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L'Unione Europea contro chi ha liberato l'Europa dal nazifascismo

 
 
 
1) L’ora più buia dell’Europa che si riarma e minaccia (di Pino Arlacchi)
2) Parate e paradossi: la crociata della UE per gli 80 anni dalla caduta del nazismo (di Gianandrea Gaiani)
3) Nemci na muci: Berlin zabranio ruske zastave na Dan pobede (Ozren Milanović)
4) Слава свим жртвама фашизма у Другом светском рату! (Београдски форум)
 
 
Auch zu lesen:

Der Kontinent des Krieges (GFP 29.4.2025.)

Deutschland war einer der Haupttreiber beim Rekordanstieg der globalen Militärausgaben im vergangenen Jahr. Dies geht aus einer am gestrigen Montag publizierten Analyse des Stockholmer Forschungsinstituts SIPRI hervor. Demnach stiegen die weltweiten Aufwendungen für die Streitkräfte im Jahr 2024 um 9,4 Prozent gegenüber dem Vorjahr, so stark wie noch nie seit dem Ende des Kalten Kriegs. In der Bundesrepublik belief sich der Anstieg auf 28 Prozent und damit auf rund das Dreifache des globalen Durchschnitts. Deutschland kletterte damit von Platz sieben auf der Rangliste der Länder mit den höchsten Militärausgaben weltweit auf Platz vier unmittelbar hinter den USA, China und Russland. Die NATO wiederum, der 32 Staaten mit rund einem Achtel der Weltbevölkerung angehören, vereinte 55 Prozent aller Militärausgaben weltweit auf sich. Dies zeigt, dass die westlichen Staaten, während ihre ökonomische Vorrangstellung schwindet, militärisch nach wie vor dominieren. Appelle, man müsse ein angeblich nicht bewaffnetes Europa „wieder“ aufrüsten, haben keinen Rückhalt in der Realität. Leitmedien fordern, Deutschland solle „zum Rückgrat der Verteidigungsfähigkeit des freien Europas“ werden...

https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/9952

 
 
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Fonte: <https://t.me/giorgiobianchiphotojournalist/40254>

L’ora più buia dell’Europa che si riarma e minaccia

di Pino Arlacchi


Ci dibattiamo nella melma di un’Europa ricaduta nell’inciviltà e nella barbarie, dove sulla bocca delle sue élite, dopo 80 anni di pace, ricompaiono parole di guerra e di aggressione. Bruxelles, Parigi, Londra e Berlino sembrano immemori della lezione di due guerre mondiali che hanno portato il continente sull’orlo dell’autodistruzione. La leadership europea appare rinchiusa dentro un delirio antirusso del tutto gratuito, non condiviso dagli Stati Uniti e osservato con sconcerto dal resto del pianeta, e che non cesserà prima di aver fatto ingenti danni.

In questa ora buia è importante riflettere sugli strumenti di contrasto, sulle forze della pace che sono comunque in campo. A cominciare dal diritto internazionale che Von der Leyen e soci stanno calpestando impunemente. Il piano europeo di riarmo, accompagnato da una retorica apocalittica che dipinge la Russia nei termini di una minaccia esistenziale, rappresenta una palese violazione dei principi fondamentali che governano la comunità internazionale. L’articolo 2(4) della Carta delle Nazioni Unite non lascia spazio a interpretazioni ambigue: “I membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”. Questa norma imperativa del diritto globale viene oggi oltraggiata dalle istituzioni europee con una disinvoltura che dovrebbe allarmare ogni cittadino consapevole. La Russia post-comunista è rientrata da 36 anni nel palcoscenico della politica estera con un programma di tranquilla cooperazione multilaterale. Ha dimostrato ampiamente il suo desiderio di amicizia e di collaborazione con l’Europa occidentale e ha normalizzato i suoi rapporti con gli Stati Uniti fino in pratica a pochi anni fa. Ha aderito agli Accordi di Helsinki, ha rispettato il Trattato di non proliferazione nucleare, ha concluso numerosi patti sulla limitazione degli armamenti. Non si è trattato di gesti simbolici. La Russia di Eltsin e Putin ha smantellato l’Armata rossa, riducendo e non aumentando le spese militari fino allo scoppio della guerra in Ucraina. Qual è stata la risposta occidentale a questi sforzi? Un progressivo accerchiamento strategico, l’espansione della Nato – un relitto della guerra fredda, un morto che ha camminato fino ai confini russi – e ora, come culmine di questa strategia, un programma di riarmo giustificato dalla narrazione paranoide di una Russia determinata a invadere l’Europa occidentale.

Un elemento rivelatore della natura aggressiva di questo piano è la sua stessa esistenza in parallelo con la Nato. Se la minaccia russa fosse reale e l’intento del piano puramente difensivo, perché non utilizzare i meccanismi già esistenti dell’Alleanza atlantica? La maggior parte degli Stati membri dell’Ue appartiene già alla Nato, la cui ragion d’essere è precisamente la difesa collettiva, sancita dall’articolo 5 del suo Trattato istitutivo. Questa ridondanza degli strumenti militari tradisce l’intenzione non di proteggere ma di proiettare potenza, non di difendersi da minacce tangibili ma di aggredire. Un arsenale difensivo non necessita di una stampella aggiuntiva quando esso esiste proprio per questo scopo. La verità è che questo piano è una svolta militarista mascherata da prudenza strategica. Questa spinta guerrafondaia non è solo platealmente infondata, ma costituisce essa stessa una minaccia all’uso della forza. Presentare un Paese come aggressore incombente, in assenza di prove, serve solo a provocare, ad alimentare una spirale di tensione che potrebbe sfuggire al controllo delle parti. E trasformarsi in una profezia che si auto-adempie, dove il nemico immaginario è costretto a trasformarsi in nemico reale. Che in questo caso coincide, guarda un po’, con la maggiore potenza atomica del pianeta.

Il concetto di “difesa preventiva” che serpeggia nei documenti strategici europei è particolarmente insidioso. Il diritto internazionale riconosce la legittima difesa solo di fronte a minacce concrete e imminenti, non sulla base di ipotetici scenari futuri o peggio, di pregiudizi fasulli. Quando un’entità politica come l’Unione europea inizia a giustificare il proprio riarmo con la necessità di prevenire attacchi di cui non esiste alcuna evidenza, non sta facendo altro che minacciare l’uso della forza, violando flagrantemente l’articolo 2(4) della Carta Onu.

Ci sono diverse strade che possono essere seguite per punire questa illegalità. C’è la possibilità di un ricorso alla Corte europea di giustizia da parte di una persona fisica o giuridica o di un tribunale nazionale Ue che denunci la violazione dell’articolo 21 del trattato dell’Unione europea, che stabilisce che l’azione internazionale dell’Unione deve rispettare la Carta delle Nazioni Unite. C’è la possibilità che la Russia denunci i singoli Stati dell’Ue (che, come tale, non è nell’Onu) alla massima istituzione del diritto mondiale che è la Corte internazionale di giustizia, organo Onu custode dei trattati interstatali e della stessa Carta. Ma c’è anche la possibilità che il Consiglio di sicurezza o, meglio, l’Assemblea generale dell’Onu richieda alla Corte internazionale di giustizia un parere sul tema. Il parere non sarebbe vincolante, ma il suo contenuto – se conforme allo spirito e alla lettera della Carta – avrebbe un forte impatto sulla pretesa dell’Ue di detenere la leadership del rispetto del diritto internazionale. Sarebbe un monito verso l’abbandono della retorica bellicista e verso il ritorno ai principi di fondo, pacifici e progressivi, dell’integrazione europea.
 
 
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Parate e paradossi: la crociata della UE per gli 80 anni dalla caduta del nazismo

di Gianandrea Gaiani
 
• 26 Aprile 2025

Non paga degli errori madornali compiuti nel corso del conflitto in Ucraina e del disastro, in termini politici, economici e di sicurezza, in cui sta facendo affondare il Vecchio Continente, la Commissione Europea si è lanciata in una nuova crociata.
Questa volta, sotto tiro della compagine guidata da Ursula von der Leyen, non ci sono atleti o artisti russi da bandire dal sacro suolo dell’Unione, né giornalisti, intellettuali o cittadini da ostracizzare perché si ostinano a non assecondare il bellicismo russofobo blustellato sulla pelle degli ucraini al grido di “Slava Ukraina”.

Approfittando degli 80 anni dalla caduta del Terzo Reich, la UE si sta mobilitando contro chi intende celebrare la ricorrenza alla tradizionale cerimonia di Mosca del 9 maggio, oppure anche solo contro chi intende evitare delegazioni russe a cerimonie e commemorazioni.
 

Al centro del mirino europeo ci sono i capi di Stato e di governo che oseranno recarsi a Mosca per la Parata della Vittoria nella Seconda guerra mondiale, che i russi chiamano Grande Guerra Patriottica.

Certo, in Europa dovremmo forse occuparci di temi ben più seri e impellenti, come ad esempio far finire la guerra in atto oggi, invece di scatenare polemiche sui conflitti conclusi da 80 anni. Ma questo è quello che passa il “convento” europeo.

“La Russia sta usando la commemorazione della fine della Seconda guerra mondiale per giustificare la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina. Quindi questo è il contesto. E da parte nostra è importante non dare legittimità a tutto questo partecipando a eventi come questa parata. In realtà esiste anche una decisione del Consiglio in merito. Gli Stati membri, inclusa la Slovacchia, hanno concordato nel 2022 di rifiutare tali inviti“, aveva detto il 16 aprile la portavoce del Servizio per l’azione esterna dell’UE, Anitta Hipper.

Qualsiasi partecipazione alla parata o alla celebrazione del 9 maggio a Mosca non sarà presa alla leggera dalla parte europea, dato che la Russia sta davvero conducendo una grande guerra in Europa“, ha affermato l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas, aggiungendo che i ministri degli Esteri dell’UE hanno discusso dei potenziali Stati membri che prenderanno parte alla cerimonia.

Jonatan Vseviov, segretario generale del Ministero degli Affari Esteri estone, ha aggiunto che è necessario garantire che coloro che desiderano prendere parte alla parata di Mosca comprendano che “certe decisioni hanno un prezzo“.
Di fatto, la UE ha minacciato le ormai note “liste di proscrizione” con un ricatto che lascia intravedere rappresaglie su Stati membri o su Paesi che hanno chiesto di entrare nell’Unione

Le ultime dichiarazioni di questo tenore risalgono al 24 aprile, quando un portavoce della Commissione Europea, Guillaume Mercier, ha dichiarato che, se il presidente Aleksandar Vučić parteciperà alla celebrazione del Giorno della Vittoria il 9 maggio a Mosca, potrebbero esserci conseguenze per la Serbia.
“L’UE considera questa visita parte della propaganda russa finalizzata a giustificare l’invasione dell’Ucraina. Non si può affermare che non ci saranno conseguenze. Desideriamo poter contare su questo Paese come partner in materia di sicurezza e progresso, ed è essenziale che i Paesi partner seguano gli orientamenti strategici dell’Unione“, ha affermato.

Affermazione curiosa, poiché nessun trattato UE prevede che la Commissione possa sindacare le decisioni degli Stati sovrani, membri o meno, in merito a politica estera e partecipazione a eventi e cerimonie.
Rendendo ancora più gravi le sue affermazioni, il portavoce ha precisato che né i Paesi candidati, come la Serbia, né gli Stati membri dell’UE possono avere normali rapporti con il regime del presidente russo Vladimir Putin, alla luce della “guerra di aggressione non provocata e ingiustificata che la Russia conduce contro l’Ucraina”.

Un diktat che, insieme a quanto è accaduto recentemente in Romania, Francia e Germania, ben si attaglia a ritrarre un’Unione Europea che sembra ormai così impegnata a difendere la democrazia da dimenticarsi di applicarla e rispettarla.

Le minacce della UE non sembrano però impressionare nessuno. Il presidente serbo Vučić ha dichiarato che il 9 maggio parteciperà alla parata militare a Mosca, insieme al premier slovacco Robert Fico e al presidente della Repubblica Srpska (entità serba della Bosnia-Erzegovina), Milorad Dodik.

“Rappresenterò con orgoglio la Serbia nell’80° anniversario della vittoria sul nazismo. Ho detto otto mesi fa che sarei andato a Mosca e ci andrò, probabilmente da solo. Non voglio che il governo di Djuro Macut ne paghi il prezzo e che l’opportunità di collaborare con l’Unione Europea venga compromessa“, ha dichiarato Vučić il 24 aprile, ospite dell’emittente Pink.
Vučić ha aggiunto inoltre che avrà “molto lavoro da fare” a Mosca e che parlerà con il presidente russo Vladimir Putin del nuovo accordo sul gas.

Robert Fico sveva risposto già il 16 aprile: “Il 9 maggio andrò a Mosca. L’avvertimento della signora Kallas è una forma di ricatto o un avviso che sarò punito al mio ritorno da Mosca? Non lo so. Ma so che siamo nel 2025, non nel 1939. Vorrei informarla che sono il legittimo Primo ministro della Slovacchia, un Paese sovrano. 

Nessuno può impormi dove posso o non posso viaggiare. Andrò a Mosca per rendere omaggio alle migliaia di soldati dell’Armata Rossa caduti per liberare la Slovacchia, così come ai milioni di altre vittime delle atrocità naziste. Così come ho reso omaggio alle vittime dello sbarco in Normandia, nel Pacifico, o come inchinerò il capo per onorare i piloti della RAF”.

Le minacciose quanto imbarazzanti parole di Kaja Kallas confermano che, prima di giudicare la Storia cercando di riscriverla o cancellarla, sarebbe utile studiarla. Tutti i leader dei Paesi dell’Est Europa si sono recati tradizionalmente a Mosca per celebrare la vittoria sulla Germania nazista non tanto per omaggiare Putin o i suoi predecessori, ma perché quelle nazioni, incluse Slovacchia e Serbia (un tempo Cecoslovacchia e Jugoslavia), vennero liberate nel 1945 dalle forze sovietiche.

Pur volendo evitare ogni partigianeria o valutazione di tipo morale, appare evidente che ridimensionare, oscurare o cancellare il ruolo dell’URSS nella sconfitta del Terzo Reich contribuisce solo a far perdere ulteriore credibilità e autorevolezza all’Europa, specie oggi che si intravedono possibili spiragli per far cessare il conflitto in Ucraina.

Quanto a “legittimare” Vladimir Putin – compito che in realtà spetta ai russi e non alla Commissione Europea – pare evidente che abbiano già provveduto il mondo intero esterno all’Occidente, che non ha mai isolato la Russia, e più recentemente, in Occidente, Donald Trump, avviando negoziati diretti tra Washington e Mosca.

Anche la motivazione di evitare che Putin possa utilizzare le celebrazioni per “giustificare la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina” è discutibile. Anzi, si può affermare che proprio l’ostracismo nei confronti della parata di Mosca abbia dato il destro al portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, per denunciare come una “rinascita dell’euro-nazismo” la volontà di Bruxelles di negare l’adesione della Serbia alla UE se Vučić presenzierà alla Parata della Vittoria a Mosca. “Se è così, allora l’euro-nazismo rivive sotto i nostri occhi“, ha sottolineato Zakharova.

Al di là delle polemiche e dei reciproci battibecchi, resta tuttavia il dubbio che tutto questo polverone per celebrazione e parata sulla Piazza Rossa per gli 80 anni della vittoria sul nazismo metta a disagio molti in Europa Orientale.

Arduo dimenticare infatti che Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia insieme all’Ucraina filo-nazista, guidata nel 1941 e poi nel 1944 da Stepan Bandera, furono alleate del Terzo Reich (al pari di Ungheria, Bulgaria, Croazia di Ante Pavelic, Romania e Italia che offrirono truppe per l’invasione dell’URSS),  al fianco del quale combatterono fino alla vittoria sovietica e anche negli anni successivi come raccontò nel 2004 lo splendido libro di Alberto Rosselli “La resistenza antisovietica e anticomunista in Europa orientale 1944-1956”.

Opera che narra la storia dei movimenti di resistenza anti sovietici composti per lo più da ex militari delle forze dell’Asse e che si protrasse per molti anni nelle Repubbliche Baltiche e fino al 1956 in Ucraina.

Certo, Putin ha attualizzato lo scontro contro il nazismo alla guerra in atto in Ucraina, che vorrebbe “denazificare”, ma è altrettanto vero che le dure prese di posizione contro i leader che parteciperanno a quella cerimonia inducono a riflettere su come baltici e ucraini vedano nella contrapposizione alla Russia la rivincita di quella sconfitta che fu loro come del Terzo Reich.

Un contesto un tantino imbarazzante per tutta l’Europa, tenuto conto che celebrazioni e proclami contro il nazifascismo cozzano brutalmente con oltre tre anni di strettissima alleanza con l’Ucraina, che riconosce come padre della patria (celebrato da statue, film, canzoni e piazze intitolate) quello Stepan Bandera, che arrivò a contestare ai nazisti che la pura razza ariana era quella ucraina, non quella tedesca.

Nonostante dal 2014 siano state modificate ed edulcorate migliaia di pagine web per rendere più presentabile Bandera, resta difficile non associarlo, insieme all’UPA (l’esercito insurrezionale ucraino filo-nazista) e ai reparti di SS ucraini, alle deportazioni degli ebrei e allo sterminio di donne e bambini polacchi. Questione che Varsavia non ha certo dimenticato, anche se molti di questi atti vennero compiuti dai nazionalisti ucraini mentre Bandera era prigioniero dei tedeschi.

D’altra parte il tema del ritorno delle nostalgie naziste nell’Ucraina post Maidan è stato affrontato da Analisi Difesa fin dal marzo 2014 ed è stato al centro di molte inchieste su giornali e reti televisive in tutta Europa e in Italia, per divenire poi “tabù” dopo l’attacco russo del febbraio 2022.

Se a qualcuno può apparire eccessivo o da “filo-russi e putiniani” definire l’Ucraina di oggi nazista, specie in occasione del 25 aprile dovremmo chiederci come verrebbe definita l’Italia se vi fossero statue, piazze e strade intitolate al Duce e a scuola si insegnassero ancora ai bambini canzoni inneggianti a Benito Mussolini. Oppure se tutto questo accadesse in Germania celebrando Adolf Hitler.

In Europa, le televisioni si sono ben guardate dal mostrare le immagini dei militari del reggimento Azov arresisi a Mariupol nel maggio 2022 e fatti quasi denudare dai russi per mettere in mostra svastiche e persino frasi tratte da Mein Kampftatuate sui corpi di quei combattenti ucraini.

Del resto, in questi ultimi tre anni qualche imbarazzo è stato suscitato anche nelle caserme tedesche dove venivano addestrate reclute ucraine, a cui è stato ricordato più volte che in Germania i simboli nazisti sono vietati.

Stupisce che a Berlino nessuno noti il paradosso tra il tentativo di mettere fuori legge Alternative fur Deutschland, accusando il secondo partito tedesco (primo per consensi secondo i più recenti sondaggi) e alcuni suoi esponenti di “neo-nazismo”, e l’aver fornito (con un governo di sinistra) un numero di armi e munizioni secondo solo agli Stati Uniti all’Ucraina che si riconosce in Stepan Bandera, leader di quell’Ucraina nazionalista che diede truppe ed SS al Terzo Reich e che si macchiarono di eccidi e deportazioni.

A proposito di Germania, le celebrazioni per la fine della Seconda guerra mondiale che si concluderanno l’8 maggio suscitano polemiche anche a Berlino e dintorni.

Il 16 aprile, nel Land orientale del Brandeburgo, è stata ricordata la battaglia delle alture di Seelow, dove l’ultima esile linea difensiva tedesca posta a protezione di Berlino venne infranta da forze sovietiche dieci volte superiori ai pur tenaci difensori tedeschi: la battaglia vide la morte, tra il 16 e il 19 aprile 1945, di 35.000 soldati dell’Armata Rossa (2.000 erano polacchi) e 16.000 tedeschi.

Come ha riferito l’agenzia di stampa DPA, il Ministero degli Esteri tedesco ha inviato una comunicazione ai comuni e ai Länder chiedendo di non invitare rappresentanti della Federazione Russa e della Bielorussia alle giornate per il ricordo. L’obiettivo è impedire alla Russia di strumentalizzare la Seconda guerra mondiale per giustificare la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina.

Per questo le istituzioni locali sono invitate a evitare che i rappresentanti “non graditi” prendano parte alle cerimonie.

Il messaggio ha riguardato anche l’iniziativa al memoriale della battaglia di Seelow e, nella città del Brandeburgo, non sono mancate le polemiche. Alla commemorazione si è infatti presentato Sergej Netschajew, ambasciatore russo a Berlino, intervistato dal quotidiano Berliner Zeitung.
Per tradizione, rappresentanti dell’ambasciata russa prendono parte ogni anno a questa celebrazione. La deputata del parlamento del Brandeburgo della SPD, Sina Schoenbrunn, ha definito “assurda” la comunicazione del ministero: “Tutto può essere strumentalizzato, ma oggi la nostra preoccupazione principale dovrebbe essere quella di ricordare i morti“, ha detto alla radio RBB.

Il 23 aprile, Sahra Wagenknecht (fondatrice dell’Alleanza politica che porta il suo nome e che alle ultime elezioni politiche di febbraio non è entrata in parlamento per pochissimi voti) ha affermato che escludere i diplomatici russi dalle commemorazioni significherebbe dimenticare la storia.
“Chiunque non sappia o non voglia più sapere che l’esercito sovietico ha sostenuto il peso della guerra contro la Germania nazista e che 27 milioni di persone provenienti dall’Unione Sovietica, la maggior parte delle quali russe, sono state vittime della campagna di sterminio della Wehrmacht tedesca, è fuori posto nella politica tedesca“, ha dichiarato.

Wagenknecht, definita da alcuni “filo-russa” per la sua aperta contestazione del sostegno militare tedesco a Kiev, ha aggiunto che l’ostracismo verso la partecipazione di esponenti russi alle celebrazioni “danneggia la reputazione internazionale della Germania”, mettendo in guardia da un ”nuovo Zeitgeist tedesco che cerca di prepararci mentalmente alla prossima guerra contro la Russia”.

Lo stesso 23 aprile, il distretto berlinese di Treptow-Köpenick ha però deciso di non escludere i rappresentanti russi dalla cerimonia commemorativa che si terrà l’8 maggio al memoriale che sorge nel quartiere di Treptow.

‘Considerando il ruolo storico dell’Unione Sovietica nella liberazione della Germania e dell’Europa dal nazionalsocialismo, e in considerazione delle vittime dell’Armata Rossa nella Seconda guerra mondiale, l’ufficio distrettuale di Treptow-Köpenick non riterrebbe opportuno allontanare, in base al regolamento interno, i rappresentanti delle ambasciate russa o bielorussa, anche se non fossero invitati e dovessero presentarsi senza preavviso”, ha affermato la portavoce del distretto.

L’aspetto più grave è che un’Europa ormai avulsa dalla realtà discuta così animatamente dei morti di 80 anni fa e, al tempo stesso, faccia di tutto per impedire che si concluda la guerra che tante vittime sta mietendo oggi.

@GianandreaGaiani

 
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Nemci na muci: Berlin zabranio ruske zastave na Dan pobede

Ozren Milanović
26.04.2025.
 
Berlinska policija zabranjuje proslavu Dana pobede sa zastavama Rusije, SSSR-a i Belorusije, piše Berliner Morgenpost. Zabranjena su i slova "V" i "Z" i georgijevske trake.

Nije lako nemačkoj naciji i eliti koja ih vodi da u memorijalnom smislu umanje sva zlodela koja su počinili, da poraz pretvore u pobedu. Na tom putu naravno da im je trn u oku sve ono što im kvari narativ. Tako ruske zastave, slova i lente ne daju oprost već podsećaju na tu crnu stranicu njihove istorije.
 
Prema Nemcima, ovi praznični atributi predstavljaju zvanično bezbednosnu pretnju.

Berlinska policija ponovo će izdati opštu naredbu o zabrani isticanja ruskih zastava u gradu 8. i 9. maja (tzv. „Dan pobede“) na sovjetskim ratnim spomenicima. Ovo je redakciji potvrdio predstavnik policije. Dokument je još uvek u pripremi i očekuje se da će se primeniti u oblastima oko spomen obeležja u Treptovu, Mite i Pankovu od 8. maja do 9. maja.
 
Naredba je zasnovana na sličnom dokumentu iz prošle godine. U to vreme zabranjene su i zastave bivšeg Sovjetskog Saveza, Belorusije i Čečenske Republike (deo Rusije). Godine 2024. zabranjeno je i nošenje vojnih uniformi ili njihovih elemenata, vojnih obeležja, isticanje slova „V“ i „Z“ (posebno ili podvučeno), kao i takozvane georgijevske trake. Georgijevska  traka predstavlja jedan od najprepoznatljivijih simbola Dana pobede. Odavno je prešla granice Rusije i bivšeg SSSR-a. U nedelji koja prethodi Danu pobede može se videti u svim evropskim gradovima, pa i u srpskim.

Georgijevska traka, crno-narandžasta traka simboliše pobedu u Drugom svetskom ratu. Po prvi put je takođe zabranjeno prikazivanje slika šefova država Rusije, Belorusije i Čečenije. Izuzeci su delimično napravljeni za diplomate i veterane Drugog svetskog rata.

„Cilj je da se spreče akti nasilja i srodne propagandne aktivnosti u javnom prostoru koje su usmerene na pažnju javnosti“, navodi se u saopštenju policije. Ističe se i da ne treba dozvoliti pokušaje upotrebe sukoba u Ukrajini za političku simboliku ruskih učesnika događaja. Oni koji učestvuju u komemorativnim događajima ne bi trebalo da budu izloženi pritiscima, zastrašivanju ili pretnjama.

Međutim, tvrde da može doći do bezbednosne pretnje zbog moguće pojave takozvanih Putinovih rokera. Prema navodima redakcije, nemački ogranak proruske bajkerske grupe „Noćni vukovi” ponovo je najavio učešće na događajima u Berlinu 9. maja. Očekuje se dolazak motociklista iz proruskog kluba „Noćni vukovi MC Germania”. Policija će tokom ova dva dana angažovati velike snage do 1.000 ljudi kako bi „obezbedili manifestaciju koja je dostojanstvena i primerena prilici, u uslovima bezbednosti i komfora“.

Nemci su naterani da slave Dan pobede, podvlače mnogi i to pokušavaju da što bezbolnije prođe ali ima uvek onih koji ih neprijatno podsećaju pa zato i zaziru od ruskih zastava kao đavo od tamjana. U početku su im ove zastave kvarile raspoloženje na Olimpijadi, sada svuda. Skrivanje ne pomaže, nacizam je žilav i teško se skriva. Poražena strana obeležava Dan pobede, ali ima svoje uslove. Šta tu i kome nije jasno.
 
 
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Слава свим жртвама фашизма у Другом светском рату!
Београдски форум
22. april 2025.
 
У оквиру обележавања Дана сећања на жртве холокауста, геноцида и других жртава фашизма у Другом светском рату, делегација Београдског форума за свет равноправних положила је цвеће дана 22. априла 2025. године у спомен – парку „Јајинци“.
Делегацију су чинили Драгомир Вучићевић, председник Скупштине Беофорума и Андријана Тасков, извршни секретар.
Дан сећања на жртве Холокауста, геноцида и друге жртве фашизма у Другом светском рату обележен је у организацији Министарства за рад, запошљавање, борачка и социјална питања, и Одбора Владе Србије за неговање традиција ослободилачких ратова. Централни комеморативни догађај одржан је у Спомен-парку ,,Јајинци’’, где је страдало на хиљаде недужних цивила, Срба, Јевреја и Рома током нацистичке окупације.
У оквиру програма, поред полагања венаца и цвећа, одржан је пригодан програм посвећен жртвама Холокауста и фашистичког терора, уз присуство представника државних институција, дипломатског кора, црквених заједница, удружења преживелих, као и грађана.