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La memoria è un campo di battaglia

 
Segnalazioni in ordine cronologico inverso:
 
1) Intervista a Vladimir Kršljanin: LA RUSSIA VINCERÀ ANCORA (27/5)
2) Viktor Dimiulin: PERCHÉ L’EUROPA, LIBERATA DA HITLER GRAZIE AI RUSSI, NON VUOLE CELEBRARE IL GIORNO DELLA VITTORIA? OSSERVIAMO L’ITALIA
3) Gianmarco Pisa: SE LA MEMORIA È UN TERRENO DI BATTAGLIA
4) Luca Cangemi: SCUOLA E PROPAGANDA. RIFLESSIONI CRITICHE SU UN “PAPER” IDEOLOGICO (20/5)
5) AKEL–KKE–KSČM–PCP: SULLE AZIONI ANTICOMUNISTE DEI DEPUTATI EUROPEI DEL PPE (20/5)
6) DiarioRed: ALEMANIA CERRÓ HASTA NUEVO AVISO EL MEMORIAL EN EL QUE SE FIRMÓ LA PAZ DE POTSDAM (12/05)
7) Beogradski forum za svet ravnopravnih: APPEAL. 80 YEARS SINCE THE VICTORY OVER FASCISM (7/4)
 
 
ALTRE SEGNALAZIONI:
 
Le ragioni per cui "Cina e Russia sono più legate che mai" (
13 Maggio 2025)

Liu Jun e Yang Shuping commentano su RT il futuro delle relazioni tra Cina e Russia alla luce dell'ultima visita di Xi Jinping a Mosca.
"Come disse una volta il famoso storico russo Vasily Klyuchevsky, “Chi rifiuta di imparare dalla storia finirà per pagare un prezzo molto alto per la sua ignoranza e arroganza”. Anche la Cina ha un detto: “Chi dimentica il passato è destinato a ripeterlo”. Il significato della storia sta nel guidarci verso il futuro. Sostenere i risultati della Seconda guerra mondiale e salvaguardare il sistema internazionale incentrato sulle Nazioni Unite è una responsabilità e una missione condivisa sia dalla Cina che dalla Russia." Liu Jun, direttore esecutivo del Centro di studi russi dell'Università normale della Cina orientale, e Yang Shuping, ricercatore presso il Centro di studi russi dell'Università normale della Cina orientale nel loro ultimo articolo per RT scrivono perché oggi "Russia e Cina sono più unite che mai". 
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-le_ragioni_per_cui_cina_e_russia_sono_pi_legate_che_mai/45289_60725/
 
La “translatio” dell’antifascismo: da Occidente a Oriente (di Diego Bertozzi, 11 Maggio 2025)
Ciò che resta ad Occidente è un antifascismo di maniera, sganciato dalle sue radici storiche, e ridotto ad “instrumentum regni” dell’imperialismo: ad essere sussunto nella categoria di “fascismo” (o di “hitlerismo”) è ormai ogni governo che resiste ai progetti di dominio mondiale coltivati a Washington e trasmessi all'Unione europea
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_translatio_dellantifascismo_da_occidente_a_oriente/46096_60653/
 
Storia come arma: il revisionismo anti-sovietico e il conflitto in Ucraina (di Fabrizio Verde, 11 Maggio 2025)
Il ritorno del nazismo nell’ombra: da Hitler ad Azov / Il patto Molotov-Ribbentrop: un accordo tattico, non un’alleanza / L’enorme sacrificio sovietico / Gli aiuti anglo-americani: utili ma non decisivi / Il legame tra gli USA, le élite occidentali e il nazismo / La falsificazione storica e l’uso politico del passato / Il ritorno del neonazismo e la paura dell’ordine multipolare / La memoria come arma di guerra ideologica  
 
Promuovere una visione corretta della storia della Seconda Guerra Mondiale è essenziale per difendere equità e giustizia internazionali (Global Times – 7 maggio 2025)
In occasione dell’80° anniversario della vittoria sul nazifascismo, la visita di Xi Jinping in Russia riafferma l’impegno di Pechino e Mosca nel difendere la memoria storica corretta della Seconda Guerra Mondiale, pilastro per l’equità, la giustizia e la stabilità internazionali
 
 
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ORIG.: Россия вновь победит. Новый Нюрнберг будет и за бомбёжки Югославии, – сербский дипломат (27.5.2025.)
Also IN ENGLISH at the same URL: Russia Will Win Again. New Nuremberg Will Be for Bombing Yugoslavia, Serbian Diplomat


La Russia vincerà ancora. Ci sarà una nuova Norimberga per il bombardamento della Jugoslavia
 
Intervista di Politnavigator a Vladimir Kršljanin, diplomatico, già coordinatore del Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milošević, 27.5.2025.

I leader della Serbia e della Repubblica Srpska non hanno potuto fare a meno di presenziare alla parata della Vittoria a Mosca il 9 maggio, nonostante le dure critiche provenienti dai vertici dell'Unione Europea.

Lo ha raccontato a PolitNavigator il noto politico, diplomatico, scrittore e scienziato serbo Vladimir Kršljanin.

La fratellanza serbo-russa è la chiave per il futuro dell'Europa. Tutto crolla attorno a noi. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i serbi, con la loro resistenza, ritardarono l'attacco di Hitler all'URSS di tre mesi, e poi diedero inizio alla più forte resistenza nell'Europa occupata, bloccando molte divisioni tedesche, e tutto questo perché confidavano nella vittoria della Russia. E la Russia vinse.

Oggi, tutto è pressoché uguale. L'attuale ripresa della Seconda Guerra Mondiale è al tempo stesso una tragedia e una farsa. La Serbia sopporta l'attacco alla Russia da dieci anni, opponendosi alla coalizione NATO-nazista. E la Russia è costretta a vincere di nuovo, a vincere anche per noi.

Crediamo che la Russia tornerà nei Balcani e poi nel resto d'Europa attraverso la Serbia. E questo avverrà presto. Tuttavia, la Serbia, avamposto di un mondo Mondo Nuovo, libero e giusto, deve essere ulteriormente rafforzata.

Ma se torniamo alla Seconda guerra mondiale, quali sono i crimini di guerra più famosi dei nazisti e dei loro alleati nel territorio della Jugoslavia occupata?

Ce ne sono molti. Nel territorio della Serbia occupata, dopo una rivolta di massa, venne applicata la direttiva di Hitler: fucilare 100 ostaggi per ogni soldato tedesco ucciso e 50 per ogni soldato tedesco ferito. L'intera popolazione civile fu presa in ostaggio. Il maggior numero di fucilazioni di massa avvenne nelle città di Kraljevo e Kragujevac, dove furono uccisi circa 300 studenti del ginnasio maschile di Kragujevac, strage sulla quale la grande poetessa serba Desanka Maksimović scrisse la famosa poesia "Fiaba cruenta".

D'altra parte, nello "Stato Indipendente di Croazia" fantoccio (che è esattamente ciò che sognavano i Banderisti nell'Ucraina occidentale), gli Ustascia croati perpetrarono un genocidio contro i serbi, sterminando, nel campo di concentramento di Jasenovac e in altri luoghi, con metodi che inorridirono i nazisti, un milione di serbi.

Quale ruolo ha avuto l'esercito sovietico nella liberazione della Jugoslavia?

Fondamentale e decisivo. I nostri partigiani combatterono per oltre tre anni. Il 28 settembre 1944, sulla base degli accordi tra Tito, Tolbukhin e Stalin, l'Armata Rossa entrò in territorio serbo da Bulgaria e Romania e iniziò l'operazione Belgrado.

La densamente popolata capitale della fraterna Jugoslavia non poteva essere bombardata dall'aria (come fecero gli Alleati occidentali a Pasqua di quello stesso anno). Quindi anche questa volta, "i carri armati russi decisero tutto" – insieme alla fanteria dei partigiani jugoslavi. Va sottolineato che senza l'Armata Rossa, l'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia non sarebbe stato in grado di liberare Belgrado il 20 ottobre 1944 e la Serbia centrale.

Quali falsità vengono attualmente diffuse dalla propaganda occidentale riguardo alla liberazione della Jugoslavia?

Qui, le loro falsificazioni di norma non funzionano. Ciononostante, una parte dell'opinione pubblica viene avvelenata da affermazioni secondo cui "la liberazione è una nuova occupazione", che "i comunisti sono peggio dei fascisti" e che "i collaborazionisti sono i migliori serbi, perché gli sta a cuore la sopravvivenza del popolo".

La Serbia ricorda la complicità di alcuni paesi europei nell’aggressione di Hitler contro l’URSS?

Certo. Quasi tutti i nostri vicini, tranne greci e rumeni, hanno partecipato all'occupazione di parti della Jugoslavia (e della Serbia). Ma i serbi non furono uccisi solo dai nazisti e dai loro compagni. Fummo uccisi anche dagli Alleati nei brutali bombardamenti di Belgrado e di altre città. E affinché non lo dimenticassimo mai, gli stessi anglosassoni e altri selvaggi europei ripeterono tutto questo negli anni '90. Dopo la vittoria finale della Russia, sia il mondo che noi avremo bisogno di una nuova Norimberga.

 
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https://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/perche-leuropa-liberata-da-hitler-grazie-ai-russi-non-vuole-celebrare-il-giorno-della-vittoria-osserviamo-litalia/
 

Perché l’Europa, liberata da Hitler grazie ai russi, non vuole celebrare il Giorno della Vittoria? Osserviamo l’Italia

di Viktor Dimiulin

da http://narpolit.com

Tradotto da Eliseo Bertolasi

Invece di pentirsi del ruolo biasimevole svolto dal loro Paese nello scatenare la Seconda guerra mondiale e di ricordare come i tedeschi passarono per le armi i soldati italiani, i politici romani con entusiasmo continuano a distorcere la storia con spirito russofobo.

Il presidente italiano Sergio Mattarella, tenendo una lezione all’Università di Marsiglia, ha paragonato “l’aggressione della Russia contro l’Ucraina” alle azioni del Terzo Reich in Europa. Questa affermazione del capo, seppur nominale, dello Stato che ha visto nascere il fascismo, ha suscitato indignazione non solo in Russia, ma anche tra molti italiani. Tuttavia, il primo ministro Giorgia Meloni, che in gioventù frequentava l’estrema destra, ha preso le difese di Mattarella affermando che le critiche nei suoi confronti sono “un insulto a tutto il popolo italiano”, esprimendo pieno sostegno al presidente a nome dell’intero governo. Con lo stesso spirito si sono espressi i leader della maggior parte dei partiti del Paese, compresa l’opposizione. In questo modo, l’élite politica italiana ha dimostrato di condividere pienamente le visioni distorte della storia dell’anziano abitante del Palazzo del Quirinale. Cos’altro vi aspettereste dai governanti di un Paese in cui l’anno scorso la Corte di Cassazione ha legalizzato il saluto romano, la versione locale del “sieg”? Erano fascisti nell’anima e lo sono rimasti…

Negli anni ‘20 fu Mussolini, e non Hitler, che all’epoca nessuno conosceva, a iniziare ad accendere l’incendio che avrebbe poi scatenato la Seconda Guerra Mondiale. Dopo essersi impegnato a far rivivere il grande Impero Romano, il Duce già nel 1923 tentò, senza successo, di togliere l’isola di Corfù alla Grecia. Poi, su suo ordine, gli italiani commisero un genocidio in Libia sotto la bandiera della “rappacificazione”, visto che i suoi abitanti non volevano sottomettersi a Roma. Nel 1935 i fascisti italiani invasero l’Abissinia (oggi Etiopia), affossando, di fatto, la Società delle Nazioni.

Poi ci fu l’invio di truppe in aiuto dei franchisti in Spagna, la complicità nell’Accordo di Monaco e l’occupazione dell’Albania. E tutto questo accadde prima dell’attacco della Germania alla Polonia. Mussolini non fece in tempo a unirsi a questa impresa dell’alleato berlinese, ma, saputo della fuga inglese da Dunkerque, all’inizio dell’estate del 1940 attaccò la Francia, già quasi sconfitta dalla Wehrmacht, dichiarando con enfasi:

“Se l’Italia desidera sedersi al tavolo della pace, quando la pace sarà condivisa, deve entrare in guerra e farlo in fretta”.

Nello stesso periodo gli italiani iniziarono l’invasione dell’Egitto e nell’autunno attaccarono la Grecia. Entrambe queste campagne non furono concordate con Hitler, che a quel tempo non aveva alcuna intenzione di trasformare il Nord Africa e i Balcani in nuovi teatri di guerra. Ma quando gli alleati italiani cominciarono a subire sconfitte in entrambi i luoghi, i tedeschi dovettero intervenire.

Conoscendo l’inclinazione del suo “caro amico” per le avventure rischiose e non attribuendo grande importanza all’esercito italiano, Hitler non gli riferì del piano “Barbarossa”. Tuttavia, una volta saputo dell’inizio della “crociata contro i bolscevichi”, il Duce espresse il forte desiderio di prendervi parte, sperando di accaparrarsi una fetta della “torta russa” grazie al rapido successo della guerra lampo, di cui Roma non dubitava affatto. Nel giugno 1941, Mussolini disse ai suoi ministri:

“L’Italia non può essere assente dal nuovo fronte e deve partecipare attivamente alla nuova guerra. La via per la restaurazione dell’Impero passa attraverso l’Unione Sovietica.”

Non volendo rovinare i rapporti con l’alleato, il Führer cedette. E già a luglio il 62° corpo di spedizione italiano, forte di tre divisioni, partì alla conquista della Russia. Nonostante il periodo iniziale della guerra fosse estremamente sventurato per l’Armata Rossa, i bersaglieri non poterono vantare vittorie clamorose, anzi persero un quarto della loro composizione. Tuttavia Mussolini continuò a credere nel successo e nella primavera del 1942 il corpo venne schierato nell’Ottava Armata, il cui numero superava le 230 mila baionette.

Si ritiene che gli italiani abbiano trattato la popolazione sovietica con più morbidezza rispetto agli altri occupanti e non abbiano offeso nessuno in modo particolare. L’ex comandante del corpo di spedizione, il generale Giovanni Messe, retroattivamente compilò addirittura una “classifica della crudeltà”, in cui collocò al primo posto le Guardie Bianche (collaborazionisti locali ndr.) che combatterono dalla parte della Wehrmacht, al secondo posto i tedeschi e solo al sesto posto i suoi connazionali, dopo i rumeni, i finlandesi e gli ungheresi.

Tuttavia, sono non pochi i crimini di guerra che hanno sulla loro coscienza. In particolare, omicidi e stupri nella regione di Dnepropetrovsk nel settembre 1941, rapine e omicidi di civili e prigionieri di guerra nel Donbass e nella regione di Poltava nel luglio 1942 e lo sterminio di massa dei carcerati nella prigione di Rossosh nel gennaio 1943. I “bianchi e vellutati” italiani si distinsero per la distruzione d’infrastrutture urbane e prodotti agricoli in Moldavia e Ucraina, e per il saccheggio di valori culturali nei territori occupati. Pertanto qualcosa abbiamo da esibire ai loro discendenti, tra cui Meloni e Mattarella…

Nonostante il loro considerevole numero, gli italiani non avevano alcun valore particolare per i tedeschi, fatta eccezione per le unità d’élite di fucilieri alpini, i marinai che combatterono sul Mar Nero e sul lago Ladoga (MAS ndr.) e alcune unità di volontari delle “camicie nere”. Dopo essersi chiaramente convinti,durante le battaglie nel Donbass, del morale basso e delle basse qualità di combattimento degli alleati, i nazisti decisero che potevano utilizzarli solo su parti tranquille del fronte, per coprire i fianchi e le retrovie.

Ma anche in questo caso gli italiani non riuscirono a farcela. Nel dicembre 1942, durante l’operazione “Piccolo Saturno” sul Medio Don, l’Ottava Armata subì una sconfitta totale, perdendo oltre 20.000 soldati e ufficiali. 64 mila furono fatti prigionieri. La ritirata degli italiani dal Don fu molto simile alla fuga dei resti della Grande Armata di Napoleone dalla Russia nel 1812.

Il tenente Eugenio Corti, che prestò servizio nell’Ottava Armata e divenne un famoso scrittore dopo la guerra, ricordava:

“Le persone esauste cadevano nella neve, per non rialzarsi mai più. Alcuni impazzivano e non capivano che stavano morendo. I più tenaci strisciavano lungo la strada, finché le forze non abbandonavano definitivamente quegli sventurati”.

Dalla campagna di Russia, pochissimi tornarono a casa sugli Appennini.

Maria Teresa Giusti, dottore di ricerca in Scienze Storiche, professoressa presso l’Università Gabriele D’Annunzio scrive:

“La portata del dramma nazionale è espressa dalle seguenti statistiche: 700 treni carichi di soldati lasciarono l’Italia per l’Est, ne tornarono 17…”.

Dopo un fiasco così mostruoso non si poteva più parlare di un’ulteriore partecipazione italiana alla “Campagna di Russia”. Nel luglio 1943 i compagni di Mussolini lo rovesciarono e nel settembre il paese uscì dalla guerra.

Tuttavia, anche questa si rivelò una tragedia per molti soldati italiani, poiché i tedeschi non li consideravano più alleati, ma traditori. Vennero condotti nei campi di prigionia o addirittura fucilati. L’episodio più famoso fu il “massacro della divisione Acqui” sull’isola greca di Cefalonia nel settembre 1943, ripreso nel film hollywoodiano “Il mandolino del capitano Corelli” con Nicolas Cage e Penelope Cruz. Allora i nazisti uccisero 5.000 ex alleati.

Ma esecuzioni simili ebbero luogo anche sul territorio dell’URSS. Più o meno nello stesso periodo, 2.000 italiani furono fucilati dai tedeschi a Leopoli e almeno altri 500 durante la ritirata nazista da Vitebsk. Ci furono altri casi simili, in cui migliaia di italiani furono le vittime.

Ecco cosa dovrebbero ricordare Mattarella, Meloni e gli altri politici romani, oltre al ruolo indecoroso del loro Paese nello scatenare la Seconda Guerra Mondiale, all’80° anniversario della Grande Vittoria. Ma oggi per loro è più importante continuare a estendere la civetta russofoba sul mappamondo pseudo-storico, tracciando parallelismi goffi e, dopo le dichiarazioni di Trump, inopportuni tra l’Operazione Militare Speciale e l’aggressione di Hitler, di cui i loro antenati furono complici.



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Fonte: Gramsci oggi – rivista online, numero di Maggio 2025 – www.gramscioggi.org
 
SE LA MEMORIA È UN TERRENO DI BATTAGLIA
 
di Gianmarco Pisa
 
Nella notte tra il 27 e il 28 marzo 1945, su ordine del generale ustascia, Vjekoslav Luburić, criminale di guerra, 55 cittadini di Sarajevo furono impiccati a Marijin Dvor. La strage di Sarajevo è uno dei crimini più efferati perpetrati dal regime criminale degli ustascia, i fascisti croati, alleati dei fascisti italiani e dei nazisti tedeschi, protagonisti di alcune delle pagine più orribili della Seconda guerra mondiale e dell’intera storia del Novecento. Antifascisti di tutte le nazionalità e religioni di Bosnia, e cittadini e cittadine di Sarajevo, furono a più riprese mandati a morte e impiccati a Marijin Dvor; in totale, nel corso della Seconda guerra mondiale, furono uccisi complessivamente 10.789 abitanti di Sarajevo, di cui quasi novemila dalle formazioni criminali ustascia.

Anche su questa pagina si stende come un’ombra la traccia lugubre del revisionismo storico. Nel maggio 2016, il Parlamento croato ha deciso di concedere alla commemorazione degli eventi di Bleiburg un patrocinio ufficiale, dopo averlo ritirato nel 2012, essendo la circostanza dell’evento una riabilitazione di fatto dell’ideologia fascista e dei crimini ustascia. Alla fine della guerra, presso la cittadina di Bleiburg, in territorio austriaco, alcune migliaia di miliziani e soldati, con civili al seguito, del regime ustascia, finalmente allo sbando, furono raggiunte dalle forze partigiane jugoslave, che avevano condotto un’eroica guerra di liberazione, per sconfiggere le forze naziste occupanti e liberare il Paese dall’oppressione nazista e fascista e dai collaborazionisti locali.

Proprio a Marijin Dvor, che prende il nome dal Palazzo di Marija, disegnato dal famoso architetto ceco, Karl Paržik, artefice della costruzione di molti edifici storici della capitale, si consumò uno dei massacri più efferati, quando, tra il marzo e l’aprile 1945, le milizie ustascia uccisero 323 persone e appunto, nella notte tra il 27 e il 28 marzo, ne impiccarono pubblicamente 55 per terrorizzare la popolazione, completando lo scempio apponendovi la scritta: «Lunga vita al Poglavnik», il duce ustascia, Ante Pavelić. A quel regime si devono alcune delle più orribili pagine di guerra: tristemente noto era, ad esempio, il loro programma di pulizia etnica, teso alla creazione di una Croazia immaginaria, etnicamente pura, per cui un terzo dei serbi sarebbe stato ucciso, un terzo cacciato, un terzo convertito con la forza al cattolicesimo. La persecuzione di serbi, rom, ebrei, partigiani, antifascisti, fu spietata: 30 mila ebrei, 26 mila rom, 300 mila serbi furono brutalmente sterminati.

Nel maggiore tra i campi di concentramento, Jasenovac, si stimano centinaia di migliaia di vittime. La Commissione di Stato jugoslava (1946) stimò il numero delle vittime tra 500 e 600 mila. Lo stesso Luburić era a capo del sistema di campi di concentramento dello stato quisling croato durante gran parte della Seconda guerra mondiale e si trovò a supervisionare e dirigere personalmente i vari genocidi di serbi, ebrei e rom. Né, d’altra parte, può essere sottovalutato il ruolo di Miroslav Filipović-Majstorović, frate francescano e cappellano militare ustascia, direttore dei campi di Jasenovac e Stara Gradiška, coinvolto nell’eliminazione di oltre 30 mila internati, a ulteriore dimostrazione della sanguinosa commistione tra clero cattolico, forze fasciste e ustascia croati durante e dopo la guerra. Fu papa Wojtyła a beatificare nel 1998 Alojzije Stepinac, vescovo cattolico, complice di crimini fascisti in Croazia durante il regime ustascia di Ante Pavelić dal 1941 al 1945.

La commemorazione di Jasenovac, della quale quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario, come per l’intera ricorrenza della vittoria contro il fascismo e della liberazione dell’Europa, celebra il 22 aprile 1945, quando i detenuti del campo tentarono un disperato attacco contro le guardie per ottenere la libertà, ma solo 169 su 1.073 vi riuscirono. Il sistema di campi sotto il comando di Jasenovac fu il più grande sistema di concentramento e di sterminio nel territorio del Regno di Jugoslavia e uno dei più efferati dell’intero continente europeo sotto occupazione nazista: fondato dallo “Stato Indipendente di Croazia” a est dell’omonima cittadina, nell’agosto 1941, fu distrutto nell’aprile 1945 per nascondere i crimini commessi. Jasenovac è stato il primo complesso di campi costruito in termini pianificati e sistematici nello “Stato Indipendente di Croazia”, l’unico che ha funzionato ininterrottamente fino alla fine, il più grande per la superficie occupata, per il numero dei detenuti che vi sono transitati e per il volume dei crimini e il numero delle vittime che vi perirono.

Come l’avanguardia della 332a divisione di fanteria dell’Armata rossa liberò Auschwitz il 27 gennaio 1945, Giorno della Memoria, così Jasenovac fu liberata finalmente tra il 2 e il 3 maggio 1945, dalle compagnie di fucilieri del 1° battaglione della 4a brigata della 21a divisione d’attacco dell’Armata popolare di liberazione della Jugoslavia. Al battaglione entrato a Jasenovac fu affidato il compito di preservare le tracce dei crimini ivi commessi fino all’arrivo della Commissione di Stato incaricata di accertare i crimini degli occupanti.

Il monumento del Fiore di Pietra è una scultura monumentale dedicata a tutte le vittime degli ustascia nel campo di Jasenovac. Ne è autore l’architetto Bogdan Bogdanović (1922-2010), probabilmente, con Miodrag Živković e Dušan Džamonja, tra i più grandi artisti del modernismo socialista in Jugoslavia. Il monumento fu inaugurato il 4 luglio 1966. Oltre all’importanza simbolica e politica del luogo, sede della sua realizzazione, del simbolismo del monumento e del contenuto della sua memoria, il Fiore è anche una delle pietre miliari dell’arte jugoslava. Seguendo l’estetica propria del modernismo socialista, Bogdanović decise infatti di «dare vita» a un fiore di cemento astratto ed evocativo, geometricamente regolare nella costruzione e simbolicamente emozionante per il suo potere evocativo, dal design modernista, con numerosi richiami simbolici. 

Quell’astrazione scultorea, floreale, presenta infatti non poche implicazioni simboliche. Bogdanović non voleva che il monumento fosse un segno meramente descrittivo dell’orrore: il campo di Jasenovac è di per sé un luogo di morte che non necessita di troppe descrizioni. Realizzò così un fiore, simbolo di vita e di rinascita, seguendo il nucleo del suo progetto: dopo gli orrori accaduti, la rinascita, la vita e la speranza. La forma astratta, che non fornisce possibilità alcuna di lettura didascalica, era in linea con i principi di giustizia, fratellanza e unità promossi dal socialismo, e con il celebrato motto di Tito: “Proteggiamo la fratellanza e l’unità dei nostri popoli come la pupilla del nostro occhio”. Sul luogo del campo, teatro di uccisioni e di torture, Bogdanović ha disegnato un fiore, peraltro dalle radici profonde e dai vasti petali, simbolo di vita e di bellezza, occasione di riconoscimento universale, in un Paese, la Jugoslavia socialista, multiculturale per eccellenza: serbi, croati, sloveni, montenegrini, macedoni, bosgnacchi, rom, ungheresi, albanesi, e altri ancora. «Sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito» era il motto che sintetizzava questa sorprendente complessità.

Se il socialismo, in Jugoslavia e non solo, ha sconfitto il fascismo, liberato il Paese ed edificato uno spazio di incontro tra popoli e culture, oggi, in tempo di revisionismo dilagante e riemergente neofascismo, la spirale del revisionismo ferisce la coscienza democratica e i valori della democrazia, della libertà e della dignità dei popoli. Anche il cosiddetto “raduno di Bleiburg” è occasione di mobilitazione nostalgica e neofascista. Negli ultimi venti anni e oltre, la “commemorazione di Bleiburg” è stata «utilizzata per glorificare persone che hanno sostenuto o sono state attivamente coinvolte nelle iniziative di un regime che ha sterminato centinaia di migliaia di innocenti, uomini, donne, bambini, solo a causa della loro identità nazionale o religiosa. Il fatto che il Parlamento croato sponsorizzi un tale evento, così controverso, con il pretesto di onorare e ricordare quanti hanno dato la vita per la libertà della Croazia, è uno schiaffo a tutte le vittime del regime». Così Menachem Rosensaft, del Consiglio Generale del Congresso Ebraico Mondiale, in una dichiarazione del 2020.

Di fronte all’edificio della Facoltà di Filosofia di Sarajevo, è stato eretto un monumento in memoria dei cittadini di Sarajevo assassinati e in onore della coscienza democratica della città. Chi non ricorda il celebre film jugoslavo: “Valter difende Sarajevo” (1972), in onore del leggendario partigiano Vladimir Perić, nome di battaglia “Valter”, tra i leader della Resistenza in Bosnia e protagonista della difesa di Sarajevo?

Il fascismo storico è sconfitto ma la sua ombra non è svanita. Belgrado, la capitale, fu liberata il 20 ottobre 1944; il 7 marzo 1945 il governo provvisorio della Repubblica democratica federale di Jugoslavia, con a capo Tito, si riunì a Belgrado. Nel novembre 1945, il Fronte popolare, espressione delle forze socialiste e comuniste dirette da Tito, ottiene la maggioranza assoluta. Alla fine dell’epopea partigiana, l’Armata popolare jugoslava (Jna) contava quattro armate con 800 mila combattenti; nel corso della guerra la Jugoslavia pagò un tributo di vittime di oltre 1.5 milioni di persone, pari al 10% dell’intera popolazione jugoslava del 1941.

Forse, la più grande epopea partigiana in Europa, seconda solo alla grande lotta di liberazione dei partigiani sovietici e dell’Armata rossa, con l’Unione sovietica che pagò un tributo di 27 milioni di caduti, di cui 18 milioni civili e che resse, da sola, per oltre due anni, l’urto di 250 divisioni tedesche (circa il 90% dell’esercito tedesco) appoggiate dagli alleati fascisti rumeni, ungheresi e italiani. Un’altra vergogna del criminale regime fascista.

Dopo la guerra, in Jugoslavia, la disfatta del fascismo portò alla liberazione e alla costruzione di un nuovo ordine politico e sociale: il socialismo dell’autogestione e del non allineamento, dell’unità e solidarietà tra i popoli. Oggi, nell’Ue, la famigerata Risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa pretende addirittura di equiparare di fatto, nella responsabilità storica, oppressori e liberatori, sotto lo slogan di «ideologie totalitarie, come il nazismo e lo stalinismo».

Andrebbe davvero ricordato quanto ebbe a dire Ernest Hemingway: «Ogni essere umano che ami la libertà deve più ringraziamenti all’Armata rossa di quanti ne possa pronunciare in tutta la sua vita». Se la memoria è un terreno di battaglia, la lotta contro il fascismo e per la democrazia non ha perso la sua importanza.


Alcuni riferimenti:

Anja Vladisavljevic, World Jewish Congress Condemns WWII Bleiburg Mass in Sarajevo, BIRN, 14.05.2020: https:// balkaninsight.com/2020/05/14/world-jewish-congress- condemns-wwii-bleiburg-mass-in-sarajevo

N1 Belgrade, Yad Vashem condemns article minimizing Jasenovac victims, N1, 25.08.2021: https://n1info.rs/english/ news/yad-vashem-condemns-article-minimizing-jasenovac- victims

Gianmarco Pisa, Revisionismo, propaganda, e falsificazione della storia. È ora di riprendere l’iniziativa antifascista, Futura Società, 24.02.2024: https://futurasocieta.com/2024/02/24/ revisionismo-propaganda-e-falsificazione-della-storia-e-ora- di-riprendere-liniziativa-antifascista
 
 
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Scuola e propaganda: riflessioni critiche su un “paper” ideologico

di Luca Cangemi

È stato pubblicato, sul sito dell’Istituto Germani, un paper a firma di Massimiliano Di Pasquale e Iryna Kashchey, dal titolo impegnativo ma anche un po’ surreale: “Narrazioni strategiche russe nei libri di testo delle scuole secondarie di primo grado italiane”. Le anticipazioni del documento, mesi fa, erano già state rilanciate dal ministro Valditara.

Prima di entrare nel merito delle molte parti poco convincenti del testo, è opportuno dire qualche parola sugli autori.

L’Istituto Germani, promotore dell’iniziativa e presso il quale Di Pasquale è ricercatore nonché responsabile dell’Osservatorio Ucraina, ha come finalità dichiarata quella di contrastare le “sfide alla comunità euro-atlantica”. Kashchey, dal canto suo, è una giornalista che lavora al telegiornale ucraino della Rai, prodotto del conflitto in corso.

Siamo, dunque, apertamente di fronte a una pubblicazione espressione della propaganda di guerra della NATO e del regime ucraino, non certo a una ricerca accademica.

C’è certamente una propaganda russa, e non ci stupisce quella NATO-ucraina; il punto è se questi propagandisti debbano sentirsi in diritto di entrare pesantemente nella vita della scuola italiana, dettando, incontrastati, le loro verità e aizzando il governo a imporre censure.

È bene ricordare che i libri scolastici sono scelti autonomamente dagli organi collegiali delle scuole, e il loro utilizzo rientra nella libertà d’insegnamento garantita ai docenti italiani, i quali sono perfettamente in grado di affrontare culturalmente e didatticamente le complesse vicende storiche. Magari hanno problemi legati al precariato e alla riduzione degli orari, ma questa è un’altra questione.

Quanto ai contenuti, il paper si rivela – come prevedibile – del tutto unilaterale, con frequenti menzogne e ingenuità imbarazzanti.

Particolarmente infantile è, ad esempio, il lamento ricorrente sull’uso dei toponimi russi anziché ucraini per le città. Ricordiamo agli autori che un libro italiano farebbe semplicemente ridere se seguisse quelle prescrizioni. Prendiamo il caso di Odessa, città con legami storici con l’Italia e citata spesso nella nostra letteratura: nessun testo italiano ha mai scritto “Odesa” con una sola “s”, come invece pretende il regime ucraino. Cosa dovremmo fare, allora? Censurare non solo i manuali scolastici, ma anche tutta la letteratura italiana?

Altrettanto incredibile è il tentativo di separare la storia russa da quella ucraina, attribuendo a quest’ultima un’impronta democratica fin dal Granducato di Lituania e Polonia del 1240 (!), come si legge testualmente a pagina 21.

Il ragionamento sulla Crimea, una delle pietre dello scandalo toponomastiche contro l’editoria scolastica italiana, è particolarmente contorto. Vi è anche una falsificazione evidente quando si afferma che la RSSA (Repubblica Socialista Sovietica Autonoma) di Crimea, dal 1921 al 1945, sarebbe stata una repubblica “separata”. Le repubbliche “separate” si chiamavano repubbliche federate; la Crimea, invece, era un’entità all’interno della Repubblica Sovietica di Russia.

Fantasioso è, infine, tutto il racconto degli eventi del 2014, come d’altronde lo è la negazione dell’esistenza di popolazioni russe in Crimea e nel Donbass.

Significative sono anche le omissioni, in particolare due: il referendum del 1991, in cui i cittadini ucraini, a larga maggioranza, confermarono la loro volontà di rimanere all’interno dell’URSS, e la strage della Casa dei Sindacati a Odessa, nonché, più in generale, la presenza di gruppi neonazisti con un ruolo tutt’altro che marginale nella vita politica ucraina.

Si potrebbe continuare a lungo a segnalare incongruenze e forzature in questo testo, ma forse non ne vale la pena. Vale la pena, invece, riflettere su come iniziative di questo tipo rischino di saldarsi con l’attività del ministro Valditara – come dimostrano le recenti “indicazioni nazionali per il primo ciclo” – e di rafforzare la spinta verso una scuola funzionale ai venti di guerra che soffiano sempre più forti in Europa.

 
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www.resistenze.org - osservatorio - europa - politica e società - 26-05-25 - n. 933

L'anticomunismo non prevarrà, la verità storica trionferà

Partito Comunista di Grecia (KKE), Partiti firmatari | solidnet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

20/05/2025

Dichiarazione congiunta di AKEL (Cipro), KKE (Grecia), KSČM (Repubblica Ceca), PCP (Portogallo) sulle azioni anticomuniste dei deputati europei del PPE

La Dichiarazione congiunta del Partito Comunista di Grecia (KKE), del Partito Progressista dei Lavoratori di Cipro (AKEL), del PC portoghese e del PC di Boemia e Moravia, promossa dal KKE, è una risposta alle azioni anticomuniste di alcuni deputati europei del Partito Popolare Europeo (PPE). La dichiarazione congiunta che condanna l'anticomunismo, che è stata inviata ad altri eurodeputati per la firma, sarà consegnata sotto forma di lettera al Presidente della Commissione europea e al Collegio dei Commissari.

Il testo firmato dagli eurodeputati dei quattro partiti è il seguente:

"Nel momento in cui i popoli celebrano l'80° anniversario della Grande Vittoria Antifascista dei Popoli, quando, con il contributo decisivo dell'URSS e dell'Armata Rossa, nonché della resistenza popolare in vari paesi, il fascismo è stato schiacciato e l'umanità è stata liberata dalle atrocità naziste, è una provocazione che cinque eurodeputati del PPE abbiano chiesto di firmare una petizione per vietare la falce e il martello, i simboli sovietici, il sostegno alle idee comuniste e la rimozione dei monumenti sovietici e antifascisti.
Si tratta di proposte che distorcono la storia e provengono da forze anticomuniste, che oltraggiano la memoria dei milioni di persone che hanno dato la vita per la vittoria antifascista e dei popoli europei e delle loro lotte contro il mostro fascista. Si tratta dell'ennesimo tentativo di riabilitare il fascismo e costituisce non solo un attacco ai comunisti, ma anche agli altri antifascisti, a tutte le persone e ai loro diritti, sostenuto da forze che cercano di falsificare il contributo dei comunisti alla lotta di liberazione dei popoli, mascherare i fallimenti delle loro politiche antipopolari e promuovere l'estrema destra.
L'attacco ai diritti democratici delle persone e l'anticomunismo non prevarranno, la verità storica trionferà e il popolo uscirà vittorioso, proprio come allora.

Cordiali saluti

Lefteris Nikolaou - Alavanos
Kostas Papadakis
Giorgos Georgiou
João Oliveira
Kateřina Konečná"
 
 
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Este es el sitio que no te han mostrado en el 80 aniversario del fin de la Segunda Guerra Mundial 
 
Carmela Negrete, 12/05/25

Alemania cerró hasta nuevo aviso el memorial en el que se firmó la paz de Potsdam: el Palacio de Cecilienhof. Diario Red lo visitó antes de su cierre y te lo muestra ahora, cuando es noticia, pero nadie puede entrar
 
Alemania conmemora estas semanas el fin de la Segunda Guerra Mundial con un lugar clave en aquel momento cerrado hasta nuevo aviso: el museo-palacio donde se firmó el Tratado de Potsdam, el Palacio de Cecilienhof. Este lugar, que hoy es gestionado por la Fundación Palacios y Jardines Prusianos de Berlín-Brandenburgo, es un sitio en disputa, ya que un siglo después del fin de la monarquía en Alemania, la familia Hohenzollern, a través de Jorge Federico de Prusia, reclama que se le devuelvan varias propiedades y obras de arte, entre ellas dicho Palacio Cecilienhof, por ahora sin éxito. El Palacio está cerrado para llevar a cabo reformas más bien estéticas y de accesibilidad, no porque estuvieran a punto de derrumbarse sus paredes. Su cierre arroja muchas preguntas sobre qué imagen quiere dar el estado alemán al exterior.
 
El Palacio de Cecilienhof, símbolo del final de la Segunda Guerra Mundial, cerrado hasta nuevo aviso, es un símbolo en sí mismo del estado de la paz en Europa
 
El memorial de dicho palacio abre sus puertas al visitante con una sala dedicada a las dos bombas atómicas que arrojó Estados Unidos sobre Hiroshima y Nagasaki mientras el presidente Harry S. Trumann negociaba la paz en Europa en este lugar. Es decir, el arrojar las bombas no solo es que fuera un acto criminal - el uso de cualquier bomba atómica lo es - sino que era innecesario para alcanzar la paz porque los principales líderes mundiales se reunieron aquí para firmar el armisticio. Los Estados Unidos han sido, hasta hoy, el único país que ha usado las bombas atómicas, y el único país poderoso que participó en las dos grandes guerras en cuyo territorio no tuvieron lugar los enfrentamientos. En una posible tercera guerra mundial, su territorio se salvaría, de nuevo, de los enfrentamientos, que tendrían lugar en Europa, arrasando ciudades y acabando con la vida de millones de ciudadanos de nuevo.

Estas son las reflexiones que vienen a la cabeza cuando se pasea por las salas del Palacio y se leen los recortes de periódicos de la época que cuelgan de las paredes, en los que se afirma en inglés que Alemania, por fin, dejará de ser una amenaza y que “ya no habrá más tanques alemanes que marchen en dirección al este” porque en dicho lugar se firmó el desarme de Alemania y se acordó que el país sería una zona dividida y desmilitarizada. Hoy, ni un siglo después, la Alemania reunificada pretende ser la tercera potencia militar mundial, la extrema derecha lidera las encuestas y ya es la segunda fuerza en el Parlamento. Durante la guerra fría y la disputa contra el comunismo, se desistió de la idea de una Alemania desmilitarizada.
 
Pero aquí no vendrán clases de los institutos a aprender historia de su propio país, ni se grabarán documentales, sino que se recuerda la historia de una forma descafeinada, para que el recuerdo no ponga en peligro los planes bélicos actuales de rearme del país, azuzados además por Europa, que ha olvidado que Hitler hizo trizas el continente. Ahora Alemania debe ser “capaz de hacer la guerra” (kriegstüchtig) en lo que se conoce como la Zeitenwende o cambio de época iniciado por un socialdemócrata para más inri histórica, Olaf Scholz. Saludos a los préstamos de guerra de los socialdemócratas del siglo pasado.  
 
La mesa donde se firmó el tratado de paz que puso fin a la Segunda Guerra Mundial: 
 

El Palacio de Cecilienhof es un lugar para reflexionar sobre el sinsentido de la guerra. Sobre el papel de los Estados Unidos en el último gran conflicto, del que salió imponiendo un nuevo orden mundial bajo su liderazgo, que hoy se tambalea. El lugar para pensar que la última gran contienda arrasó Europa y provocó millones de muertos y que las esvásticas que llevan soldados que son reclutados por toda Europa por el batallón Azov en Ucrania son el símbolo de esta guerra de Adolf Hitler por el control del continente. Es el sitio que hace saltar las alarmas cuando Alemania dice que quiere liderar Europa en el terreno de la “defensa” y enviar misiles Taurus a Ucrania que puedan impactar en Rusia, el eterno rival o el que se pinta como eterno rival desde el otro lado del Atlántico, con unos intereses muy concretos que Trump no se molesta en ocultar.

Por si alguien cree que los museos crecen como setas en el monte, con sus nombres ya puestos, y cierran cuando les parece sin pensar en la simbología que ello implica, aquí va otro ejemplo que tiene una relación directa con el fin del nazismo y el insoportable revisionismo alemán: El “Museo de Karlhorst”, en el este de la ciudad, es el lugar en el que la Wehrmacht firmó su capitulación y, por ello, hasta el fin de la República Democrática Alemana (RDA) comunista, el lugar se llamó de forma consecuente “Museo de la Capitulación”. Tras la reunificación, lo renombraron a “Museum Berlin-Karlshorst”, quitándose de en medio esa palabra tan incómoda, “capitulación”. En el imaginario público se le conoció como „Museo ruso-alemán“, ya que Rusia aún co-gestiona el lugar. El pasado 8 de mayo se celebró una manifestacion del movimiento por la paz, en las que ahora hondea una bandera ucraniana en lugar de la rusa,

El genocidio eslavo silenciado

Poco o nada se habla en el discurso oficial del hecho de que la política de “Lebensraum” de Adolf Hitler tenía como objetivo el genocidio parcial de los pueblos eslavos, con el fin de permitir que la "raza" alemana se expandiera hacia el este y colonizara esos territorios. Esta política implicaba exterminar a una parte de la población y esclavizar al resto, considerados miembros de una raza subhumana. Alrededor de 27 millones de ciudadanos soviéticos murieron como resultado de la locura racista de la Wehrmacht y del nazismo alemán, que en un principio fueron alentados por Estados Unidos a través de sus empresas e inversiones, tal como explica el filósofo Werner Rügemer en su ensayo Una amistad condenada. La conquista de Europa por los Estados Unidos. Primera etapa: de la Primera a la Segunda Guerra Mundial. Al final de la guerra, Estados Unidos se unió al bando contrario a Hitler, y hoy, gracias a Hollywood y al enfrentamiento con Rusia, en el imaginario colectivo parece como si hubieran sido antifascistas desde el principio y los principales responsables de la derrota del fascismo. Sin embargo, la realidad es muy distinta: bancos y empresas estadounidenses ayudaron a vender el oro confiscado a los judíos y armaron a la Wehrmacht para combatir al comunismo soviético. 

Sin embargo, el estado alemán jamás ha reconocido dicho genocidio y los salvadores de entonces son hoy ninguneados. El Ministerio de Exteriores de la verde Annalena Baerbock pidió antes de que ésta dejara el cargo, que no se invitase a las celebraciones a los representantes rusos. Quien haya visto el homenaje celebrado en el Bundestag podría pensar que la fecha del fin del fascismo y de la Segunda Guerra Mundial en Europa es un acontecimiento triste: casi todos los políticos vestían de negro, y el presidente Frank-Walter Steinmeier abrió su discurso con una cita que decía: "Las derrotas son difíciles de asumir". Si abrimos el diario conservador Frankfurter Allgemeine Zeitung de este 8 de mayo, además, encontramos un artículo de opinión con el titular: "El 8 de mayo no es un día para celebrar". Según dicho diario, los alemanes tendrían que guardar silencio y reflexionar, pero no alegrarse, porque, según dicho medio, una parte del país, la antigua RDA, no pudo ser libre tras el nazismo. Resulta curioso que el país donde más nazis fueron llevados a juicio y apartados de la función pública, en relación a la República Federal, sea precisamente considerado el país donde menos se habría conseguido el objetivo de librarse de la lacra fascista.

El miércoles, un tribunal administrativo de Berlín prohibió mostrar banderas y símbolos relacionados con Rusia entre la mañana del 8 de mayo y la noche del 9 de mayo de 2025, en los alrededores de varios monumentos conmemorativos, incluido el monumento soviético en Treptow. Stefan Natke, del partido comunista DKP en Berlín, fue detenido en dicho monumento por portar una cinta de San Jorge en la solapa. A la librería de antigüedades antifascistas Rotes Antiquariat no se le permitió instalar un puesto frente a las celebraciones, como solía hacer, porque supuestamente está prohibido vender literatura antifascista cerca del lugar donde yacen miles de liberadores soviéticos del fascismo alemán. El mundo al revés.

 El diario junge Welt fue censurado por segundo año consecutivo por mostrar uno de los símbolos de la victoria sobre los nazis:

La policía de Berlín ha prohibido la distribución del periódico marxista @jungewelt.
Información de @redstreamnetpic.twitter.com/pMc9HIpALD
— El Policiómetro (@policiometro) May 8, 2025
 

Para mayor transparencia, adjuntamos las preguntas enviadas por Diario Red a la Fundación Palacios y Jardines Prusianos de Berlín-Brandeburgo, junto con sus respuestas, en las que se deja claro que la decisión no se tomó porque el sitio estuviera en riesgo de derrumbe ni por motivos similares. La respuesta fue enviada el 30 de septiembre del año pasado, poco antes de que dicho lugar cerrara sus puertas hasta nuevo aviso.

¿Podría informarme concretamente qué trabajos de renovación están previstos y si son urgentes?

La restauración del Palacio Cecilienhof se lleva a cabo en el marco de la implementación del segundo Programa Especial de Inversiones (SIP 2, Plan Maestro) del gobierno federal, así como de los estados de Brandeburgo y Berlín, con el objetivo de rescatar del deterioro los monumentos más importantes del conjunto de palacios de Berlín y Potsdam. El acuerdo prevé que la SPSG (Fundación de Palacios y Jardines Prusianos de Berlín-Brandeburgo) podrá invertir hasta 2030 un total de 400 millones de euros adicionales en la conservación de bienes culturales nacionales. Para la restauración del Palacio, la SPSG destinará aproximadamente 22,7 millones de euros. Se llevarán a cabo los siguientes trabajos:

- Medidas para garantizar la accesibilidad y el ahorro energético, de modo que, al finalizar la restauración, todas las salas de exposición sobre la Conferencia de Potsdam en la planta baja, la tienda del museo y la cafetería sean accesibles de manera continua para visitantes con movilidad reducida.
- Reubicación y rediseño de la entrada del museo.
- Ampliación del espacio museístico.
- Ampliación de los servicios para los visitantes del museo (baños, guardarropas, tienda).
- Ampliación de la oferta gastronómica.
- Restauración de los espacios interiores que anteriormente eran utilizados por el hotel, con el objetivo de volver a habilitarlos para uso hotelero.Entre 2014 y 2018 ya se habían restaurado la fachada, los techos, las ventanas y la base de piedra natural con fondos del primer Programa Especial de Inversiones del gobierno federal y de los estados de Brandeburgo y Berlín, también destinado a salvar los principales monumentos del conjunto de palacios de Berlín y Potsdam.

¿Quién tomó exactamente esta decisión?

La decisión sobre los proyectos que deben ser tratados y concluidos dentro del SIP 2 hasta 2030 fue tomada por la Fundación en coordinación con el Consejo de la Fundación. Cabe destacar que, debido a la alta complejidad de los edificios históricos y a los requisitos legales que deben cumplirse, estos proyectos requieren una preparación a largo plazo y no se pueden tomar decisiones sobre medidas de restauración de forma inmediata. La restauración del Palacio Cecilienhof está prevista para completarse a lo largo del año 2027.

Y sobre todo: ¿Por qué precisamente ahora, en vista del 80.º aniversario de los Acuerdos de Potsdam, se cierra el palacio?

Por esta razón, con motivo del 75.º aniversario de la firma del Acuerdo de Potsdam en 2020, la SPSG presentó la exitosa exposición especial "Conferencia de Potsdam – El nuevo orden mundial" en el Palacio Cecilienhof, cuya duración fue extendida hasta el 31 de octubre de 2021. Hasta el 31 de octubre de 2024 aún es posible visitar el palacio.

Ya con motivo del 70.º aniversario del Acuerdo de Potsdam, la SPSG había ofrecido numerosas visitas guiadas especiales sobre el tema.

¿Tenían realmente planes para este aniversario?

La SPSG conmemorará el el 80.º aniversario del Acuerdo. La planificación para ello aún está en curso.

 
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Inizio messaggio inoltrato:
Da: "Beogradski forum za svet ravnopravnih - Beograd, Srbija" <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.>
Oggetto: APPEAL / 80 years since the victory over fascism
Data: 9 aprile 2025 13:20:38 CEST
 

May 9, 2025, will mark 80 years since the glorious victory of the Allies over Nazi-Fascism, the greatest evil in the history of civilization. Serbia and the Serbian people made a tremendous contribution to that victory and, along with the Russian and Polish peoples, suffered the most casualties for the freedom of Europe and the world. On this occasion, independent, non-partisan, non-profit associations – Belgrade Forum for a World of Equals, The Club of Generals and Admirals of Serbia, Fund Diaspora for the Motherland, SUBNOR Serbia (Union of WWII Veterans) and The Association of Military Intelligence Veterans, send the following

  A P P E A L  

We call on all patriotic associations, organizations and individuals to dedicate this year to paying their deepest respects to the hundreds of thousands of casualties of the Serbian struggle for freedom, heroes and fighters for national liberation, as well as millions of civilian casualties. Their suffering, sacrifices and merits oblige present and future generations to eternally remember, preserve and strengthen the legacy of freedom, independence and dignity. Remembering and respecting the historical truth and the enormous human sacrifices is a prerequisite for others to respect Serbia and the Serbian people, its rights and interests, at present and in the future.

We welcome the upcoming participation of Serbia, at the highest level, and the Serbian Armed Forces in the solemn celebration of the anniversary of the victory over Nazi-Fascism in Moscow. The historical truth is that the greatest contribution to the victory over Nazi-Fascism was made by the Soviet Red Army, and we demand a resolute opposition to any attempt to belittle or underestimate its historical role in that victory. Along with the units of the People's Liberation Army and the Partisan Detachments of Yugoslavia, it made an immeasurable contribution to the final operations for the liberation of Yugoslavia and Belgrade. We express our deepest gratitude and bow to the memory of over 10,000 Red Army soldiers who gave their lives in that common struggle.

The participation of young people and their associations in marking this glorious anniversary is a prerequisite for the heroic liberators and their sacrifice to always be remembered and respected. The commemoration program should take place throughout the year and be incorporated into the curricular and extracurricular activities of all students, as well as into the programs of information, publishing, scientific and cultural institutions.

We express our deepest concern about the systematic efforts of certain global powers to revise history by minimizing the responsibility of Nazi-Fascism for causing World War II, for genocide against other peoples, including the genocide against the Serbian people, for crimes against peace and humanity, for ethnic cleansing and the enormous destruction that has set Europe and all of humanity back.

We condemn all attempts to equate the bearers of Nazi-Fascism, occupiers and their proxies with the liberators and victors over Hitler's Nazi-Fascism. We are deeply concerned by the trend of the revival of Neo-Nazism and Neo-Fascism that, under the guise of anti-communism and democracy, is taking place on the European continent, in which certain European institutions such as the European Parliament, the Parliamentary Assembly of the Council of Europe and others are taking part. In former Yugoslavia, this trend is reflected in the decades-long revival of the Ustashe ideology as a branch of Nazi-Fascism responsible for the genocide against the Serbian people and in the association and favoring of former members of the Axis Powers on an anti-Serbian basis.

We call on educational, scientific, cultural and information institutions and organizations to pay greater attention to preserving historical truth and affirming the civilizational achievements of the victory over German Nazi-Fascism, in particular, to valuing the immense contribution of Serbia and the Serbian people to the Allied cause. At the same time, everyone, in accordance with their place and role in society, has an obligation to resolutely oppose any attempt to falsify history. This we owe to the enormous casualties who are a part of our national identity and a guarantee of respect for Serbs and Serbia in international relations.

Writing and printing textbooks about this must not be treated as a market issue, but exclusively as a matter of education and should be treated as the primary responsibility of the state. When it comes to educational programs, it is the obligation of relevant state authorities to ensure an appropriate and verified presentation of the history of the First and Second World Wars, as well as the NATO aggression of 1999.

The role and contribution of Serbia and the Serbian people in the Allied victory, in opposing the policy of aggression and dominance, in the struggle for respecting international law, and in particular, the principle of equality in sovereignty, make Serbia and the Serbian people unique in Europe. This invaluable heritage must be affirmed and defended from all deceptions and attacks, from outside and within.

We call on relevant state institutions to adopt a document on the genocide of the Serbian people during World War II, to erect a Serbian Memorial to the victims of genocide in the 20th century, and to complete the "Eternal Flame" monument to the casualties of NATO aggression in the Park of Friendship, New Belgrade.

We advocate for initiating a claim for war reparations from the NATO aggressor.

We call on citizens' associations, local government institutions, as well as cultural and educational organizations to restore and preserve monuments to fallen soldiers and civilian casualties of the Nazi-Fascist occupation, to give or restore the names of streets, cultural centers, libraries and other institutions in honor of heroes in the struggle against fascism, as well as all those who defended the country from NATO aggression.

Despite its setbacks and manipulations, the United Nations, founded 80 years ago as a result of the victory over Nazi-Fascism, has played a positive role in promoting dialogue, human rights, development and peaceful resolution of conflicts. We advocate for the reform and strengthening of the UN to reflect the profound changes in global relations and ensure a more balanced representation of the world's regions and humanity's aspirations for a new, democratically organized order of countries that are treated as equals.

Responsibility for peace, development and the future of humanity cannot be expressed through the egoism of the "exceptional", warmongering policies and a senseless arms race. We call for dialogue, coexistence and investment in a better life, schools and hospitals instead of means of mass murder and self-destruction.

We advocate for: preserving and strengthening alliances from the world wars and proven strategic partnerships; for the creation of a fair world order, non-interference and coexistence, in which everyone is the master of their own destiny and national wealth; for a new security architecture in Europe based on respect and mutually beneficial cooperation for everyone; for arms control, peaceful resolution of international disputes and conflicts through elimination of their causes; for raising the policy of Serbia's active neutrality to a constitutional level; for a balanced international position of Serbia, with the development of relations and cooperation with all important factors in world relations based on the principles of equality; for resolving the issue of the autonomous province of Kosovo and Metohia in accordance with UN Security Council Resolution 1244 and the annulment of all acts contrary to that Security Council decision and the Constitution of Serbia; for resolving the crisis in Bosnia and Herzegovina in accordance with the Dayton-Paris Agreement, respecting the original (acquired) rights of Republika Srpska, as well as for the immediate abolition of the outdated institution of the High Representative.

Belgrade, April 7, 2025

Belgrade Forum for a World of Equals

Club of Generals and Admirals of Serbia

Fund Diaspora for the Motherland

SUBNOR Serbia (Union of WWII Veterans)

Association of Military Intelligence Veterans of Serbia

 
БЕОГРАДСКИ ФОРУМ ЗА СВЕТ РАВНОПРАВНИХ
Website: www.beoforum.rs