Il testo della petizione è stato elaborato dal COORDINAMENTO NO ARMI a cui a inizio gennaio 2025 ha aderito anche il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ETS
   

Europa: una pessima idea

 
1) PETIZIONE NO REARM EUROPE 
2) Peter Mertens (PTB): “L’Unione Europea non è mai stata una potenza per la pace” (10.2.2025.)
3) Lavrov: Negli ultimi 500 anni tutte le tragedie di portata globale hanno avuto origine in Europa, o comunque si sono verificate a causa delle politiche europee (2.3.2025.)
4) Giuseppe Amata: Perché dobbiamo essere contro la UE senza se e senza ma (4.3.2025.)
5) Altre prese di posizione contro il bellicismo europeo e la manifestazione euro-imperialista del 15 marzo a Roma (Comitato Contro la Guerra Milano, Contropiano, Marx21)
6) Infuria la polemica nell'ANPI dopo la improvvida adesione alla manifestazione euro-imperialista del 15 marzo a Roma
 
 
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PETIZIONE NO REARM EUROPE 
 
Il testo della petizione è stato elaborato dal COORDINAMENTO NO ARMI, nato sulla base della Petizione ai parlamentari contro il rinnovo del decreto di invio di armi all’Ucraina (cfr. https://www.peacelink.it/campagne/index.php?id=111&id_topic=4), a cui a inizio gennaio 2025 ha aderito anche il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ETS.
 
 

Campagna: No al riarmo

Promossa da: NO AL RIARMO - Campagna contro ReArm Europe
La presidente della Commissione Europea ha presentato un piano di riarmo da 800 miliardi di euro (ReArm Europe) contro la Russia, dichiarando: "Dobbiamo urgentemente riarmare l'Europa". Con questa petizione - ai sensi dell'articolo 50 della Costituzione - facciamo appello ai parlamentari italiani per contrastare le pressioni europee all'aumento delle spese militari. 
Data di inizio: 7 marzo 2025

Ai Parlamentari della Repubblica

Noi cittadini e cittadine vi scriviamo con profonda preoccupazione per la crescente pressione a incrementare le spese militari, una scelta che riteniamo dannosa per il nostro futuro. 

La presidente della Commissione Europea ha presentato un piano di riarmo da 800 miliardi di euro (ReArm Europe) contro la Russia, dichiarando: "Dobbiamo urgentemente riarmare l'Europa".

Invitiamo i parlamentari italiani a respingere ogni ulteriore aumento del budget della difesa per le seguenti ragioni. 

1. La narrazione dell’inferiorità militare dell’Europa è falsa. Non è vero che la Russia abbia superato l’Unione Europea nelle spese militari. Al contrario, i dati ufficiali del SIPRI e del database NATO (vedere la scheda tecnica) dimostrano che la somma delle spese militari di UE e Regno Unito è circa tre volte superiore a quella della Russia. Alimentare la percezione di un’Europa debole e impreparata è funzionale solo a giustificare una corsa al riarmo priva di fondamento.  

2. Il riarmo impoverisce lo stato sociale. Ogni aumento delle spese militari aggiunge nuovo debito pubblico sulle spalle delle future generazioni e sottrae risorse essenziali a settori chiave come la sanità, l’istruzione, l'ambiente, la ricerca e il welfare. Siamo già testimoni di tagli nei servizi pubblici, con ospedali sottofinanziati, scuole con infrastrutture carenti e un sistema di tutele sociali sempre più fragile. La scelta di destinare miliardi in armamenti, invece che verso il benessere collettivo, è un passo verso il collasso dello stato sociale. 

3. Più armi significa più guerra, non più sicurezza. La storia insegna che l’accumulo di armamenti non porta alla pace, ma alla prosecuzione dei conflitti e all’escalation delle tensioni internazionali. L’Italia - nel rispetto dell'articolo 11 della Costituzione - deve farsi promotrice di soluzioni diplomatiche e di riduzione delle spese militari globali, anziché alimentare una corsa agli armamenti che può solo aumentare il rischio di nuove guerre. 

Chiediamo dunque al Parlamento italiano di

- bloccare ogni ulteriore aumento delle spese militari;

- favorire il processo di pace in corso in Ucraina;

- fermare l'ulteriore invio di armi in Ucraina;

- ripristinare un processo di dialogo e cooperazione internazionale;

- promuovere iniziative di disarmo e di ripristino del trattato di messa al bando degli euromissili;

- sostenere un'azione di diplomazia attiva per la risoluzione nonviolenta dei conflitti in corso;

– riorientare le risorse verso il lavoro, la sanità, la scuola e il welfare, pilastri della sicurezza sociale.

Un’Italia che sceglie la pace non può essere un’Italia che investe nelle armi a discapito del benessere dei suoi cittadini. 

Aderisci:

 
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Peter Mertens (PTB): “L’Unione Europea non è mai stata una potenza per la pace”

di Redazione, 10 Febbraio 2025
 
Il segretario generale del Partito del Lavoro del Belgio (PTB), uno dei partiti di ispirazione marxista di maggiore successo in Europa occidentale, partecipando a un recente convegno a Cuba, ha tenuto un discorso in cui ha smascherato la vera natura dell’Unione Europea, spiegando in particolare come “fin dalla sua creazione, l’Unione Europea ha cercato di farsi passare per una potenza di pace, ma è una veste che non le si addice”. Ne proponiamo alcuni passaggi nella speranza che la sinistra svizzera e il movimento sindacale si emancipino dal pensiero unico europeista che gli è stato imposto da 30 anni da chi non ha a cuore gli interessi dei lavoratori!
 

