MinCulPop linguistico anche nelle Università italiane?
 
Il Ministero dell'Università e della Ricerca attraverso la Conferenza dei Rettori ha recentemente trasmesso senza commento alle strutture universitarie una nota proveniente dall'Ambasciata di Croazia:
 
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Da: Segreteria Crui 
Inviato: giovedì 6 novembre 2008 14.33
A: Undisclosed recipients
Oggetto: Ambasciata della Repubblica di Croazia

A tutti i Rettori

Si trasmette l'allegata nota del MIUR relativa all'oggetto.
Cordiali saluti.
La Segreteria CRUI
 
(SI VEDA IL DOCUMENTO ORIGINALE ALLA URL: https://www.cnj.it/documentazione/AmbCroazia_a_ConfRettori.pdf )
 
Ambasciata della Repubblica di Croazia
 
(...) 
 
Roma, li 7 ottobre 2008
 
Vorremmo informarLa del cambiamento dell'indicazione internazionale della lingua croata, entrato in vigore il 1 settembre 2008. Con la decisione del corpo internazionale ISO639-2 Registration Authority e la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti (Library of Congress) di Washington, l'indicazione "hrv" è stata introdotta come l'unica indicazione bibliografica e terminologica per la lingua croata, sostituendo l'indicazione "scr" usata finora [v. http://www.loc.gov/marc/tn080701.html]. (...) Per le indicazioni bibliografiche d'ora in poi verranno adoperate esclusivamente le nuove indicazioni per le suddette lingue: "hrv" per la lingua croata e "srp" per la lingua serba. (...)
 
Distinti saluti,
Ambasciatore 
Tomislav Vidošević
 
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Tale nota è stata inoltrata dai Rettori alle rispettive biblioteche universitarie. Ma a che pro?
Che cosa dovrebbe in effetti comportare la rigorosa applicazione di tale richiesta dell'Ambasciata di Croazia?
Si sta forse chiedendo di riclassificare i libri in serbocroato, presenti nelle biblioteche universitarie, distinguendoli tra libri scritti in "serbo" e in "croato"? 
 
In questo caso, come andranno classificati ad esempio gli iper-classici di Ivo Andrić, premio Nobel jugoslavo, di famiglia "croata" ma opzione linguistica "serba" (ekava), nato a Travnik nel cuore della Bosnia-Erzegovina e dunque profondamente influenzato dal lessico e dalla cultura di ascendenza turca ed islamica di cui si sono oggi appropriati i settori politici cosiddetti "bosgnacchi"? Classificheremo la sua lingua come "croata", come "serba", o come... "bosgnacca"?
Oppure procureremo tre copie identiche per ogni libro di Andrić, classificandole diversamente in modo da non scontentare nessun partito politico?
 
E come dovremmo classificare il "Serto della montagna" del Njegoš, vera e propria "Divina Commedia" della lingua serbocroata, scritta in caratteri "serbi" (cirillici) ma nella variante di pronunzia "croata" (jekava) dal famoso letterato e regnante... montenegrino Petar Petrović?
 
Prendere alla lettera ciò che viene richiesto dalla Ambasciata della Repubblica di Croazia significherebbe piegarsi alle logiche imposte dal peggiore nazionalismo, mettendo in pratica in campo letterario quel separatismo (pseudo)etnico che è stato imposto con la violenza sul terreno jugoslavo. Inoltre, simili scelte relegherebbero ad esempio gli autori della Bosnia-Erzegovina e del Montenegro in una condizione di discriminazione: per loro sarebbe infatti arbitrario usare sia la classificazione "croata" che quella "serba". Vogliamo imporre l'utilizzo di due ulteriori standard fittizi di classificazione linguistica?
 
E per i corsi di lingua, come ci vogliamo regolare? Vogliamo avviare lo stesso processo di discriminazione, di moltiplicazione e di separazione dell'identico?
 
Il fatto che la Registration Authority ISO639-2 e la Library of Congress degli USA abbiano introdotto questi nuovi standard non rappresenta altro che un atto politicamente motivato, che non deve necessariamente avere implicazioni sulla vita e sulle strutture culturali e accademiche del mondo intero. Esiste ad esempio un diverso e più corretto standard, l'ISO 639-3, nel quale il serbocroato continua ad essere considerato macro-lingua all'interno della quale è possibile differenziale (per chi proprio ci tiene) tra le "nuove lingue" - hrv, srp, bs(bos)...
 
