impegno politico maturato nei Balcani. Alle elezioni amministrative del 1946, infatti, fu candidato ed eletto al Consiglio Comunale di Bari per la Lista Garibaldi, una formazione dai connotati democratici ed antifascisti, posta sotto la guida dell’avvocato socialista Giuseppe Papalia. Contestualmente con la casacca della sua Bari si tolse grandi soddisfazioni: nel 1947 i biancorossi ottennero un settimo posto (ancora oggi il piazzamento più prestigioso della sua storia), nel 1948 fu convocato in nazionale in occasione delle Olimpiadi di Londra del 1948. Un’affermazione figlia di un talento calcistico che non sfuggì a Valentino Mazzola, capitano del leggendario Torino, il quale fece pressioni in società perché Maestrelli vestisse quella granata.
Nella stagione 1948/49 lasciò la Bari per trasferirsi alla Roma di Fulvio Bernardini di cui fu capitano, quindi alla Lucchese, per poi concludere la carriera nel 1957 nella squadra che, anni prima, lo aveva lanciato. Il legame con Bari fu indubbiamente rafforzato dal matrimonio con Lina, figlia di un vigile urbano della città, e dalla nascita delle due figlie Patrizia e Tiziana e dei gemelli Massimo e Maurizio, ragion per cui continuò a risiedere in città per molti anni ancora, sino al 1971 quando, ragioni di lavoro, lo portarono nella capitale.

Appese le scarpe al chiodo, Maestrelli intraprese la carriera di allenatore: dopo alcune stagioni come vice allenatore nella Bari, nel 1963 gli fu concessa l'opportunità di guidare la squadra maggiore, poi l’anno dopo si trasferì alla Reggina con cui, in due anni, raggiunse la prima, storica, promozione in Serie B, impresa che gli valse il "Seminatore d'oro", come miglior allenatore di Serie C. Nel 1968 il ritorno in Puglia, questa volta al Foggia. Nei tre anni alla guida dei satanelli lasciò un segno indelebile: oltre a sfiorare la conquista della Coppa Italia (perse la partita decisiva contro la Roma del Mago Herrera) conquistò la Serie A (1969-1970) che gli valse un secondo "Seminatore d'oro".
Nel 1971 il passaggio alla Lazio, appena retrocessa in B. In soli quattro anni Maestrelli compì un vero e proprio capolavoro guidando i biancocelesti dalla serie cadetta al primo storico tricolore, quello dei Giorgio Chinaglia, Pino Wilson, Luciano Re Cecconi, Mario Frustalupi: un exploit straordinario che gli valse il suo terzo "Seminatore d'oro”, oltre alla notorietà nazionale ed alla possibile guida della nazionale azzurra.
Ma proprio all’apice, con la stagione 1974-1975 in corso e la Lazio impegnata da protagonista a difendere il titolo gli venne diagnosticato un tumore al fegato e pochi mesi di vita. Grazie ad una cura sperimentale le sue condizioni migliorarono, tanto che nella stagione 1975-76 riprese il suo posto sulla panchina della Lazio che, invischiata nella lotta per non retrocedere, si salvò all'ultima giornata. Una gioia effimera. Pochi mesi dopo, esattamente il 2 dicembre 1976, Tommaso Maestrelli si spense.

A distanza di quasi cinquant’anni il ricordo di Maestrelli uomo di sport resta vivo, legato indissolubilmente a quello della Lazio campione d’Italia, eppure c’è una pagina della sua vita che pochi ricordano o forse conoscono. Una pagina di eroismo e di coraggio giovanile che rientra in un filone storiografico, quello del partigianato meridionale, a cui l’Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea (IPSAIC) da molti anni destina grande attenzione ed impegno. Ed è proprio da tale impegno che è riemersa l’esperienza di combattente per la libertà di Tommaso Maestrelli, esperienza a cui, stando alle tracce rinvenute, teneva particolarmente come si può evincere dal carteggio di fine anni sessanta, quando il Governo della Repubblica Popolare della Jugoslavia gli conferì una medaglia ricordo quale partigiano combattente del “Narodno Oslobodilacka Vojska Jugoslavie” (Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia).

 


 

Fonte: La Repubblica – Bari Cultura, 10 ottobre 2020