"Il fenomeno delle foibe"
 
1) HA SENSO PARLARE DI "FENOMENO DELLE FOIBE"? (C. Cernigoi)
2) SUL NUOVO LIBRO DI ERIC GOBETTI
3) MONUMENTO A MILANO AI "MARTIRI DELLE FOIBE"
4) FOSSE COMUNI IN SLOVENIA?
 
Vedi anche:
 
E allora le foibe? Intervista ad Andrea Martocchia - Contropiano del 05/02/21
Intervista a Andrea Martocchia -segretario Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - intervista a cura di Chiara Ferronato del settimanale di Contropiano del 05/02/21 (Link alla puntata del settimanale: https://youtu.be/BUf5j-jDHY0​ )
 
 
IL FILO NERO NELLA COSTRUZIONE DEL “PROCESSO PER LE FOIBE” (Claudia Cernigoi, maggio 2020)
Come fu creata la documentazione sui “crimini degli jugoslavi contro gli italiani” / La costruzione di un’inchiesta
 
FALSI INFOIBATI A CORMONS (Marco Puppini - 16 Febbraio 2020)
Vi spedisco l’articolo comparso sul Piccolo di ieri 12 febbraio. A Cormons nel giorno del ricordo viene esposto un elenco di “infoibati” pieno di nomi che non c’entrano niente: partigiani uccisi dai tedeschi, militari caduti in guerra, ecc. Incredibile l’affermazione di chi aveva esposto l’elenco ovvero Riccardo Leone, referente cormonese della lega venezia giulia e dalmazia: “Ho avuto il documento in regalo vent’anni fa, io non sono uno storico, non mi si può accusare di nulla”. (Marco Puppini)
 
 
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HA SENSO PARLARE DI "FENOMENO DELLE FOIBE"?

Iniziamo da come l’accezione degli storici Raoul Pupo e Roberto Spazzali (che sembra avere ormai fatto scuola) definisce il concetto di “foibe” e di “infoibati”: “quando si parla di foibe ci si riferisce alle violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime. È questo un uso del termine consolidatosi ormai, oltre che nel linguaggio comune, anche in quello storiografico, e che quindi va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale” (in “Foibe”, Mondadori 2003).
Ma una volta fatta quella che viene definita (spesso con tono di condanna, quasi fosse semplicemente un’offesa nei confronti dei morti e non un’azione necessaria per la ricostruzione storica) la “contabilità dei morti”, si comprende come non possono essere sbrigativamente accomunate nel termine “violenze di massa” le “migliaia di vittime” cui fanno riferimento Pupo e Spazzali. Non si possono accomunare tra loro le vittime della rivolta del settembre 1943 in Istria, i militari (o i civili collaborazionisti) uccisi dai partigiani o dall’Esercito jugoslavo nel corso del conflitto, i militari internati nei campi e morti di tifo (va aggiunto che militari italiani furono internati anche dagli angloamericani, ed anche in questi campi molti prigionieri persero la vita, però non si parla delle “violenze di massa” fatte dagli angloamericani nei confronti degli italiani), gli arrestati per crimini di guerra e condannati a morte dai tribunali jugoslavi, le vittime di vendette personali del dopoguerra. Vendette personale che peraltro nelle zone controllate dagli Jugoslavi rappresentarono un fenomeno minore che non nelle altre zone del Nord Italia controllate dagli angloamericani.
Inoltre ancora oggi si parla di arrestati e poi rilasciati che “vengono fatti figurare come scomparsi”, e nella categoria degli infoibati in senso letterale (e non simbolico) va anche distinta la vicenda dei 18 “infoibati” nell’abisso Plutone, che furono uccisi non da partigiani ma da un gruppo di criminali comuni che si infiltrarono nella Difesa popolare a Trieste al momento dell’insurrezione di fine aprile ‘45 e si diedero a ruberie, violenze ed omicidi, non sappiamo se per criminalità pura e semplice o per provocazione. I responsabili di questi delitti furono scoperti ed arrestati dalle stesse autorità jugoslave, condotti a Lubiana, processati e condannati; due di essi furono uccisi durante un tentativo di fuga ed infatti, tra gli elenchi di “vittime degli Jugoslavi” troviamo spesso anche i nomi di alcuni di costoro.
Parlare quindi di “violenze di massa” in riferimento a tutto questo è quantomeno riduttivo: in fin dei conti stiamo parlando di un periodo di guerra, dove la violenza, di massa o no, rappresentava la regola e non l’eccezione. A mio parere, inoltre, il criterio unificante esposto da Pupo e Spazzali non solo non ha nulla di scientifico, ma consente anche a chi non ha intenzione di determinare quanto realmente accaduto ma ha come scopo la mera continuazione della montatura creata da decenni di propaganda nazionalista, irredentista e post-fascista, di procedere in questo suo fine di deformazione della realtà. 
Sarebbe invece il caso di chiarire una volta per tutte che non ha senso parlare di un “fenomeno delle foibe” quando in realtà si tratta di una serie di fenomeni del tutto distinti tra loro e che hanno come elemento accomunante semplicemente il fatto che si sono svolti nel corso o in conseguenza della Seconda guerra mondiale.
 
