logo CNJ  Coordinamento
Nazionale per la Jugoslavia




A Vicenza la lotta contro il progetto di ampliamento della base militare statunitense

NO Dal Molin


ULTIMI AGGIORNAMENTI:

Dalla Rete DISARMIAMOLI, aggiornamenti sulle successive
INIZIATIVE DEL MOVIMENTO ANTIMILITARISTA

Riflessioni sulla manifestazione contro l’insediamento di un’altra base USA a Vicenza,

del 17 febbraio 2006 - di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova

Dal Molin, ovvero: IL RE E’ NUDO (Comitato Disarmiamoli)

La posta in gioco (Rete dei Comunisti)

Interpellanza alla Camera sull'allargamento della Base "Dal Molin"

DA KABUL A BEIRUT, PASSANDO PER VICENZA (Comitato Disarmiamoli)

Curzio Bettio: Sulla questione del raddoppio della base USA di Vicenza
contiene:
Dopo Vicenza, Sigonella: alloggi per 6.800 militari

Basi militari americane Una storia di crimini e soprusi

Disarmiamo il militarismo bipartizan (Rete dei Comunisti)

"US Citizens for Peace and Justice":
- contro la base di Vicenza / against a new US base in Vicenza

- Lettera Aperta all'ambasciatore Spogli

Gli appalti 'rossi' da Vicenza a Sigonella (A. Mastrandrea)


LINK ESTERNI:

http://www.altravicenza.it/index.asp

US Citizens for Peace and Justice
http://www.peaceandjustice.it/nomilitarybases-post.php

nodalmolin.it

http://presidiopermanente.noblogs.org/

disarmiamoli.org

VICENZA. LA GUERRA PREVENTIVA DENTRO CASA
La storia, i pericoli, i documenti e le mobilitazioni contro la nuova base militare USA all'aereoporto Dal Molin
http://www.contropiano.org/Documenti/2006/Ottobre06/DossierDalMolin/Dal-Molin_dossier.asp

A Vicenza comanda Bush. L'inchiesta de L'Espresso
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/A%20Vicenza%20comanda%20Bush/1389667&ref=hpstr1

Il Comitato centrale della Fiom-Cgil contro la nuova base Usa a Vicenza
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=13626

Manlio Dinucci: Perché è un problema politico l'ampliamento della base Usa
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=13641

VIDEO: "No Usa al Dal Molin". L'intervento del capogruppo PRC al consiglio comunale di Vicenza
http://www.youtube.com/watch?v=gl-0ItBWQYw

Aggiornamenti, approfondimenti e rassegna stampa
http://www.globalproject.info/art-10058.html

Base di Vicenza: Rimodulazione delle forze Usa
http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osip6f11.htm

Ancora un’altra base militare U.S.A. a Vicenza, Italia (Coordinamento Comitati Cittadini)
http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osip6m07-000661.htm

Petizione on line
al governo e al sindaco di Vicenza contro l'allargamento della base militare USA
http://www.petitiononline.com/vicenza/petition.html

E' ARRIVATA L'ORA DI FAR SUL SERIO !
LETTERA APERTA AI COMPAGNI DI SINISTRA DEL GOVERNO
DI GIORGIO CREMASCHI E MARCO REVELLI - DA LIBERAZIONE DEL 27/01/2007

http://www.geocities.com/prcschio/documentiworld//revelliecremaschisuvicenzaeoverno.htm

The Outlook (giornale dell' U.S. Army Garrisons Vicenza  & Livorno)
http://www.usag.vicenza.army.mil/sites/commander/History/feb_2007/13feb07.pdf
http://www.usag.vicenza.army.mil/sites/commander/History/feb_2007/20feb07.pdf
 




La lotta di Vicenza va avanti con sempre maggiore determinazione e i soliti noti, come sempre accade, cercano di cavalcarla diffondendo poco convincenti Appelli e Comunicati.
Giro l'APPELLO AUTENTICO... DIFFIDATE DALLE IMITAZIONI e da improvvisati comitati, controllate le info nel sito del movimento www.altravicenza.it, inviate le adesioni a nodalmolin @ libero.it
Mariella Cao



APPELLO ALLA MOBILITAZIONE
17 FEBBRAIO: MANIFESTAZIONE NAZIONALE A VICENZA

IL FUTURO è NELLE NOSTRE MANI:
DIFENDIAMO LA TERRA PER UN DOMANI SENZA BASI DI GUERRA

    Presidio Permanente, Vicenza
    23 gennaio 2007

Dopo che per mesi Governo e Comune si sono rimpallati la responsabilità della decisione,  l’Esecutivo nazionale ha ceduto all’ultimatum statunitense: «il Governo non si oppone alla nuova base Usa», ha sentenziato Romano Prodi. Dopo appena due ore, migliaia di vicentini sfilavano per le strade del centro cittadino.
Chi pensava di aver chiuso la partita ha dovuto ricredersi, perché Vicenza si è mobilitata, ha Invaso le strade,  ha costruito il presidio permanente.

Otto mesi di mobilitazioni, culminate con la grandiosa manifestazione dello scorso 2 dicembre – quando 30 mila persone sfilarono dalla Ederle al Dal Molin, hanno dimostrato la forte contrarietà della popolazione alla nuova installazione militare. Ma il Governo, dopo aver più volte ribadito la centralità dell’opinione della comunità locale, ha ceduto agli interessi economici e militari.

In tutto questo pesa come un macigno anche la posizione dell’Amministrazione Comunale che, forte dell’assenso dato dal Governo Berlusconi all’operazione, prima ha nascosto ai cittadini il progetto per tre anni e poi, snobbando la contrarietà della popolazione, lo ha approvato durante un Consiglio Comunale blindato e contestato; infine ha negato ai cittadini la possibilità di esprimersi attraverso il referendum.

Nonostante tutto questo a Vicenza è successo qualcosa di nuovo: Vicenza non si è arresa alle imposizioni. In questo percorso abbiamo trovato donne e uomini, studenti e anziani, lavoratori e professionisti; li abbiamo incrociati nelle mobilitazioni, abbiamo discusso con loro alle assemblee pubbliche ed ai convegni. Insieme abbiamo costruito il Presidio Permanente, un luogo attraversato da migliaia di persone in pochi giorni.
Vicenza non si è arresa alle imposizioni.
Vicenza non vuole una nuova base militare al Dal Molin.
Vicenza si è mobilitata.
Migliaia di persone hanno occupato i binari della stazione appena due ore dopo la conferenza stampa di Romano Prodi; e nei giorni successivi una serie di iniziative, dalla manifestazione degli studenti ai presidi in Municipio e in Prefettura, hanno confermato la determinazione dei cittadini.
La nostra città ha riscoperto la dimensione comunitaria e popolare, ha riattivato le reti di solidarietà che in altri contesti – per esempio a Scanzano Ionico o in Val di Susa – hanno permesso di fermare dei progetti devastanti.

Da ogni parte d’Italia ci è arrivata un immensa solidarietà, un caloroso sostegno. Manifestazioni e presidi si sono svoltI in questi giorni in ogni angolo del Paese. Contro una scelta contrastata dalla comunità locale ovunque si manifesta e si discute.

Il nostro cammino è appena all’inizio. Nulla si è concluso con l’espressione del parere governativo. Cittadini, associazioni e organizzazioni sindacali hanno deciso di opporsi; molti parlamentari si sono auto-sospesi. Vicenza vuole fermare questo scempio, se necessario anche seguendo l’invito di molti a mettere pacificamente in gioco i propri  corpi.

Vogliamo dare una voce unitaria, pacifica e determinata a questo sdegno. Vicenza chiama tutti a mobilitarsi contro la militarizzazione di una città, contro la costruzione di una base che sorgerà a meno di due chilometri dalla basilica palladiana, consumerà tanta acqua quanta quella di cui hanno bisogno 30 mila cittadini, costerà ai contribuenti milioni di euro (il 41% delle spese di mantenimento delle basi militari Usa nel nostro territorio è coperto dallo Stato Italiano), sarà l’avamposto per le future guerre.

Vicenza vuole costruire una grande manifestazione nazionale per il 17 febbraio; vogliamo colorare le nostre strade con le bandiere arcobaleno e quelle contro il Dal Molin, ma anche con quelle per la difesa dei beni comuni e della terra, del lavoro e della dignità e qualità della vita. Un corteo plurale e popolare, capace di aggregare le tante sensibilità che in questi mesi hanno deciso di contrastare il Dal Molin, perché siamo convinti che le diversità siano un tesoro da valorizzare così come l’unità sia uno strumento da ricercare per vincere questa sfida.

Ai politici e agli uomini di partito che condividono la responsabilità di Governo locale e nazionale rivolgiamo l’invito a partecipare senza le proprie bandiere; vi chiediamo un segno di rispetto verso le tante donne e i tanti uomini che in questi giorni si sono sentiti traditi dai partiti e dalle istituzioni; vi chiediamo, anche, di valorizzare la scelta di quanti, in questi giorni, hanno scelto di dimettersi o auto-sospendersi in segno di protesta. Una protesta che, auspichiamo, dovrà avere ulteriori riscontri se il Governo non recederà dalle sue decisioni.

Noi siamo contro il Dal Molin per ragioni urbanistiche, ambientali, sociali; ma, anche, perché ripudiamo la guerra. Proprio per questo non accettiamo alcun vergognoso baratto con il rifinanziamento della missione in Afghanistan.

La nostra lotta non si è esaurita. A Vicenza, il 17 febbraio, contro ogni nuova base militare, per la desecretazione degli accordi bilaterali che regolano la presenza delle basi, per la difesa della terra e dei beni comuni, per un reale protagonismo delle comunità locali e dei cittadini.

Il futuro è nelle nostre mani: difendiamo la terra per un domani senza basi di guerra.
Il 17 febbraio tutti a Vicenza!


Presidio Permanente contro il Dal Molin

Per info e adesioni nodalmolin @ libero.it
Web www.altravicenza.it

--- ---


NO DAL MOLIN: sostieni il Presidio Permanente

Il Presidio Permanente è il cuore della protesta No Dal Molin; un luogo di lotta, attraversato in questi giorni da migliaia di persone. Purtroppo, però, ha anche dei costi molto alti di gestione: strutture, volantini ecc, tutto è auto-finanziato...

Vuoi fare una donazione al Presidio Permanente?

E' stato aperto un conto corrente! Ecco gli estremi:

NO DAL MOLIN PRESIDIO PERMANENTE

Banca Popolare Etica

n. 000000120140

ABI 05018

CAB 11800

CIN B

Il futuro è nelle nostre mani: difendiamo la terra per un domani senza basi di guerra. NO DAL MOLIN!

--- ---


Vicenza chiama, Roma non risponde.
E allora tutti a Roma!
 
I numeri della manifestazione di Vicenza parlano da soli: oltre 200.000 persone provenienti da tutta Italia dimostrano che la “variabile indipendente” del movimento contro la guerra italiano non è stata azzerata. Il popolo della pace si è mosso imponendo ancora una volta nell’agenda politica nazionale questioni ineludibili: il rifiuto netto ad una nuova base U.S.A. al dal Molin, coscientemente legato al no alle guerre senza se e senza ma, mettendo così in discussione la collocazione internazionale dell’Italia, le alleanze e le strategie che vedono impegnate le nostre truppe in Afghanistan, Libano, Balcani, Iraq (ad addestrare ed armare l’esercito fantoccio di Bagdad) e in altri scenari prebellici.
 
