[english / srpskohrvatski / italiano]
 
La guerra "umanitaria" e i suoi "effetti collaterali"
 
1) In serbo per la NATO tanti processi (anche all’Aja) (Gregorio Piccin)
2) Уклањање венца и цвећа са Споменика деци жртвама НАТО агресије (Beoforum.rs)
[protesta per la rimozione, da parte delle autorità, di fiori e corone depositati da associazioni e cittadini prima dell'omaggio ufficiale al monumento ai bambini vittime dei bombardamenti NATO]
3) US-led NATO still owes blood debt to Chinese people: FM
4) Gabriel Keller: verso la guerra del Kosovo. << ... Thaçi uccideva e torturava con le sue stesse mani... durante la missione, abbiamo stimato che due albanesi su tre venissero uccisi dallo stesso Uck... >>
 
 
Si vedano anche:
 
LE BOMBE DELLA NATO SULLA JUGOSLAVIA, 22 ANNI FA (Velimir Tomović / Casa del Sole TV, 24 marzo 2021)
https://www.facebook.com/626712901283289/posts/787430661878178/
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=uxgIBwKIvFU

24 MARZO 1999 – 24 MARZO 2021: NOI NON DIMENTICHIAMO - A cura di Enrico Vigna
 
 
=== 1 ===
 
https://ilmanifesto.it/in-serbo-per-la-nato-tanti-processi-anche-allaja/

In serbo per la Nato tanti processi (anche all’Aja)
Giustizia . Guerra "umanitaria" del 1999, effetti collaterali. Aspettando Sassoli

Gregorio Piccin

su Il Manifesto del 26.03.2021

Il 24 maggio del 1999, dopo il fallimento degli accordi di Rambouillet redatti in modo che la parte jugoslava non li potesse sottoscrivere – come commentò allora Luciana Castellina su il manifesto -, si scatenò l’operazione della Nato Allied Force contro quello che era rimasto della Repubblica federale di Jugoslavia. Fu una aggressione devastante che venne definita «umanitaria» e voluta dall’allora Ulivo mondiale (Clinton, Blair, Schroeder, D’Alema).
Seguirono 78 giorni di bombardamenti incessanti. Vennero colpiti, oltre a obiettivi militari centinaia di obiettivi ed infrastrutture civili tra cui fabbriche, sedi tve, ambasciate, ponti, centrali elettriche ed impianti petrolchimici provocando lo stesso effetto di un bombardamento chimico come avvenne a Pancevo, a 15 km da Belgrado. Vennero impiegate bombe a grappolo vietate dalla convenzione di Ginevra e scaricate, come già fatto prein Bosnia ed Iraq, 15 tonnellate di uranio impoverito sotto forma di blindatura per i proiettili anticarro.
Per Human Rights Watch morirono sotto le bombe «umanitarie» oltre 500 civili mentre migliaia furono i feriti. I danni materiali ammontarono ad almeno cento miliardi di dollari. Ma l’inferno non si fermò con la resa del governo jugoslavo ed anzi ciò che seguì la fine dei bombardamenti fu ancora più micidiale: la Jugoslavia, poi Serbia, è balzata al primo posto per numero di malattie oncologiche in Europa: dopo i primi 10 anni da Allied Force, circa trentamila persone si ammalarono di cancro, e almeno diecimila ne morirono.
La Nato, mentre bombardava la Jugoslavia senza avallo Onu, cambiava rocambolescamente i suoi statuti per adeguarli alla bisogna, facendo a pezzi il diritto internazionale e dimostrando al resto del mondo che lo stesso diritto internazionale poteva essere impunemente considerato «cosa nostra». Sono passati 22 anni da allora ma i nodi, finalmente, cominciano ad arrivare al pettine.
Lo scorso lunedì un ex militare dell’esercito jugoslavo, rappresentato dall’avvocato Srdjan Aleksic’, ha depositato presso la Corte Suprema di Belgrado una causa contro la Nato per l’uso di munizionamento all’uranio impoverito durante l’aggressione del 1999 che gli avrebbe causato patologie tumorali molto gravi e molto simili a quelle dei suoi omologhi italiani rientrati dal quadrante balcanico.
Considerato che per il diritto internazionale la Nato ha lo status di persona giuridica lo stesso Tribunale invierà l’atto tradotto a Bruxelles presso la sede dell’Alleanza. Sarà il primo processo in cui la Nato apparirà come imputato. E sarà il primo di una lunga serie di cause risarcitorie per restituire, per quanto possibile, un pezzo di giustizia alle vittime dell’uranio impoverito ma anche a chi si è visto bombardare la casa, il negozio o a chi ha subito le drammatiche conseguenze del disastro ambientale seguito al raid deliberato dell’impianto petrolchimico di Pancevo.
Questa causa e tutte quelle che seguiranno saranno supportate dall’esperienza accumulata dall’avvocato italiano Angelo Fiore Tartaglia e dalle quasi duecento sentenze favorevoli messe a segno nei tribunali italiani contro il ministero della Difesa dove si è dimostrata la correlazione causale tra esposizione all’uranio impoverito e gravi patologie tumorali manifestatesi in molti soldati rientrati da Bosnia, Kosovo, Iraq. La dote giuridica che Tartaglia sta condividendo col suo collega serbo costituirà, perizie comprese, una solida base di appoggio per i processi.
Altro puntello è pure la relazione finale della IV Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito presieduta da Giampiero Scanu ed acquisita dall’omologa commissione istituita dal parlamento serbo nel 2018.
Per volontà della stessa Commissione d’inchiesta italiana la relazione finale era stata consegnata anche al presidente dell’Europarlamento David Sassoli che aveva promesso attenzione. Attenzione non ancora pervenuta ma prima o poi si dovrà destare perché Aleksic’ e Tartaglia puntano, dopo le azioni legali in Serbia, alla corte internazionale di giustizia dell’Aja.

 
=== 2 ===
 
 
Уклањање венца и цвећа са Споменика деци жртвама НАТО агресије
четвртак, 25 март 2021
 
Више телевизиских и медијски кућа у Србији објавило је видео-запис који показује сцену уклањања венаца и цвећа положених пре подне 24. марта, поред Споменика деци жртвама агресије НАТО-а , у београдском Парку Ташмајдан, да би на њихово место венац положила госпођа Дарија Кисић–Тепавчевић, министарка за рад, запошљавање, борачка и социјална питања, у пратњи г. Горана Весића, заменика градоначелника Београда. Запис бележи да службена лица из пратње ових званичника односе уклоњене венце и цвеће на другу страну парка. Снимак је, потом, широко циркулисан на друштвеним мрежама у Србији, региону и српској дијаспори.
 
 
Са дубоком жалошћу и огорчењем осуђујемо уклањање цвећа код Споменика деци жртвама агресије НАТО-а као израз непоштовања према споменику и палој деци, као вређање осећања њихове родбине, грађана главног града, Републике Србије и најшире јавности и непоштовања основних норми гостопримства дипломатских представника пријатељских земаља.
Одстрањене венце и цвеће поставиле су делегације великог броја независних, нестраначких, борачких, ветеранских, инвалидских и организација војних пензионера, студентских и извиђачких организација, а и дипломатских представника из више пријатељских земаља.
Захтевамо да се хитно утврди ко су налогодавци, а ко извршиоци овог недопустивог и некултурног чина, да се предузму одговарајуће мере, изрази јавно извињење и о свему обавести јавност.

Београдски форум за свет равноправних - Живадин Јовановић
Клуб генерала и адмирала Србије - Миломир Миладиновић генерал-п.пуковник у пензији
СУБНОР Србије – Видосав Ковачевић генерал-пуковник у пензији
Удружење војних пензионера Србије – Љубомир Драгањац генерал - потпуковник
 
 
=== 3 ===
 
https://antibellum679354512.wordpress.com/2021/03/26/us-led-nato-still-owes-blood-debt-to-chinese-people-foreign-ministry/

Global Times
March 26, 2021

US-led NATO still owes blood debt to Chinese people: FM

Author: Rick Rozoff

[Edited by RR. Here in Chicago we marched to the Chinese consulate and laid flowers outside the building in honor of the dead in what was one of weekly Sunday marches against the war organized by the Serbian Unity Congress.]

"China would like to remind NATO that they still owe a debt of blood to the Chinese people....The dead have passed away, but the living need more vigilance and reflection."
“Whether in Yugoslavia, Iraq, Libya or Syria, we should never forget the lives of ordinary people lost to repeated bombardment, the crumbling walls under the shells, the glorious historical sites consumed by the flames.”
"When they blatantly launched a war against a sovereign country without the Security Council's authorization, causing hundreds of thousands of deaths and the dispersal of millions of people, did they ever care about the human rights of the people in those countries? Is this what they mean by international rules? Shouldn't they be held accountable for their war actions?”