Claudia Cernigoi
 
Si veda anche la discussione alla pagina FB "La Nuova Alabarda ELCDD", 4.2.2021

https://www.facebook.com/3176679785690746/photos/a.3180822618609796/5781333881891977/

 
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Eric Gobetti
E allora le foibe?
Editori Laterza, 2021
anche in eBook / 9,99 euro / 9788858141977
 
Presentazione video:
“Fuori dalla politica la tragedia delle foibe” – Intervista a cura di Irene Barichello, 8.2.2021
https://www.patriaindipendente.it/primo-piano/fuori-dalla-politica-la-tragedia-delle-foibe/
Eric Gobetti e Gad Lerner (Laterza Editori, 20.1.2021)
«E allora le foibe?» è diventato il refrain tipico di chi sostiene il risorgente nazionalismo italico e vuole zittire l’avversario. Mi di cosa parliamo quando parliamo di foibe? Cosa è successo realmente? L'autore Eric Gobetti ne ha parlato con Gad Lerner.
E allora le Foibe? Alba Vastano intervista Eric Gobetti
Botta-e-risposta con Cernigoi e Kersevan su Il Gazzettino
C. Cernigoi: Richiesta rettifica ai sensi art. 8 legge 47/48, inviata al Direttore de Il Gazzettino
L'opinione di Andrea Martocchia - segretario Jugocoord - intervistato per Contropiano il 05/02/21:
 
 
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MONUMENTO A MILANO
 
A Milano eretto un monumento di "sette tonnellate di porfido" per ricordare "il sacrificio patito oltre 70 anni fa dagli italiani dell’Adriatico orientale". 
I soldi in questo caso li hanno messi i ricchi imprenditori, discendenti del padronato istriano – per cui in questo caso il porfido non costa nulla ai contribuenti italiani, diversamente da tante altre iniziative imbastite dalla lobby istriano-dalmata.
L'ineffabile Lucia Bellaspiga – che Jugocoord ha a suo tempo denunciato per diffamazione per i suoi articoli su "Avvenire" mirati ad impedire che si svolgesse un importante convegno a Torino nel 2018 ( https://www.cnj.it/home/it/informazione/confine-orientale/8732-torino-10-2-2018-giorno-del-ricordo,-un-bilancio.html#polemic ) – ha descritto l'operazione con un articolo prontamente stigmatizzato da Claudia Cernigoi: 
 
