Di seguito la riproduzione dell'opuscolo della sezione ANPI-VZPI del Coro Partigiano Triestino

LA SEZIONE ANPI-VZPI DEL CORO PARTIGIANO TRIESTINO
INTITOLATA A QUATTRO CADUTI ANTIFASCISTI:

BIDOVEC - MARUŠIČ -
MILOŠ - VALENČIČ


Trieste, 24 aprile 1988

Il territorio del Litorale, occupato dall'esercito
italiano nel 1918 e annesso all'Italia con l'accordo
di Rapallo del 1921 veniva comunemente identificato
nel periodo tra le due ultime guerre con il nome di
Venezia Giulia. Dopo il 1924 anche la città di
Fiume apparteneva all'Italia.
Si può stimare che dopo la grande guerra sul
territorio identificato comunemente come Venezia
Giulia vivevano almeno 550.000 sloveni e croati, dei
quali oltre 300.000 sloveni, cioe' - secondo i dati
di allora - quasi 1/3 del popolo sloveno.
Con l'annessione della regione all'Italia crollava
anche un sistema economico che aveva assicurato al
territorio un costante sviluppo: i nuovi confini
statali limitarono gli scambi economici, le
relazioni con l'entroterra naturale venivano
interrotte. Ne seguì un'inevitabile crisi
economica e sociale che colpì, come sempre, le
classi più deboli: i contadini e gli operai,
costretti ad emigrare. Il periodo che precedette
la prima guerra mondiale fu caratterizzato
dall'emigrazione dalle campagne nelle città,
quello successivo dall'emigrazione verso l'estero.
Nel periodo tra le due guerre l'emigrazione degli
sloveni e dei croati divenne un fenomeno di massa,
provocato dalla nuova situazione socio-economica,
ma influenzato in maniera determinante dalle
pressioni di carattere nazionale e politico.

Nei primi anni che seguirono la guerra, emigrarono
- o meglio furono costretti ad emigrare - gli
sloveni ed i croati che erano venuti nel Litorale
per ragioni di servizio: impiegati, ferrovieri,
maestri, in genere i dipendenti del pubblico
impiego. Soprattutto gli intellettuali, ritenuti
elementi pericolosi per il sistema, venivano
sistematicamente discriminati dalle autorità
italiane che facevano di tutto per costringerli
ad andare oltre confine, in Jugoslavia. Molti
preferirono andarsene anche per sfuggire all'incerto
clima politico, le scarse prospettive economiche
non potevano che favorire il fenomeno. Dopo il 1926
con l'accentuarsi delle pressioni del regime
fascista l'emigrazione degli sloveni raggiunse
il culmine. Furono obbligati ad andarsene tutti
gli uomini politici, gli uomini di cultura, gli
insegnanti, gli impiegati, i contadini che
perdevano le proprie terre in quanto non erano
in grado di restituire i prestiti che avevano
contratto a tassi di usura per sfamare le proprie
famiglie. Le ragazze contadine andavano a lavorare
come domestiche, o meglio allora come «serve»,
presso le famiglie benestanti di tutta l'Italia;
molte emigrarono in Egitto. Un'ondata particolare
si ebbe nel 1935, quando molti giovani scapparono
in Jugoslavia per sottrarsi alla guerra di Abissinia.
Nel periodo tra le due guerre se ne andarono in
Jugoslavia almeno 70.000 tra sloveni e croati,
30.000 emigrarono nell'America del Sud (20.000
nella sola Argentina), oltre 5.000 trovarono una
sistemazione nei vari paesi europei. Si tratta di
cifre impressionanti, che parlano da sole ed
indicano chiaramente a quali pressioni veniva
sottoposta la popolazione slava della Venezia
Giulia. Nel frattempo era nato un notevole flusso
immigratorio: dall'interno dell'Italia giungevano
i funzionari statali, i poliziotti, i miliziani
fascisti, i medici, gli insegnanti ecc. Tra la
fine della guerra ed il 1931 immigrarono nella
Venezia Giulia oltre 130.000 italiani.

Le autorita italiane erano giunte nel Litorale
completamente impreparate: non avevano previsto
l'incontro con un'altra comunità nazionale ed
avevano affrontato il problema con il ricorso
alle misure di polizia, con l'intento di eliminare
tutto ciò che avrebbe potuto in qualsiasi maniera
minacciare i cosiddetti «interessi nazionali»
dello stato italiano.
I1 13 luglio 1920 i fascisti bruciarono la Casa di
cultura Balkan a Trieste, sede di tutte le
principali organizzazioni politiche, economiche e
culturali, il segnale era chiaro: agli sloveni ed
ai croati che vivevano in Italia non si doveva
permettere alcuna forma di sviluppo nazionale.
Due mesi dopo il criminale incendio del Balkan
fu proclamato nella Venezia Giulia uno sciopero
generale; gli operai chiedevano l'abolizione
delle leggi speciali e volevano impedire la
crescita del movimento fascista, che aveva già
iniziato ad attaccare ed a distruggere le sedi
operaie. L'insuccesso dello sciopero rafforzò
il movimento nazionalista, i fascisti si posero
alla testa di tutte le forze conservatrici.
   