La questione linguistica serbocroata esemplifica la degenerazione dei rapporti socio-culturali nell'area jugoslava. Sul tema siamo intervenuti in passato diffondendo documentazione, e continueremo a parlarne (si faccia riferimento spec. alla pagina a questo dedicata sul nostro sito internet: https://www.cnj.it/CULTURA/jezik.htm ). Ci ripromettiamo di intervenire presto sul tema anche con una iniziativa pubblica organizzata in ambito accademico. 
 
Per adesso, pubblichiamo di seguito una analisi di carattere scientifico preparata per CNJ-onlus da Ljiljana Banjanin, lettrice di serbocroato a Torino e componente del nostro Comitato Scientifico.
 
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus
 
 
 
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Alcune note sulla necessità di mantenere lo standard serbocroato

(a cura di Ljiljana Banjanin, lettrice di serbocroato a Torino, per il Comitato Scientifico del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus)
 

Il serbocroato fu la lingua ufficiale jugoslava sia durante il Regno di Jugoslavia sia durante la Repubblica Federale (SFRJ).

 

La scelta tra la parlate era vincolata da due fattori principali:

  • Le parlate jugoslave si differenziano da un lato per come viene espresso il termine «che cosa», che ha tre varianti: štokajča, da cui la denominazione della parlate come štokavokajkavo čakavoIl kajkavo si parla soprattutto in Croazia, nella zona intorno a Zagabria, il čakavo in alcune zone del litorale settentrionale croato e delle isole, in certe parti dell'Istria e in alcune zone della Dalmazia, mentre lo štokavo è senza dubbio la parlata più diffusa.
  • Esistono dialetti che si differenziano per la pronuncia di quello che fu lo jat paleoslavo che divenne je (talvolta ije) ovvero e o anche i, da cui le denominazioni: jekavo (talvolta ijekavo), ekavo ed ikavo. Si faccia un esempio per i non conoscitori della lingua, il sostantivo ljeto (estate) diventa leto in ekavo e lito in ikavo, l'aggettivo lijepo (bello) diventa nella variante ekava: lepo e nella variante ikava lipo.

 

Alla fine si scelse la variante štokavo-jekava, tra l'altro la più comprensibile in quanto la più estesa sul territorio. Tappe del processo furono le discussioni tra linguisti, letterati, intellettuali, basti pensare a figure come Dositej Obradović, Ljudevit Gaj, Vuk Karadzić, e all'accordo di Vienna nel 1850Tale variante corrisponde in generale alla parlata bosniaco erzegovese (bosansko-hercegovačko narjeće)

I problemi esistono, in quanto nei territori jugoslavi esistevano (ed esistono) combinazioni dei due vincoli, talvolata a macchia di leopardo, senza parlare dei numerosi dialetti, all'interno delle combinazioni principali, e ciò costutuisce fin dall'inizio una enorme ricchezza linguistica.

Si noti inoltre che esistono due alfabeti, il latino ed il cirillico. Per lo più in Serbia si parlava in ekavo-štokavo e si scriveva in cirillico, mentre in Bosnia e in Croazia era più comune lo jekavo, tuttavia è' interessante notare come in certe zone dell'interno della Croazia si parli in ikavo,che sembrerebbe caratteristico della Dalmazia, e in certe zone della Serbia meridionale in jekavo. In Montenegro si scrive in cirillico ma la variante è jekava.

E' soprattutto attraverso la letteratura che si scopre la ricchezza della lingua: Goran Kovačić scrive in čakavo, come Vladimir Nazor, del resto, Ivo Andrić scrive sia in ekavo sia in jekavo, Krleža scrive anche in kajkavo: e non c'è corrispondenza tra nazionalità del letterato e tipo di scrittura.

Soprattutto nella Jugoslavia socialista, c'è grande attenzione per la letteratura e la lingua del Paese, si ribadisce l'unità della lingua, l'ortografia comune con rispetto delle varianti ekava/jekava e dei due alfabeti; si stampano inoltre le opere letterarie in tutte le versioni possibili: il rispetto dell'unità della lingua, non impedisce infatti la sperimentazione sulla base del patrimonio lingusitico.

 

Con la distruzione della Jugoslavia socialista viene distrutta anche la lingua, ovvero la denominazione della lingua ufficiale. In Croazia si promuove la pubblicazione di grammatiche, dizionari della lingua croata; la lingua ufficiale della radio, della televisione viene „ripulita“ dai serbismi. In Serbia solo in seguito viene adottato il termine 'lingua serba' e l'alfabeto cirillico[1].

La creazione di altri stati sul teritorio della Jugoslavia offre possibilità di creazione di numerose altre „lingue“ che nascono da uno stesso standard: per il momento si sono rese concrete la bosniaca (in almeno due o tre varianti), e la montenegrina, oltre alle due citate sopra. Si tratta di lingue politiche, lingue che seguono, rispondono al bisogno di creare un'identità nazionale attraverso la lingua, perché è un mezzo che permette una manipolazione facile, attraverso una parola d'ordine dall'impatto immediato (UN POPOLO=UNO STATO=UNA LINGUA).

 

Il problema dell'identità della lingua non è banale, dal punto di vista scientifico, come del resto banali non sono tutti i problemi collegati al linguaggio.Tuttavia vi sono dei criteri basati su posizioni teoriche; per esempio vi sono vincoli genetici (da che cosa è nata una certa lingua), strutturali (come è costruita ), socio-linguistici (come la considerano coloro che parlano). Le neo- lingue serbo, croato, bosniaco e montenegrino, sono nate dalla parlata neo-štokava, come il serbocroato, sono quasi uguali tra di loro (a volte le differenze sono ridicole: si pensi che il montenegrino differisce solo in tre (tre!) dettagli dal serbocroato (per esempio la parola «domani» si dice sutra in serbocroato e sjutra in montenegrino), tanto che la comprensibilità è totale, e soltanto il terzo criterio pone problemi.

A nostro parere, la lingua può considerarsi come sistema o come standard. Nel primo caso, è ovvio per i linguisti, che il il bosniaco, il croato, il serbo e il montenegrino, sono parte di una stessa lingua, perchè sono identiche dal punto di vista linguistico, genetico e strutturale; per ogni persona di normale buon senso il fatto stesso che la intercomprensione sia completa, fa sì che la lingua sia la stessa. Tuttavia la lingua è anche standard, e questo, come si sa da molti anni, presuppone un accordo sociale sulle regole, le norme linguistiche per una determinata società: si tratta ovviamente di un'idea socio-politica della lingua, e infatti è noto a tutti che il passaggio dal considerare una parlata lingua o dialetto è un fatto principalmente politico.

Il serbocroato (o serbo-croato, o croato-serbo) è una lingua policentrica : cioè una lingua con alcune varianti che in alcuni tratti si differenziano, ma non a tal punto da costituire una lingua autonoma.

Anche l' Inglese, il Tedesco e il Portoghese sono lingue di tale tipo: esistono infatti alcune varianti per ognuna di loro. Brittanico, americano, australiano, o inglese standard sono le varianti della lingua Inglese, tedesco, austriaco, lo standard tedesco svizzero riguardano il tedesco e per quanto riguarda il portoghese ricordiamo portoghese, standard portoghese brasiliano.[2] 

La linguista Snježana Kordić insiste sulla tesi che si tratta di questo tipo di standard, specialmente dopo la dissoluzione della Jugoslavia degli anni Novanta: argomenta la sua tesi con le seguente dichiarazioni: „Sia la linguistica che la sociolinguistica dimostrano che il serbocroato oggi come prima è una lingua standardizzata di tipo policentrico. Tutti e tre [...] i criteri [...], - comprensione reciproca, compatibilità del sistema linguistico, la base dialettale comune (lo štokavo) della lingua standard – indicano che si tratta della stessa lingua policentrica“.[3]

 

Ranko Bugarski, anglista e linguista afferma tra l'altro:» E' ancora legittimo parlare di esistenza del serbocroato come di una lingua standard (anche se, naturalmente, con alcune varianti territoriali). Anche se ad alcuni attualmente potrebbe apparire strano, se non reazionario, vi sono degli argomenti a sostegno della tesi. Il primoargomento è la strettissima somiglianza linguistica, addirittura strutturale talvolta, tra gli eredi del serbocroato....La normale comunicazione tra gli abitanti di Zagabria, Belgrado e Sarajevo procede come prima...Sicché mentre è normale parlare a proposito di una persona che conosca spagnolo, francese e italiano, per esempio, di multilinguismo, farlo per chi parli serbo, croato e bosnaico sembrerebbe uno scherzo.»

 

A nostro parere, si possono sintetizzare le precedenti considerazioni in alcuni punti chiave:

 

1. La prevalenza delle forze centripete presso gli slavi meridionali è una conseguenza di fattori extra-linguistici e extra-culturali. Nella autodeterminazione nazionale degli anni '90, che molto spesso è anche nazionalistica, la politica quotidiana e i politici hanno utilizzato quello che è piu' semplice da utilizzare, cioè la lingua. In tal modo essa è diventata il mezzo politico, la carta da giocare nelle mani della politica e la misura della autodeterminazione.

2 La situazione attuale linguistica e sociolinguistica sui territori della ex-Jugoslavia è caotica. L'atteggiamento dei linguisti non è separato da quello dei politici, il che crea una certa parzialità nella standardizzazione delle «nuove lingue» che vengono presentate come un qualcosa di diverso rispetto allo standard pre-esistente noto come serbo-croato o croato-serbo o semplicemente serbocroato.

3. Gli sforzi per produrre gli standard nuovi che insistono esclusivamente sulle differenze tra il serbo e il croato e non sulle affinità e le somiglianze, sono un esempio negativo di attualizzazione della politica linguistica, indipendemente da quale parte arrivino. Importanti linguisti e scrittori si sono uniti ai politici e questo è un fatto preoccupante, oltre che scoraggiante, perchè gli interessi della affermazione nazionale si sono identificati con quelli linguistici, e gli intellettuali hanno perso l'occasione di fare il loro lavoro; è successo con le neo-lingue quello che è successo a proposito delle neo-guerre: all'analisi rigorosa si è sostituita la condiscendenza alla propaganda politica e, ancora più grave, l'affinamento della propaganda con l'uso distorto dei mezzi forniti dalla ricerca.

4. L'attribuzione di una spropositata importanza alla denominazione della lingua è una conseguenza del bisogno di affermare la propria apprtenenza nazionale, in modo che l'individuo si identifichi con il proprio gruppo in maniera monolitica, in senso nazionale e linguistico.

5. In molte università italiane e internazionali i cambiamentti nella lingua sono già stati codificati, però la separazione di questi due rami della Slavistica ci pone davanti a molti interrogativi: il primo tra tutti la validità scientifica delle nuove lingue e letterature, che forse continueranno a moltiplicarsi, e così fra breve assisteremo alla nascita anche del šumadinese, del belgradese-moravo, vojvodinese, erzegovese, ecc., ecc., ecc. (senza parlare delle lingue derivate dal kajkavo e dal čakavo!).

6. Il problema a nostro avviso più importante per la lingua serbocroata, è il pericolo di perdita della indubbia ricchezza della lingua: l'impoverimento sarebbe dannoso dal punto di vista del livello culturale dei cittadini territori jugoslavi, sia dal punto di vista letterario e scientifico, sia dal punto di vista degli studenti e degli slavisti stranieri.

 

Pertanto riteniamo che siano da evitare passi ulteriori sulla strada della separazione della lingua serbocroata.

 


[1] cfr. Ivan Klajn  Grammatica della lingua serba, Zavod za udzbenike, Beograd, 2007,p. 13: „ Dopo la creazione dello Stato jugoslavo (1918), in Serbia e nel Montenegro ha cominciato a diffondersi rapidamente l'alfabeto latino, già in uso presso i croati. Oggi  la „latinica“ è più diffusa in Serbia, a tal punto che è nato un movimento per la protezione della „cirilica“, e negli ultimi anni si sono avute misure legislative per definire la „cirilica“ come l'alfabeto primario nell'uso ufficiale e pubblico. Anche se l'uso parallelo di due alfabeti è un caso unico in Europa, se non nel mondo, sembra probabile che esso si mantenga anche nel futuro“.
[2] Cfr. H. Glùck (hrsg), MetzlerLexikon Sprache, Stuttgart, 2000.
[3] Cfr. La situazione linguistica attuale nell’area a standard neostokavi (ex serbo-croato), a cura di Rosanna Morabito,  in “Studi Slavistica”, III, Firenze University Press, 2006, p. 325.