 
BELLASPIGA COLPISCE ANCORA!
Eh niente, non ce la fa proprio Lucia Bellaspiga a non infarcire di sciocchezze i suoi articoli.
Come possono non cadere le braccia quando leggiamo che "Romano Cramer, nato ad Albona nel 1946, quando ancora l’Istria era Italia, e già esule a 3 anni, in fuga come altre centinaia di migliaia di italiani di fronte alla furia del maresciallo Tito"? Nel 1946 la parte dell'Istria in cui si trova Albona non era più Italia da un anno, cioè dalla fine della guerra, non è neppure compresa nella parte occidentale che assieme alla provincia di Trieste compose il Territorio Libero di Trieste e la cui sovranità rimase in discussione per anni. E la furia del maresciallo Tito (!), 'sto terribile Tito, dipinto come un serial killer che andava personalmente a cercare di casa in casa a cacciare gli italiani sol perché italiani (che Cramer peraltro deriva dal tedesco Kramer, non è un cognome veneto) ... si sarebbe accanita appena nel 1949? Per quattro anni da quando la Jugoslavia aveva conquistato l'Istria la famiglia Cramer non aveva avuto problemi ma nel 1949 improvvisamente dovette mettersi in fuga? mah! 
Ma il colmo è quando la "giornalista d'assalto" scrive che 
sul monumento appaiono "i nomi delle città martire (sic), Gorizia, Trieste, Fiume, Istria, Dalmazia".
Ora, Bellaspiga asserisce di essere laureata in lettere classiche: è riuscita a laurearsi senza avere mai studiato la geografia, al punto da non sapere che la Dalmazia non è una città? E' davvero eccezionale questa signora!
Peccato che quello che scrive sia talmente privo di fondamento, motivato solo dal suo maniacale, oseremmo dire quasi paranoico, astio nei confronti di tutto ciò che è "slavo" e comunista. Dev'essere davvero triste avere dentro di sé tanto odio che porta ad inventare cose non esistenti solo per darsi ragione ed aumentare questo odio. Davvero, ci spiace per questa signora che non è in grado di distinguere le cose vere da quelle false, che arriva ad inventare cose mai successe, a stravolgere il significato di quello che legge o sente, che non riesce a mantenere obiettività e serenità in quello che scrive.   
Potremmo semplicemente provare pena per lei, ma il problema è che le menzogne che diffonde trovano credito e fanno danni alla verità storica. Purtroppo è più facile avere credito quando si scrivono idiozie come fa questa persona che non quando si fanno ricerche storiche serie, difatti lei viene invitata a parlare al Parlamento, mentre noi siamo tacciati (anche da Bellaspiga, dall'alto della sua totale ignoranza dei fatti) di negazionismo.
 
Claudia Cernigoi

 
Un monumento per non dimenticare. Milano onora i martiri delle foibe
Lucia Bellaspiga, 9 ottobre 2020
 
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--- dalla pagina FB de "La Nuova Alabarda ELCDD", 31 agosto 2020:
 
A PROPOSITO DEI RECENTI RECUPERI DA UNA FOSSA COMUNE NEL KOČEVSKI ROG.

Premesso che sono 75 anni che si sa che nella zona di Kočevje furono giustiziati dall'esercito jugoslavo i collaborazionisti (domobranci, ustascia, cetnici...) che si erano consegnati ai britannici ma furono restituiti, come da accordi pregressi, alla Jugoslavia, e che, pure in assenza di riesumazioni, la stima delle vittime ammonta a circa 14.000 uccisi dopo la fine della guerra (si veda l'intervento dello storico Mitja Ribčič presente qui http://www.arhiv.mp.gov.si/fileadmin/mp.gov.si/pageuploads/2005/PDF/publikacije/Crimes_committed_by_Totalitarian_Regimes.pdf), la notizia del recupero di 250 salme da una fossa comune (non una "foiba", sembrerebbe, come da foto che pubblichiamo in calce, fornita alla conferenza stampa) ha scatenato la solita canea propagandistica, con la discesa in campo di uomini politici del calibro di Gasparri (colui che a suo tempo parlò di un milione di infoibati italiani) e di Salvini (che invece parlò di bambini uccisi nelle foibe).