La violenza fascista si estese rapidamente ed
assunse nel 1921 il carattere di una vera e
propria offensiva che durò fino all'ascesa dei
fascisti al potere nell'ottobre del 1922. Il
movimento fascista - con l'appoggio finanziario
della borghesia - si era rafforzato
numericamente ed era in grado di sviluppare la
violenza e di terrorizzare la popolazione. Le
squadre di azione fascista, formate da 30 - 50
uomini armati iniziarono delle vere e proprie
spedizioni punitive contro gli sloveni ed i
croati, sia nelle città che nei paesi.
Il terrore raggiunse il culmine durante la
campagna elettorale nell'aprile e maggio del
1921. Secondo i dati degli storici italiani
sino alla fine del 1921 vennero bruciati o
distrutti nella Venezia Giulia 134 edifici, tra
i quali 100 sedi delle associazioni culturali
slovene, del partito comunista o del movimento
operaio, oltre a 21 case operaie e tre
cooperative. Tutte le autorità costituite,
comprese il commissariato civile, l'esercito,
la polizia ed i carabinieri appoggiavano i
fascisti, che potevano cosi liberamente
svolgere le proprie azioni criminose.
La violenza e la sopraffazione fascista, ormai
generalizzate in tutta la penisola, raggiunsero
dei toni particolarmente aspri nella Venezia
Giulia, dove due erano gli avversari da colpire:
il movimento operaio e gli sloveni ed i croati.
La crescita del fascismo fu favorita da vari
fattori: soprattutto dalla mentalità
antidemocratica e nazionalista della classe
borghese, dall'incapacità operativa delle forze
progressiste e del movimento operaio, della
profonda crisi economica, dall'atteggiamento
permissivo e di fatto fiancheggiatore delle
autorità.
Da una parte quindi la subordinata posizione
economica degli sloveni e dei croati aveva
costituito la premessa per lo sviluppo del
comunismo, dall'altro il nazionalismo e lo
sciovinismo avevano fatto da molla per il
successo del fascismo. Da qui anche
l'equiparazione del fascismo con l'italianità
e del comunismo con lo slavismo. Gli scontri
sociali tra il comunismo ed il fascismo
riaccesero vecchi rancori nazionali tra gli
sloveni e gli italiani. In questa situazione
conflittuale il fascismo si identificava con
la difesa degli interessi nazionali italiani;
la lotta contro il movimento operaio era in
realtà una lotta contro lo sviluppo della
comunità slava. Il fascismo si erse così a
difensore ufficiale dell'italianità di queste
terre che l'Italia voleva da parte sua assimilare
ed italianizzare. Questa «missione» venne di
fatto mitizzata e rappresentò nello stesso tempo
la linea politica statale.

Il 28 ottobre del 1922 il fascismo assunse con la
marcia su Roma anche formalmente il potere. Nella
Venezia Giulia questa svolta non portò a dei
mutamenti radicali in quanto il fascismo aveva di
fatto già in precedenza assunto il controllo
della situazione. Il governo fascista soppresse
nel 1926 tutte le istituzioni democratiche e
diede vita ad un regime totalitario. I rapporti
del fascismo con la comunità slovena e croata
rappresentano un capitolo a parte. La
snazionalizzazione e la assimilazione divennero
due punti fermi della politica del regime e si
fondavano sulla concezione nazionalimperialistica
che gli slavi erano una razza inferiore.

Oltre alle leggi speciali, che colpivano in modo
indiscriminato tutte le forze democratiche, si
dimostrarono come fatali per l'esistenza delle
comunità nazionali slovena e croata le decisioni
ad hoc assunte dai segretari del partito fascista
delle province di confine nella conferenza del
12 giugno 1927, ratificate poi dai prefetti
competenti e dallo stesso Mussolini. I gerarchi
fascisti constatarono «che gli insegnanti ed i
preti sloveni, le loro associazioni culturali e
tutto il resto rappresentavano qualcosa di
anacronistico ed anomalo che non poteva essere
tollerato in una regione annessa». Logica
conseguenza di questa tesi fu la richiesta di
una rapida italianizzazione di queste province;
la soppressione definitiva di quello che era
rimasto delle scuole, dei circoli della stampa
slovena ecc. La lingua slovena doveva essere
considerata come un semplice dialetto destinato
a scomparire ed a trasformarsi, sotto l'influsso
delle città, in «dialetto italiano».
Il programma della totale fascistizzazione ed
assimilazione degli sloveni stilato nel 1927
non fu altro che la conseguenza di un'azione
condotta in tal senso già da otto anni e
rappresentò il colpo di grazia per quel poco
che era rimasto delle organizzazioni slave.

La dittatura fascista, nata e fondata sulla
violenza, provocò la reazione e l'opposizione
di tutte le forze democratiche italiane e le
più svariate forme di lotta. Nella comunità
slovena l'opposizione al fascismo assunse un
carattere plebiscitario e si estese a tutti
gli strati sociali, sotto la guida prevalente
di due organizzazioni clandestine: quella
comunista e quella nazionalrivoluzionaria.
Il movimento comunista della Venezia Giulia -
che operava ormai da anni nella clandestinità
ed includeva gli operai italiani, sloveni e
croati - fu colpito duramente dalle leggi
speciali fasciste e subì delle perdite
maggiori rispetto a quelle sofferte dal
movimento patriottico. I suoi dirigenti più
in vista furono costretti ad emigrare o
vennero confinati, il loro posto fu preso
dalle giovani leve. Il numero degli attivisti
e degli iscritti comunisti fluttuava
continuamente sia per gli arresti che per
l'emigrazione, ed e' quindi difficile
stabilire l'entità esatta. Il partito, pur
operando nella clandestinità, organizzò un
movimento sindacale, dei comitati antifascisti,
curò il cosiddetto «soccorso rosso» a favore
delle vittime del regime. Il giornale «Delo»
(II Lavoro), portavoce degli ideali comunisti
tra gli sloveni, veniva diffuso clandestinamente
sin dal 1926, nel 1927 e 1928 nella periferia di
Gorizia, nel 1929 a Lubiana, tra il 1933 ed il
1935 a Rence ed a Volcja Draga, tra il 1937 ed
il 1940 anche a Sgonico e Divaccia. Gli
attivisti comunisti tendevano soprattutto a
diffondere e consolidare gli ideali rivoluzionari
ed antifascisti, mobilitando le masse.

II Partito comunista italiano non aveva dedicato
negli anni immediatamente susseguenti alla sua
costituzione (1921-1926) una particolare
attenzione al problema delle minoranze nazionali:
riconosceva il principio generale dell'auto-
determinazione a favore di tutti i popoli ed
identificava la soluzione del problema nazionale
con la vittoria della rivoluzione proletaria.
Dopo il 1924 i comunisti sloveni constatarono
che avrebbero potuto mantenere ed anche aumentare
la loro influenza sulle masse facendo proprie le
richieste delle minoranze nazionali, collegando
la lotta per lo sviluppo sociale con quella per
i diritti nazionali. Un gruppo di giovani
comunisti indicò la soluzione del problema
nazionale secondo i principi leninisti: bisognava
riconoscere agli sloveni ed ai croati il diritto
all'autodeterminazione, con il conseguente
distacco dall'Italia e la costituzione di
repubbliche operaie e contadine, riunite in una
federazione di repubbliche balcaniche. Il
principio fu accolto nel 1926 dal terzo congresso
del Partito comunista italiano, che iniziò
successivamente ad adoperarsi attivamente per la
costituzione di un fronte unitario tra tutti gli
strati sociali della popolazione slovena. Le
associazioni culturali clandestine erano le
migliori portatrici, il veicolo ideale, per la
diffusione di questo spirito unitario, che aveva
come punto fermo la lotta al fascismo.
   
Sino al 1930 era rilevante anche l'attività
clandestina dell'organizzazione nazional-
rivoluzionaria «BORBA », formata dai giovani
patrioti progressisti che sostenevano la
necessità di una lotta armata contro il
fascismo, alla violenza ed alla sopraffazione
del regime bisognava rispondere con la forza.
Il movimento BORBA crebbe nel 1927, dopo lo
scioglimento di tutti i circoli culturali sloveni.
II suo programma d'azione prevedeva delle azioni
violente contro le organizzazioni fasciste, in
modo da richiamare l'attenzione dell'opinione
pubblica mondiale sul problema delle minoranze
nazionali che vivevano in Italia e di intimorire
così i portatori ed i fautori della politica
snazionalizzatrice. Bisognava inoltre convincere
le masse che una resistenza attiva ed armata era
possibile, divulgare l'odio contro il fascismo;
impedire l'attività dei rinnegati e dei traditori,
collegare la lotta per l'esistenza nazionale con
quella per la giustizia sociale. Queste azioni
fecero guadagnare al movimento l'attenzione e la
simpatia delle masse. Nella maggioranza dei casi
il regime non riuscì ad individuare gli
esecutori materiali degli episodi di lotta, pur
arrestando un gran numero di persone. Nel 1929
la polizia arrestò in Istria un gruppo di
nazionalrivoluzionari, il processo si svolse a
Pola tra il 14 ed il 17 ottobre davanti al
Tribunale speciale fascista e si concluse con la
fucilazione di Vladimir Gortan.

Nella parte slovena della Venezia Giulia
l'organizzazione venne scoperta nella primavera
del 1930 in seguito all'attentato dinamitardo
contro la sede della redazione del quotidiano
«Il Popolo di Trieste». Dall'1 al 5 settembre si
svolse davanti al Tribunale speciale fascista il
noto primo processo triestino: Ferdo Bidovec,
Franjo Marušič, Zvonimir Miloš e Alojz Valenčič,
quattro giovani eroi, vennero condannati a morte
e fucilati a Basovizza. Le condanne a morte
sortirono però l'effetto contrario a quello
atteso dalle autorità fasciste.
   
Dopo il 1930 il Partito comunista italiano
iniziò a conformare la propria attività alle
posizioni dei comunisti jugoslavi. I due partiti
si consultarono nel gennaio del 1930 e si
accordarono per un'azione unitaria; tra l'altro
decisero che il giornale «Delo» doveva diventare
la voce ufficiale dei due partiti per gli
sloveni che vivevano in Italia ed in Jugoslavia.
II «Delo» uscì tra il 1930-35 come organo
ufficiale comune dei due partiti e dedicò una
particolare attenzione alla problematica slovena.
Nel 1934 il Partito comunista italiano, quello
austriaco e quello jugoslavo votarono un
documento comune in merito alla soluzione del
problema nazionale sloveno, si dichiararono
contrari alla divisione coatta del popolo sloveno
e si impegnarono a sostenere il suo diritto alla
autodeterminazione. Si era verificato così un
importante passo qualitativo nei confronti della
politica nazionale, per i comunisti sloveni dei
tre paesi la dichiarazione segnò l'inizio di
una nuova era che portò successivamente alla
lotta di liberazione nazionale, con il fine di
costituire una Slovenia unita ed indipendente.
La dichiarazione dei tre partiti comunisti venne
assunta in circostanze molto delicate ed ha un
rilevante valore storico, significò anche la
volontà della ricerca di un collegamento tra
tutte le forze democratiche, al fine di arrivare
alla costituzione di un fronte unitario
antifascista.

Come logica conseguenza della ricerca di una
azione unitaria fu concordato nel 1936 un patto
di collaborazione tra i comunisti ed i nazional-
rivoluzionari TIGR. Le due parti si impegnarono
a dar vita ad un fronte popolare sloveno e croato
e di collegarlo con quello italiano. Il Partito
comunista italiano siglò così per la prima
volta un accordo con un movimento non operaio.

L'unità operativa raggiunta tra il Partito
comunista italiano ed il movimento nazional-
rivoluzionario non era altro che il riflesso
dell'atteggiamento assunto in tal senso dalle
masse. L'antifascismo era tra gli sloveni ormai
generalizzato; dopo lo scioglimento coatto
delle associazioni economiche, sportive,
assistenziali, creditizie, in genere di tutte
le attività delle minoranze nazionali,
l'attività delle stesse continuò nella
clandestinità, si svolse nelle case, durante
le escursioni e le gite, si trasferì nelle
chiese ecc. Ogni casa slovena si trasformò in
scuola, in ogni chiesa venivano diffuse la
lingua slovena ed i canti popolari. Era
necessario lottare uniti contro il nemico
comune per mantenere l'identità nazionale e
per sopravvivere come popolo; le tradizionali
differenze ideologiche tra i cattolici ed i
liberali si affievolirono, fino a scomparire
del tutto, soprattutto nei paesi.
   
Nacque così un unitario fronte nazionale
antifascista, come movimento di massa molto
attivo, il che traspare chiaramente anche dai
verbali della polizia. Unitamente a quelle
rosse apparvero anche le prime bandiere slovene,
si moltiplicarono le scritte contro il regime,
si distribuivano volantini, giornali;
l'atteggiamento antifascista della popolazione
diventava sempre più evidente. L'elevatissimo
numero delle denunce spiccate dalla polizia
rappresenta una prova evidente della crescente
attività antifascista, che si accentuò con
l'approssimarsi della guerra. Il sistema
adottò contro gli sloveni dei metodi di
repressione molto duri: dall'ammonimento, al
domicilio coatto, al confino, alle condanne del
Tribunale speciale fascista per la difesa dello
Stato. Tra il 1927 ed il 1943 si svolsero 131
procedimenti processuali contro 544 imputati
sloveni e croati. Il rapporto tra le condanne
emesse contro gli antifascisti italiani e
quelli sloveni o croati era di uno contro dieci;
delle 42 condanne a morte, ben 33 riguardavano
imputati sloveni e croati. Dieci esecuzioni
capitali vennero richieste dal Tribunale
speciale nel periodo che precedette l'inizio
della lotta di liberazione nazionale.

Con l'avvicinarsi del nuovo conflitto mondiale
l'attività antifascista si intensificò in
tutti i settori. In tali circostanze si offriva
ai comunisti sloveni un'occasione favorevole per
l'organizzazione di un fronte antifascista. In
particolare Pinko Tomažič percepì le condizioni,
allora particolarmente favorevoli, e stese dopo
il 1937 un nuovo programma che rivendicava la
costituzione di una repubblica autonoma slovena
di tipo sovietico, che doveva nascere
dall'unione di tutte le forze progressiste
slovene in un unico fronte antifascista,
collegato con il movimento progressista italiano.
Pinko Tomažič ed i suoi compagni riuscirono a far
conoscere questo loro programma con l'attività
clandestina dei circoli culturali, in modo
particolare tra la gioventù triestina e
goriziana. Negli anni 1939-40 si può già parlare
dell'esistenza nella Venezia Giulia di un fronte
antifascista sloveno, secondo le previsioni
programmatiche del Tomažič. Si era ormai
consolidata la collaborazione e l'unità operativa
tra la gioventù comunista e quella nazional-
liberale e cristianosociale; veniva anche
mantenuto il collegamento operativo tra i
nazionalrivoluzionari ed i comunisti.

Nell'estate del 1940 il servizio segreto fascista
(OVRA) riuscì a colpire in modo vitale il
movimento unitario nella sua fase di sviluppo.
Riuscì a scoprire nove depositi clandestini di
armi e munizioni, una stazione ricetrasmittente,
tre tipografle ed una montagna di pubblicazioni
illegali. Vennero arrestate 300 persone; 240
vennero condannate al confino, al domicilio
coatto o vennero ammonite in modo formale. I
sessanta elementi più rappresentativi,
considerati come i maggiori responsabili,
vennero consegnati dalla polizia al Tribunale
speciale fascista, che li divise in tre gruppi:
26 comunisti, 12 nazionalrivoluzionari, 22
intellettuali. Tutti insieme vennero sottoposti
al cosiddetto secondo processo triestino, nel
dicembre del 1941. Tutto il movimento aveva un
fine comune anche se traeva la propria origine
in matrici ideologiche diverse, il che emerse
chiaramente dagli atti processuali. Il fine
comune era rappresentato dalla liberazione di
tutte le comunità nazionali iugoslave dalla
dittatura fascista. Il processo si svolse tra
il 2 ed il 14 dicembre del 1941, quando nel
Litorale già divampava la lotta di liberazione
nazionale. Le condanne del Tribunale speciale
furono molto dure; il regime fascista voleva
così intimorire la popolazione che si stava
ormai ribellando apertamente. Il 15 dicembre
del 1941 vennero fucilati nel poligono di
Opicina il comunista Pinko Tomažič ed i
nazionalrivoluzionari Viktor Bobek, Simon Kos,
Ivan lvancic e Ivan Vadnal. Essi divennero con
Vladimir Gortan ed i quattro eroi fucilati a
Basovizza il simbolo della lotta antifascista
per la liberazione degli sloveni del Litorale.

La costituzione del fronte di liberazione
nazionale sloveno nell'aprile del 1941 segnò
l'inizio di una generale resistenza armata che
iniziò nel Litorale contestualmente a quella
delle altre regioni slovene; il fine era comune:
scacciare l'occupatore, riunire tutti gli
sloveni e trasformare la struttura sociale. Il
fronte di liberazione nazionale non avrebbe
potuto comunque svilupparsi tanto rapidamente
nel Litorale se nel periodo precedente non vi
fosse stato un forte movimento antifascista. La
lotta armata non fu che la logica conseguenza
della resistenza precedente e si concretizzò
nel 1945 con la sconfttta del fascismo e la
liberazione nazionale.
Ricordando questi fatti storici dobbiamo anche
cercare di cogliere il collegamento con il
presente; la conoscenza del passato può e
deve aiutarci a comprendere la situazione attuale.
II consolidamento della nostra identità
nazionale deve accompagnarsi ad una sempre
maggiore collaborazione ed alla ricerca
dell'appoggio delle forze democratiche e
progressiste italiane. Gli ideali della
resistenza e della lotta di liberazione
nazionale vanno tramandati ai giovani, che
devono farli propri. Solo così saremo certi
che i sacrifici sostenuti dalle precedenti
generazioni, dai compagni caduti, avranno un
seguito ideale. Cerchiamo di prendere ad esempio
coloro che hanno vissuto, lottato e sacrificato
la propria vita per la libertà, per una società
più equa, per un domani migliore, per la vittoria
contro l'oscurantismo fascista.
OB POIMENOVANJU SEKCIJE ANPI-VZPI TRZASKEGA
PARTIZANSKEGA PEVSKEGA ZBORA PO STIRIH
BAZOVISKIH JUNAKIH:


BIDOVEC - MARUŠIČ -
MILOŠ - VALENČIČ



Trst, 24. april 1988


Primorsko ozemije, ki ga je novembra 1918 zasedla
italijanska vojska in je bilo januarja 1921 z rapalsko
pogodbo prikljuceno k Italiji, se je v razdobju
med obema vojnama imenovalo Julijska krajina -
Venezia Giulia. Od 1924 dalje je tudi Reka pripadala
Italiji.
Po nekaterih ocenah je po prvi svetovni vojni pripadlo
Italiji okrog 550.000 Slovencev in Hrvatov, od tega
nad 300.000 Slovencev, kar je v tistem obdobju
pomenilo skoraj tretjino slovenskega naroda.
S prikljucitvijo dezele k Italiji je bil porusen
gospodarski sistem, na katerem je slonel stoletni
razvoj in napredek. Nove drzavne meje so postavile
meje tudi gospodarstvu. Z novo razmejitvijo so bile
pretrgane zveze z zalednimi dezelami. Te spremembe
so povzrocile gospodarsko krizo. Kriza v dezelnem
gospodarstvu je povzrocila druzbeno krizo, ki se je
kazala v obubozanju kmeta, brezposelnosti in
izseljevanju. Izseljevanje Slovencev in Hrvatov je
znacilno za vse obdobje med vojnama. Pred prvo vojno
je bilo znacilno preseljevanje iz podezelja v bliznja
mesta, po prvi vojni pa se je preusmerilo v tujino.
Izseljevanje pa se zdalec ni bilo zgolj
sociogospodarske narave, temvec je bilo v glavnem
posledica narodnega in politicnega Pritiska.

Kmalu po vojni so se izselili ljudje, ki so prisli
na Primorsko po sluzbeni poti: uradniki, zeleznicarji,
ucitelji. Izobrazence slovenske narodnosti je
italijanska oblast nacrtno izganjala preko meje v
Jugoslavijo, ces da so nevarni italijanskim interesom.
Mnogi pa so se umaknili pred negotovo politicno in
gospodarsko bodocnostjo. Izseljevanje Slovencev je
doseglo visek med splosno gospodarsko krizo in ob
istocasni zaostritvi fasisticnega totalitarnega rezima,
to je po letu 1926. Tedaj so bili prisiljeni oditi
politicni in kulturni delavci, ucitelji in uradniki,
brezposelni delavci ter kmetje, ki jim je posestvo
prislo na boben. Znacilno je bilo odhajanje kmeckih
deklet v notranjost Italije ali v tujino, zlasti v
Egipt. Poseben val spada v leto 1935, ko so bezali v
Jugoslavijo mozje in fantje, da so se izognili
mobilizaciji za vojno v Abisiniji. Pred drugo
svetovno vojno je bilo samo v Jugoslaviji nastetih
priblizno 70.000 Slovencev in Hrvatov iz Julijske
krajine, okoli 30.000 jih je bilo v Juzni Ameriki
(od tega 20.000 v Argentini), nad 5.000 pa v ostalih
evropskih dezelah. Na vsak nacin gre za izredno
visoke stevilke, ki ponovno dokazujejo vsestranski
pritisk, ki ga je izvajal fasizem nad slovanskim
prebivalstvom v Julijski krajini. Na drugi strani
pa so se iz notranjosti Italije doseljevali predvsem
funkcionarji, policisti, fasisticni milicniki,
oficirji, ucitelji, zdravniki, uradniki itd. Leta
1931 je stevilo priseljenih Italijanov znasalo okrog
130.000.

Italijanske oblasti so prisle v nase kraje
nepripravljene na srecanje s prebivalstvom druge
narodnosti. Niso poznale okoliscin. Nadalje so bile
pod jasnim vplivom tradicionalne miselnosti
italijanskega mescanstva. Ravnale so se po
njihovem merilu. Tako so se najprej poostrili
policijski ukrepi, da bi odstranili vse, kar bi
utegnilo ogrozati t.i. »nacionalne interese»
italijanske drzave.
13. julija 1920 so fasisti zazgali Narodni dom v
Trstu, sedez osrednjih politicnih, kulturnih in
gospodarskih organizacij. Dva meseca po pozigu,
septembra 1920, je v Juljiski krajini izbruhnila
najvecja splosna stavka. Na eni strani so delavci
zahtevali odpravo izrednega okupacijskega rezima,
na drugi strani so hoteli prepreciti vzpon
fasisticnega gibanja, ki je po pozigu Narodnega
doma napadal tudi delavske sedeze. Neuspeh stavke
je okrepil nacionalisticne struje in dokoncno
postavil fasiste na celo vseh  konservativnih sil.

Fasisticno nasilje se je nato v letu 1921 razvilo
v pravo ofenzivo, ki je trajala do prihoda fasistov
na oblast v oktobru 1922. Nadalje se je fasisticno
gibanje stevilcno toliko okrepilo, da je lahko
zacelo s splosnim terorjem. Mnozicna osnova
fasisticnega gibanja so bili ljudje iz srednjega
sloja, priseljenci iz Italije, demobilizirani
castniki in podcastniki, politicno nezgrajena
mladina. Financno so gibanje podpirali visoki
mescanski krogi. Uradna pest so bile oborozene
cete - squadre d'azione, ki so stele 30 do 50
moz. Najprej in najpogosteje so fasisti napadali
v mestih (Trst, Trzic, Pulj). Iz mest pa so
cete s tovornjaki odhajale na podezelje, v
slovenske in hrvaske vasi, kjer so nastopale
kot kazenske vojaske ekspedicije. Visek je
fasisticni teror dosegel med volilno kampanjo
aprila in maja 1921. Po podatkih italijanskih
zgodovinarjev je bilo do konca leta 1921 v
Julijski krajini pozganih ah razdejanih 134
zgradb, med temi kar 100 sedezev kulturnih
drustev slovenske narodnjaske in komunisticne
smeri, 21 delavskih domov in tri zadruge.
Oblastveni organi, generalni civilni komisariat,
vojaska poveljstva, policijski komisarji,
karabinjerji so fasiste podpirali.
Fasisticno nasilje je znacilno za vso Italijo.
V Julijski krajini pa je bilo hujse, saj je
bilo naperjeno proti dvojnemu nasprotniku:
proti slovenskohrvaski narodni skupnosti in
proti delavskemu gibanju. Porast fasisticnega
gibanja je omogocilo vec dejavnikov:
protidemokraticna in nacionalisticna usmerjenost
italijanskega mescanstva, nesposobnost naprednih
sil delavskega razreda, podpora oblasti fasizmu,
globoka gospodarska kriza. Kakor je bila
sociogospodarska podrejenost Slovencev in
Hrvatov pogoj za razvoj komunizma, tako sta
bila nacionalna zanesenost in pravi sovinizem
vzvod za uspeh fasizma. Od tod izvira enacenje
fasizma z italijanstvom, komunizma pa s
slovenstvom. Razredni spopadi med fasizmom
in komunizmom so spodbujali stare nacionalne
spore med Slovenci in Italijani. V tem spopadu
je fasizem v Julijski krajini videl obrambo
italijanskih nacionalnih interesov, zato je boj
proti delavskemu gibanju imel izraziti znacaj
boja proti narodnemu razvoju slovanske skupnosti.
Fasizem se je imel za nekaksnega uradnega
predstavnika italijanstva v teh krajih, ki jih
je hotela Italija poitalijanciti. To »poslanstvo«
je postalo pravi mit in istocasno politika
italijanske drzave.

28. oktobra 1922 je fasisticna stranka s t.i.
»pohodom na Rim« prevzela oblast v drzavi.
Prihod fasistov na oblast v Julijski krajini
ni pomenil bistvene prelomnice, saj je fasizem
ze pred tem obvladoval polozaj. Fasisticna vlada
je do konca leta 1926 odpravila demokraticne
oblike drzavne ureditve in uvedla totalitarni
fasisticni rezim, ki ga je vzdrzevala z nasiljem.
V okviru splosnih sprememb predstavlja ravnanje
s slovensko-hrvasko narodno skupnostjo posebno
poglavje v zgodovini fasizma.
Pod fasisticno vladavino pa raznarodovalna
politika ni vec dezelna posebnost, temvec sestavni
del drzavne italijanske fasisticne politike o
nasilni asimilaciji neitalijanskega prebivalstva.
Temeljila je na nacionalisticno-imperialisticnem
pojmovanju, da so Slovani manjvredni.

Poleg izrednih zakonov, ki so prizadeli vso napredno
italijansko javnost, so bili za obstanek slovenske
in hrvaske skupnosti usodni sklepi tajnikov
fasisticne stranke iz obmejnih pokrajin, sprejeti
na konferenci v Trstu 12. junija 1927. Sklepe so
uradno potrdili pokrajinski prefekti in sam Mussolini.
Konferenca fasisticnih kolovodij je ugotovila, da
so »slovanski ucitelji, slovanski duhovniki,
slovanska drustva in drugo anahronizem in anomalija
v dezeli, ki je bila anektirana«. Iz te ugotovitve
je izvirala zahteva, da se obmejne pokrajine naglo
vsestransko poitalijancijo, da se odpravijo se
zadnji razredi sol, zadnja drustva, slovenski tisk
itd. in da postane slovenski jezik le narecje, ki
naj bi se pod vplivom italijanskih mest spremenil
v »italijansko narecje«.
Nacrt o totalni fasizaciji in raznaroditvi Slovencev
iz leta 1927 je bil le krona osemletnega delovanja
v tej smeri ali Miloštni strel ze prej krepko
zatrtim slovanskim narodnim organizmom.

Fasisticni totalitarni rezim, ki je nastal in se
vzdrzeval z nasiljem, je vzbudil odpor naprednih
sil v Italiji in jim vsilil posebne metode boja.
Ce so posebne metode boja veljale za italijanske
protifasiste, so tembolj veljale za slovensko-
hrvasko narodnostno skupnost, saj jo je fasisticna
diktatura prizadela z dvojno mero. Vsestranski
pritisk in nacelno nasilje sta porodila radikalne
oblike odpora in boja. Najbolj pomembno pa je
dejstvo, da je fasizem vzbudil odpor vseh plasti
slovenskega prebivalstva. Protifasisticni odpor
primorskih Slovencev se je v glavnem razvijal
preko dveh ilegalnih politicnih organizacij:
komunisticne in narodno-revolucionarne.
Komunisticno organizacijo v Julijski krajini so po
uveljavitvi fasisticnih izrednih zakonov prizadele
se tezje izgube kakor narodnjasko gibanje. Od
nastopa fasizma je bila dejansko v polilegali ter
glavna tarca nasilja. Po emigraciji in konfinaciji
voditeljev so stopili na njihova mesta mlajsi
komunisti. Organizacija je vkljucevala clane
vec narodnosti: italijanske, slovenske in hrvaske.
Njihovo stevilo je nenehoma nihalo zaradi aretacij
in emigracije, zato ga ni mogoce zatrdno ugotoviti.
Stranka je v ilegali organizirala sindikalno
organizacijo, ustanavljala posebne protifasisticne
odbore, vzdrzevala »rdeco pomoc« za zrtve fasizma.
Glasilo komunisticnih idej med Slovenci je bilo
Delo, ki so ga primorski komunisti po letu 1926
razmnozevali ilegalno: v letih 1927 in 1928 v
predmestju Gorice, leta 1929 v Ljubljani, v letih
1933-35 pri Rencah in pri Volcji Dragi, v letih
1937-1940 pa pri Zgoniku in Divaci. Komunisticna
dejavnost je bila poleg organizacijskega utrjevanja
v glavnem usmerjena na razsirjanje revolucionarnih
in protifasisticnih idej za mobilizacijo delovnih
mnozic.
Za komunisticno organizacijo v Julijski krajini je
bilo bistveno razmerje do nacionalnega vprasanja
slovensko-hrvaske narodnostne skupnosti in s tem v
zvezi odnos do slovenskega narodnjaskega gibanja.

V prvi dobi po ustanovitvi (1921-1926) se
komunisticna stranka z vprasanjem narodnih manjsin
ni posebei ukvarjala. Priznavala je splosno
pravico in nacelo o pravici narodov do samoodlocbe.
Resitev nacionalnega vprasanja je videla samo v
zmagi proletarske revolucije. Po letu 1924 so
slovenski komunisti ugotavijali, da je mogoce
obdrzati in poglobiti vpliv na mnozice le, ce
bo stranka zastopala zahteve narodne manjsine in
ce bo boj za socialne pravice povezovala z bojem
za narodne pravice. Hkrati je skupina mlajsih
komunistov nakazala resitev narodnega vprasanja
po leninisticnih nacelih: svobodna samoodlocba
Slovencev in Hrvatov do odcepitve od Italije in
ustanovitev delavsko-kmeckih republik, povezanih
v federacijo balkanskih republik. To nacelo je
sprejel tretji kongres Komunisticne stranke Italije
januarja 1926, ko je med nosilce revolucije uvrstil
tudi zatirane narodne manjsine. Odtlej se stranka
temu nacelu ni vec odrekla. V tridesetih letih
se je stranka zacela zavzemati za enotno fronto
vseh plasti slovenskega prebivalstva. Izhodisce
za enotnost je bil boj proti fasizmu.

Do leta 1930 je bila obcutna dejavnost ilegalne
narodnorevolucionarne organizacije BORBA, ki jo je
ustanovila napredna narodnjaska mladina. Menila je,
da se je treba s fasizmom spoprijeti s silo.
Narodnorevolucionarna organizacija BORBA se je
razvila po letu 1927, to je po razpustu vseh drustev.
Koncni cilj organizacije je bila prikljucitev
primorskih Slovencev in istrskih Hrvatov k
Jugoslaviji. Njen akcijski program je bil: z
nasilnimi dejanji proti fasisticnim raznarodovalnim
ustanovam opozoriti svetovno javnost na vprasanje
narodnostnih skupnosti v Italiji in tako ustrahovati
nosilce raznarodovalne politike; med mnozicami
siriti propagando, da je moznost odpora; siriti
sovrastvo do fasizma; preprecevati sodelovanje
narodnih odpadnikov. Boj za narodni obstanek je
povezovala z bojem za socialno pravicnost. V skladu
s tem programom organizacija ni izbirala sredstev.
Konkretne akcije so zbujale pozornost in simpatije
sirsih mnozic. Oblasti v vecini primerov izvajalcev
niso odkrile, ceprav so zaprli veliko stevilo ljudi.
Do prvih hujsih ukrepov je prislo v letu 1929, koje
policija prijela skupino narodnih revolucionarjev v
Istri. Od 14. do 17. oktobra 1929 je bil sodni
proces v Pulju pred posebnim fasisticnim sodiscem,
ki se je koncal z ustrelitvijo Vladimirja Gortana.

Organizacijo v slovenskem delu Julijske krajine so
odkrili spomladi 1930 po razstrelitvi uredniskih
prostorov fasisticnega glasila "Il Popolo di Trieste".
Od 1. do 5. septembra 1930 se je vrsil pred posebnim
fasisticnim sodiscem prvi trzaski proces. Na tem
procesu so bili stirje junaki-voditelji Ferdo Bidovec,
Franjo Marušič, Zvonimir Miloš in Alojz Valenčič
obsojeni na smrt in 6. septembra ustreljeni na gmajni
pri Bazovici. Takrat je organizacija BORBA prenehala
obstajati. Smrtne obsodbe pa so nasprotno rodile
drugacne posledice, kot jih je pricakovala fasisticna
oblast.

Po letu 1930 je komunisticna stranka Italije
usklajevala delovanje s stalisci jugoslovanskih
komunistov. Na posvetovanju predstavnikov obeh strank
januarja 1930 so bila dolocena enotna akcijska gesla.
Tedaj je bilo sklenjeno, da postane casopis Delo
glasilo obeh strank za Slovence v Italiji in
Jugoslaviji. Delo je izhajalo v letih 1930-35 kot
skupno glasilo ter je posvecalo posebno pozornost
slovenskemu narodnemu vprasanju. Aprila 1934 pa so
tri komunisticne stranke (Avstrije, Italije in
Jugoslavije) sprejele skupno izjavo o resitvi
slovenskega narodnega vprasanja. Izjavile so, da ne
priznavajo nasilnega razkosanja slovenskega naroda,
zato bodo podpirale pravico Slovencev do samoodlocbe.
To je bil nov kvaliteten korak v narodni politiki.
Za slovenske komuniste v vseh teh drzavah je izjava
pomenila zacetek novega obdobja, ki je vodilo v
oborozen narodnoosvobodilni boj pod geslom zdruzene
in neodvisne Slovenije. Tristranska izjava je bila
sprejeta v trenutku, ko je stopala v ospredje nova
doba v razvoju delavskega gibanja: doba povezovanja
vseh demokraticnih sil v svetu v ljudsko Fronto za
boj proti fasizmu.

Tako je bil v januarju 1936 sprejet pakt o akcijski
enotnosti med komunisti in narodno-revolucionarno
organizacijo TIGR. Obe strani sta se nadalje
zavezali, da ustvarita slovensko in hrvasko ljudsko
fronto in jo povezeta z italijansko ljudsko fronto.
To je bil prvi sporazum, ki ga je italijanska
partija sklenila z neko nedelavsko organizacijo.

Bil pa je le logicna posledica dotedanjega razvoja.
Aktivnost komunisticne in narodnorevolucionarne
organizacije se je zrcalila v razpolozenju mnozic.
Protifasizem med Slovenci v Julijski krajini je
bil splosen pojav. Po razpustu vseh kulturnih,
gospodarskih, sportnih, podpornih, mladinskih in
drugih slovenskih drustev se je dejavnost
nadaljevala v ilegali, na skrivaj po posameznih
domovih, na izletih ali v cerkvah. Vsaka slovenska
hisa je postala sola, vsaka cerkev oder za
slovensko besedo in pesem. Slo je za zavestno
potrebo po narodni samoohranitvi. Tradicionalne
ideoloske razlike med katolisko in liberalno
usmerjenimi so se v ilegali na podezelju skoraj
izbrisale. To pomeni, da je nastajalo enotno
narodno in protifasisticno gibanje. V Trstu in
Gorici se je narodno delovanje razvijalo po
tradiciji ukinjenih politicnih drustev,
liberalne in krscanskosocialne smeri.

Kakor se je protifasisticni znacaj mnozicnega
gibanja kazal navzven, je razvidno iz
italijanskih policijskih dokumentov. Pojavljale
so se slovenske in delavske zastave, napisi proti
fasizmu, letaki, ilegalni casopisi, javno
izrazanje protifasisticnega razpolozenja ipd.
Mnozica policijskih prijav zgovorno prica o
dejanjih, ki so se mnozila z blizajoco se vojno.
Represalije proti upornim Slovencem so bile ostre:
od opomina, svarila, policijskega nadzorstva in
konfinacije do obsodb pred posebnim (fasisticnim)
sodiscem za zascito drzave. Med leti 1927 in 1943
je bilo po nekaterih izracunih 131 sodnih
procesov proti 544 obtozencem slovenske in
hrvaske narodnosti. Na enega obsojenega
italijanskega protifasista je bilo obsojenih ali
obtozenih kar deset Slovencev ali Hrvatov.
Upostevati je treba, da navedeni podatki zajemajo
dobo 1927-1943, kar pomeni ze leta 1941-43, ko je
na Primorskem ze plamtel narodnoosvobodilni boj.
Na ta nacin se razlaga podatek, da je bilo izmed
42 smrtnih obsodb kar 33 izrecenih proti
Slovencem ali Hrvatom. Deset zivljenj je
fasisticno sodisce zahtevalo se pred pricetkom
oborozenega narodnoosvobodilnega boja.

S priblizevanjem svetovnega spopada je aktivnost
narascala na vseh podrocjih. V teh razgibanih
okoliscinah so imeli slovenski komunisti dobro
priloznost za ustvarjanje protifasisticne fronte.
Tega se je zavedal zlasti Pinko Tomažič. Po letu
1937 se je lotil sestave novega programa. Program
je vseboval zahtevo po neodvisni sovjetski
slovenski republiki, po zdruzitvi vseh naprednih
slovenskih sil v enotno protifasisticno fronto,
nadalje povezave te fronte z italijanskim
naprednim gibanjem. Te nacrte je s sodelavci
uresniceval v okviru ilegalne kulturne dejavnosti,
zlasti med trzasko in gorisko mladino. V letih
1939-1940 ze lahko govorimo o protifasisticni
fronti med Slovenci v Julijski krajini, kakor jo
je predvideval Tomažičev program. Obstajala je
delovna zveza med komunisticno, narodnoliberalno
in krscanskosocialno mladino, obstajala je zveza
med narodnimi revolucionarji in komunisti.

Sredi leta 1940 je fasisticna tajna policija OVRA
usodno posegla v razvijajoce se gibanje. Nasla je
devet skrivalisc orozja in razstreliva,
radiooddajno postajo, tri tiskarske centre, goro
ilegalne literature. Izmed 300 aretiranih je bilo
240 kaznovanih z opominom, policijskim nadzorstvom
ali internacijo. 60 najbolj odgovornih pa je
policija izrocila posebnemu sodiscu za zascito
drzave. Razdelila jih je na tri skupine: 26
komunistov, 12 narodnih revolucionarjev, 22
izobrazencev. Vsem skupaj pa je sodisce sodilo na
znanem drugem trzaskem procesu decembra 1941.
Celotno gibanje je imelo enoten cilj, ceprav
razvejano po raznih nazorih: vse to je razvidno
iz dokumentov. Cilj je bil: resitev jugoslovanske
narodne skupnosti izpod fasisticnega jarma. Cas
procesa, 2. - 14. december 1941, je bil ze cas
narodnoosvobodilnega boja tudi na Primorskem. Z
ostrimi razsodbami je hotel fasisticni rezim
ustrahovati uporno prebivalstvo. 15. decembra 1941
so bili na streliscu na Opcinah usmrceni: komunist
Pinko Tomažič ter narodni revolucionarji Viktor
Bobek, Simon Kos, Ivan Ivancic, Ivan Vadnal. Tako
kot Vladimir Gortan in stirje junaki, ustreljeni v
Bazovici, so postali simbol boja primorskih
Slovencev za osvoboditev, simbol protifasisticnega
boja.

Ustanovitev Osvobodilne fronte slovenskega naroda
v aprilu 1941 je pomenila zacetek vseslovenskega
oborozenega narodnoosvobodilnega boja. Ta boj se
je na Primorskem zacel hkrati kot v ostalih
slovenskih pokrajinah. Temeljni cilji so bili
isti: izgon okupatorjev, zdruzitev vseh Slovencev,
socialna preobrazba slovenskega naroda.
Osvobodilna fronta se na Primorskem v letu 1941
ne bi mogla tako hitro razviti, ce ne bi bilo tako
mocnega protifasisticnega gibanja v obdobju med
obema vojnama. Narodnoosvobodilno gibanje je bilo
logicno nadaljevanje protifasisticnega gibanja.
Osvobodilna fronta predstavlja sklepno obdobje
protifasisticnega gibanja, ki je privedlo do
osvoboditve v maju 1945 ter do poraza fasizma.
Ko se spominjamo navedenih dogodkov, se seveda
povezemo na sedanjost. Poznavanje nase zgodovine
nam omogoca, da se istocasno soocamo s preteklimi
in sedanjimi problemi slovenske narodnostne
skupnosti v Italiji. Sedaj gre za resnicno
enakopravnost in sozitje z vecinskim narodom.
Soudelezba na spominskih svecanostih,
manifestacijah, ki so vezane na obdobje
protifasisticnega in narodnoosvobodilnega boja,
nam omogoca primerjavo med preteklostjo in
sedanjostjo. To pomeni tudi utrjevanje narodne
pripadnosti in zavesti, vendar na podlagi
sporazumevanja z demokraticnim delom vecinskega
italijanskega naroda. Zavedati se moramo, da ne
proslavljamo le obletnic, temvec nekaj globoko
cutenega, ki je zasidrano v srcu naroda. Vso to
dediscino si mora prisvojiti mladina in jo nato
predati novemu rodu. Tako bo se enkrat dokazano,
da vse dosedanje zrtve niso bile zaman. Stopamo
po poti, ki so nam jo zacrtali padli tovarisi.
Istocasno se zavedamo, da je pot, ki je pred
nami tezka, vendar ima jasne cilje. Za vzor naj
nam bodo zivljenje, delo in ideali tovarisev, ki
so dali svoja zivljenja za boljsi jutri, za
svobodo, za zmago nad mracnimi silami clovestva.




Un'altra immagine del monumento ai fucilati di Basovizza, nei pressi del luogo dove furono uccisi


Si vedano anche:

Martiri di Basovizza, 6 settembre 1930

Tutta la documentazione sulla Resistenza a Trieste e nel Litorale sloveno




Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus