Il 15 febbraio è la festa nazionale della Serbia e FarodiRoma ha colto l’occasione per fare un quadro della situazione politica serba con Jovan Palalić, deputato e presidente del gruppo parlamentare di amicizia con l’Italia. Intervista di Giordano Merlicco.

 

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Belgrado è in coda per entrare nella UE ma ha rapporti con Russia e Cina. Intervista a Jovan Palalić (di G. Merlicco)

di Giordano Merlicco - 13/02/2021
 

Onorevole, cosa si commemora il 15 febbraio in Serbia?

Il 15 febbraio è un giorno importante per il popolo serbo, poiché in questa data si sono verificati due eventi che hanno segnato la storia moderna della Serbia. Nel 1804, c’è stata la rivoluzione contro l’occupazione turca, che ha fatto dei serbi il primo popolo balcanico a liberarsi dal giogo ottomano. Nel 1835, poi, è stata adottata la prima costituzione serba, che all’epoca era una delle più democratiche e moderne d’Europa. Dopo questi eventi, libertà e indipendenza sono diventati i principali ispiratori del pensiero politico serbo, il fondamento della nostra esistenza come nazione.

Lei presiede il gruppo di amicizia con l’Italia al parlamento serbo, come valuta i rapporti tra i nostri due paesi? 

Per noi l’Italia è un partner strategico e un Paese amico, anche nell’ambito dell’UE. La nostra cooperazione economica è ai massimi livelli, sentiamo il sostegno politico e la comprensione dell’Italia su una serie di questioni. Penso che possiamo costruire relazioni ancora più profonde e più forti, contribuendo così allo sviluppo economico e alla stabilità dei Balcani. Amo sinceramente l’Italia e ho molte amicizie in Italia, nel mondo della politica, del giornalismo e degli affari; sento che c’è ancora molto spazio per rafforzare i nostri legami politici, economici e culturali. È questo l’obiettivo che mi propongo come presidente del gruppo di amicizia tra Serbia e Italia.

La Serbia ha ricevuto lo status di paese candidato all’Ue nel 2012, ma i negoziati procedono a rilento. Prevede accelerazioni nel prossimo futuro?

Indipendentemente dalle valutazioni formulate dalla Commissione europea in merito ai progressi della Serbia, esiste essenzialmente un problema all’interno della stessa UE. L’Unione è stata investita da una serie di crisi: istituzionale, economica e ora sanitaria, senza dimenticare i flussi migratori. Ciò ha rivelato la fragilità dell’impalcatura comunitaria e in queste condizioni, molti paesi non hanno intenzione di procedere a ulteriori allargamenti. Il presidente francese Macron ha ipotizzato un nuovo approccio negoziale, che possa mantenere la Serbia sulla rotta europea, ma senza fissare scadenze chiare per l’adesione. Dopotutto, lo stesso presidente Macron ha affermato chiaramente a Belgrado, nel 2019, che prima di procedere a ulteriori allargamenti è necessario riformare l’UE. In ogni caso, per la Serbia, i negoziati con Bruxelles sono un’opportunità per migliorare l’efficienza della macchina statale e rafforzare i partenariati con molti paesi europei.

Nei rapporti tra Serbia e Ue continua a pesare anche il Kosovo, come giudica la posizione di Bruxelles in proposito?

Sebbene la stessa Ue non abbia formalmente riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, a causa dell’opposizione di cinque stati membri, i rappresentanti di Bruxelles si comportano come se la questione dello status sia già chiusa. L’Ue mira a far accettare alla Serbia la politica del fatto compiuto. Ma il Kosovo è parte del territorio serbo, la cui secessione viola il diritto internazionale e la nostra Costituzione.

All’interno del processo di adesione della Serbia all’Ue, molti vogliono inserire come condizione finale il riconoscimento del Kosovo da parte di Belgrado. Ma è un errore, sia perché la Serbia non rinuncerà a una sua provincia che, per giunta, è anche la culla dello stato e della cultura serba, sia perché ciò pregiudica la popolarità dell’Ue presso l’opinione pubblica serba.

Qual è attualmente la situazione della comunità serba e del patrimonio culturale serbo in Kosovo?

I serbi in Kosovo subiscono un’enorme pressione, il cui obiettivo finale è indurli a lasciare le proprie terre. Tuttavia, sono ben organizzati politicamente, determinati a preservare le loro case e garantire un futuro ai loro figli. Per quanto riguarda il patrimonio religioso e culturale, ci sono migliaia di chiese e monasteri in Kosovo, costruiti dallo stato serbo, dai re e nobili serbi. Molti di questi sono riconosciuti patrimonio dell’umanità dall’Unesco.

Le autorità albanesi stanno tentando di falsificare la storia e ascriverli a un presunto “patrimonio culturale kosovaro”. Ma il Kosovo non è mai stato uno stato e gli albanesi si sono insediati in questa regione in seguito all’occupazione ottomana della Serbia. Dunque, se proprio vogliono, potrebbero rivendicare i loro diritti sulle moschee. I tempi cristiani sono serbi.

Parte del popolo serbo vive in Bosnia-Erzegovina. Per l’ingresso nell’Ue, Bruxelles chiede alla Bosnia di modificare la propria costituzione, cosa che potrebbe portare alla riduzione dell’autonomia di cui godono i serbi. Qual è in merito la posizione della Serbia?

L’accordo di Dayton, nel 1995, pose fine alla guerra in Bosnia-Erzegovina, riconoscendo la Repubblica Serba (Republika Srpska) come una delle due entità del paese, a garanzia della sopravvivenza del popolo serbo in un’area in cui ha sofferto duramente, per secoli. I musulmani di Bosnia non hanno mai accettato l’esistenza della Republika Srpska, preferirebbero uno Stato centralista, per decidere le sorti del paese valendosi della loro superiorità numerica. Non ci sono riusciti durante la guerra e sperano ora di riuscirci con le armi della diplomazia.

Temo che ci saranno nuove pressioni per abolire la Republika Srpska, soprattutto dopo l’elezione di Joseph Biden a presidente degli Stati Uniti, che durante la guerra era apertamente schierato con i musulmani. Sembra, tuttavia, che il ruolo principale nella pressione sui serbi sarà svolto dalla Germania, in accordo con la nuova amministrazione americana. Berlino è sempre stata interessata al controllo dei Balcani e per farlo ha mirato storicamente a ridurre l’influenza del popolo serbo. Tuttavia, la Serbia è uno dei firmatari dell’accordo di Dayton e non accetterà mai l’abolizione della Republika Srpska.

Un’altra questione controversa è la politica estera. La Serbia ha buoni rapporti con la Russia e ha rifiutato di seguire l’Ue sul terreno delle sanzioni.

Per noi la Russia è un alleato, un partner e perfino un amico, sin da quando ci ha aiutato a liberarci dal giogo turco. Con Mosca abbiamo ottimi rapporti politici, ma anche economici. Siamo l’unico paese d’Europa ad avere un accordo di libero scambio con la Russia: tutti i nostri prodotti possono essere esportati sul mercato russo senza dazi. Dunque non abbiamo alcun interesse a imporre sanzioni; né saranno le pressioni esterne a farci cambiare idea, per quanto insistenti esse siano.

Penso che la Russia e l’Europa dovrebbero trovare punti comuni di cooperazione nell’enorme spazio eurasiatico, da cui provengono enormi sfide in materia di sicurezza, economia e salute. Sono convinto che un giorno ciò accadrà, a prescindere dalle attuali incomprensioni.

Anche le relazioni con la Cina periodicamente suscitano malumore a Bruxelles.

La Serbia sta cercando di espandere i suoi partenariati internazionali in varie direzioni. Siamo un paese piccolo e, per preservare la nostra indipendenza e integrità territoriale, dobbiamo intrattenere relazioni cordiali con i maggiori attori della scena internazionale, soprattutto con i paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Abbiamo una buona cooperazione economica con la Cina nel settore delle infrastrutture. Ci sono anche diversi grandi investimenti cinesi nell’industria mineraria e nella produzione di acciaio. Ovviamente siamo aperti anche ad altri investitori, perché per noi la priorità è aumentare l’occupazione e risolvere i problemi infrastrutturali, soprattutto all’interno della Serbia.

Veniamo ora agli Usa, cosa si aspetta dall’elezione di Biden?

Ricordiamo molto bene le dichiarazioni di Joseph Biden nel 1999, quando sostenne a spada tratta il bombardamento delle nostre città. Sembra che molti membri dell’amministrazione democratica di Clinton, che hanno lavorato nei Balcani, costruendo la loro carriera su posizioni anti-serbe, stiano tornando al Dipartimento di Stato. Ci aspettiamo pressioni su una serie di questioni, dal Kosovo, alla Republika Srpska, fino alla nostra cooperazione con la Russia.

Tuttavia, nei Balcani sono cambiate molte cose in questi anni; non è possibile continuare ad applicare le stesse matrici del passato. Il mondo non è più unipolare, l’America non è più quella degli anni ’90 e, soprattutto, la Serbia non è né debole né isolata. Auspichiamo una cooperazione e un partenariato sincero con gli Stati Uniti, ma certamente proteggeremo i nostri interessi statali e nazionali, indipendentemente da tutte le pressioni. Più di due secoli fa, il 15 febbraio, indipendenza e libertà sono entrate nel Dna del popolo serbo e nessuno è mai riuscito a farci rinunciare a questi ideali.