Vediamo innanzitutto cos'ha riportato la stampa, iniziando dall'articolo di Stefano Lusa per Radio Capodistria.

«I primi rilievi dicono che sarebbero perlopiù di giovani uomini, ma nella fossa sono stati trovati anche i resti di almeno una donna, secondo gli esperti comunque non ce ne sarebbero più di cinque. Nessuno aveva meno di 15 anni».

Negli articoli dei due giornalisti più coraggiosi d'Italia (il coraggio che dimostrano nell'amplificazione delle bufale meriterebbe di essere premiato con la Mozzarella d'oro) Lucia Bellaspiga e Fausto Biloslavo (rispettivamente su Avvenire e sul Giornale) questi dati diventano invece:

«Oltre un centinaio erano ragazzini tra i 15 e i 17 anni, e assieme a questi abbiamo rinvenuto anche cinque donne».
(Bellaspiga)


«Dei resti di 250 vittime riesumate nella foresta di Kocevski (sic) oltre un centinaio avevano fra i 15 e 17 anni e almeno cinque sono donne».
(Biloslavo)

L'evoluzionismo foibologico però è velocissimo, perché dopo questi articoli del 27 e 28 agosto, il 29 viene pubblicata su l'Avvenire una lettera di Matteo Salvini, segretario della Lega, il quale scrive

«... i resti umani di circa 250 persone, per lo più ragazzini tra i 15 e i 16 anni, innocenti».

Detto un tanto, entriamo (anche se solo parzialmente, per motivi di mancanza di materiale da analizzare) nel merito della notizia. Dopo alcune settimane di esplorazioni, gli speleologi sloveni, coordinati da un archeologo, hanno recuperato queste 250 salme, in una zona vicina ad un ex ospedale partigiano, ed anche ad un comando dell'Ozna, motivo per cui i morti, pur in assenza di identificazione e con la premessa che non potranno mai venire identificati, sono stati attribuiti ad esecuzioni commesse dal Servizio jugoslavo. Dalle foto reperibili in rete (fornite dai relatori della conferenza stampa, leggiamo) si vedono mucchi di detriti e di ossa misti assieme, immaginiamo quindi la difficoltà di ricomporre gli scheletri e dare loro un minimo di coerenza identificativa.
Aggiungiamo che (come da foto), se la grotta si sviluppa in orizzontale, le "ricostruzioni" di Bellaspiga in merito a ragazzi portati "sull'orlo della foiba" e fatti precipitare dentro, nonché le sue rimembranze sul racconto (inventato, anche se lui lo ha dato per vero) del "sopravvissuto alla foiba" Graziano Udovisi e sulla scena dell'infoibamento di Norma Cossetto tratta da un film, sono davvero incoerenti (ma tanto, la giornalista c'è abituata, a queste incoerenze).

Della definizione dell'età delle vittime, non essendo noi specialisti in materia, ma facendo riferimento a quanto si trova in rete (http://www.unife.it/interfacolta/lm.preistoria/insegnamenti/biologia-dello-scheletro-umano-1/materiale-didattico/2017-18/laboratorio-2), vediamo che le classi di età (nella fascia che ci interessa) sono "Children (3-12 anni); Adolescents (12-20 anni)", in base alla "Classificazione standardizzata di Buikstra e Ubelaker (1994)".
Pertanto non ci è chiaro come gli autori dei recuperi abbiano determinato che un centinaio di scheletri appartenevano a giovani tra i 15 ed i 17 anni, ma ovviamente questa è una carenza nostra che ci limitiamo a condividere nella speranza di avere dei chiarimenti in materia.

Secondo punto. Non essendo possibile identificare questi resti, e vista la presenza di un ospedale partigiano in zona, la possibilità che si tratti di morti partigiani e non di morti collaborazionisti è del 50%, in assenza di altri indizi (non pretendiamo prove, per il momento). Il fatto che la maggior parte degli scheletri si sia trovata sotto un mucchio di detriti e sopra di questo siano stati trovati altri resti umani (circostanza interpretata, evidentemente in conferenza stampa, come il fatto che chi ha commesso le esecuzioni è stato poi ucciso a sua volta, cosa a parere nostro poco compatibile con la presenza dei detriti in mezzo), può significare che le due sepolture sono avvenute in tempi diversi, forse i primi erano morti nell'ospedale partigiano, gli altri possono essere stati uccisi dopo la fine della guerra. Ma ovviamente le nostre sono solo ipotesi, che valgono tanto quelle degli altri, con la differenza che noi ammettiamo che sono ipotesi, mentre gli altri parlano come si trattasse di verità rivelata.

Sorvolando sulla dimostrazione di abilità manipolativa (o di crassa ignoranza storica...) di Biloslavo, che parla dei cetnici come di "partigiani anticomunisti", omettendo il non piccolo particolare che i cetnici combatterono contro l'esercito di Tito, anche a fianco dei fascisti italiani e dei nazisti germanici, facciamo ora un breve punto sulla questione delle esecuzioni dei collaborazionisti, sulla quale non c'è effettivamente molta chiarezza.

Nell'intervento di Ribčič prima citato si legge che su 84.000 persone morte in Slovenia durante la guerra fino al gennaio 1946, il 15% (circa 14.000 sarebbero morti dopo la fine della guerra). Questa statistica però non specifica se i 14.000 morti dopo la fine della guerra sono stati tutti uccisi perché collaborazionisti o se sono comprese anche altre casistiche di morte (per infermità contratte in guerra, vendette personali o altro), così come non è chiaro, non essendo stati riesumati e riconosciuti i domobranci uccisi (le riesumazioni sono iniziate nel 2015 e da allora sarebbero state recuperate 2.500 salme), come si sia giunti a determinare la differenza tra morti durante la guerra e morti dopo. Ribčič in effetti fa dei numeri piuttosto precisi: 13.960 morti dopo maggio 1945, di cui 12.587 domobranci, 160 cetnici sloveni e 1.127 civili, in base ad uno studio pubblicato a Lubiana nel 2005 che sarebbe interessante da leggere ed analizzare. 

Aggiungiamo un'ipotesi sulla motivazione di queste esecuzioni di massa avanzata dal professor Samo Pahor: nello stesso periodo (fine maggio-inizio giugno 1945) in cui i britannici restituivano i prigionieri collaborazionisti agli Jugoslavi, truppe angloamericane si concentravano verso i confini jugoslavi, e si ventilava la possibilità di un'invasione operata nei confronti dei loro ex alleati. In questa circostanza i vertici jugoslavi avrebbero valutato i problemi che avrebbe potuto creare, come una quinta colonna in patria, la massa di prigionieri "nemici" in caso di invasione angloamericana, e che sarebbe stato questo il motivo che avrebbe portato alla loro eliminazione fisica. Ovviamente anche questa è solo una ipotesi, come quelle che abbiamo fatto prima.

In sintesi, al di là degli articoli di pura propaganda e dei commenti deliranti apparsi sulla pagina dell'Unione degli istriani, in cui taluni rivendicano l'italianità dei territori in cui sono stati trovati questi resti umani (nel Kočevski rog c'era un'enclave tedesca, detto per inciso) che abbiamo letto in questi giorni, quello che si può dire è che anche questa è una pagina di storia ancora da scrivere, ma andrebbe scritta dagli storici, possibilmente qualificati. Consideriamo però che colui che presiede la commissione per i recuperi di questi morti, Jože Dežman (storpiato in "Joe Deman" dal reporter di guerra Biloslavo), non è uno storico, ma un laureato in filosofia, che nel 2014 ha conseguito un dottorato in teologia, e che dopo avere iniziato a fare politica all'interno del partito comunista sloveno (in epoca jugoslava), quando la Slovenia ha dichiarato l'indipendenza è entrato nel partito liberale, ed ha (citiamo da wikipedia inglese) sostenuto la necessità di includere elementi di anticomunismo nella storiografia slovena. 
In teoria la storiografia non dovrebbe contenere in sé elementi ideologici, di nessun tipo, quindi questa posizione di Dežman non ci sembra proprio deontologicamente corretta e di conseguenza lo stesso non è forse la persona più adatta a condurre questo tipo di ricerche.
 
[C. Cernigoi]
 
 
--- dalla pagina FB de "La Nuova Alabarda ELCDD", 14 settembre 2020:
 
FOSSE COMUNI IN SLOVENIA

Leggiamo in questi giorni di recuperi di salme da varie fosse comuni in Slovenia. Naturalmente i titoli parlano di “infoibati” perché anticomunisti, uccisi a guerra finita.
Al di là delle facili propagande, vanno considerate alcune cose. La prima è che la Slovenia intera è stata un campo di battaglia in cui gli eserciti del nazifascismo (non solo gli occupatori italiani e tedeschi, ma anche i loro collaborazionisti locali, e poi formazioni di altri paesi, come le SS spagnole ed ucraine) si sono scontrati con la Resistenza e con l’Esercito di Liberazione jugoslavo. I morti in combattimento andavano seppelliti in qualche modo, fossero dell’una o dell’altra parte.
In secondo luogo, quando si legge di prigionieri con le mani legate col filo di ferro, si dà per scontato che erano i partigiani jugoslavi a legare i prigionieri in tale modo. In realtà questo era un metodo tipico dei nazisti e dei loro collaboratori: una testimonianza del massacro degli ebrei a Meina parla di «bambini legati a due a due con il filo di ferro: hanno sparato a uno e li hanno buttati nel lago uno morto e l’altro ancora vivo» (in “Non arrendetevi mai”, colloquio di Oscar Luigi Scalfaro con Federica Di Lascio e Davide Paris, Edizione Paoline, 2007 p. 38); inoltre, relativamente ad eccidi commessi nel bolognese, a Casalecchio di Reno (10/10/44) due partigiani uccisi per rappresaglia furono seviziati e picchiati e legati col filo di ferro al collo; a Casteldebole (31/10/44) 10 civili furono legati alle colonne e a un cancello della piazza del paese con filo di ferro e massacrati a scariche di mitra.
Per restare nelle nostre zone ricordiamo che il “personaggio televisivo dell’anno 2005”, il sedicente “sopravvissuto alla foiba” Graziano Udovisi (comandante durante l’occupazione nazifascista del Presidio di Portole del 2° MDT Istria) fu condannato nel 1946 dalla Corte Straordinaria d’Assise di Trieste quale responsabile degli arresti di due partigiani che erano stati «legati col filo di ferro» (Sentenza n. 165/46).
Quindi dare per scontato che tutte le salme riesumate dalle varie fosse comuni siano di prigionieri anticomunisti uccisi a guerra finita (o addirittura, come illaziona il sindaco di Gorizia, forse emulo del suo concittadino a capo della Lega nazionale, che vi siano i goriziani “deportati a guerra finita”) è del tutto illogico e privo di fondamento.
Va infine ricordato un altro particolare, poco noto ma che meriterebbe degli approfondimenti. Nella seconda metà del 1945 (quindi “a guerra finita”, per usare la terminologia corrente) un generale ustascia, Ante Moškov (che al momento della disfatta nazifascista aveva trovato rifugio in Vaticano, portando con sé oro, diamanti e valuta estera che si trovavano nella banca croata), rientrò clandestinamente in Jugoslavia per «organizzare le bande guerrigliere anticomuniste» (in G. Casarrubea e Mario J. Cereghino, “Tango connection”, Bompiani 2007, p. 98, che citano uno studio dello storico argentino Uki Goñi, non tradotto in italiano).
Ciò fa pensare che “a guerra finita” la guerra in Jugoslavia non era ancora finita, ma era ancora in corso una guerriglia armata contro la quale lo stato doveva rispondere ovviamente con le armi.
 
[C. Cernigoi]