Photograph
http://www.globaltimes.cn/Portals/0/attachment/2011/b9e61586-345a-4835-ae60-1dc4e23b2ba4.jpg
Monument to commemorate three Chinese journalists killed in the U.S.-led NATO bombing of the Chinese embassy in Belgrade.


The Chinese Foreign Ministry said on Friday that the US-led NATO, which previously bombed the then-Yugoslavia, killing many innocent civilians including three Chinese journalists, still owes a debt to the Chinese people, against the backdrop of Serbia’s nation-wide commemoration of the deaths of thousands of innocent people, in what Serbian President Aleksandar Vucic condemned as "a horrific act of crime, and act of aggression" from NATO.
Serbian people marked another Remembrance Day for the Victims of the NATO Aggression on Wednesday, held on the 22nd anniversary of the beginning of the 78-day attack spearheaded by the United States, which took away the lives of many civilians and brought immense material damages.
Hua Chunying, spokesperson of the Chinese Foreign Ministry, said at a routine press briefing on Friday that NATO should not forget that in 1999 the US-led NATO, in serious violation of relevant international laws and basic norms governing international relations, bombed the then-Yugoslavia, killing a large number of innocent civilians, including three Chinese journalists.
Speaking at a NATO foreign ministers meeting in Brussels this week, US Secretary of State Antony Blinken called on NATO members to help counter the threat from an “aggressive and coercive” China. NATO Secretary-General Jens Stoltenberg indicated [that] China [was]  a “challenge.” 
"China would like to remind NATO that they still owe a debt of blood to the Chinese people....The dead have passed away, but the living need more vigilance and reflection,” Hua said. 
Hua pointed out that the trend of world development today is peace and development, and such a historical trend is unstoppable. However, “we have also seen that power politics and hegemonism still resurface from time to time, seriously endangering and threatening world security, stability and international equity and justice.”
“Whether in Yugoslavia, Iraq, Libya or Syria, we should never forget the lives of ordinary people lost to repeated bombardment, the crumbling walls under the shells, the glorious historical sites consumed by the flames,” Hua said. 
“The US and some Western countries have kept their mouths open about human rights and kept their mouths shut about their responsibilities....When they blatantly launched a war against a sovereign country without the Security Council's authorization, causing hundreds of thousands of deaths and the dispersal of millions of people, did they ever care about the human rights of the people in those countries? Is this what they mean by international rules? Shouldn't they be held accountable for their war actions?” Hua asked.
China and Serbia are both countries that do not fear power and who cherish peace. China is ready to work with Serbia and all peace-loving countries to safeguard international fairness and justice and jointly safeguard and promote world peace, stability and development, Hua said. 
“Times when the big bullied the small and the strong bullied the weak are long gone,” Hua said. “We call on all countries to jointly resist unilateral bullying and unfold the fist of violence into the hand of upholding peace,” she added.
 
 
=== 4 ===
 
ORIG.: GABRIEL KELLER : VERS LA GUERRE AU KOSOVO, OCTOBRE 1998-MAI 1999 (Courrier des Balkans, jeudi 25 février 2021)
 
 
Gabriel Keller: verso la guerra del Kosovo
 
Durante l'inverno 1998-1999, l'Osce dispiegò una missione di "verifica del cessate il fuoco" in Kosovo. L'ambasciatore francese Gabriel Keller ne fu il numero 2. La sua è una testimonianza importante per comprendere le dinamiche che hanno portato ai bombardamenti, ora riportata in un libro. Intervista

24/03/2021 -  Jean-Arnault Dérens
 

Nell'ottobre 1998 lei è diventato il numero due della missione Osce in Kosovo. Come è arrivato a questo incarico?

Ero già stato di stanza a Belgrado nel 1995-1996, dopo la firma degli Accordi di pace di Dayton, prima come incaricato d'affari e poi come ambasciatore. Nel 1998 ero a Londra, ma ho continuato ad interessarmi di questioni legate alla ex Jugoslavia.

La missione Osce è stata creata all'improvviso, dopo forti pressioni della Nato e rapidi negoziati con Belgrado... Venne subito sottolineato che la guida della missione sarebbe stata degli Stati Uniti, ma la Francia ha insistito per avere anche un “numero 2”. Gli Stati Uniti erano contrari, avrebbero preferito che William Walker fosse circondato da quattro o cinque persone allo stesso livello. È stato Hubert Védrine, il ministro degli Affari esteri francese, a insistere sul fatto che venisse nominato un vero numero due.

Durante il suo primo soggiorno a Belgrado, stavate già seguendo la questione del Kosovo?

Certo, e ci andavo abbastanza regolarmente. Abbiamo predicato moderazione ad entrambi, agli albanesi, che avevano proclamato una "Repubblica del Kosovo" sotto la guida di Ibrahim Rugova, come ai serbi. Abbiamo ricordato che l'unica soluzione possibile era quello della negoziazione.

Le relazioni con William Walker sono divenute presto tese...

Sì, ma non subito. All'inizio eravamo tutti ufficialmente sulla stessa linea, quella dei negoziati. E abbiamo dovuto fare i conti con le emergenze, in particolare l'emergenza umanitaria, poiché decine di migliaia di persone vivevano in montagna, nei boschi, dopo essere state cacciate dai loro villaggi dalle offensive serbe dell'autunno. Va ricordato che all'epoca nessuno nella comunità internazionale vedeva l'indipendenza come un'opzione. Si trattava di portare tutti al tavolo per definire uno statuto di ampia autonomia per il Kosovo, nel quadro della Federazione jugoslava dell'epoca.

Ben presto divenne chiaro, tuttavia, che William Walker aveva un programma diverso. È diventato perfettamente chiaro quando si verificarono gli eventi del 14 dicembre 1998: l'esercito jugoslavo aveva ucciso 31 membri dell'Uck che cercavano di attraversare il confine dall'Albania e sei giovani serbi vennero uccisi in un bar nella città di Peć/Peja. L'inviato statunitense Richard Holbrooke, che era in Kosovo, tenne davanti a noi un discorso inequivocabile: l'attacco al bar di Peć/Peja era stato un atto di terrorismo, mentre l'agguato al confine un atto di guerra. Non si poteva biasimare la Jugoslavia per aver difeso il proprio confine…

Al contrario, interrogato dalla stampa, William Walker dichiarò di condannare “la violenza in tutte le sue forme”, il che equivaleva a mettere questi due atti sullo stesso piano.

Quindi c'erano due linee all'interno della stessa amministrazione americana?

Sì, c'erano falchi e colombe. Christopher Hill ha davvero cercato un percorso negoziato. Può sembrare difficile non classificare Richard Holbrooke tra i falchi, ma non era quello con l'atteggiamento più radicale. Madeleine Albright lo era molto di più. Già in autunno, aveva detto che il problema era Milošević. Come è possibile negoziare con qualcuno se si dice che è il problema?

Lei dedica molte pagine [del suo libro] al massacro di Račak del 15 gennaio 1999, che ebbe un ruolo decisivo nella marcia verso la guerra...

In effetti, e non sono a conoscenza di tutte le informazioni, ancora non capisco tutto quello che è successo a Račak. Continuo a interrogarmi su alcuni punti. Račak è stato un punto di svolta, un punto focale. In molte argomentazioni dei serbi si dice che sia stato uno scontro come tanti altri, ma seguito da un successivo depistaggio, una messa in scena, servita poi da pretesto per affossare i negoziati e per i bombardamenti. Questo ovviamente non è vero, ma mi interrogo anche sulla versione albanese, che la interpreta esclusivamente come un massacro, un crimine contro l'umanità.

So che alcuni cadaveri sono stati sottoposti a mutilazioni post mortem, per rendere la scena ancora più terribile, e mi resta l'impressione che due eventi si siano susseguiti: un combattimento, uno scontro militare e poi delle esecuzioni.

Il famoso rapporto di Helena Ranta, la scienziata forense finlandese, su quanto è accaduto è stato determinante nella strada che ha portato ai bombardamenti...

Sì, ma non ha aggiunto nulla di decisivo. Non ha potuto recarsi sul campo, ha solo esaminato i corpi, molto tempo dopo la loro morte. Lei stessa ha ammesso di essere stata sottoposta a fortissime pressioni dal suo governo e dagli Stati Uniti. Durante la sua famosa conferenza stampa del 17 marzo a Pristina, una settimana prima dei bombardamenti, ha dichiarato che sì, il massacro di Račak era un crimine contro l'umanità, ma che per lei la morte di un singolo civile era già un crimine contro l'umanità... Comunque, in quella data, la decisione di bombardare era già stata presa e i preparativi erano entrati nella fase finale. La decisione era stata presa dopo il fallimento dei negoziati di Rambouillet.

Nel suo libro fornisce informazioni sui preparativi per questi negoziati, visti da chi viveva sul campo, in particolare si sofferma sulla difficile partenza dei rappresentanti dell'Uck che si è trovato a negoziare con i serbi... A quel tempo, cosa sapevamo, cosa sapeva lei di Hashim Thaçi?

C'erano voci molto diverse nella missione... Non occorre dimenticarsi che vi era molto personale locale, albanesi o serbi, che ci portato le loro informazioni. Dai nostri contatti con politici albanesi non UÇK arrivavano notizie terrificanti. Un dirigente dell'LDK, di cui non farò il nome, ci disse che Thaçi uccideva e torturava con le sue stesse mani. All'inizio del 1999 vi furono in media da tre a cinque morti al giorno in tutto il Kosovo, per lo più albanesi, ovviamente. Ma, durante la missione, abbiamo stimato che due albanesi su tre venissero uccisi dallo stesso Uck.

Tra questi vi è ovviamente il noto caso del giornalista Enver Maloku, capo del servizio stampa dell'LDK, assassinato all'inizio di gennaio. Venne ucciso dall'UCK, non vi è mai stato il minimo dubbio. Ricordo il compianto Fehmi Agani, primo consigliere di Ibrahim Rugova, che non poteva dirci pubblicamente che era l'UCK ad essere responsabile, ma che ci disse, con il suo famoso sorriso: "C'è sempre qualcosa di misterioso negli omicidi…".

Venne contattato da Dick Marty quando quest'ultimo redasse il suo rapporto sui crimini attribuiti all'UCK, e pensa che la chiameranno a testimoniare davanti alle nuove Camere specializzate dell'Aja?

No, non venni mai contattato da Dick Marty, il cui rapporto ovviamente ho letto con attenzione. Non credo che sarò chiamato a testimoniare nei processi in corso, non ho informazioni da fornire. D'altra parte, sono stato interrogato a lungo dai magistrati dell'Aja dopo i bombardamenti, in particolare sul ruolo del vice primo ministro Šainović e su Račak. In seguito fui invitato a testimoniare al processo contro Milošević, ma poiché all'epoca ero ambasciatore a Belgrado, preferii non farlo.

Il fatto che fosse Hashim Thaçi a dirigere la squadra negoziale albanese a Rambouillet fu una sorpresa?

Totale! Nessuno se lo aspettava. Naturalmente, sapevamo che l'UCK era la forza in ascesa e che l'LDK era in declino, che molte persone si stavano avvicinando all'UCK, anche nelle città. La posizione di Ibrahim Rugova, che parlava del "popolo delle montagne", assicurando che si sarebbero uniti a lui, era del tutto irrealistica.

Ora sappiamo che a quel tempo Hashim Thaçi era già collegato ai servizi americani, ma anche ai servizi francesi...

Ne ero totalmente all'oscuro! L'ho scoperto più tardi.

Ma vi erano anche due linee di pensiero diverse nell'amministrazione francese?

La linea di Quai d'Orsay era chiara. Hubert Védrine mi disse di parlare con tutti. Credo anche che le cose fossero chiare da parte del Presidente della Repubblica, Jacques Chirac, ma non dimentichiamo che eravamo in un periodo di convivenza. Dal fallimento di Rambouillet, quando i bombardamenti sono diventati inevitabili, mi è sembrato che Hubert Védrine fosse meno favorevole del primo ministro Jospin e persino del presidente.

Parlare con tutti... Ma riuscì a farlo con l'UCK?

Provai a mettermi in contatto con l'UCK, ma fu difficile. Loro stessi volevano parlare solo con gli americani. Per negoziare il passaggio della delegazione che doveva recarsi a Rambouillet, incontrai Jakup Krasniqi: William Walker si infuriò quando venne a saperlo. Gli americani volevano monopolizzare tutti i contatti con l'UCK.

Veniste infine evacuati dal Kosovo, la missione venne spostata in Macedonia e il 24 marzo iniziarono i bombardamenti. Cosa stava accadendo?

Il periodo macedone è stato molto interessante. Per me era chiaro che la missione era finita, ma ufficialmente continuavamo a dire che sarebbe tornata in Kosovo, sotto la protezione della Nato... Il problema è che la Nato e l'Osce non sono la stessa cosa. A quel tempo, l'Osce era composta da 54 paesi e la Nato da 19 - i 35 stati membri dell'Osce e non della Nato si sentivano sempre meno rappresentati e spesso erano in aperta opposizione alle decisioni prese. Fu allora che i russi, per esempio, se ne andarono.

Dopo lo scioglimento della missione in maggio, lei si pronunciò davanti alle più alte cariche dell'Osce parlando di un suo fallimento. Perché questo fallimento?

L'Osce è un'organizzazione complessa e politicamente debole, quindi facilmente influenzabile dai grandi stati. La presidenza era allora detenuta dalla Norvegia, e vorrei rendere omaggio qui a quella presidenza norvegese, molto obiettiva e coraggiosa. Ma non poteva competere con il protagonismo degli Stati Uniti, in una situazione in cui gli europei erano molto divisi tra loro. Trovai in quel periodo un po' di sostegno dai miei colleghi tedeschi e soprattutto italiani, ma l'Unione Europea era totalmente assente, mentre i britannici erano allineati sulle posizioni di Walker.

Una missione partita già all'inizio con un'organizzazione così squilibrata rischiava di perdere di vista l'obiettivo che era quello di sostenere una soluzione negoziale. Sapendo che tutto è finito con i bombardamenti, parlare di fallimento è ai miei occhi una tautologia. È un peccato, perché se gli europei fossero stati uniti e avessero parlato a voce alta, avremmo potuto ottenere risultati molto diversi. Alla fine del 1998 si credeva davvero nella possibilità di una grandissima autonomia per il Kosovo, con il suo Parlamento, il suo sistema giudiziario, istituzioni indipendenti e multietniche. Era fattibile e questo è ciò che contiene la parte politica degli accordi di Rambouillet. All'epoca, va anche notato che la Serbia si è sparata in un piede. Avrebbe dovuto accettare il lato politico degli accordi, che l'avrebbero messa in una posizione forte per rinegoziare la parte militare che non era accettabile così come era stata posta. Gli albanesi, dal canto loro, capivano bene il gioco, e accettavano tutto, anche se la parte politica, in verità, era distante da quanto volevano.

Rifiutando l'accordo, la Serbia ha reso inevitabili i bombardamenti. Ma Milošević li ha voluti pensando di rafforzare il proprio potere?

Questo è ciò che molti pensavano allora a Belgrado, e credo che rimanga un'interpretazione valida.

Lei è tornato in Serbia nel 2000, come ambasciatore di Francia, dopo la caduta di Milošević. In retrospettiva, sono state perse occasioni per compiere progressi sulla questione delle relazioni tra Serbia e Kosovo in questi anni?

Era difficile. Il presidente Koštunica era un nazionalista, che non voleva in alcun modo sentir parlare dell'indipendenza del Kosovo, il primo ministro Zoran Đinđić dal canto suo poteva anche lasciarsi convincere... A Belgrado ho incontrato anche molti "realisti" che stavano valutando una divisione territoriale del Kosovo, un'opzione che è riemersa nelle discussioni tra Aleksandar Vučić e Hashim Thaçi, ma che fortunatamente non sembra più essere all'ordine del giorno.

Quest'opzione rappresenterebbe un rinnegare tutta la politica europea nei Balcani negli ultimi tre decenni volta a sostenere società democratiche e plurali, non a creare demarcazioni etniche.

In qualità di ambasciatore, lei ha affrontato diverse questioni legate al Kosovo, tra cui quella del rilascio di Albin Kurti, allora detenuto in Serbia... Nel suo libro, però, non gli risparmia critiche...

No, lo presento come un giovane dai capelli ricci un po' intransigente... Ma il mio sguardo è benevolo! Dopo la guerra, abbiamo lavorato con il mio assistente Christian Thimonier per farlo uscire dalle prigioni serbe il più rapidamente possibile. Il politico che è ora deve poter guardare al giovane militante che era con un po' di ironia.