Una storia guerrafondaia

Fino al XV secolo, l’Europa era poco più di una provincia del mondo, non più avanzata di altri continenti in termini di sviluppo. La situazione cambiò solo quando le potenze europee iniziarono a costruire il loro impero coloniale globale, fondato sulla tratta degli schiavi e sul saccheggio di altri continenti. L’accumulazione primitiva di cui il capitale aveva bisogno in Europa per instaurare il capitalismo su scala globale avvenne attraverso un bagno di sangue nel resto del mondo.

Fino alla fine del XIX secolo, gli inglesi furono la principale potenza imperialista. Altre nazioni, come Francia, Germania, Giappone, Belgio, Paesi Bassi e Portogallo, si contendevano le colonie e si scontravano regolarmente, finché non decisero di spartirsi l’Africa alla Conferenza di Berlino (1884-1886), trattandola come una torta da dividere tra loro.

All’inizio del XX secolo, la Germania si stava affermando lentamente ma inesorabilmente come grande potenza. Tuttavia, a differenza dei suoi rivali, possedeva pochissime colonie, un grave handicap per l’élite tedesca, che le desiderava sia come mercati per i propri prodotti finiti, sia come fonti di materie prime a basso costo. La competizione per la spartizione del mondo e la corsa alle colonie costituirono la base economica della Prima Guerra Mondiale.

 

Il concetto pan-europeo e il nazifascismo

Dopo la Prima Guerra Mondiale, la richiesta di un mercato interno europeo più ampio guadagnò slancio, soprattutto in Germania. Il conte Coudenhove-Kalergi fu il primo a proporre la trasformazione della Germania in una “Grande Europa” tedesca. Nel 1923 lanciò il suo “concetto pan-europeo”, che non era un progetto di pace, ma un disegno imperialista concepito su misura per Berlino. La sua idea di Europa si estendeva da Petsamo, nel nord della Finlandia, fino al Katanga, nel sud del Congo.

Coudenhove-Kalergi considerava l’Africa una risorsa per l’Europa, da sfruttare e integrare in un’unica entità, la “Paneuropa”, dando vita a un vasto impero coloniale sotto il controllo tedesco. Tuttavia, il suo progetto non si concretizzò.

Il conte non riuscì a raggiungere i suoi obiettivi e, alla fine, Hitler tentò di conquistare il continente con la violenza e la barbarie per realizzare la sua versione della “Nuova Europa”. 60 milioni di morti dopo, il progetto fascista fallì a sua volta.

[FOTO: Il conte Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi: nel 1923 pubblica il suo libro Paneuropa.]
 

Washington vuole una Germania forte: nasce la CECA

Le nazioni europee, appena sfuggite al nazismo, non avevano alcuna intenzione di rinunciare immediatamente alla loro ritrovata indipendenza per una nuova avventura europea. L’impulso decisivo per l’unificazione europea, infatti, giunse da altrove: da Washington. Negli accordi di Bretton Woods, il principale evento economico del XX secolo, gli Stati Uniti stabilirono che il commercio mondiale si sarebbe dovuto tenere in dollari. Il loro obiettivo era un mercato europeo dei capitali e delle merci completamente aperto agli interessi americani. “Viva l’Europa!”, gridarono a Washington. Con il Piano Marshall, gli Stati Uniti risolsero la loro crisi delle esportazioni e vincolarono economicamente l’Europa al capitale americano. Sempre Washington dettò le condizioni per il reinserimento della Germania nell’economia mondiale: secondo gli Stati Uniti, la Germania non doveva essere troppo debole, altrimenti sarebbe potuta cadere nelle mani dei comunisti! Doveva quindi riprendere a esportare carbone e acciaio dalla regione della Ruhr. A tale scopo, nel 1951 venne creata la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA).

[FOTO: 25 marzo 1957: a Roma è firmato il trattato che costituisce la Comunità Economica Europea.]
 

L’integrazione europea non serviva a prevenire la guerra, era un progetto del Pentagono

L’integrazione degli Stati europei non aveva lo scopo di prevenire la guerra. Al contrario, fu un progetto nato sotto l’egida del Pentagono, come parte di una strategia militare contro l’Unione Sovietica. Gli americani volevano rendere nuovamente operativo l’esercito tedesco, ma con equipaggiamenti statunitensi e nel quadro della NATO. In definitiva, il loro obiettivo era quello di riconquistare la zona di influenza sovietica. Per francesi, britannici, olandesi e belgi fu difficile digerire il fatto che Washington stesse nuovamente vestendo i tedeschi con l’uniforme militare. Ma gli Stati europei dovettero rassegnarsi al ruolo di “junior” partner degli Stati Uniti. A Bretton Woods (1944), il dollaro divenne la valuta mondiale, il colonialismo francese subì una pesante sconfitta in Indocina (1954) e gli inglesi e i francesi furono umiliati al Canale di Suez (1956).
Fin dall’inizio, l’unificazione europea ebbe una matrice coloniale. Quattro dei sei membri fondatori della Comunità Economica Europea (CEE), tra cui Francia e Belgio, erano ancora potenze coloniali al momento della firma del Trattato di Roma nel 1957, che non conteneva alcun riferimento alla decolonizzazione. Anzi, secondo la mappa della CEE dell’epoca, gran parte del suo territorio si trovava in Africa.

[FOTO: Peter Mertens incontra il presidente cubano Miguel Diaz-Canel.]
 

Le ambizioni neo-coloniali sono l’essenza dell’UE

Il presidente ghanese Kwame Nkrumah aveva giustamente dichiarato: “Il neocolonialismo francese si sta fondendo con il neocolonialismo collettivo del Mercato Comune Europeo”. Le ambizioni coloniali o neocoloniali delle potenze europee vengono ora presentate come “missioni di civiltà”, “missioni civili” o “missioni geopolitiche”, ma in realtà la sostanza non è mai cambiata: si tratta sempre di ex Stati imperialisti alla ricerca di un nuovo modo per conservare la loro antica gloria. Dal 1957 a oggi, l’“Europa della pace” ha continuato a fare la guerra: dal Congo di Lumumba al genocidio in Ruanda, dalla Libia ai numerosi interventi nell’Africa subsahariana, dall’Iraq e dall’Afghanistan all’ex Jugoslavia. No, l’Unione Europea non è mai stata una forza di pace.
 
 
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Lavrov: Negli ultimi 500 anni tutte le tragedie di portata globale hanno avuto origine in Europa, o comunque si sono verificate a causa delle politiche europee
 
Fonte: canale Telegram Ambasciata Russa a Roma, 4.3.2025.
<https://t.me/ambrusitalia/2748>

Alcuni passaggi tratti dall’intervista della holding mediatica “Krasnaja zvezda” [*] a Sergey Lavrov, Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa 
2 marzo 2025
 
Punti principali:
 
Già nel 2007, in occasione della Conferenza di Monaco sulla Sicurezza, il Presidente Putin avvertiva che, sebbene noi stessimo lavorando con la NATO, con l’Unione Europea, e con il G7 (essendo, all’epoca, membri del G8), loro non avrebbero dovuto prenderci per degli ingenui, ovvero trattarci come quelli che né capiscono, né vedono nulla. Se siamo tra pari, allora lavoriamo da pari. [...]
 
Fino all’ultimo abbiamo dato loro la possibilità di fare in modo che la crisi non sfociasse in un conflitto aperto. Nel dicembre del 2021 dicemmo loro: sugli Accordi di Minsk state “tergiversando”, e state creando delle minacce alla nostra sicurezza; sigliamo un Trattato per la Sicurezza Europea, grazie al quale tale sicurezza potrà essere garantita senza il bisogno di dover trascinare chicchessia nella NATO. Ma ci ignorarono.
 
***
• È impensabile che le opinioni della Russia e degli Stati Uniti coincidano su ogni singola questione di politica estera. Questo lo abbiamo riconosciuto [durante il Vertice] a Riyad. E anche gli americani lo hanno riconosciuto. In effetti, sono stati proprio loro ad affermarlo. Ma laddove vi sia una convergenza tra i nostri interessi, il buon senso suggerisce che sarebbe sciocco non avvalersene; sarebbe sciocco non trasformare tali convergenze in azioni pratiche che generino risultati reciprocamente vantaggiosi.
 
• Non voglio essere anti-europeista. E tuttavia, l’attuale situazione conferma il pensiero già formulato da numerosi storici. Negli ultimi 500 anni (il periodo nel quale, grossomodo, l’Occidente ha assunto la forma nella quale si presenta ai nostri giorni, anche se, naturalmente, al netto di alcuni cambiamenti), tutte le tragedie di portata globale hanno avuto origine in Europa, o comunque si sono verificate a causa delle politiche europee. Le colonizzazioni, le guerre, le Crociate, la Guerra di Crimea, Napoleone, la Prima Guerra Mondiale, Hitler.
 
• Il piano per l’invio di “forze di pace” in Ucraina è solo un modo per continuare a istigare il regime di Kiev alla guerra contro di noi.
 
• La Carta delle Nazioni Unite non deve essere toccata. Essa è ancora attuale. Pertanto, deve solo essere rispettata, e le sue disposizioni osservate; e non si può ragionare dicendo che il Kosovo ha solo esercitato il proprio diritto all’autodeterminazione quando ha dichiarato la propria indipendenza senza alcun referendum, ma che invece c’è stata una violazione del principio di integrità territoriale dell’Ucraina quando in Crimea si è tenuto un referendum assolutamente trasparente al quale hanno preso parte centinaia di osservatori europei, parlamentari e personalità pubbliche.
 
Doppiopesismo, cinismo e ipocrisia: questo è ciò con cui ci troviamo a dover fare i conti.
 
[*] Фрагменты из интервью Министра иностранных дел Российской Федерации С.В.Лаврова медиахолдингу «Красная звезда», 2 марта 2025 года
 
 
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Perché dobbiamo essere contro la UE senza se e senza ma

di Giuseppe Amata

La “Repubblica” del 28 febbraio ha pubblicato un “Appello” scritto da Michele Serra e indirizzato in particolare a Partiti e Sindacati per organizzare una manifestazione nazionale senza bandiere proprie, ma soltanto con quelle della Unione Europea, in difesa della stessa contro le iniziative politiche e militari di Trump. Nell’appello si chiosa una imperiosa frase, “Qui o si fa l’Europa o si muore”, mutuandola da quella celebre pronunciata da Garibaldi nel maggio del 1860, dopo lo sbarco a Marsala, nel corso della battaglia di Salemi, in risposta alle osservazioni di estrema difficoltà in cui si trovavano le camicie rosse fattegli notare da Bixio: “Nino, qui o si fa l’Italia o si muore”. 

All’ appello di Michele Serra hanno subito aderito esponenti di PD, IV e Azione.

L’Unione Europea, come è noto, è stata imposta ai popoli europei dopo il dissolvimento della Unione Sovietica, rappresentando la terza fase, la prima iniziata nel 1957 con il Trattato di Roma che istituiva il Mercato Comune Europeo; realizzato il quale si è passati alla seconda fase, con una maggiore adesione di Paesi alla Comunità Economica Europea, per delineare una politica economica comune. 

Terza fase da completare con la costituzione di uno Stato sovranazionale, dopo l’avvio di una politica economica comune, una moneta unica, il tentativo fallito di approvare la stesura di un progetto di Costituzione (la quale a differenza di quella approvata in Italia e Francia dopo la vittoria delle rispettive Resistenze antifasciste e antinaziste non faceva specifico riferimento ai quei principi bensì a generici principi democratici) dopo la bocciatura dei referendum popolari in Francia e nei Paesi Bassi, di una unica politica estera e di un unico Esercito integrato nella NATO.

L’Unione Europea da parte dei governanti al servizio delle multinazionali, del capitale finanziario, di una consolidata tecnocrazia e burocrazia installatasi a Bruxelles, e formatasi nelle scuole economiche e militari sorte dopo la Trilateral, ha rappresentato più che un mito propinato alle masse un feticcio da adorare. 

Feticcio colorato con altisonanti parole di democrazia sugli organi rappresentativi (i quali, al contrario, non sono eletti dai popoli ma designati dai governi con la ratifica del Parlamento europeo), sulla libertà di pensiero, di espressione e di libera circolazione delle persone, sui diritti umani inviolabili (in verità i diritti umani fondamentali sanciti dalla rivoluzione francese sono trascurati mentre vengono esaltati come principali alcuni di natura secondaria che riguardano i rapporti interpersonali e sessuali), sulla pace e contro le guerre.

Sin dalla prima fase del MEC la volontà dei “padri fondatori” di unirsi sì è dimostrata nei fatti, al di là delle parole, non al servizio dei popoli europei bensì al servizio dei monopoli ed oligopoli europei e dello sviluppo del capitale finanziario internazionale, determinando nei Paesi aderenti sfruttamento irrazionale delle risorse, della forza-lavoro, con salari enormemente differenziati per alimentare il meccanismo di accumulazione dei capitali, nonché impoverimento territoriale delle zone periferiche con incentivi mirati ai poli industriali, emarginazione delle aree montane e di alta collina favorendo di conseguenza le erosioni dei suoli per le mancate coltivazioni e quindi i processi di esondazione di fiumi e torrenti, devastazione di molti territori in seguito ad inquinamento e alla sottrazione di aree coltivabili fertili per costruire basi militari, imponenti centri commerciali e tutto quanto può determinare lo sviluppo economico diseguale, tipico in ogni parte del mondo del modo capitalistico di produzione sfociato in imperialismo.

Nella terza fase iniziata negli anni Novanta la Unione Europea è diventata una forza di guerra nell’ambito della strategia NATO, promuovendo direttamente la disgregazione della Federazione Jugolasva e poi il bombardamento della Serbia per provocare la scissione di Montenegro, Macedonia e Kossovo, per assorbire nella NATO i nuovi Paesi aderenti nel suo ambito, per essere presente con gli eserciti di molti suoi Paesi aderenti nelle guerre infinite americane in Iraq e Afghanistan, per sobillare rivoluzioni colorate in Georgia, Ucraina e in Moldavia, per sostenere il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e poi per spalleggiare le aggressioni del governo nazifascista ucraino contro il popolo del Donbass, infine per favorire il posizionamento di missili strategici ai confini della Russia, sia nel territorio ucraino che in quello dei Paesi Baltici ed anche per sostenere militarmente e politicamente il governo di Zelensky, rischiando di provocare un conflitto mondiale. E si potrebbe ancora elencare dell’altro.

Con la presidenza Trump si è aperta una fase di riflessione e di riconsiderazione della politica estera americana, dopo gli insuccessi politici e militari dell’ultimo decennio., in quanto è avanzata la formazione di un fronte di Paesi del Sud del mondo che ha la sua punta nei BRICS+ per la creazione di un nuovo ordine economico internazionale fondato sulla cooperazione, sul reciproco vantaggio, sulla utilizzazione delle monete nazionali e su accordi di scambio compensativi di merci e capitali tra i Paesi aderenti per realizzare in futuro una moneta unica nelle loro relazioni e perché no di riserva internazionale al posto del dollaro in via di decadenza.

Non è la prima volta nella storia del secondo dopoguerra che la dirigenza USA, dopo una fase di guerra calda e fredda, di espansione delle sue alleanze militari (dopo la NATO altre in Asia, in seguito all’occupazione di Taiwan, all’invasione della Corea e all’aggressione al Vietnam, come la SEATO, oppure accordi bilaterali con il Giappone, con la Corea del Sud e con l’Australia), procede ad una riflessione improntata a spirito di realismo nei rapporti internazionali per mantenere la sua egemonia.

La prima volta ci provò a Camp David nel settembre del 1959 con il vertice tra Eisenhower e Kruscev, dopo l’affermazione internazionale sovietica con il lancio nel 1957 del primo missile balistico e poi dello Sputnik e con la formazione di un largo fronte antimperialista, dove il presidente americano propose al primo ministro dell’URSS, nonché segretario generale del PCUS, una gestione a due del mondo per ingabbiare le lotte antimperialiste e bloccare lo sviluppo della Repubblica popolare cinese. Proposta sfortunatamente accettata da Kruscev che portò alla rottura dei rapporti tra l’URSS e la RPC e la divisione irreparabile nel Movimento comunista internazionale.

La seconda volta avvenne con la visita di Nixon nel febbraio del 1972 in Cina per cercare di approfondire i contrasti tra i due grandi Paesi socialisti, ma per la Cina fu una grande vittoria, in quanto sconfisse l’accerchiamento e il blocco economico nei suoi confronti, e in ultima analisi aprì un confronto triangolare alla pari.

La terza volta, adesso, ci sta provando Trump puntando su un compromesso strategico, diremmo storico come una nuova Yalta, sia con la Russia che con la Cina, intanto per cercare di dividere Russia e Cina nelle loro grandi iniziative unitarie a livello mondiale che hanno sconvolto l’ordine imperialistico creato dopo il dissolvimento dell’URSS e basato sugli USA quale potenza egemone e la Unione Europea e il Giappone in posizione subordinata, ma con specifici vantaggi. 

Trump pensa di raccogliere le forze economiche imperialistiche attorno agli USA, ridimensionando le velleità imperialistiche di UE e Giappone e nello stesso tempo favorendo la migrazione dei capitali finanziari e industriali verso il territorio americano allettati dagli atti tassi di interesse o di profitto, per trovare da un lato un accordo con la Russia per far cessare la guerra in Ucraina e facilitare nuovi approcci economici e dall’altro lato per concentrare le forze per una competizione economica di lunga durata con la Cina, scaricando così sulla UE e sul Giappone tutti gli effetti della crisi economica iniziata nel 2007 e non ancora risolta, nonostante che prima del Covid si è avuta una leggera fase di ripresa, come pure una leggera ripresa soltanto per gli USA si è avuta in seguito all’espansione del complesso militare industriale americano proprio con la guerra in Ucraina e con le sanzioni alla Russia ed imponendo altresì all’Europa e al Giappone di non acquistare gas e petrolio a basso prezzo dalla Russia per acquistare invece quello americano a un prezzo più alto sia per i maggiori processi di lavorazione (del gas) sia per i maggiori costi del trasporto.

Di fronte a questa nuova visione americana cosa fa la Unione Europa? 

Diventa ancora più guerrafondaia degli USA e si mobilita per riarmarsi, per spronare l’esercito ucraino a combattere fino all’ultimo suo uomo e per rilanciare una politica revancista, come quella praticata da Adenauer e Strauss nell’immediato secondo dopoguerra e ora fatta propria dal leader della CDU Merz, magari formando una grossa coalizione con i socialdemocratici di Scholz e Pistorius, dimostratisi revancisti anch’essi, come pure Macron. 

E’ quindi da questi leader, quali principali portavoce del capitale finanziario europeo, che viene il pericolo maggiore per la pace nel continente europeo, più da quelli che sfilano con simboli e richiami nostalgici al fascismo e al nazismo, i quali ovviamente non devono essere sottovalutati in quanto i loro movimenti che attraggono masse crescenti saranno come negli anni Venti in Italia e Trenta in Germania utilizzati per avventure totalitarie e reazionarie.

Per questi motivi dobbiamo con forza e nettamente dire no agli appelli di salvare la Unione Europea, anzi dobbiamo contribuire a favorire le contraddizioni interimperialistiche e far avanzare un processo di massa che promuova la pace tra le nazioni di tutto il mondo, buone relazioni economiche e culturali fondate sulla parità (e non sull’imposizione del way american life o sulla visione eurocentrica sviluppatasi con il colonialismo che fa dire ora ai dirigenti della UE che questa organizzazione “rappresenta il faro della democrazia nel mondo”), sulla diversità delle civiltà e sulla loro collaborazione o parziale integrazione, fondate sulla eguaglianza e non sulla imposizione di una verso le atre, sul reciproco vantaggio per creare una comunità mondiale dal destino condiviso, come propone da anni il presidente cinese Xi Jinping.

Per realizzare questo importante obiettivo non ci deve dispiacere per niente se la Unione Europea si disintegrerà, anzi dobbiamo essere attori importanti per favorirla.

 
 
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Da: Comitato Contro la Guerra Milano <comitatocontrolaguerramilano  @gmail.com>
Oggetto: LA GUERRA È CONTRO I LAVORATORI: DISERTARE LA PIAZZA PER LA GUERRA!
Data: 5 marzo 2025 23:26:33 CET
 
È prevista per sabato 15 marzo una "piazza per l'Europa" lanciata da La Repubblica, quotidiano controllato dalla famiglia Elkann che a sua volta partecipa nel settore militare attraverso Iveco Defence Vehicle. Avviene proprio in un momento storico come questo, nel quale la UE spinge, contro qualsiasi logica di buon senso e contro l'inizio di una trattativa di pace, per una guerra ad oltranza con sangue ucraino, una politica di inasprimento delle sanzioni contro la Russia e dove in queste ore Ursula Von Der Leyen ha dichiarato l'intenzione di mettere in campo 800 miliardi di euro per il riarmo senza vincoli del patto di stabilità solo per questa voce, non certo per la sanità, l'istruzione, l'ambiente e le pensioni.

La politica UE va nell'interesse del padrone del quotidiano La Repubblica e non della massa dei lavoratori. Per questo è quanto meno bizzarro l'annuncio della partecipazione nella stessa piazza dei sindacati confederali: a costoro non sono bastati gli effetti nefasti della guerra e delle sanzioni, dal carovita al calo costante negli ultimi 23 mesi della produzione industriale, dalla crisi del settore auto alla perdita di competitività industriale fino al soffocamento delle famiglie con le bollette di luce e gas. Oltretutto è evidente che l'obiettivo della manifestazione sia quello di disorientare il movimento contro la guerra indirizzando l'opinione pubblica verso un generico e idealista sostegno alla UE guerrafondaia.

"Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda è la voce del nemico. E chi parla del nemico è lui stesso il nemico." 
Bertolt Brecht

Comitato Contro La Guerra Milano,
5 marzo 2025
 
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Adulti nella stanza. Il vero volto dell’Europa

Per una curiosa coincidenza nella serata di ieri Rai 5 ha trasmesso uno straordinario ed emblematico film di Costa Gavras: “Adulti nella stanza”. E’ stata una sorta di involontaria “cattiveria” verso l’appello di Michele Serra a sostegno di una “Europa più forte”

Il film infatti ricostruisce tutte le fasi in cui il governo Tsipras, e soprattutto il suo ministro dell’economia Varoufakis, sono stati costretti a negoziare con i vari apparati della troika europea (dall’Eurogruppo alla Bce) sul famigerato Memorandum d’Intesa (il MoU) con cui la Grecia è stata deliberatamente strangolata per rientrare dal debito.

Sono significative le varie sessioni degli incontri nella stanza dell’Eurogruppo in cui i ministri europei smantellano e brutalizzano ogni tentativo della Grecia di salvaguardare la propria popolazione già sottoposta a tagli del 40% di pensioni e salari, privatizzazioni selvagge, espropri delle case su cui la gente non riesce a pagare i mutui etc.

E’ un film non solo realizzato professionalmente da un grande regista, ma è anche una lezione pedagogica su cosa è “l’Europa reale” che le popolazioni hanno sperimentato sulla propria pelle dal Trattato di Maastricht in poi e con la Grecia – per ammissione dello stesso ministro tedesco Schauble – destinata a fare e a dare l’esempio a tutti coloro che non si adeguavano alle politiche di austerity imposte dalla Ue ai paesi aderenti all’Eurozona. I negazionisti europeisti in questi dieci anni hanno fatto di tutto per rimuovere e nascondere questa dimensione.

Il cinismo con cui gli apparati europei costringono alla “crisi umanitaria” una Grecia già devastata socialmente dalle misure imposte al governo precedente a quello di Syriza, emerge da ogni riunione “nella stanza” dell’Eurogruppo o dai colloqui con i singoli esponenti delle istituzioni europee.

Nei ragionamenti e nelle argomentazioni dei ministri/tecnocrati della Ue non c’è spazio per le emergenze sociali o per le esigenze di sopravvivenza della popolazione di un paese periferico dell’Unione. I parametri presi in considerazione sono solo quelli dell’ordoliberismo che arrivano al paradosso di far pagare alla Grecia il suo debito concedendo nuovi crediti alle stesse banche tedesche e francesi che le chiedono di onorarlo facendo a pezzi la propria economia. 

Il film si conclude con il coraggioso OXI della popolazione greca nel 2015 contro il Memoradum d’Intesa imposto dalla Ue e la successiva capitolazione di Tsipras – che vede Varoufakis dare le dimissioni e la Grecia sprofondare nella crisi sociale più nera. La didascalia finale che chiude il film sottolinea proprio questa violenza contro una sovranità popolare che pure era riuscita a mandare un coraggioso segnale di dignità e resistenza contro la brutalità “dell’Europa reale”.

Dopo il tradimento del referendum del 2015, i movimenti progressisti di opposizione all’austerity e alla Trojka europea sono stati indeboliti enormemente in tutta Europa, spianando la strada alla crescita delle forze di destra come interpreti dell’opposizione ai diktat europei.

La Grecia del 2015 era completamente isolata sia in Europa che nel resto del mondo. Tradita dai socialisti europei, vessata dagli altri (in Italia c’era il governo Renzi, sic!), ignorata dai paesi emergenti che stavano ancora costruendo la realtà dei Brics.

Viene da chiedersi se dieci anni dopo – ossia oggi – le cose sarebbero andate nello stesso modo in presenza di un blocco alternativo a quello euroatlantico e ad economie attraenti diverse da quella europea.

E viene ancora da chiedersi se gli europeisti guerrafondai che ambiscono ad un Europa potenza politico/militare sono consapevoli che la maschera dei valori europei possa ancora nascondere i mostri che ha creato in questi trenta anni al proprio interno. 

In realtà le due cose non sono contraddizione ma in continuità. L’Unione Europea della brutale austerità contro le popolazioni non poteva che produrre l’ambizione ad una Europa reazionaria e guerrafondaia come quella che oggi abbiamo sotto gli occhi con maggiore evidenza.

Il film di Costa Gavras andrebbe fatto vedere obbligatoriamente a tutti gli europeisti in modalità Alex su Arancia Meccanica.

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L’Europa va alla guerra. Editoriale

di Marco Pondrelli

Ci voleva una prospettiva di pace per fare tornare in piazza la ‘sinistra’, Massimo D’Alema ne ha sintetizzato benissimo il travaglio: da giovani eravamo anti-americani, poi siamo cresciuti è siamo diventati filo-americani, oggi torniamo a riscoprire le nostre passioni giovanili. Proviamo a tradurre, quando gli Stati Uniti bombardavano la Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia e la Siria andavano bene, oggi che vogliono la pace non piacciono più. È la saggezza della vecchiaia che parla, anche se la vecchiaia assieme alla saggezza può portare altro con sé.

Questa settimana Rai5 ha trasmesso un bellissimo film di Costa-Gavras, Adulti nella stanza, ispirato al libro di Varufakis in cui si racconta di come l’Unione europea impose alla Grecia tagli draconiani e con essi la povertà. È incredibile che l’austerità che ha condannato a morte i bambini greci venga abbandonata in nome della guerra, anche la parsimoniosa Germania sembra essersi convertita alla spesa incontrollata, come ha scritto Gianluca Di Donfrancesco su il sole 24 ore il 5 marzo: ‘Merz, […] proverà ad allentare quelle norme [sul debito N.d.A.], in modo che «un importo di oltre un punto percentuale di Pil, destinato alla difesa» non venga conteggiato’.

Superando la facile ironia è opportuno riflettere su quello che sta succedendo. Spesso nel dibattito i termini Europa e Unione europea sono usati come sinonimi, in questo caso il soggetto è ancora meno chiaro. Ci sono state riunioni, Parigi e Londra, a cui hanno partecipato il Regno Unito, che non fa parte dell’Unione europea, e il Canada che non è in Europa. Per ovviare a questo inconveniente si è riesumata la terminologia di Bush jr. e si è parlato di una ‘coalizione dei volenterosi’, alla quale una parte di paesi dell’unione europea vuole aderire.

Questo approccio isterico è rivelatore di una forte confusione dentro la quale la Von Der Leyen ha lanciato la proposta di investire 800 miliardi nella difesa (quanti in meno ne sarebbero bastati per evitare alla Grecia le sue sofferenze?). Tenendo conto che già oggi gli stati dell’Ue spendono più della Russia i risultati di questa operazione saranno due: innanzitutto l’opacità degli appalti che aiuterà ad ingrassare qualcuno (il marito della Von der Leyen fa parte di qualche C.d.A. delle armi?), inoltre questi soldi serviranno a comprare armi statunitensi (con qualche briciola data alle varie Leonardo europee) per cui non si può neanche parlare di un sostegno alla nostra economia. Queste spese saranno l’ennesimo colpo allo stato sociale e quindi al lavoro dipendente, come ha chiarito Luca Carrello su Milano Finanza del 5 marzo, l’aumento della spesa militare farà aumentare il debito e ciò porterà a tassi di interessi più alti per i paesi (come l’Italia) altamente indebitati, l’aumento della spesa per interessi peserà sul bilancio e dato che le spese militare non possono calare si taglierà altrove. La furia bellicista deve fare i conti con la realtà, il fatto che le spese, che eufemisticamente vengono chiamate per la difesa, non siano conteggiate nel deficit non significa che non peseranno sulle nostre tasche. L’aumento delle tasse si accompagnerà ad una diminuzione dello stato sociale, come ha osservato sul Financial Times Janan Ganesh dobbiamo ridurre il welfare per costruire il warfare. Come sempre è il popolo a pagare il conto.

Tentiamo ora di capire perché un pezzo della Ue vuole proseguire una guerra che ci sta mettendo in ginocchio. Gli argomenti portati all’opinione pubblica sono risibili, si chiedono garanzie per la pace e si chiede di non cedere territori alla Russia prima di sedersi al tavolo delle trattative, al che verrebbe da domandarsi cosa si andrà a discutere. La verità, come sempre, sta dietro le sciocche parole che vengono pronunciate.

Gli Stati Uniti hanno fatto una scelta strategica. La Cina è il nemico principale e l’Indo-Pacifico è il fronte principale, nel quale si deciderà l’egemonia mondiale nel XXI secolo. L’Europa pur continuando ad essere un quadrante importante non sarà più al centro delle azioni di Washington, ciò vuole dire che importanti risorse saranno spostate verso oriente. Come detto questa è una scelta strategica che, leggendo il dibattito più profondo che si svolge negli USA, è condivisa da tutto il gruppo dirigente statunitense, non è solo una posizione di Trump.

Le cancellerie europee sanno che se dovesse venire meno il sostegno statunitense l’Ucraina accetterà di percorrere la via diplomatica, a quel punto finita la guerra salterà l’ultimo esile filo che tiene insieme la Ue. Paradossalmente la guerra è allo stesso tempo il collante e il motivo della crisi europea. Gli Stati Uniti non sono diventati pacifisti, se sono pronti a discutere di pace è perché pur non avendo indebolito Mosca, hanno raggiunto il loro obiettivo principale hanno dissanguato l’economia europea dividendola dalla Russia.

In questo quadro la manifestazione del 15 è oggettivamente una manifestazione per la guerra, ci stupiamo della ‘partecipazione’ della CGIL e della copertura che la Segreteria nazionale dell’ANPI ha dato alle strutture territoriali che scenderanno in piazza. Chi all’interno di queste organizzazioni sta attaccando queste decisioni ha tutta la nostra solidarietà e il nostro sostegno. Perché non è stata convocata una manifestazione nei tre anni che abbiamo alle spalle per chiedere all’Europa di unirsi in nome della pace? Perché in questi tre anni la Ue ha saputo pronunciare solo la parola guerra? È stata l’incapacità di aprire uno spiraglio di pace che ha condannato l’Europa, la vostra Europa è morta e non risorgerà.

 
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Infuria la polemica nell'ANPI dopo la improvvida adesione alla manifestazione euro-imperialista del 15 marzo a Roma
 
 
Siamo iscritte e iscritti all'ANPI,
Orgogliosi della nettezza con la quale la nostra associazione si è battuta in questi anni, spesso subendo attacchi violenti, contro l'invio delle armi in Ucraina, per il cessate il fuoco, la trattativa e la Pace.
In difesa dell'Articolo 11 della Costituzione e del principio se vuoi la Pace lavora per la Pace.
Se fossimo stati ascoltati centinaia di migliaia di giovani russi e ucraini non sarebbero morti.
Siamo pertanto sorpresi e sconcertati della decisione presa dalla Segreteria nazionale di partecipare alla manifestazione del 15 marzo lanciata da Michele Serra e dal quotidiano La Repubblica.
Riteniamo infatti sia un grave errore partecipare in qualsiasi forma ad una manifestazione ambigua e sostanzialmente orientata alla prosecuzione della guerra da parte della UE, proprio mentre si aprono spiragli di pace.
Chiediamo alla Segreteria nazionale di riconsiderare la decisione di partecipare a una piazza che non rappresenta i nostri valori fondativi.
Per una altra Europa di pace ci vuole un'altra piazza.
#StopRearmEurope #15marzo

[seguono firme. Per sottoscrivere:
https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLScQYbIO6S7ThghdPhdZJPcHnbhj-VuUkwTLfKrwDp5cJfZF-g/viewform ]

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<https://www.anpiroma.org/2025/03/lanpi-provinciale-di-roma-non.html>
 
L'ANPI PROVINCIALE DI ROMA NON PARTECIPERÀ ALLA MANIFESTAZIONE DEL 15 MARZO

La presidenza dell'ANPI provinciale di Roma guarda all'idea e al progetto politico di unità dell'Europa  raccogliendo da sempre l'eredità del Manifesto di Ventotene, ossia dell'unità continentale dei popoli  fondata sulla Pace, la Democrazia e il Lavoro, la solidarietà e l'antifascismo. Per queste ragioni e secondo questo lascito l'ANPI è radicalmente contraria al piano di riarmo dello spazio comune europeo presentato dai rappresentanti e dai vertici politici delle attuali istituzioni UE. Un piano che presuppone e disegna la conversione in una economia di guerra dei nostri assetti sociali e Costituzionali in un quadro di contestuale riduzione delle risorse e di tagli allo stato sociale che non potranno che acuire i termini generali della crisi che attraversa già ora in modo profondo le nostre società e le classi del lavoro. Un impoverimento programmato delle cittadine e dei cittadini a beneficio dell'industria delle armi e di un capitalismo predatorio che tende alla guerra come risoluzione delle proprie criticità e contraddizioni interne. Consideriamo gravi le responsabilità delle classi dirigenti europee in ordine alla totale assenza in questi anni di un minimo tentativo di azione diplomatica e di intervento politico rivolto alla composizione dei conflitti e al ripristino di una azione finalizzata alla cessazione della guerra in Ucraina combattuta su suolo europeo attraverso le armi della Nato. Considerata la debolezza e la assenza totale di questi riferimenti e termini politici all'interno della piattaforma con cui è stata convocata la manifestazione "per l'Europa" del 15 marzo p.v., l'ANPI di Roma (facendo riferimento ai contenuti del dibattito interno maturato nel proprio organismo dirigente, il Comitato Provinciale) ritiene coerente la scelta di non invitare le proprie iscritte e i propri iscritti e simpatizzanti a parteciparvi se non a titolo esclusivamente personale e senza bandiere e fazzoletti dell'Associazione.

"Si svuotino gli arsenali, si riempiano i granai".
Sandro Pertini, partigiano, Presidente della Repubblica, Medaglia d'Oro della Resistenza

L'Ufficio di Presidenza dell'ANPI provinciale di Roma
 
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Siamo amareggiati di fronte al comunicato dell’ANPI Nazionale del 6 marzo relativo alla manifestazione indetta per il 15 marzo, partita da un appello di Michele Serra.
Questo comunicato contraddice apertamente l’appello dell’ANPI del 5 marzo, che conteneva una chiara critica al progetto del "Rearm Europe" senza alcun riferimento alla manifestazione del 15 marzo.
Il nuovo comunicato mantiene la condanna al piano di riarmo ma aggiunge, in totale e aperta contraddizione, che:
“Su questa base politica delegazioni delle strutture territoriali dell’ANPI parteciperanno alla manifestazione del 15 marzo.”
Questa posizione rischia di creare una frattura profonda all’interno dell’ANPI e di minarne l’unità e la credibilità.
Per queste ragioni  abbiamo tramesso ai presidenti delle sezioni la nota ricevuta dalla segreteria nazionale, comunicando altresì che non organizzeremo delegazioni perché non è la soluzione al problema.
La formulazione adottata è priva di senso. 
L’ANPI è una sola. Poi, chiunque voglia partecipare è libero di farlo.
Questa manifestazione è stata convocata da un singolo individuo e si basa su una piattaforma politica non chiara.
Il Rearm Europe non va solo criticato, ma condannato e contrastato perché di fronte alla prospettiva di un’escalation militare e al rischio concreto di un conflitto nucleare europeo, non possiamo più permetterci giochi di parole o posizioni ambigue.
A nostro giudizio questa era l’occasione per assumere una linea chiara e inequivocabile in coerenza con quanto sostenuto anche negli atti politici che guidano le scelte della associazione.

Presidenza e Segreteria ANPI provinciale di Firenze