Di fronte a questa grande manifestazione di popolo, tutti gli esponenti di spicco del governo Prodi ribadiscono in questi giorni un si alla base indorato dalla pillola della “riduzione dell’impatto sulla popolazione”. Dopo la riduzione del danno per gli afgani siamo ora alla riduzione dell’impatto per i vicentini. Su questa strada si agita l’ipotesi della conferenza sulle servitù militari, implementando così una linea politica di oggettiva contrapposizione al movimento.
 
Nelle strade di Vicenza il 17 febbraio abbiamo assistito ad una grande manifestazione di massa ma nel contempo anche alle prove generali di una gestione del potere all’insegna della cosiddetta “governance”,  per cui parte dell’esecutivo marcia a braccetto con un movimento che dice un sonoro NO alle scelte dell’esecutivo stesso.
Schizofrenia di una democrazia mutilata dal maggioritario, dalla fine della cultura di opposizione e da un trasformismo delle rappresentanze politiche che ha riportato il paese ai primordi del parlamentarismo italiano.
 
Non sappiamo quanto tempo ancora ed in che modo questa mediazione potrà reggere nelle piazze e nelle mobilitazioni dei prossimi mesi. Certo è che anche gli obiettivi del movimento espressosi a Vicenza sono inconciliabili con la tabella di marcia del governo Prodi, in politica estera come in quella interna.
 
La parola d’ordine della autonomia e dell’indipendenza del movimento dal “governo amico” crediamo sia l’elemento imprescindibile per affrontare i nuovi passaggi che ci aspettano, a Vicenza ed in tutto il paese.
 
Il comitato promotore della rete “Disarmiamoli” ha partecipato attivamente alla manifestazione vicentina, animando un forte spezzone colorato e combattivo, che ha raccolto molte realtà nazionali impegnate sui territori contro basi e guerra, coordinatesi intorno agli obiettivi emersi dal convegno dello scorso 10 febbraio a Bologna.
 
Occorre ora organizzare un fronte di resistenza alle strategie belliciste del governo Prodi, portando a sintesi le spinte provenienti da Vicenza.
La Ederle sarà trampolino di lancio per l’offensiva di primavera in Afghanistan. Per questo si vuole potenziare la presenza USA al Dal Molin. Il nostro paese è direttamente coinvolto in quella guerra, per la quale il parlamento sarà di nuovo chiamato ad esprimersi nel mese di marzo.
A marzo la forza del movimento dovrà riversarsi nelle strade della capitale per dire un NO secco alla presenza delle truppe italiane  in Afghanistan e alle basi della guerra.
 
SU QUESTI OBIETTIVI CHIAMIAMO TUTTO IL MOVIMENTO AD UN CONFRONTO A FIRENZE, DOMENICA 4 MARZO ALLE ORE 9,30 PRESSO IL DOPOLAVORO FERROVIARIO.
 
Il Comitato promotore per la Rete nazionale Disarmiamoli
www.disarmiamoli.org  info @disarmiamoli.org  3381028120



-------- Messaggio Originale --------
Oggetto: E NON è FINITA QUI...
Data: Mon, 19 Feb 2007 19:51:19 +0100
Da: nodalmolin @ libero.it

A TUTTI COLORO CHE SONO VENUTI A VICENZA: GRAZIE

Decine di migliaia di persone, sabato scorso, hanno sfilato per le strade della nostra città. Una manifestazione storica che Vicenza e il Veneto non avevano mai visto. Una manifestazione determinata nei contenuti e pacifica nelle pratiche, che ha smentito quanti nei giorni precedenti la sfilata avevano profetizzato catastrofi.

Vicenza ha detto che resisterà un minuto in più di chiunque voglia costruire la nuova base militare. Vicenza ha incrociato migliaia di donne e uomini provenienti da tutta Italia che l'hanno abbracciata, sostenuta, incoraggiata.

Vogliamo ringraziarvi per il sostegno e la solidarietà che ci avete dato; vogliamo ringraziarvi per il lavoro che avete fatto nei vostri territori. Il futuro è nelle nostre mani anche grazie ad ognuno di voi.

Il 17 febbraio rappresenta una tappa nel lungo cammino che abbiamo intrapreso. Dai campi di Rettorgole, dove da più di un mese si trova il Presidio, non ce ne andremo fino a quando non avremo vinto la nostra lotta.

Vi segnaliamo, quindi, i nostri siti ( www.altravicenza.it e www.nodalmolin.it) e la nostra radio No Dal Molin che potrete ascoltare in streaming ( www.globalproject.info/live/live.m3u) dal lunedì al venerdì dalle 19.00 alle 20.00.

Vi segnaliamo, ancora una volta, anche il conto corrente per chi vuole contribuire alle spese che abbiamo sostenuto in questi giorni e che dovremo sostenere nei prossimi mesi:

NO DAL MOLIN PRESIDIO PERMANENTE
Banca Popolare Etica
n. 000000120140
ABI 05018
CAB 11800

Grazie ancora per quel che avete fatto. Il futuro è nelle nostre mani: difendiamo la terra per un domani senza base di guerra.

Il Presidio Permanente

--- ---


http://www.workers.org/2007/world/intl-0301/

International news in brief

By John Catalinotto
Published Feb 24, 2007 8:40 AM

ITALY: 200,000 say ‘no U.S. base expansion’

Some 200,000 people, far more than organizers expected, marched in Vicenza, Italy, on Feb. 17 to protest plans to nearly double the size of the U.S. military base in that city, from 2,750 to 4,500 troops. The Pentagon plans to keep in Vicenza the entire 173rd Airborne, a rapid deployment force now split between Vicenza’s Camp Ederle and Ramstein in Germany. The 173rd answers to the European Command, which can send U.S. forces into an area of almost 22 million square miles, including 90 countries.

Vicenza’s citizens had been protesting plans to build the larger base for months, as it threatens their environment and the tranquility of the city. But people came from all over Italy to join the national protest because the new base also threatens to make Italy a source of U.S.-NATO aggression throughout the African continent and nearby Asian countries as well as Eastern Europe. Many Italians demonstrating have said this also makes Italy and especially Vicenza a target, since it will house the aggressors.

In the weeks before the demonstration, the Italian government and its right-wing opposition violence-baited the protesters, recalling the anti-globalization protest in Genoa in the summer of 2001—when demonstrators clashed with police, who brutally attacked the protest and even shot one youth to death. These slanders were repeated in the Italian corporate media. The U.S. Embassy also butted in with a letter “warning” U.S. citizens to stay away from Vicenza as the demonstrators were “anti-American.”

A group of U.S. expatriates organized from Florence exposed these slanders with an open letter to the ambassador, saying the contents of his letter “disseminate fear and ignorance and are offensive to the intelligence of U.S. citizens in Italy.” The group, U.S. Citizens Against War (Florence), also participated in the Vicenza march.

The authorities had a 1,300-person force of local police and carabinieri (federal police) on hand to repress the marchers, if necessary. This time, despite all the baiting and provocations from the government, there were no confrontations.

The massive protest has also caused problems for the “center-left” government led by Romano Prodi, because parties that make up his ruling coalition—including the Refoundation Communist Party and the Greens—joined the protest. These parties had not broken with the government over its decisions to keep Italian troops in Afghanistan and send troops to Lebanon.






http://www.contropiano.org/Documenti/2007/Gennaio07/12-01-07Italia_Vicenza.htm

Italia. Vicenza: ci sarebbe un ultimatum dei militari statunitensi al governo italiano
sulla vicenda della costruzione della nuova base  “Dal Molin”

''Ci giungono notizie secondo le quali il generale statunitense, 
incaricato di seguire la vicenda della costruzione della nuova base 
militare presso l'aeroporto 'Dal Molin', avrebbe dato un ultimatum di 
8 giorni al Governo per sciogliere le riserve sull'ampliamento della 
base 'Dal Molin'. Ad affermarlo in una nota e' Severino Galante, 
Capogruppo Pdci in Commissione difesa della Camera dei deputati.

E' un fatto di una gravità inaudita. Il territorio nazionale non può 
essere trattato alla stregua di un protettorato americano e non e' 
tollerabile qualsivoglia 'ultimatum' per condizionare la legittima e 
libera scelta del Governo Italiano ''- ha concluso il deputato.




Base Usa Vicenza, Prodi: decisione del governo è definitiva

mercoledì, 17 gennaio 2007 5.35

SOFIA (Reuters) - Il presidente del Consiglio Romano Prodi ha detto oggi che il
via libera del governo all'ampliamento della base militare statunitense di
Vicenza è una decisione ormai presa e il problema semmai è di carattere
urbanistico più che politico.
"Il governo ha preso una decisione finale e su questo non c'è nessuna decisione
ulteriore", ha detto Prodi a una conferenza stampa durante una visita ufficiale
al paese neo membro della Ue.
"La vicenda Vicenza è stata decisa. Poi uno prende decisioni difficili e sa
benissimo che possono esserci polemiche. Noi ci siamo impegnati a seguire le
decisioni della comunità locale", ha spiegato Prodi.
"Non era un problema di strategia generale, ma urbanistico", ha aggiunto il
premier cercando di spegnere la polemica che sta spaccando la maggioranza dal
suo interno, con la sinistra radicale che promette battaglia contro
l'ampliamento della base militare americana.
Quando i giornalisti gli hanno poi fatto notare, però, che alcuni membri della
maggioranza come il presidente della Camera Fausto Bertinotti e il ministro
della Solidarietà Paolo Ferrero hanno posto la questione in termini politici,
Prodi ha tenuto a ribadire che "un problema politico non si pone certo per
l'ampliamento della base militare".
"Alla Maddalena c'è stato un cammino inverso", ha fatto notare il presidente del
Consiglio a sostegno della sua tesi. "Non c'è certo una strategia di ampliamento
delle basi militari nel Paese".
Il capo del governo ha poi riservato una battuta al precedente governo che,
sotto Silvio Berlusconi, aveva già autorizzato l'ampliamento.
"Ritengo che Berlusconi sia stato riservato, credo che queste decisioni debbano
essere prese rendendo partecipe l'opinione pubblica. Un governo si assume
l'attivo ed il passivo di quanto gli lasciano e lo deve gestire".




http://www.contropiano.org/Documenti/2007/Gennaio07/17-01-07Italia_Sen_Rossi.htm

Italia: Sen. Rossi: "La vicenda di Vicenza è come per la guerra in Jugoslavia"

"Vicenza come la guerra alla Jugoslavia, una decisione per conto terzi". E' netto il giudizio del senatore Fernando Rossi, ex Pdci ora al gruppo misto e fondatore del movimento Officina comunista. Che aggiunge: "E' tempo che l'Italia metta i pantaloni lunghi - dice Rossi - abbiamo fatto una figura da repubblica delle banane, con la variante che, in America del Sud le ex repubbliche delle banane stanno mettendo in chiaro la loro indipendenza nazionale.
Spero che il governo- aggiunge- possa tornare alle posizioni equilibrate che aveva tenuto fino a qualche giorno fa". I fatti non convincono Rossi: "la mancata sospensione dell'accordo militare con Israele; la decisione di restare nel pantano della guerra afgana ed ora il raddoppio della base militare americana di Vicenza". Per questo, Rossi con il suo movimento annuncia l'adesione "alla manifestazione di venerdi' a Roma" e propone che "le forze pacifiste ed i cittadini di Vicenza promuovano un referendum popolare autogestito".




Dal Molin, ovvero
IL RE E’ NUDO
 
Con il placet di Romano Prodi all'insediamento di una base USA nel cuore di Vicenza si chiude l’ultimo barlume di speranza in una azione di governo vagamente autonoma dalle strategie politico-militari statunitensi.
 
Il servilismo con il quale la decisone è stata presa traspare dai tempi, in largo anticipo sulla enfatizzata “dichiarazione chiarificatrice di venerdì 19 gennaio”, e dai modi, esposti dal ministro degli esteri  durante la trasmissione televisiva “Ballarò” di martedì 16 gennaio , durante la quale D’Alema ha rivelato una proposta alternativa al Dal Molin, evidentemente rifiutata dal padrone americano. Il Pentagono ha battuto forte sul tavolo, ha dettato le condizioni per la realizzazione della base ora, subito, adesso. Il "governo amico" ha battuto i tacchi.
Alcune affermazioni di Prodi, che addossano ora la responsabilità della scelta al voto del consiglio comunale di Vicenza ed al passato governo Berlusconi aggiungono al servilismo un forte sapore di ridicolo.
 
Mentre migliaia di cittadini vicentini occupano la stazione di Vicenza, le trivelle sono pronte a scavare le fondamenta per l’installazione della 173° brigata aviotrasportata USA, tristemente nota per i massacri in Vietnam e più recentemente a Falluja..
La strada tracciata è evidente: una reiterata subalternità dell’Italia alle presenti e future operazioni di guerra in Medio Oriente. I nostri territori saranno ancora di più trampolino di lancio per le aggressioni contro l’Afghanistan, la Siria, l’Iran,  il Libano, la Somalia e il corno d’Africa.
 
In base a queste scelte politiche decine di civili afgani muoiono quotidianamente sotto i bombardamenti della NATO, in Libano i soldati italiani difendono (dichiarazioni di D’Alema e Prodi) gli interessi di Israele e dell’illegittimo governo Siniora, è stata varata una finanziaria che - prima volta nella storia repubblicana - investe più fondi per le spese militari rispetto a quelle sociali.
La cosiddetta “sinistra radicale” di governo si trova ora di fronte ad una nuova, gravissima scelta presa dal “nocciolo duro” dell’esecutivo prodiano, contro la quale l’unica strada possibile sarebbe quella di determinare una vera crisi di governo, con il ritiro dei propri ministri dall'esecutivo.
Dubitiamo fortemente sulle reali intenzioni di questo ceto politico,  prono sino ad oggi di fronte a scelte guerrafondaie e liberiste.
 
La base USA al Dal Molin apre la strada ad una riorganizzazione strategica dell’esercito statunitense nel nostro paese. Le notizie trapelate in questi ultimi anni su ipotesi di raddoppio ed ampliamento a camp Darby, Sigonella, Taranto, Brindisi, Napoli si tramutano oggi in una drammatica attualità.
 
Il movimento contro la guerra si trova di fronte ad una sfida a tutto campo, su tutto il territorio nazionale. Le lotte di questi mesi a Vicenza indicano però una strada, in grado di far uscire le mobilitazioni da un generico pacifismo.
Dobbiamo costruire una forte rete nazionale di resistenza attiva sui territori, contro la militarizzazione della politica e dell’economia, contro l’occupazione di intere aree da parte di eserciti in guerra oggi contro i popoli mediorientali, domani contro chiunque metta in discussione l’ordine delle cose esistente.
 
Esprimiamo la nostra totale solidarietà alle mobilitazioni di queste ore a Vicenza, chiamando tutte le realtà coerentemente pacifiste a scendere in piazza, contro un ulteriore, vergognoso schiaffo alla dignità nazionale, subìto oggi da un governo che qualcuno spacciava come “amico”.
Occorre mobilitazione immediata e riorganizzazione strategica del movimento contro la guerra.

Il convegno nazionale “Disarmiamoli” del prossimo 10 febbraio a Bologna si porrà al servizio di queste urgenze.
 
Il Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane
www.disarmiamoli.org  -- info @ disarmiamoli.org




No alla base militare USA a Vicenza. La posta in gioco
 
Il governo Prodi intende dare il via libera alla costruzione di una nuova base militare USA a Vicenza che affianchi quella già esistente nel cuore della città (Camp Ederle).
Sono evidenti a tutti la gravità e le conseguenze di questa scelta. La decisione del governo pone serissimi problemi di democrazia e di collocazione internazionale dell’Italia.
 
1) La nuova base militare USA al Dal Molin infatti sarà una base pienamente operativa e funzionale alla dottrina della guerra preventiva. Da essa dovrebbero partire i blitz dei paracadutisti statunitensi in tutto l’arco di crisi mediorientale e eurasiatico, sussumendo così Vicenza dentro un sistema operativo di guerra che vede l’Italia coinvolta pienamente. La base al Dal Molin diventerebbe uno dei “santuari” delle aggressioni contro altri popoli.
 
2) L’ampiezza del dissenso e della mobilitazione popolare contro la nuova base militare a Vicenza, è stata tale che la decisione del governo di procedere comunque all’installazione della base al Dal Molin, cozza frontalmente con la sovranità popolare. Questo governo si regge su una coalizione di forze che oggi sono chiamate a scegliere tra questa e la lealtà ad un esecutivo orientato su una scelta antidemocratica
 
3) E’ tempo che si apra una vasta e radicale battaglia democratica, popolare e antimilitarista contro i vincoli e i trattati internazionali a cui è sottoposto il nostro paese. La “relazione speciale con gli USA” o la fedeltà atlantica nella NATO, non possono più essere dei dogmi indiscutibili per l’Italia del XXI Secolo. Il rapporto di servilismo e subalternità agli USA e alla NATO (e la presenza delle loro basi militari nel nostro territorio) vanno rimessi in discussione radicalmente. A fronte della continuità della subordinazione atlantica, diventano risibili e ridicoli i discorsi sulle iniziative “autonome” dell’Italia in Libano o in Medio Oriente. Al contrario, le missioni militari in questi teatri assumono il segno della complicità con la dottrina USA della divisione e della guerra civile diffusa in quella regione.
 
E’ necessario avviare una mobilitazione locale e nazionale che prenda di petto i nodi centrali della politica militare e internazionale del governo italiano e ne renda sempre più difficile la realizzazione. La parola d’ordine “disarmiamoli” può indicare una nuova politica e una nuova etica su cui costruire una alternativa e una alterità di modelli.
 
Mettiamo in campo subito una giornata di mobilitazione in tutte le città contro la costruzione della nuova base militare USA a Vicenza e a sostegno del movimento popolare che si oppone alla base
 
Prepariamo una grande manifestazione nazionale  per il ritiro dei militari italiani da tutti i teatri di guerra, per lo smantellamento delle basi militari USA e NATO e per il taglio alle spese militari.
 
16 gennaio
 
La Rete dei Comunisti




Interpellanza, alla Camera dei Deputati, di Alberto Burgio sull'allargamento della Base "Dal Molin"

Interpellanza firmata dai deputati Gennaro Migliore ed Elettra Deiana del PRC

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministro degli Affari Esteri e il Ministro della Difesa, per sapere

– premesso che:
le autorità militari statunitensi hanno avviato da oltre due anni le procedure per realizzare, nella città di Vicenza, attualmente sede della 173a Brigata “Airborne”, un vasto complesso infrastrutturale destinato ad ospitare nuove unità che dovranno aumentare considerevolmente le capacità operative di detta Brigata;
secondo quanto dichiarato il 7 marzo 2006 allo US Senate Armed Services Committee dal comandante dello US European Command, generale James L. Jones, una volta completata la riorganizzazione della 173a Brigata “Airborne” in Airborne Infantry Brigade Combat Team e una volta ultimato lo scioglimento di altre unità terrestri statunitensi attualmente posizionate in territorio tedesco, la 173a Brigata “Airbone” diventerà una delle tre sole unità delle forze armate Usa stanziate in Europa;
la Brigata di stanza in Italia diverrebbe, al termine di questo processo, l’unità destinata ad interventi di proiezione della forza in tutta l’area di competenza dello stesso comando europeo che, oltre all’Europa, comprende la zona del Caucaso e del Caspio, il Medio Oriente e tutta l’Africa, continente nel quale le truppe della 173a Brigata “Airbone” ormai da alcuni anni operano e si addestrano;
dal Construction Programs (C-1) - Department of Defense Budget FY2007, documento ufficiale stilato dal Ministero della Difesa statunitense nel febbraio 2006, risulta che il progetto sia già finanziato con 322 milioni di dollari per l’esercizio finanziario 2007, a cui andrebbero aggiunti ulteriori 680 milioni entro il 2010;
fin dalla primavera del 2005 le autorità militari statunitensi, con l’assistenza di tecnici del 5° Reparto infrastrutture di Padova, organo dell’Ispettorato infrastrutture dello Stato maggiore dell’Esercito italiano, hanno avviato la progettazione esecutiva degli edifici e delle installazioni che dovrebbero ospitare le nuove unità all’interno della zona aeroportuale “Dal Molin” di Vicenza;
nello stesso periodo lo Stato maggiore dell'Aeronautica militare italiana ha disposto la chiusura o il trasferimento di tutti gli enti dislocati nel citato aeroporto (il Distaccamento aeronautico di Vicenza, il 27° Gruppo genio campale e il 10° Gruppo manutenzione elicotteri), al fine di rendere l’area libera da ogni attività militare italiana;
nella primavera del 2006, nonostante il parere contrario dei servizi tecnici del Comune di Vicenza, la Giunta comunale della città veneta ha sottoposto agli organi del Consiglio comunale il progetto esecutivo;
nell’agosto 2006 il Giornale di Vicenza ha riportato con rilievo la notizia che un secondo insediamento militare Nato starebbe per essere attivato a Longare, nelle immediate vicinanze di Vicenza;
il portavoce dell’Ambasciata statunitense a Roma, Ben Duffy, ha confermato che l’Italia avrebbe dato l’assenso a rendere disponibili, per il personale militare statunitense, le strutture dell’aeroporto “Dal Molin”;
il Comandante in carica dell’United States Army Europa, generale B. B. Bell, ha affermato che le trattative, in corso ormai da oltre due anni, starebbero per volgere ad un accordo;
l’Assessore al bilancio e all’urbanistica del Comune di Vicenza, Marco Zocca, ha chiarito che il progetto di insediamento di truppe militari presso l’aeroporto “Dal Molin” verrà gestito dal Ministero della Difesa italiano, essendo l’area interessata di proprietà demaniale, e che il Comune di Vicenza contribuirà al progetto con circa 40 milioni di euro da destinare ad opere di viabilità che colleghino il “Dal Molin” con la caserma Ederle;
il vicepresidente del Consiglio dei Ministri, on. Francesco Rutelli, nel corso della risposta ad un’interrogazione parlamentare rivoltagli dall’on. Mauro Fabris e avente per oggetto l’utilizzo dell’aeroporto militare vicentino da parte delle forze armate statunitensi, ha affermato che «l’ipotesi di concessione in uso dell’area in questione è stata portata avanti dopo un esame condotto dal Ministero della Difesa, che ha visto anche il coinvolgimento delle autorità locali, dalle quali risulta all’amministrazione non siano stati presentati particolari elementi ostativi alla realizzazione di una base. Di conseguenza, nella XIV legislatura la Difesa ha rappresentato al Governo degli Stati Uniti una disponibilità di massima a questa concessione, a condizione che l’operazione venga formalizzata con un piano preciso di transizione sulla tempistica, le azioni da compiere e i costi; un piano – aggiungo – che si rende necessario, perché l’attività deve coinvolgere tutti i livelli, innanzitutto gli enti territoriali, perché ne sia informata, ovviamente, la popolazione locale, oltre che il Governo della Repubblica, perché si possa pervenire ad una soluzione condivisa sul progetto, consentendo la continuazione senza restrizioni delle attività di volo commerciale che insistono sull’aeroporto “Dal Molin”»;
dai risultati di un sondaggio telefonico condotto, tra il 4 e il 6 ottobre 2006, dalla società “Demos & Pi” su un campione di 1.502 persone residenti nel territorio dei Comuni di Vicenza e Caldogno, è emerso che 7 cittadini su 10 sono a conoscenza del progetto e che ben il 61% degli intervistati residenti nel Comune di Vicenza e il 65% di quelli residenti nel Comune di Caldogno è contrario;
il sondaggio certifica un dato già chiaramente emerso negli ultimi mesi, durante i quali sono state organizzate numerose iniziative e manifestazioni contro il progetto della nuova base Usa, ultima in ordine di tempo la manifestazione svoltasi a Vicenza il 4 dicembre scorso, che ha visto la partecipazione di oltre 30.000 persone;
negli stessi mesi sono state raccolte circa 10mila firme a sostegno di tali iniziative pubbliche avverse al progetto in questione;
l’opinione pubblica vicentina ha in più occasioni motivato la propria contrarietà al progetto con i rischi di impatto ambientale che lo stesso produrrebbe nel cuore dei quartieri residenziali di Vicenza; con le ripercussioni che il progetto avrebbe in materia di sicurezza, principalmente a causa della concentrazione di veicoli militari e armamenti in un’area densamente abitata e che ospita da oltre trent’anni strutture di utilizzo pubblico; nonché con il rifiuto nei confronti dell’ulteriore militarizzazione di un territorio che ospita già un imponente insediamento militare quale quello della caserma “Ederle”;
alla voce delle varie associazioni della società civile si è aggiunto nelle settimane scorse l’appello di un nutrito gruppo di autorevoli urbanisti che mettono in evidenza come la nuova base comporterebbe l’utilizzo di ulteriori 600mila metri cubi di cemento per la costruzione di caserme e magazzini bellici, in un territorio già notevolmente segnato dalla dispersione disordinata di insediamenti industriali, commerciali e residenziali;
risulta chiaro che, come lo stesso appello mette in rilievo, il nuovo insediamento comporterebbe un notevole incremento del potenziale bellico statunitense localizzato in Italia, a sessant’anni dalla fine del Secondo conflitto mondiale, a oltre quindici anni dalla caduta del Muro di Berlino e dallo scioglimento del Patto di Varsavia, in palese contrasto con l’impegno più volte ribadito dal Governo e dal Parlamento di contribuire a costruire un’Europa di pace;
sono consistenti le implicazioni politiche conseguenti al più che raddoppio delle capacità operative della 173a Brigata “Airborne”, la quale assumerebbe un ruolo centrale nella strategia militare Usa, oggi particolarmente aggressiva, in Medio Oriente, Golfo Persico e Africa – :
– se il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri interpellati non ritengano che la questione sia di preminente interesse nazionale ed in quanto tale di competenza del Governo;

– quali siano le valutazioni del Governo sul progettato potenziamento della presenza militare statunitense in Italia e in particolare sulla richiesta di ampliamento delle infrastrutture militari americane in provincia di Vicenza;

– se siano stati raggiunti accordi tra le autorità governative o militari statunitensi e le autorità politiche o militari italiane rispetto alla realizzazione del progetto di ampliamento della base di Vicenza, come sembra evincersi dalle attività messe in atto dagli organi periferici del Genio militare e dai provvedimenti di chiusura o trasferimento dei reparti dell’Aeronautica militare italiana di stanza nell’aeroporto “Dal Molin” di Vicenza;

- se i Ministri interpellati non ritengano necessario tenere nella debita considerazione i ripetuti pronunciamenti dell’opinione pubblica vicentina e quindi prendere atto in via ufficiale della contrarietà al progetto più volte espressa dalle popolazioni, recedendo dalla sua realizzazione.




DA KABUL A BEIRUT, PASSANDO PER VICENZA
Contro le mistificazioni, uniamo le forze verso la manifestazione nazionale a Vicenza del 17 febbraio!
 
La ridda di ipotesi esposte in questi giorni per “normalizzare” i rapporti tra le varie anime del governo di centro sinistra e tranquillizzare l’opinione pubblica, se non riguardassero argomenti che toccano direttamente le sorti di intere nazioni e la vita di migliaia di persone, desterebbero sentimenti alterni tra lo sconcerto e l’ilarità.
Per le nostre truppe impegnate in Afghanistan si passa dall’”exit strategy” al “change of strategy”, per quelle in Libano la cosiddetta “equidistanza tra le parti” è condita da continue dichiarazioni di Prodi e D’Alema al fianco di Israele e dell’illegittimo governo Siniora, mentre milioni di libanesi scendono in sciopero contro un esecutivo screditato e ferocemente filo occidentale.
In Iraq le truppe vengono ritirate secondo i progetti del precedente governo, ma le nostre industrie militari fanno affari d’oro riarmando il governo fantoccio di Baghdad, mentre istruttori italiani addestrano gli squadroni della morte delle bande sciite al servizio dell’occupante USA.
 
Tutto questo per i nostri governanti non ha niente a che vedere con la base USA al Dal Molin di Vicenza! Come è risaputo, la 173 brigata d’assalto USA sarà al servizio della protezione civile in Val Padana….
 
L’arte della mistificazione, della falsa coscienza e della menzogna evidentemente non ha limiti per la fantasia dell’intera classe politica oggi al governo del paese.
I fatti però, come sempre, hanno la testa dura, come quella dei cittadini di Vicenza, che chiedono a gran voce segnali chiari, soprattutto da parte del drappello di parlamentari eletti come “pacifisti” nelle ultime elezioni politiche: NO alla base ed alle missioni di guerra, voto contrario e dimissioni da ogni incarico di governo se non si dovessero modificare gli orientamenti espressi in questi giorni.
Chi è entrato nelle aule parlamentari con un mandato pacifista non può e non deve fare da stampella a scelte chiaramente belliciste!
Il segnale è chiaro, viene da Vicenza ma anche da Bologna, dalla Toscana, dall’Emilia, dalla Campania e da tante altre zone del paese che in questi giorni hanno visto la mobilitazione di pacifisti ed antimilitaristi.
Nei prossimi giorni sono previsti altri presidi, iniziative territoriali, assemblee, riunioni organizzative, con l’obiettivo di ricostruire un forte ed autonomo movimento contro la guerra.
 
Il convegno nazionale “Disarmiamoli” del prossimo 10 febbraio a Bologna in questo clima si trasforma giorno per giorno in un importante appuntamento, verso il quale molte realtà convergeranno con l’obiettivo della costruzione di una rete nazionale contro la militarizzazione dei territori, della politica interna ed estera italiana.
 
La manifestazione nazionale del 17 febbraio a Vicenza, che ci vede sin da ora tutti impegnati, sarà una prima importante prova di forza di un movimento che non ha intenzione di recedere di un passo rispetto al No alla base al dal Molin ed a tutti gli insediamenti USA – NATO , No alle missioni militari mascherate da “missioni di pace”, No alle politiche di guerra mascherate da “risanamento economico”.
 
Il gioco delle parole, delle alchimie e delle mistificazioni, usato in questi mesi a piene mani dal governo Prodi e dalla cosiddetta “sinistra radicale”, inizia a mostrare la corda.
 
Il Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane
www.disarmiamoli.org  -- info @ disarmiamoli.org




http://www.ecn.org/ponte/guerra/bascrim.php

Basi militari americane Una storia di crimini e soprusi.

Di Antonella Randazzo

Gli Stati Uniti hanno oltre 800 basi militari sparse nel mondo. Tale livello di militarizzazione globale viene giustificato con l'esigenza di "sicurezza e protezione". Ma da chi? Chi sono i nemici? E se gli Usa non sono capaci di proteggere nemmeno se stessi da attentati aerei, a cosa possono servire questi enormi arsenali? Di sicuro gli effetti della militarizzazione sono devastanti ovunque. Con le basi militari, gli Usa introducono una cultura di guerra, di dominio e di violenza. Ovunque avvengono crimini contro la salute, l'ambiente, reati sessuali e di altro genere. Nell'esercito americano avvengono almeno 14.000 casi di violenza sessuale ogni anno. Raramente i responsabili subiscono un processo perché vige ovunque il principio dell'extraterritorialità.

Nella base della Maddalena, in Sardegna, i danni ambientali sono enormi. Nel settembre del 2005 è stato rivelato che i sottomarini di attacco americani avevano gettato acqua radioattiva dai reattori, inquinando il Parco marino internazionale delle Bocche di Bonifacio. Invano l'allora deputato Mauro Bulgarelli chiese al Ministro italiano della Difesa: "Quali i provvedimenti presi durante questa delicatissima operazione?"[1]

Già nel dicembre del 2003, Bulgarelli aveva sollevato domande sull'operato dei militari della base, ma incredulo si era trovato di fronte ad un atteggiamento arrogante: Sapete cosa ci ha risposto il comando del corpo militare italiano quando ci siamo allarmati per il modo in cui vengono stoccate le armi atomiche dalla Marina americana alla Maddalena? E quando ci siamo preoccupati per le procedure relative allo scarico dei residui radioattivi? Ci hanno risposto: "No comment". E' un insulto alla nostra sovranità nazionale![2]

Nell'ottobre del 2003 si era verificano un incidente al sottomarino nucleare Hartford, che aveva prodotto gravi danni. Le conseguenze dell'incidente sono state tenute segrete, ma gli abitanti avevano sentito un enorme boato. Anche nel 2000 si era verificato un incidente nella base di Camp Darby, in seguito al quale furono evacuate diverse armi, forse nucleari. La popolazione è tenuta all'oscuro di ciò che avviene nelle basi, e non c'è alcuna protezione per la salute dei cittadini. In caso di incidenti, lungi dall'avanzare proposte di giusto risarcimento, gli americani non ammettono nemmeno i danni prodotti. La Sardegna veniva chiamata dal Pentagono, già nel 1954, "A pivotal geographic location". Da molti anni il popolo sardo è privato di parte del territorio e subisce restrizioni e conseguenze di vario genere a causa delle basi militari americane. Nella base militare Capo S. Lorenzo-Quirra avvengono esercitazioni e sperimentazioni di tipo bellico. Il poligono si estende per più di 11.000 ettari , e le zone interdette o pericolose per la navigazione sconfinano in acque internazionali e coprono oltre 2.800.000 ettari , una superficie più estesa di quella dell'intera Sardegna. Periodicamente viene organizzato lo "shopping della morte", con aziende come la Thomson , la Fiat , la Aerospatiale e la Alenia , che presentano nuovi armamenti e materiali di guerra da testare e di cui promuovere l'acquisto in tutto il mondo.

Nelle zone limitrofe ai poligoni si sono registrate morti strane e sospette. Ad esempio, a Quirra, un paesino di soli 150 abitanti, 20 persone sono morte di leucemia o tumori emolinfatici. Anche 10 persone che avevano lavorato nella base sono morte di cancro. A Escalaplano, un paesino di 2.600 abitanti, a nord del poligono, 14 bambini sono nati con gravissime malformazioni genetiche e patologie rarissime. I militari americani non riferiscono i particolari delle loro esercitazioni, e si sospetta l'uso di proiettili all'uranio impoverito. Negli ultimi anni sono aumentati i casi di tumori ossei e alla mammella, proprio dove si trovano i sommergibili americani a propulsione nucleare, a La Maddalena. I casi di "anencefalia" e di "cranioschisi" sono già stati riscontrati in altre zone ad alto inquinamento radioattivo, come spiega una mamma al giornalista Piero Mannironi: A cavallo tra il 1987 e il 1988... Ricordo che raccontai al genetista delle altre due donne della Maddalena che avevano avuto questo problema insieme a me. E lui mi disse che un'incidenza così alta di anencefalie, secondo uno studio scientifico internazionale, era stata riscontrata in una zona del Galles dove si effettuavano lavorazioni industriali che provocavano l'emissione continua di radiazioni.[3]

Nonostante i crimini e gli occultamenti da parte delle autorità militari americane, al ministro Arturo Parisi è bastata una vaga promessa di ritiro dalla Maddalena, avanzata dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, per annunciare la "conferma (del)l'affidabilità dei rapporti che ci legano agli Usa con la conclusione in amicizia della presenza alla Maddalena".[4] Ma le cose non sono da considerare così ottimisticamente come azzarda il ministro. Innanzitutto le autorità americane, non riconoscendo alcuna responsabilità di danni all'ambiente e alle persone, non parlano di bonifica né di risarcimento, e le intenzioni di ritiro sono vaghe e non escludono il permanere del controllo militare americano sulla zona. Le dichiarazioni di Rumsfeld sono seguite alle proteste molto decise da parte della popolazione sarda, che è ormai stufa dell'occupazione militare che è costretta a subire. La Maddalena è stata istituita in seguito a trattati conclusi nel 1972, e al suo interno viene riconosciuta l'extraterritorialità e l'extragiurisdizionalità, cioè tutto quello che accade non può essere controllato o penalmente perseguito dallo Stato italiano. Il trattato è rimasto segreto, né i cittadini né i parlamentari possono conoscerne tutti i contenuti, in offesa al potere sovrano democratico del popolo. Dagli anni Settanta numerosi medici e scienziati denunciano strani fenomeni genetici e una percentuale elevata di tumori, che sarebbero causati da sostanze radioattive prodotte dai reattori. Il governo italiano non ha mai fronteggiato la situazione, e non ha mai autorizzato controlli sanitari o ambientali. Il nostro governo ha persino negato la presenza di armamenti atomici nella base della Maddalena, che il Congresso americano e l'Assemblea Atlantica hanno confermano.

Dagli anni Cinquanta il governo italiano ha dato mano libera all'installazione di basi militari americane. Il potere attribuito agli Usa è enorme, se si pensa che non sono tenuti a precisare né l'ubicazione della base né le attività che si svolgono all'interno. Ciò è anticostituzionale perché viola gli articoli 80 e 87, che prevedono la sovranità su tutto il territorio dello Stato. Il nostro territorio è disseminato di basi americane: Ghedi, Sigonella, Aviano, Camp Darby, Pisignano ecc.; le basi sono complessivamente 113. In Sardegna c'è il triste primato della morte, col 66% delle installazioni militari. La base militare di Sigonella, in Sicilia, è fornita di bombe atomiche, e produce un alto grado di inquinamento, spreco di energie e di acqua. La base, creata nel 1984, ospita l'Helicopter Combat Squadron Four HC-4 Black Stallion, dotato di nove elicotteri pesanti MH-53E Sea Dragon per trasportare uomini, mezzi e munizioni. Lo squadrone partecipa alle operazioni militari americane in Europa, Africa e Medio Oriente. E' anche impegnato in operazioni belliche in Afghanistan e in Iraq. Le testate nucleari sono del tipo B 43, B 61, B 83, con potenza distruttiva variabile da 1 kiloton a 1,45 megaton. Sul territorio italiano sono presenti parecchi missili a testata nucleare. Soltanto nella nave-balia Uss Emory S.Land, ormeggiata nelle acque di Santo Stefano ci sarebbero ben 34 missili a testata nucleare.

Nel 2003 sono partiti i missili contro la popolazione irachena in spregio all'articolo 11 della nostra Costituzione che "ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" Nel luglio del 2006 il governo israeliano chiese agli americani armi "speciali", che sarebbero partite dalla base italiana di Camp Darby (base posta fra il porto di Livorno e l'aeroporto di Pisa). Questa base nacque da accordi fra Italia e Stati Uniti conclusi nel 1951. Da Camp Darby sono partiti i missili contro l'Iraq e contro la Jugoslavia. Gli Stati Uniti hanno regalato ad Israele numerose armi di vario genere, come le bombe a guida laser (Gbu-28 ) che sono state sganciate nei raid notturni a Beirut durante l'aggressione al Libano del periodo luglio-agosto 2006. Le bombe partivano da Camp Darby, senza che gli italiani ne avessero notizia. L'organizzazione statunitense Global Security ha dichiarato che "il 31° squadrone munizioni che opera a Camp Darby è responsabile del maggiore e più disseminato arsenale di munizioni convenzionali delle Forze aeree Usa in Europa, consistente in 21.000 tonnellate collocate in Italia, e di due depositi classificati situati in Israele".[5] La base militare di Camp Darby ha assunto un ruolo importante nelle guerre del Mediterraneo, e rappresenta uno dei più grandi arsenali che gli Usa hanno all'estero. Nel 1991 quasi tutte le munizioni utilizzate durante la "Tempesta del deserto" provenivano da Camp Darby, come anche gran parte di bombe e granate utilizzate per la guerra in Kosovo e in Iraq. Dal 1990 al 1998 a Camp Darby sarebbero transitate almeno 22 mila tonnellate di munizioni e 3278 cluster bomb. L'uso bellico delle basi sul territorio italiano, di cui gran parte della popolazione è all'oscuro, è una delle tante prove che l'Italia è un "paese a sovranità limitata", le cui autorità sono corresponsabili dei crimini che gli Usa stanno commettendo in molti paesi del mondo. Ovunque nel mondo, in Iraq come in Afghanistan, in Romania, Bulgaria, Polonia, Italia, Pakistan, Singapore, Malesia, Filippine, India, Australia e persino in Vietnam, gli Stati Uniti stanno progettando nuove basi militari per accrescere il loro potere strategico e il dominio nel mondo. A Vicenza la popolazione è costretta a subire la creazione di un'altra base americana. Il nostro governo si è sentito obbligato a rispettare un trattato stipulato 60 anni fa e che oggi non ha più ragione d'essere. Il presidente del consiglio Romano Prodi ha sostenuto che l'Italia "deve rispettare gli accordi presi", ma non ha precisato che si tratta di accordi stipulati nel dopoguerra, e che appaiono oggi semplicemente assurdi.

Anche in molti altri paesi del mondo le popolazioni sono costrette a subire l'occupazione militare americana. L'isola di Okinawa, nell'arcipelago giapponese, è di fatto una colonia militare americana da oltre 58 anni, occupata da ben 38 basi militari americane. Le basi americane assolvono a diversi scopi: sono basi strategiche da cui far partire le operazioni belliche, ma sono anche punti militarizzati per controllare la popolazione. Per assolvere quest'ultima funzione sono maggiormente militarizzati i paesi sconfitti durante l'ultima guerra mondiale (Germania, Italia, Giappone), e quelli in cui attualmente gli Usa stanno cercando di sottomettere la popolazione (Afghanistan, Iraq, alcuni paesi dell'Africa e dell'Asia). Dal dopoguerra, l'Italia (come la Germania e il Giappone) è considerato un paese da "proteggere", che nel linguaggio delle autorità americane significa da tenere sotto stretto controllo. Nel periodo della "Guerra Fredda" gli Usa giustificarono la militarizzazione dell'Italia con il pericolo di "minaccia sovietica". In un rapporto segreto americano del maggio 1962 si legge: La presenza delle forze americane in Italia garantisce un importante sostegno psicologico ai governi filo-occidentali di fronte alla minaccia dell'aggressione sovietica e costituisce l'evidente testimonianza dell'alleanza americana. Ciò d'altro canto contribuisce alla stabilità politica. Il ritiro delle forze sarebbe seguito da uno sviluppo di sentimenti neutralisti.[6] Per "stabilità politica", le autorità americane intendevano "subordinazione agli Usa". Si trattava di occupare militarmente zone la cui popolazione doveva essere costretta a subire la presenza di militari americani, come un continuo avvertimento su chi avesse il vero dominio del territorio. Di fatto, dopo la Seconda guerra mondiale, l'Italia cedeva la sua sovranità alle truppe americane, che potevano commettere impunemente ogni sorta di illegalità. Così accadde anche per la Germania e il Giappone. Nella base di Okinawa, da quando è stata istituita (1945), avvengono ogni sorta di violenze e crimini. Per giustificare la massiccia militarizzazione del Giappone, le autorità americane parlavano di "garanzia di sicurezza e pace", ma le popolazioni vivevano il fenomeno come un'occupazione militare, che perdura ancora oggi. L'articolo 5 del trattato di sicurezza nippo-americano sosteneva che lo scopo delle basi militari era di "difendere il Giappone", ma non si specificava né da chi né come, ed era implicito che dovessero farlo necessariamente le truppe americane.

Negli anni Sessanta soltanto ad Okinawa c'erano 117 basi militari, diventate 42 negli anni Novanta. Fra il 1972 e il 1995 i soldati americani commisero 4716 crimini, in parte si trattava di violenze sessuali. I casi di violenza sessuale erano molto maggiori di quelli denunciati, in quanto molte donne si vergognavano a sporgere denuncia. Il Pentagono permetteva che i soldati colpevoli di violenze sessuali non subissero alcuna condanna. La rivista Nation denunciò che "coprire crimini sessuali è una precisa linea politica del Pentagono".[7] Nel settembre del 1995 suscitò molta rabbia e indignazione lo stupro di una bambina di dodici anni da parte di tre soldati americani. La polizia di Okinawa identificò i tre colpevoli, ma non poté arrestarli perché doveva rispettare il principio di "extraterritorialità", secondo il quale i soldati americani possono essere processati soltanto da tribunali americani. Ciò permette alle autorità americane di rendere impunibili i loro soldati. Nonostante le proteste della popolazione, i soldati americani non pagarono per lo stupro della bambina, e dopo il 1995 i casi di violenza sessuale aumentarono. Un insegnante di scuola media superiore, Ben Takara, chiese alle sue alunne se fossero mai state molestate dai soldati americani e un terzo delle ragazze rispose di sì.[8] Nella base di Okinawa avvengono esercitazioni con granate d'obice, che provocano gravi danni ambientali e incendi nelle foreste. Inoltre, viene prodotto inquinamento acustico, che ha provocato danni all'udito in molti abitanti dell'isola. Sull'isola di Torishima, a 100 chilometri da Okinawa, fra il dicembre 1995 e gennaio 1996 sono state esplose 1520 granate all'uranio impoverito. I cittadini giapponesi non sono mai stati informati del tipo di munizioni utilizzate nei poligoni. Oggi nelle basi americane continuano le esercitazioni che producono danni alla salute e all'ambiente, e le violenze e prepotenze contro la popolazione. La retorica di Washington vorrebbe far credere che le basi hanno motivazioni etiche: La nostra presenza preventiva garantisce la stabilità... La presenza delle forze armate americane... favorisce anche lo sviluppo democratico... offrendo un esempio chiaro e tangibile del ruolo apolitico dei militari americani.[9]

Per capire la verità occorre considerare i fatti, cioè che ogni base americana rappresenta un pericolo per la vita e il benessere delle popolazioni, e che i militari americani sono posti al di sopra delle leggi del paese che li ospita. Occorre temere il proliferare di questi centri della morte e del segreto che aleggia in essi. Si tratta di luoghi di potere e di guerra. Come osserva lo studioso Chalmers Johnson: "(C'è) una grande strategia volta a preservare o addirittura accrescere il potere americano... Ciò diventa chiaro allorché volgiamo la nostra attenzione ad alcune delle attività segrete in tutto il globo... di cui il Pentagono è a perfetta conoscenza ma di cui altri organi del governo e la popolazione tutta sono completamente all'oscuro".[10]

[1] http://www.forzearmate.eu/dblog/articolo.asp?articolo=82

[2] http://www.amnistia.net/news/articles/corsdos/soumarin/eauradioact_901.htm

[3] Fonte: La Nuova Sardegna , 13-2-04

[4] Liberazione, 9 settembre 2006.

[5] Il Manifesto, 23 luglio 2006.

[6] Perrone Nico, Perché uccisero Enrico Mattei, Edizioni L'Unità, Roma 2006, p. 58.

[7] Nation, 1 luglio 1996.

[8] Newsweek, 14 ottobre 1996.

[9] Department of Defence, United States Security Strategy for the East Asia-Pacific Region, Washington , D.C. , Department of Defense, Office of International Security Affairs, febbraio 1995, pp. 23-24.

[10] Johnson Chalmers, Gli ultimi giorni dell'impero americano, Garzanti, Milano 2001, p. 101.




Disarmiamo il militarismo bipartizan

Via le basi USA/NATO dall’Italia, via le truppe italiane dai teatri di guerra
 
Il contributo della Rete dei Comunisti alla discussione e alla mobilitazione No War
 
E’ tempo che non ci si nasconda più dietro un dito e si cominci a mettere a fuoco e contrastare con forza il crescente militarismo bipartizan che sta condizionando la vita politica e democratica così come le scelte economiche e strategiche del nostro paese. L’ultimo vertice della maggioranza di governo, ha blindato la subordinazione dei partiti della sinistra al mantenimento della missione militare in Afghanistan e alla costruzione della base USA di Vicenza. Ma questa è solo la quadratura di un cerchio che si è cominciato a delineare nei mesi scorsi.
Dal momento del suo insediamento il governo Prodi ha inanellato una serie di decisioni e scelte in materia di riarmo e di collocazione internazionale dell’Italia nel gioco della guerra permanente, da lasciare sconcertati e senza parole anche coloro che più erano generosamente disposti ad una apertura di credito verso il nuovo esecutivo.
La Legge Finanziaria che prevede l’accrescimento delle spese militari, l’estendersi della partecipazione alle missioni militari nei teatri di guerra in altri paesi, l’ulteriore militarizzazione del territorio e la crescente collaborazione a scopi bellici delle industrie italiane ed anche dei centri universitari, hanno fatto cadere ogni illusione anche ai più testardi.
E’ solo continuità con il precedente governo Berlusconi o subordinazione agli USA? Oppure è il mantenimento degli impegni con l’alleato americano (seppur con qualche distinguo verbale ogni tanto), ma anche la volontà autonoma – in un quadro multipolare – di ambire politicamente a svolgere un ruolo di piccola/grande potenza, agevolando il complesso militare-industriale-italiano all’interno della competizione globale?  Da qui derivano scelte concrete e devastanti alle quali i movimenti e la sinistra di classe devono opporsi con determinazione.
 
1.  Perché chiediamo lo smantellamento delle basi militari USA e NATO?

La scelta del governo Prodi di non opporsi alla costruzione della base USA a Vicenza (non allargamento o ampliamento come erroneamente si dice anche a sinistra) della nuova base militare USA, è una decisione  che pone serissimi problemi di democrazia e di collocazione internazionale dell’Italia. La cosiddetta “sinistra radicale” di governo si trova di fronte ad una nuova, gravissima scelta presa dal “nocciolo duro” dell’esecutivo prodiano e obiettivamente non sembra potere né volere costituire un ostacolo e un impedimento a questo nuovo diktat guerrafondaio.
La nuova base militare al Dal Molin infatti sarà una base pienamente operativa e funzionale alla dottrina della guerra preventiva. Collegata alle basi aeree di Aviano e Sigonella e a quella logistica di Camp Darby (senza mai dimenticare che nelle basi di Aviano e Ghedi ci sono decine di testate nucleari), diverrà un trampolino di lancio delle operazioni militari statunitensi contro l’Afghanistan, la Siria, l’Iran, il Libano, la Somalia e il corno d’Africa. Vicenza  e la base al Dal Molin diventerebbero così uno dei “santuari” delle aggressioni contro altri popoli.
L’ampiezza del dissenso, della opposizione e della mobilitazione popolare contro la base a Vicenza, è stata tale che l’assenso del governo all’installazione della base al Dal Molin cozza frontalmente con la sovranità popolare. Le frasi di Prodi e D’Alema sul carattere “urbanistico” dell’impatto e delle decisioni sulla base al Dal Molin sono una provocazione contro questa volontà popolare.
E’ tempo che si apra una vasta e radicale battaglia democratica, popolare e antimilitarista contro i vincoli e i trattati internazionali a cui è sottoposto il nostro paese. La “relazione speciale con gli USA” o al fedeltà atlantica nella NATO, non possono più essere dei dogmi indiscutibili per l’Italia del XXI secolo. Il rapporto di servilismo e subalternità agli USA e alla NATO (e la presenza delle loro basi militari nel nostro territorio) vanno rimessi in discussione radicalmente.
 
2. Perchè chiediamo il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan?

In Afghanistan, la NATO e gli Stati Uniti hanno detto che non possono permettersi nessun fallimento e nessuna  sconfitta. Il progetto e l’obiettivo strategico è quello di consolidare e garantirsi una stabile presenza militare nel cuore dell’Asia centrale per il controllo delle immense risorse energetiche racchiuse nei territori delle Repubbliche ex sovietiche dell’area caucasica, e l’accerchiamento e contenimento della Russia e della Cina. La Nato ha chiesto ed ottenuto un rafforzamento dell’intervento militare all’Italia e agli altri paesi europei in previsione di una escalation militare.
Il governo italiano sostiene che la missione militare ISAF in Afghanistan non è una missione unilaterale di guerra come “Enduring Freedom”, bensì una missione multilaterale ONU. Ma non dice che la natura della missione ISAF è completamente cambiata, poiché si è “fusa” con Enduring Freedom diventando anch’essa una missione di guerra.
Il decreto di rifinanziamento della missione in Afghanistan votato dal Consiglio dei ministri, ha promesso un impegno per una conferenza multilaterale (sulla quale però, al momento, non c’è neanche un minimo di consenso internazionale) e per una estensione della presenza sul piano civile. Torna così quella idea di “civile e umanitario” come estensione dell’intervento militare che ricorda tanto il concetto di guerra umanitaria coniato durante l’aggressione alla Jugoslavia e i bombardamenti su Belgrado e la famosa “missione Arcobaleno” con i suoi scandali e ruberie.
Ma nonostante queste improbabili furberie, la maggioranza della popolazione italian (il 56% secondo l’ultimo sondaggio di febbraio) vuole però il ritiro dei militari italiani dall’Afghanistan, una percentuale che sale al 70% tra gli elettori dell’Unione. La maggioranza reale continua così a entrare in contraddizione con la maggioranza parlamentare.
 
3. Perché diciamo anche via le truppe italiane dal Libano?

In Libano siamo di fronte ad un paradosso: più cresce lo scontro politico, più aumentano i morti per le strade di Beirut, più diminuisce la credibilità e la rappresentatività del governo Siniora, più cresce e si rafforza la coalizione politica di opposizione(Hezbollah, Partito Comunista, le forze patriottiche e nazionaliste, i cristiani di Aoun etc.) e più nel nostro paese si tenta di nascondere e minimizzare la gravità della realtà libanese.
Le esternazioni continue di Prodi e D’Alema in appoggio al governo libanese si palesano sempre più come una inaccettabile ingerenza  nella dialettica politica interna libanese. La “sinistra radicale”  parlamentare è acriticamente allineata al governo ed esprime in ogni sede il suo sostegno alla missione militare in Libano, alimentando colpevolmente la tesi di una missione “pacificatrice” ed “equidistante” tra i contendenti. Ma anche all’interno del movimento contro la guerra si fa fatica ad introdurre nelle piattaforme la parola d’ordine del ritiro dal Libano.
Strano però che questa tesi non sia condivisa da oltre il sessanta per cento degli italiani che dicono no alla presenza delle nostre truppe non solo in Afghanistan ma anche in Libano!
Eppure la risoluzione 1701 dell’ONU  - figlia della precedente risoluzione 1559 del 2004 di marca francese e statunitense – è chiarissima nel suo intento fondamentale che è quello di garantire la massima sicurezza di Israele e contemporaneamente frenare,limitare,mortificare le forze della resistenza anti-israeliana.  Il tentativo delle potenze europee di approfittare della sconfitta degli israeliani nel sud Libano e delle difficoltà degli americani in Iraq e Afghanistan per rivedere i rapporti di forza con l’alleato USA, non hanno niente a che spartire con l’interesse dei popoli mediorientali alla libertà, indipendenza, pace e giustizia. Già a suo tempo abbiamo denunciato il rischio che l’Italia faccia il “lavoro sporco” per conto di Israele e degli Stati Uniti. Trovarsi coinvolti nel teatro du una nuova guerra civile, significa essere complici del progetto di “destabilizzazione  creativa” e disintegrazione degli Stati su basi etniche e confessionali in corso in Iraq, Afghanistan, Palestina.
 
4. Perché l’Italia sta giocando sporco anche sulla questione palestinese?

Sulla Palestina, quali sono a tutt’oggi gli atti concreti, le iniziative proposte da questo esecutivo di centrosinistra nelle varie sedi internazionali per rendere un po’ di giustizia ai diritti storici del popolo palestinese e per la condanna dell’occupazione israeliana? Il Ministro D’Alema passa come uno degli uomini  politici più sensibili alla causa palestinese, e questo, ha lasciato sperare in una qualche sorte  di discontinuità con il precedente governo Berlusconi. Ma chi l’ha vista questa discontinuità?
Il ministro degli esteri ha ricordato che il governo italiano è con Israele e mantiene l’embargo che sta affamando e disgregando la società palestinese, rea di aver eletto democraticamente il governo di Hamas diversamente da quanto auspicato da USA e Europa. Anzi, D’Alema e il governo hanno riproposto nella Striscia di Gaza una forza multinazionale di interposizione  come nel Sud Libano. Di nuovo una proposta militare, una ingerenza inaccettabile per il governo di Hamas, impegnato in un duro scontro con l’ANP e il presidente Abu Mazen.
L’Italia ha inoltre confermato l’accordo di cooperazione militare bilaterale con Israele siglato dal precedente governo Berlusconi (in gran parte segreto),  trovandosi così  nella posizione di un paese alleato con la politica bellicista israeliana e che minaccia un attacco nucleare contro l’Iran.
Mentre sono stati negati i visti d’ingresso a noti esponenti politici e ministri palestinesi, Prodi ha ricevuto calorosamente il primo ministro Olmert. Nessuna sanzione o condanna è stata adottata contro Israele. Al contrario, prima le parole di Prodi sulla “intoccabilità” del carattere ebraico di Israele, poi quelle del presidente Napoletano sull’equiparazione tra antisionismo e antisemitismo, hanno schierato l’Italia al fianco delle forze più reazionarie in Israele e nel nostro paese..
Lo Stato di Israele e la società israeliana sono in una crisi profonda sia dal punto di vista morale che sociale. I più alti vertici politici e militari sono sotto inchiesta giudiziaria, indagati dalla magistratura. Sarebbe il momento opportuno per “approfittarne” e ridimensionare le mire espansioniste e di colonizzazione delle terre palestinesi. Niente di tutto ciò!
Le reazioni scomposte e l’irritazione con cui nella sinistra e nella “politica” vengono sopportate iniziative di sostegno alla resistenza del popolo palestinese, nascondono il malcelato desiderio di espungere dall’agenda politica il problema Palestina per trattarlo semmai solo come un problema di carattere umanitario. Oltre a commentare gli “slogans indicibili” e a criticare chi brucia i pupazzi in piazza, la “politica” dica qualcosa anche contro l’uso delle nuove armi israeliane a Gaza o in Libano che dilaniano le persone in carne d’ossa come è stato ampiamente documentato.
 
5. Siamo veramente fuori dal mattatoio in Iraq?

 Il ritiro dall’Iraq – concordato peraltro con gli americani – è avvenuto negli stessi tempi già annunciati dal governo Berlusconi, ed è stato un atto dovuto alle milioni di persone che sono scese in piazza negli anni scorsi, ma è stato accompagnato da continue e rumorose rassicurazioni a Washington sulla politica estera del governo di centrosinistra.
Non siamo più a Nassyria, ma non è un mistero per nessuno che sia l’ENI che le nostre industrie militari facciano affari copiosi riarmando il governo fantoccio di Bagdad o che gli istruttori italiani partecipino all’addestramento dell’esercito, della polizia e anche  degli squadroni della morte al servizio dell’occupante statunitense. E poi c’è la collaborazione piena con la tristemente “famosa” 173° brigata aviotrasportata USA (quella del massacro di Falluja) che dovrebbe insediarsi a Vicenza capace di intervenire in poche ore nello scacchiere e nelle operazioni di guerra in Medio Oriente.
E’ una forzatura affermare che non siamo del tutto fuori dal carnaio iracheno ?
 
La parola d’ordine “Disarmiamoli” lanciata dal convegno di Bologna del 10 febbraio può indicare una nuova politica e una nuova etica su cui costruire una alternativa e una alterità di percorso per i movimenti contro la guerra e il militarismo.
 
La manifestazione nazionale del 17 febbraio a Vicenza  è una prima importante prova di forza di un movimento che non ha intenzione di recedere di un passo rispetto al No alla base al Dal Molin e alle basi USA/NATO nel nostro paese.
 
Riteniamo sia urgente una grande manifestazione nazionale a Roma che prenda di petto il governo Prodi e il militarismo bipartizan, ponga con forza la richiesta del ritiro immediato delle truppe italiane dall’Afghanistan, dal Libano e da tutti i teatri di guerra, la chiusura delle basi USA/NATO e il taglio alle spese militari
 
La base USA al Dal Molin apre la strada ad una  riorganizzazione strategica dell’esercito statunitense nel nostro paese. Il movimento contro la guerra si trova di fronte ad una sfida a tutto campo e su tutto il territorio nazionale. Dobbiamo costruire una forte rete di resistenza attiva sui territori, contro la militarizzazione della politica e dell’economia, contro l’occupazione di intere aree da parte di eserciti in guerra, oggi contro i popoli mediorientali, domani contro chiunque metta in discussione l’ordine delle cose esistenti.

 
La Rete dei Comunisti
cpiano @ tiscali.it;  www.contropiano.org




http://www.aprileonline.info/1697/gli-americani-contro-la-base-di-vicenza

Gli americani contro la base di Vicenza

A cura di Stefano Rizzo,  09 febbraio 2007

Lettera aperta

La lettera, in italiano e in lingua originale, della sezione romana
dell'associazione "US Citizens for Peace and Justice" che invita a
partecipare alla manifestazione del 17 febbraio contro l'ampliamento della
Dal Molin

Pubblichiamo in italiano e in  lingua originale la seguente lettera della
sezione romana dell'associazione "US Citizens for Peace and Justice" che
invita tutti i cittadini americani presenti in Italia a partecipare alla
manifestazione del 17 febbraio a Vicenza contro l'ampliamento della base
Dal Molin.
L'associazione intende anche scrivere all'ambasciatore Spogli per
protestare contro il "warning" emesso dall'ambasciata che "sconsiglia" la
presenza di americani alla manifestazione e in città in quel giorno.
Dopo la scandalosa lettera di pressione nei confronti del governo italiano
perché non ritiri i propri soldati l'Afghanistan, questa è la seconda
grave scorrettezza che l'ambasciatore Spogli compie in pochi giorni,
questa volta nei confronti anche dei propri concittadini. Tutti gli
americani presenti in Italia, qualunque cosa pensino della politica estera
del proprio governo, sanno di essere i benvenuti e conoscono bene
l'amicizia e la simpatia che gli italiani provano per loro, a destra come
a sinistra dello spettro politico. Insinuare, come fa l'ambasciatore
Spogli, che gli americani corrano dei pericoli in Italia a causa di una
manifestazione politica è un tentativo neppure troppo nascosto di mettere
il bavaglio ai cittadini americani che da anni si battono, in America e
nel mondo, contro la politica guerrafondaia dell'amministrazione Bush; ed
è anche un'offesa nei confronti del popolo italiano e delle sue
istituzioni democratiche.
Al contrario, anche noi ci uniamo a US Citizens for Peace and Justice
nell'invitare tutti gli americani (e sono tantissimi) amanti della pace a
essere presenti a Vicenza il 17 febbraio e a fare sentire la propria voce.
L'ambasciata americana certamente rappresenta il proprio governo, ma le
ultime elezioni politiche negli USA dimostrano che quel governo non
rappresenta più la maggioranza degli americani, soprattutto per quel che
riguarda la politica estera e la guerra.


Cari attivisti per la pace,

La lotta contro la nuova base americana a Vicenza continua. Il 17 febbraio
si terrà un'altra manifestazione. Il nostro gruppo, US Citizens for Peace
and Justice, aderisce alla marcia e parteciperà assieme a US Citizens
Against War di Firenze.
Vicenza ospita già diverse istallazioni militari americane, tra cui Camp
Ederle. La nuova base occuperebbe un'area a nord della città nell'attuale
aeroporto civile di Dal Molin e servirebbe a unificare la 173° brigata
aviotrasportata che in parte già si trova a Vicenza, mentre un'altra parte
è in Germania. L'obbiettivo dell'esercito americano è quello di rendere
possibili un intervento rapido nel Medioriente. Vicenza quindi, in base a
questo progetto, dovrebbe diventare un importante hub del nuovo ordine
militare.
I residenti della zona stanno conducendo una campagna di protesta da
quando a maggio dell'anno scorso è stato reso noto il nuovo progetto. Il
punto più alto della protesta è stato la manifestazione nazionale del 2
dicembre 2006, la più grande manifestazione che mai ci sia stata a
Vicenza, quando oltre 30.000 persone arrivarono in città da tutta Italia.
Il 16 gennaio il Presidente del consiglio Prodi ha annunciato che il
governo italiano dava il nulla osta alla costruzione della nuova base e il
Senato ha di recente approvato la decisione. Ma tutto ciò non ha fermato
il movimento di protesta contro la base, contro le servitù militari e
contro la guerra. La gente è più unita e determinata che mai.
Siamo a fianco degli attivisti italiani nel contrastare la costruzione di
questa base e chiediamo al governo americano di ascoltare tutti coloro che
nelle elezioni del 7 novembre hanno votato non per più spese militari, non
per più basi americane nel mondo, non per interventi rapidi, ma perché le
cose cambino.

VENITE CON NOI A VICENZA DOVE ANCHE LA NOSTRA VOCE E' NECESSARIA!

Nota: Alcuni di voi forse hanno ricevuto il "warning" dell'ambasciata
americana di Roma che mette in guardia contro "le proteste antiamericane".
Insieme al gruppo US Citizens Against War di Firenze intendiamo rispondere
a questo messaggio con una lettera aperta all'ambasciatore Spogli. Se
siete interessati e volete aiutarci a scrivere la lettera, fatecelo
sapere. Non abbiamo molto tempo perché è opportuno che la lettera parta il
prima possibile

Versione in inglese:

"Dear peace activists,

The struggle against the new U.S. military base in Vicenza, Italy
continues. Another national demonstration will be held on February 17.
Our group, U.S. Citizens for Peace & Justice, has endorsed this march  and
will participate, together with U.S. Citizens Against War in Florence.

National Demonstration: "Defend Our Land Against Bases of War"
Vicenza, Italy
Saturday, February 17, 2:30pm

Vicenza is already home to several U.S. military installations,
including Camp Ederle. The new base would occupy an area north of the
city in the existing civilian airport of Dal Molin and would serve to
unite the 173rd Airborne Brigade, part of which is already present in
Vicenza and the rest in Germany. The objective of the U.S. military is
for rapid intervention in the Middle East. Vicenza, according to this
plan, is therefore destined to become an important hub for the new  global
military order.

A strong grassroots campaign has been waged by local residents since  the
news of the plan leaked out last May, culminating in the national
demonstration on December 2, 2006, with 30,000 people coming from all
over Italy, the largest protest march ever in the city of Vicenza.
(See write-up, photos, articles and more on our site:
http://www.peaceandjustice.it/nomilitarybases-post.php)

Prime Minister Prodi announced on January 16 that the Italian
Government would not oppose the construction of the new base. The
Senate just voted to approve. But this hasn't stopped the movement
against the new base, against military servitude and against war. The
people are more united and determined than ever.

We join with Italian activists and citizens in opposing the
construction of this base, and call on our own government to listen to
the people who, on November 7, voted not for more military spending,  not
for more U.S. military bases, not for rapid military intervention,  but
for change.

PLEASE JOIN US IN VICENZA WHERE OUR VOICE IS NEEDED!

NOTE: Some of you may have received the attached "warning" of an
"anti-U.S." protest from the Embassy in Rome. Together with the group
U.S. Citizens Against War in Florence we plan to respond to this  message
with an open letter to Ambassador Spogli. If you are
interested in helping to draft this letter, please let us know at:
info @ peaceandjustice.it We won't have much time for comments as this
needs to be addressed as soon as possible."





LETTERA APERTA ALL'AMBASCIATORE STATUNITENSE IN ITALIA,
IN OCCASIONE DELLA SUA PRESENZA A FIRENZE, A PROPOSITO DELL'"ANTI-AMERICANISMO"

Firenze,
12 febbraio 2007

All'Ambasciatore Ronald Spogli
Ambasciata statunitense, Roma

Egregio Ambasciatore,

Come cittadini statunitensi in Italia Le scriviamo per chiedere una fine
alle ingerenze della nostra Ambasciata nella vita politica dell'Italia.

La sua lettera firmata da altri quattro ambasciatori per fare pressione sul
Governo italiano perché continui la sua partecipazione alla guerra in
Afghanistan è stata una inaudita e inaccettabile interferenza
dell'Ambasciata USA nella dialettica democratica di questo paese, oltre a
suonare offensiva alla grande maggioranza degli italiani che secondo i
sondaggi vorrebbero il ritiro delle truppe italiane anche in rispetto
dell'Art. 11 della Costituzione che dichiara che "L'Italia ripudia la guerra
come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali."

Poi, pochi giorni dopo, l'Ambasciata USA ha compiuto a parere nostro una
seconda grave scorrettezza.  Ha inviata a noi statunitensi in Italia una
lettera di avvertimento di possibile pericolo per noi qualora volessimo
andare a Vicenza il 17 febbraio per protestare, insieme ai cittadini
italiani, contro la creazione di una megabase USA, la più grande base
offensiva all'estero.  Questa manifestazione viene caratterizzata come
"anti-statunitense" dalla lettera che consiglia a tutti di stare lontano
dalla città dal 16 al 18 febbraio per evitare di diventare "bersagli di
manifestanti anti-USA".

I contenuti della lettera non corrispondono alla realtà, diffondono paura e
ignoranza,  offendono l'intelligenza degli statunitensi in Italia e la
realtà democratica della società italiana. 

Prima di tutto, la manifestazione del 17 febbraio non è anti- statunitense;
è contro la richiesta da parte del Governo USA di costruire una nuova
megabase statunitense nei pressi del centro della città di Vicenza, città
riconosciuta dall'UNESCO come patrimonio culturale dell'umanità.  La verità
è che la stragrande maggioranza dei vicentini e del popolo italiano intero
non vuole questa ennesima base USA (siamo già presenti in Italia con circa
20 installazioni militari).  Il 2 dicembre 2006 circa 30.000 persone hanno
manifestato a Vicenza contro la base con un bel corteo colorato e pacifico
al quale delegazioni di cittadini statunitensi di Firenze e Roma hanno
partecipato senza mai incontrare episodi "anti-USA". Anzi, la nostra
presenza è stata molto apprezzata.

Distribuire una lettera ai cittadini per dire che corrono dei pericoli in
Italia a causa di una manifestazione politica è un tentativo neppure troppo
nascosto di scoraggiare o addirittura mettere il bavaglio ai cittadini che
vorrebbero esprimere il loro dissenso dalle politiche di guerra e di
occupazione dell'amministrazione Bush.

Lei, Ambasciatore, certamente rappresenta il governo di Bush e Cheney, ma le
ultime elezioni federali negli USA dimostrano che quel governo non
rappresenta più la maggioranza del nostro popolo, soprattutto per quel che
riguarda la politica estera e la guerra.  La società USA è profondamente
malata di militarismo e, sempre di più, i nostri concittadini dicono basta!

Alle manifestazioni contro le basi, come a Vicenza o a Camp Darby o ad
Aviano o a Sigonella,  alle manifestazioni contro la guerra, qui in Italia e
in tanti altri paesi come negli USA (le centinaia di migliaia di
manifestanti a Washington e in altre città USA il 27 gennaio scorso erano
dei pericolosi anti-americani?), la gente protesta non contro il popolo
statunitense ma contro la violenza delle guerre e delle occupazioni militari
sostenute dal governo USA in Iraq (più di 655.000 morti dall'inizio della
guerra) ma anche in Afghanistan e Palestina. Protesta contro la
militarizzazione del territorio e dell'economia, contro la presenza di basi
straniere con lo stoccaggio di armi nucleari e all'uranio impoverito. Come
Amnesty International chiede la chiusura del campo di Guantanamo e di tutte
le carceri segrete e la fine dei voli segreti della CIA (p.e. il caso di Abu
Omar), oltre alla fine della pratica della tortura e la violazione dei
diritti umani (sono richieste "anti-americane"?). Chiede un altro mondo
possibile con una nuova cultura di pace e giustizia globale.

Noi cittadini statunitensi in Italia, come milioni di altri concittadini
negli U.S.A., ci opponiamo alla politica di guerre all'estero e di
cancellazione dei diritti civili nel nostro paese  portata avanti dal
governo di Bush e Cheney mentre seri problemi sociali vengono ignorati.
Negli USA abbiamo il peggior sistema sanitario del mondo occidentale con
circa 50 milioni di persone senza assicurazione sanitaria.  Abbiamo il più
alto numero di persone in carcere e il più alto tasso di incarcerazione di
tutto il mondo (siamo 5% della popolazione globale con 25% degli
incarcerati), con più di 4.000 persone nel bracio della morte. Chiediamo
risorse non per le forze armate ma per la sanità, la scuola, l'ambiente, il
lavoro, la ricostruzione delle città, il trasporto pubblico, la solidarietà
con il resto del mondo.

Quarant'anni fa ai tempi della guerra in Vietnam, Martin Luther King
dichiarò:  "Siamo al punto, nelle nostre vite, in cui bisogna agire in prima
persona affinchè il nostro paese soppravviva alla propria follia.  Ogni uomo
con le convinzioni umane deve decidere la protesta che meglio si adatta alle
sue convinzioni, ma dobbiamo tutti protestare."   E aggiunse: "Viene il
momento in cui il silenzio è tradimento."

Noi cittadini statunitensi in Italia il 17 febbraio saremo presenti a
Vicenza perché a parere nostro la manifestazione contro le basi e contro le
guerre è una manifestazione di sostegno anche alla maggioranza dei cittadini
statunitensi che desidera un cambio di rotta nella politica statunitense –
all'estero e in paese.

Le chiediamo  pertanto di inviare una lettera di rettifica  ai nostri
concittadini in Italia per dire che la manifestazione del 17 a Vicenza,
lontano da rappresentare un fenomeno di "anti-americanismo", sentimento
assai poco diffuso in Italia e soprattutto fra il popolo della pace,
rappresenta invece un prezioso esempio di esercizio di un diritto
democratico fondamentale al quale gli statunitensi in Italia parteciperanno
e sono invitati a partecipare.


Per la pace,

Statunitensi contro la guerra (Firenze)
comiraqusa @ yahoo.it
Statunitensi per la pace e la giustizia  (Roma)
info @ peaceandjustice.it
http://www.peaceandjustice.it

P.S. Cogliamo l'occasione per ricordare che il caso dell'omicidio volontario
a Baghdad dell'agente italiano Nicola Calipari e il tentato omicidio di
Giuliana Sgrena non è chiuso  e chiediamo la piena collaborazione del nostro
governo con le autorità giudiziarie italiane.





Gli appalti 'rossi' da Vicenza a Sigonella

Angelo Mastrandrea
Il Manifesto (da http://terrelibere.it/terrediconfine/index.php?x=completa&riga=02806)

Gli affari con il Pentagono delle coop legate alla sinistra. Tra i pretendenti ai lavori della nuova base vicentina la Cmc di Ravenna e la Cmr di Ferrara. Spuntano anche Pizzarotti e la Ccc del Mose. Nell'ex aeroporto vicentino Dal Molin per il momento tutto ancora tace, di ruspe non c'è ancora ombra anche se ieri l'ex generale Luigi Ramponi ha annunciato che «i lavori cominceranno entro il 2007». E' probabilmente informato, il deputato di An ieri in visita a Vicenza con la commissione Difesa del senato, visto che il presidente del suo partito Gianfranco Fini è reduce da un incontro con la segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, con la quale ha parlato anche della base vicentina. E per questo afferma che «appena il governo avrà detto di sì partiranno gli appalti, anche perché ci sono tempi stretti per il finanziamento statunitense». Per ora l'unico elemento tangibile che mostra l'avvio del progetto per la costruzione della nuova base è la lista delle imprese che continuano a iscriversi alla gara d'appalto per la prima tranche dei lavori. La torta è infatti di quelle appetitose: 680 milioni (230 nella prima fase, il rimanente in una seconda) di investimenti previsti dal Pentagono per costruire i 700 mila metri cubi di caserme, impianti militari e logistici; 40 milioni per la costruzione di 61 villette a schiera, di un albergo (10 milioni) e un campo da bowling; 52 milioni per tirar su un ospedale che sarà collegato con quello vicentino. Il progetto prevede infatti la nascita di una vera e propria cittadella autosufficiente, con centri commerciali e palestre, case e una grande mensa per 1.300 persone e 454 posti a sedere. A spulciare tra le 73 imprese (23 delle quali venete) che finora hanno risposto alla «presolicitation notice», una specie di invito a partecipare alla gara d'appalto lanciato dagli Stati uniti il cui bando si chiuderà il 6 marzo, troviamo infatti «coop rosse» come la Cmc (Cooperativa muratori cementisti) di Ravenna e la Cmr (Cooperativa muratori riuniti) di Ferrara, ma anche la contestata Pizzarotti di Parma, la stessa che nell'83 aveva vinto la gara per l'installazione dei missili Cruise a Comiso e che da 25 anni costruisce anche a Sigonella. O ancora la Ccc (Cantieri costruzioni cemento) spa, che tra i suoi fiori all'occhiello vanta la partecipazione al Consorzio Venezia nuova che sta realizzando il Mose nella città lagunare. Non che sia una novità assoluta, la partecipazione di cooperative rosse a lavori per gli americani. Se è vero che nelle basi Usa in Italia resiste ancora una «pregiudiziale anticomunista» che impedisce ai lavoratori civili del nostro paese di iscriversi ad esempio alla Cgil (come l'altro ieri ha denunciato lo stesso sindacato di Corso d'Italia), è altrettanto vero che questa appare caduta ormai da tempo per quel che riguarda il fronte degli appalti, così come, viceversa, sull'altro versante di fronte ai dollari non c'è antiamericanismo che tenga. La Cmr lavora infatti da anni e con successo nelle basi Usa di Aviano, Camp Darby e nella stessa Vicenza. Mentre la Cmc, la prima cooperativa di costruzioni, la quarta impresa in Italia del settore, dopo alcuni appalti in Cina, il ruolo da general contractor per l'ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria e l'appalto per il tunnel di Venaus che un anno fa provocò la rivolta della Val di Susa contro l'alta velocità, da almeno un decennio partecipa agli appalti legati alla base Usa di Sigonella, in Sicilia. In particolare, ha preso parte al cosiddetto piano Mega II, quello precedente all'attuale progetto che punta a ridisegnare l'assetto urbanistico dell'insediamento militare siciliano, che sarà trasformato «nella base più moderna del teatro Mediterraneo».

Il Manifesto, 27 gennaio 2007





Ritorna alla pagina delle iniziative sul sito del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ...