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COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA JUGOSLAVIA - onlus
ITALIJANSKA KOORDINACIJA ZA JUGOSLAVIJU


Chi vuole
balcanizzare la Cina
La Cina squartata dal Partito Radicale
e perché




Sulle questioni cinesi, a partire dal 2018 si vedano anche gli
articoli contrassegnati con il tag CINA
sul nostro nuovo sito internet




INDICE
(IN ORDINE CRONOLOGICO):


1. Cosa ha a che fare la CIA con il Dalai Lama?
di Sara Flounders (1999)

2. Il mito del Tibet
di Enrica Collotti Pischel (2000)

3. Menzogne americane sul Tibet e sul Dalai Lama
Michele - Risiko (2003)

4. Tibet: le vere intenzioni degli Stati Uniti
dal Quotidiano del Popolo (2003)

5. Chi è il Dalai Lama?
di Domenico Losurdo (2004)

6. The final enemy / Il nemico ultimo
I radicali trans-nazionalisti di Pannella vogliono squartare la Cina come la Jugoslavia

7. "Feudalesimo bonario". Il mito del Tibet / Le mythe du Tibet
par Michaël Parenti (2005).
Les moines bouddhistes ont-ils toujours été si 'pacifiques » ? Comment vivait le peuple sous leur domination ? Quel rôle la CIA a-t-elle joué au Tibet ?

8. La CIA sponsor du Dalaï Lama / La CIA sponsor del Dalai Lama
par Jean-Paul Desimpelaere (2006)


9. Ce que le Dalaï Lama ne dit pas sur le Tibet et sur sa doctrine
par Elisabeth Martens. Présentation du livre « Histoire du Bouddhisme tibétain, la Compassion des Puissants » (2007)


10. Il Tibet, la Cina e i Lama-party della sinistra “radical”
di Sergio Ricaldone (dicembre 2007)

11. L'ex resp. esteri di Herri Batasuna scrive sul Tibet...
di José Antonio Egido (2004-2008)

12. Washington gioca alla “Roulette Tibetana” con la Cina
di F. William Engdahl (aprile 2008)
The url address of the original article is:
www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8625

13. “L’operazione psicologica” dei diritti umani del Tibet
di Michel Chossudovsky (aprile 2008)
The original text of this article, enriched with maps, photos and hyperlinks:
China and America: The Tibet Human Rights PsyOp - by Michel Chossudovsky
is to be found at Global Research, April 13, 2008:
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8673

14. Tibet: lanceranno gli USA una nuova guerra segreta sotto il «tetto del mondo»?
di Andrej Areshev (marzo 2008)
The url address of the original article is:
Тибет: развернут ли США новую тайную войну «под крышей мира»?
http://www.fondsk.ru/article.php?id=1289
Tibet: Will the USA Launch a New Secret War “Under the Roof of the World”?
http://en.fondsk.ru/article.php?id=1289

15. Le Dalai Lama champion de la non-violence?
par Domenico Losurdo (août 2008)

16. DAL TIBET ALLO XINJIANG, IL COPIONE ANTICINESE NON CAMBIA
 di Roberto Sidoli, Sergio Ricaldone e Massimo Leoni (luglio 2009)


17. 28 marzo 2010: pietra miliare nella storia mondiale dei diritti umani

The url address of the original article is:
March 28, great monument in history of world's human rights

http://chinatibet.people.com.cn/96056/6933800.html


18.
Tiananmen Square ‘massacre’ was a myth / Il “massacro” di piazza Tienanmen è stato un mito
by Deirdre Griswold / WW Jun 29, 2011

19. Intervento del PdCI sulla vicenda tibetana
di Fabio Nobile, 4 marzo 2012



Iniziative ed appelli:

Un'indegna campagna di demonizzazione della Repubblica Popolare Cinese è in corso
Appello di intellettuali contro il razzismo anticinese (promosso da Losurdo, Vattimo ed altri, aprile 2008)
http://www.appellocina.blogspot.com/
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5994


Libri e fonti di informazione:

TIBET LIBERO? Rapporti sociali e ideologia nel Paese del Lamaismo reale, di Albert Ettinger
Frankfurt: Zambon, 2016
17x24 cm, 272 pagine con foto 25,00 € ISBN 978-88-98582-31-0

The Historical Status of Tibet, China
China Intercontinental Press, 1997
("Il testo esamina storicamente la vicenda del popolo tibetano dai primi contatti durante la dinastia Tang a oggi, con dovizia di dettagli e con uno spessore raramente riscontrabile nella pubblicistica occidentale sull'argomento. Di particolare interesse il capitolo 5 relativo alla costruzione del mito dell'"indipendenza tibetana" e il capitolo 8 relativo al rispetto dei diritti umani in Tibet sotto il regime lamaista feudale, ma nel complesso tutto il libro è interessante."  P. Selmi)
http://www.tibetinfor.com/english/services/library/serialise/h_status/menu.htm


Tibet and the CIA’s anti-China crusade
Workers' World Publishers, USA 2008 - 18 pp, 5$
http://leftbooks.com/store/product273.html
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5994


I link:

VIDEO: Il Dalai Lama pagato dalla CIA fin dagli anni '60 / RT Interview to Webster Tarpley
http://www.youtube.com/watch?v=RmTysDtKd94

http://maxarifay.wordpress.com/?s=Tibet - Articoli sulla Cina dal blog di Massimiliano Arif Ay
http://www.lacinarossa.net/ - La Cina Rossa

http://www.polonews.info/ - La Cina raccontata dai cinesi ai cinesi (centinaia di articoli cinesi tradotti in italiano)
http://groups.yahoo.com/group/csgboston/ - China Study Group / Boston
http://english.people.com.cn/ - People's Daily (Il Quotidiano del Popolo, in inglese)
http://english.cctv.com/live/ - CCTV (la televisione satellitare cinese, in inglese)
http://www.infochina.be/fr - infochina.be


Gli articoli di Enrica Collotti Pischel
:

CINA - NATO - USA (su Giano del 15/05/2000)
http://www.lernesto.it/strutture/articolo.asp?codart=869

LA CINA, ''L'ULTIMO PAESE SOVRANO'' (su Giano del 15/9/2001)
http://www.lernesto.it/strutture/articolo.asp?codart=867


Altri articoli segnalati:

Xinjiang: X la strategia americana del kaos
“La politica di guidare l'evoluzione dell'Islam e di aiutare gli islamisti contro i nostri avversari ha funzionato meravigliosamente bene in Afghanistan contro i russi. Le stesse dottrine possono ancora essere utilizzate per destabilizzare ciò che rimane del potere russo, e soprattutto per contrastare l'influenza cinese in Asia centrale”. Graham E. Fuller, 1999, architetto chiave della CIA per la strategia degli Stati Uniti sull'Islam
(Giambattista Cadoppi, 3 Gennaio 2020)

Xinjiang: le fake news dell'Impero
(Giambattista Cadoppi, 31 Ottobre 2019)

Un manifesto di guerra.
Sul Premio Nobel a Liu Xiaobo
(Domenico Losurdo su Junge Welt del 10/12/2010 - anche su JUGOINFO)

Carta 08 dei “diritti umani”: un tentativo di controrivoluzione in Cina
(Heinz Dieterich, www.rebelion.org del 09/12/2010 -
anche su JUGOINFO)

Il Nobel della guerra ai signori del «Nobel per la pace» / Perché Liu Xiaobo ha conseguito il «Premio Nobel per la pace»
(Domenico Losurdo, ottobre 2010 - anche su JUGOINFO)

La geopolitica di Internet
(Domenico Losurdo - pubblicato su «Belfagor. Rassegna di varia umanità», diretta da Carlo Ferdinando Russo, 31 luglio 2010, pp. 489-494)
http://domenicolosurdo.blogspot.com/2010/09/la-geopolitica-di-internet.html

Concezione del Diritto e transizione al socialismo nella Repubblica Popolare Cinese
Intervista ad Oliviero Diliberto, segretario nazionale PdCI, di ritorno da Pechino - a cura di Andrea Catone - da L'Ernesto n.5-6/2009
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=get_filearticolo&IDArticolo=18551


Tienanmen 20 anni dopo
(Domenico Losurdo, giugno 2009)
http://domenicolosurdoblogtienanmen.blogspot.com/2009/06/tienanmen-20-anni-dopo.html
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6438

Mi dispiace, ma non mi commuovo per il Dalai Lama!

(Massimiliano Ay, marzo 2008)
http://www.resistenze.org/sito/te/po/ci/poci8c22-002838.htm
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5989


Dalai Lama, l'ambasciatore cinese contro Bertinotti
(l'Unità del 18/12/2007)
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=16411
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5813


Il Dalai Lama: "Dico no all’omosessualità. E Bush mi piace"
(La Stampa, aprile 2006)
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200604articoli/3820girata.asp
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5989

LA PROTESTA TIBETANA I MONACI E LA MODERNITÀ
(Sergio Romano sul CdS del 10 aprile 2008)
http://archiviostorico.corriere.it/2008/aprile/10/PROTESTA_TIBETANA_MONACI_MODERNITA_co_9_080410008.shtml
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5994

Il politologo Bricmont: Tibet e Kosovo, diritti umani o ingerenza camuffata?
(Il manifesto, 11 aprile 2008)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5994

Istruzione ed Università in Tibet. L'Università "Xizang Daxue"
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5994

La "Sinistra" smarrita nell'Altopiano Tibetano
(di Michele Franco, da Contropiano)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5994


More articles in english:



The Chinese Opposition's Foreign Hub

With its professionally choreographed reception of Hong Kong activist Joshua Wong, Berlin is presenting itself to the international public as the Chinese opposition's foreign hub. Wong was personally welcomed in Berlin by the Foreign Minister, and, he demanded at the Federal Press Conference that action be taken against China. Germany has already granted asylum to two other dissidents from Hong Kong, who had been calling for the city's secession from China and have been indicted for their participation in riots. For decades, Uighur separatist associations have had their foreign operational base in the Federal Republic of Germany, including one accused of participating in preparations of the pogrom-like riots, which claimed the lives of nearly 200 people. German politicians are supporting Tibetan separatists as well - seeing them as a point of leverage for weakening the People's Republic of China. A Chinese writer, who called China a "pile of garbage," was awarded the Peace Prize of the German Book Trade...

German Foreign Policy - 2019/9/12
https://www.german-foreign-policy.com/en/news/detail/8044/


The Nobel Peace Prize and Liu Xiaobo

Who is Liu Xiaobo and why was he given this year’s Nobel Peace Prize? To understand this, it’s necessary to know the history of the prize and how it came about...

By Deirdre Griswold. Workers World Nov 23, 2010
http://www.workers.org/2010/world/nobel_war_prize_1202/
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6934

Germany Versus China (III)

BERLIN/BEIJING (Own report) - On the eve of the announcement of this year's Nobel Peace Prize laureate, German media have declared a Chinese "dissident" to be their favorite candidate. According to the German press, "it would be a courageous signal", if the Nobel Committee awards the prize to Liu Xiaobo, the Honorary President of the Chinese Pen Center. Liu has been calling, among other things, for the far reaching privatization of state property in China, including the land that had been reapportioned to small farmers under the land reform. Since the beginning of the 1990s, German government circles, party foundations and NGOs have increasingly been using the so-called dissidents as a means of applying pressure on Beijing. Regardless of their concrete political demands, "dissidents" are presented to the German public as "human rights activists" to stir up anti-Beijing sentiments. Even though they currently have no influence in their country, these "dissidents" are being kept at the ready, as potential cooperation partners for the case of a change of system in China. In this third part of the series on Germany's strategy towards China, german-foreign-policy.com describes the Chinese "dissidents'" role in Berlin's foreign policy...

German Foreign Policy - 2010/10/07
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/57877

Federal Republic of China

BERLIN/BEIJING (Own report) - Berlin is unanimously cheering the fact that this year's Nobel Peace Prize was awarded to Liu Xiaobo. Already in the past, Chancellor Merkel has taken initiatives in favor of this Chinese "dissident" demanding his release from prison and will continue to do so, declared a spokesperson for the German government. Liu received the prize for his "struggle for fundamental human rights in China", writes the German Ministry of Foreign Affairs. As a matter of fact, Liu is demanding nothing less than the overthrow of the People's Republic of China. Unlike petitions from other Chinese "dissidents", the "Charter 08," which he co-authored, is no human rights resolution, but rather a comprehensive political program, seeking a fundamental transformation of China. Among the demands is the creation of a federal state, such as the Federal Republic of Germany, a complete rupture with the Chinese state tradition covering several millennia. In addition the program calls for the reversal of all nationalization measures, taken since the founding of the People's Republic. This would mean rescinding the land reform that has assured the small farmers' existence to this day and the fulfillment of the demands of Western companies seeking to expand to China...

German Foreign Policy - 2010/10/11
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/57878

Alliance against Beijing

BERLIN/BEIJING (Own report) - German parliamentarians announce they will intensify their support for forces in China struggling against the central government in Beijing. The "Tibet Discussion Group in the German Bundestag" announced its plans to put the Tibet issue on the agenda in the aftermath of this year's Bundestag elections. Parliamentarians should become also more "involved" in the anti-Chinese activities of Tibetan activists, according to the discussion group's plan for the next legislature. Their main objective is to "enhance the public perception" of western China's Tibet autonomous region, where separatists are seeking to withdraw from Beijing's government control. Other German foreign policy organizations, such as the Friedrich Naumann Foundation affiliated with the Free Democratic Party (FDP), continue their support for the Tibetan "Exile Government" in Dharamsala (India). Accompanying the current Xinjiang campaign, these activities could soon again draw more public attention: The Dalai Lama is due to arrive for talks in Germany in July and the corresponding media coverage can be expected. Important Uyghur forces are seeking an open alliance with the Dalai Lama against Beijing - with German backing.

German Foreign Policy - 2009/07/24
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56267


Smash China

BERLIN/BEIJING/DHARAMSALA (Own report) - At a conference of more than 600 exiled Tibetans that began Monday at the seat of Tibet's self-proclaimed "exile government" in Dharamsala (India), a long-time employee of the Heinrich Boell Foundation (affiliated with Germany's Green Party) was demanding a radicalization of the Tibetan secessionist policy. This meeting will decide on the Tibetan secessionist strategy for the next few years. The Berlin-based Green-affiliated activist demanded, that the Tibet movement no longer formally be fighting for autonomy, but rather for the secession of this territory. In Dharamsala, this demand is becoming more popular. In spite of unambiguous radicalization tendencies, several German politicians and political organizations, for example the party affiliated foundations of the Green Party and the Free Democratic Party (FDP), are maintaining their contacts to the Tibetan exile institutions and supporting their structures. The Heinrich Boell Foundation explains that its presence and capacity to "moderate" is important precisely because of a threatening escalation. German participation in future conflicts taking place in Western China will therefore be insured.

German Foreign Policy - 2008/11/19
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56203

The Olympic Torch Relay Campaign

A German Foreign Ministry front organization is playing a decisive role in the preparations of the anti-Chinese Tibet campaign. According to this information, the campaign is being orchestrated from a Washington based headquarters. It had been assigned the task of organizing worldwide "protests" at a conference organized by the Friedrich Naumann Foundation (affiliated with the German Free Democratic Party - FDP) in May 2007. The plans were developed with the collaboration of the US State Department and the self-proclaimed Tibetan Government in Exile and call for high profile actions along the route of the Olympic Torch Relay and are supposed to reach a climax in August during the games in Beijing...

German Foreign Policy - 2008/04/08
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56145
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5992

The Olympic Lever

Berlin is using the upheaval in the western region of the People's Republic of China to pursue its campaign of attrition against Beijing...

German Foreign Policy - 2008/03/17
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56143

Strategies of Attrition

The German chancellor is reinforcing Berlin's special relationships to Chinese separatists, in spite of Beijing's massive protests. The Dalai Lama had talks in the German Chancellery, for the first time, Sunday, Sept. 23. He is the leader of a self-proclaimed Tibetan exile government, with its headquarters in India, which is calling for the secession of Tibet from the Peoples Republic of China or at least special rights in accordance with the German model of "autonomy." The Dalai Lama is a western ally, helping to weaken Beijing and hamper its rise to the status of world power. For decades he has been enjoying the cross-party sympathy in Germany and is receiving support from conservatives, liberals and Greens alike...
... According to comments made by the Prime Minister of Hesse, Roland Koch (CDU), Angela Merkel's meeting with the Dalai Lama is only the beginning of large scale interference into China's internal affairs, that also should incite other Western states to give up their reservations. Berlin considers the moment particularly favorable for activities to weaken Beijing, because as the host of next year's Olympic games, the People's Republic is restricted in its capacity to retaliate. Berlin's Tibet activities are part of a cross party general consensus and are in line with old traditions of German foreign policy, that, already in the 1930s and 1940s, considered Lhasa as an important base for interfering in Central Asia. The German-Tibetan contacts, that were established at the time, have not only outlived World War II, but are still functioning today...
... Last weekend, parliamentarians of the Germanophonic minority in Northern Italy ("South Tyrol") visiting the headquarters of the Tibetan "exile government" in India, declared Tibet's being part of the People's Republic of China to be "illegal" and called for the secession of this Western Chinese autonomous region. South Tyrolean public authorities are collaborating with forefront organizations of German foreign policy and have been counseling the "exile government" for several years on questions of German "Volksgruppen" (ethnic group) policies. A member of the current delegation is demanding the secession of "South Tyrol" along the lines of the Montenegrin model. These attacks on China's territorial integrity are coming just a few days after the German government launched its anti-Chinese offensive. Berlin is supporting Tibetan separatists also through large scale lobbying in Mongolia and is seeking to pit the populations of all autonomous regions in Western and Northern China against the central government. Similar political concepts date back to the 1920s and are being echoed still today in Japan, the former Axis partner of the German Reich, and China's fiercest rival.

German Foreign Policy - 24.09 / 27.09 / 02.10.2007

http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56094
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56097
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56098


Violence needed to fight terror: Buddha's man of peace

By Laurie Goodstein (New York)
from "The Age" - Friday, September 19, 2003

http://www.theage.com.au/articles/2003/09/18/1063625159989.html
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3153


Dalai Lama a 'Nazi Dupe Who Succumbed to Hitler'

The Dalai Lama has been branded as a Nazi dupe who fell prey to "certain influences" of the Hitler regime as a schoolboy. Mainland media denounced the Tibetan Nobel Prize laureate as a follower of German fascists after disclosures that the Dalai Lama's former mathematics teacher was a member of the Nazi SS...

Friday, October 03, 1997 -- South China Morning Post
TOM KORSKI in Beijing

http://www.amgroup.com/jue/chinanews/archives/docs/971003d.html
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3153



Weitere Artikeln auf deutscher Sprache:

Der Nobelpreiskampf

BERLIN/WASHINGTON/BEIJING (Eigener Bericht) - Mit starkem Druck reagieren Berlin und Brüssel auf den Boykott der Friedensnobelpreis-Verleihung durch mehrere verbündete Staaten. Es gehe nicht an, dass Serbien der heutigen Zeremonie fernbleibe und sich damit auf der Seite Chinas positioniere, verlautbart die EU-Kommission. Die außenpolitische Unbotmäßigkeit stelle Belgrads EU-Beitrittsprozess in Frage...

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 10.12.2010
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57965
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6934


China: Friedensnobelpreis läuft ursprünglichem Ziel zuwider

Bald wird der Friedensnobelpreis 2010 verliehen. In diesem Jahr wird dies weltweit mit großer Aufmerksamkeit verfolgt, weil der Preis dem Chinesen Liu Xiaobo erteilt wird, der von chinesischen Justizbehörden verurteilt wurde... (China Radio International, 2010-12-09)


http://german.cri.cn/1565/2010/12/09/1s148815.htm
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6934


Nicht hart genug

Hintergrund: Wer ist Liu Xiaobo? (von Domenico Losurdo)


http://www.jungewelt.de/2010/12-10/035.php

Der Kriegsnobelpreis

Die Herrschaften, die den »Friedensnobelpreis« vergeben, verdienen eine Auszeichnung (von Domenico Losurdo)

http://www.jungewelt.de/2010/12-10/034.php

Deutschland gegen China (IV)

BERLIN/BEIJING (Eigener Bericht) - In arbeitsteiliger Weise nutzt Berlin die parteinahen deutschen Stiftungen zur Durchsetzung seiner Ziele in der Volksrepublik China. Sämtliche Stiftungen der etablierten Berliner Parlamentsparteien sowie die Hans-Böckler-Stiftung des Deutschen Gewerkschaftsbundes sind in China involviert; außer der FDP-nahen Friedrich-Naumann-Stiftung, die nach einem Eklat wegen Unterstützung separatistischer Tendenzen 1996 ihr Büro in Beijing schließen musste, sind sie alle mit einer eigenen Niederlassung in China präsent...

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 2.12.2010

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57959


Bundesrepublik China

BERLIN/BEIJING (Eigener Bericht) - Einhellig bejubelt Berlin die Vergabe des diesjährigen Friedensnobelpreises an Liu Xiaobo... Die von ihm mitverfasste "Charter 08" ist (...) keine Menschenrechtsresolution, sondern vielmehr ein umfassendes politisches Programm, das eine grundsätzliche Umgestaltung Chinas verlangt, darunter den Aufbau eines föderativen Bundesstaates nach dem Modell der Bundesrepublik Deutschland, der vollständig mit jahrtausendealten chinesischen Staatstraditionen bricht. Zudem sollen sämtliche seit der Gründung der Volksrepublik vollzogenen Nationalisierungsmaßnahmen rückgängig gemacht werden; dies beinhaltet die Übergabe des seit Jahrzehnten von Kleinbauern genutzten Landes an einstige Großgrundbesitzer...

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 11.10.2010

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57917


Deutschland gegen China (III)

BERLIN/BEIJING (Eigener Bericht) - Vor der morgigen Bekanntgabe des diesjährigen Friedensnobelpreisträgers erklären deutsche Medien einen chinesischen "Dissidenten" zum Favoriten...

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 07.10.2010
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57913


Deutschland gegen China (II)

BERLIN/BEIJING (Eigener Bericht) - Mit Blick auf das anhaltend boomende deutsche Chinageschäft plädieren maßgebliche Kreise aus der deutschen Wirtschaft und Politik für einen kooperativeren Umgang mit Beijing. Angesichts neuer Großprojekte wie etwa des neuen VW-Werkes in Shanghai, das das Wolfsburger Stammwerk als größte Autofabrik der Welt ablöst, müsse man stärkere Rücksicht auf die Belange der Volksrepublik nehmen, heißt es in Berlin...

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 22.09.2010
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57900


Deutschland gegen China (I)

BERLIN/BEIJING (Eigener Bericht) - Mit Blick auf die zunehmende Bedeutung Chinas für das Wachstum der deutschen Wirtschaft debattieren die deutschen Eliten über den künftigen Umgang mit Beijing...

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 02.09.2010
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57885


Bündnis gegen Beijing

BERLIN/BEIJING (Eigener Bericht) - Deutsche Parlamentarier kündigen stärkere Unterstützung für gegen Beijing gerichtete Kräfte in China an. Wie der "Tibet Gesprächskreis im Deutschen Bundestag" mitteilt, plant er, nach den diesjährigen Wahlen die Tibet-Thematik ins deutsche Parlament einzubringen. Auch sollten die Abgeordneten stärker in Aktionen antichinesischer Tibet-Aktivisten "eingebunden" werden, heißt es in einem Ausblick des Gesprächskreises auf die nächste Legislaturperiode. Hauptziel sei "eine deutlichere öffentliche Wahrnehmung" für die Autonome Region Tibet im Westen Chinas, die Separatisten der Kontrolle Beijings entziehen wollen. Weitere Organisationen der deutschen Außenpolitik, etwa die Stiftung der FDP (Friedrich-Naumann-Stiftung), setzen ihre Zuarbeit für die tibetische "Exilregierung" in Dharamsala (Indien) fort. Die Aktivitäten begleiten die aktuelle Xinjiang-Kampagne und können bald erneut auf größere öffentliche Aufmerksamkeit hoffen: Ende Juli trifft der Dalai Lama zu Gesprächen in Deutschland ein, mit einigem Medienecho wird gerechnet. Maßgebliche Kräfte der Uiguren suchen den Dalai Lama für ein offenes Bündnis gegen Beijing zu gewinnen - mit Rückendeckung aus Deutschland.

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 24.07.2009
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57585


Die Zukunft Ost-Turkestans

Berlin nutzt die Unruhen in der westchinesischen Region Xinjiang zu scharfen Attacken gegen Beijing. ... Die uigurischen Separatisten, die am Wochenende mit einem antichinesischen Pogrom die mörderischen Unruhen in Gang gesetzt hatten, unterhalten bereits seit Jahren enge Verbindungen nach Deutschland. Federführend ist der World Uyghur Congress in München, der im Westen um Unterstützung für die uigurische Sezessionspolitik wirbt. Die Organisation hat im Mai auf ihrer jüngsten Generalversammlung in Washington ihre nächsten Schritte festgelegt. Sie findet auch im Auswärtigen Amt Gehör. Der World Uyghur Congress hat kurz vor den aktuellen Unruhen zu Kundgebungen gegen Beijing aufgerufen. Berichten aus China zufolge trägt er Verantwortung für die blutige Gewalt am Wochenende.

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 07.07.2009
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57570

Die Ereignisse auf dem Tiananmen-Platz in Peking 20 Jahre danach

Von Domenico Losurdo - Juni 2009
http://www.jungewelt.de/2009/06-04/017.php
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6438

China zerschlagen

BERLIN/BEIJING/DHARAMSALA (Eigener Bericht) - Ein langjähriger Mitarbeiter der Heinrich-Böll-Stiftung (Bündnis 90/Die Grünen) fordert eine Radikalisierung der tibetischen Sezessionspolitik. Anlass ist ein Treffen von mehr als 600 Exiltibetern am Sitz der selbsternannten "Exilregierung" Tibets in Dharamsala (Indien), das am Montag begonnen hat. Die Versammlung wird über die tibetische Sezessionsstrategie der kommenden Jahre entscheiden. Wie der in Berlin ansässige Aktivist aus dem Grünen-Milieu verlangt, soll die Tibet-Bewegung nicht mehr formal für Autonomie, sondern offen für die Abspaltung des Gebietes kämpfen. Dies stößt in Dharamsala in zunehmendem Maße auf Sympathie. Mehrere deutsche Politiker und Polit-Organisationen halten trotz der unverkennbaren Radikalisierungstendenzen Kontakt zur tibetischen "Exilregierung" und stützen deren Strukturen, so die Parteienstiftungen von Bündnis 90/Die Grünen und FDP. Gerade angesichts einer drohenden Eskalation sei es wichtig, präsent zu sein und "vermitteln" zu können, heißt es bei der Heinrich-Böll-Stiftung. In künftigen Konflikten in Westchina ist damit für deutsche Beteiligung gesorgt.

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 19.11.2008
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57395

Die Fackellauf-Kampagne

Eine Vorfeldorganisation der Berliner Außenpolitik ist maßgeblich in die Vorbereitung der aktuellen antichinesischen Tibet-Kampagne involviert... Die Unruhen begannen mit mörderischen pogromartigen Überfällen tibetischer Banden auf nicht-tibetische Bevölkerungsteile...

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 08.04.2008
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57200

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5992

Der Olympia-Hebel

Berlin bedient sich der Unruhen im Westen der Volksrepublik China zur Fortsetzung seiner Schwächungskampagne gegen Beijing...

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 17.03.2008
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57191

Schwächungsstrategien (I-II-III-IV)

Trotz heftiger Proteste Beijings stärkt die deutsche Kanzlerin die Berliner Sonderbeziehungen zu chinesischen Separatisten. Zum ersten Mal hat am gestrigen Sonntag der Dalai Lama Gespräche im Bundeskanzleramt geführt. Er leitet eine selbsternannte tibetische Exilregierung mit Sitz in Indien, die die Sezession Tibets aus der Volksrepublik China, ersatzweise Sonderrechte nach deutschen "Autonomie"-Modellen verlangt. Der Dalai Lama gehört zu den Verbündeten des Westens, mit deren Hilfe Beijing geschwächt und am Aufstieg zur Weltmacht gehindert werden soll. Seit Jahrzehnten genießt er in der Bundesrepublik überparteiliche Sympathie und wird gleichermaßen von Konservativen, Liberalen und Grün-Alternativen unterstützt...
... Die Zeit sei günstig für Aktivitäten zur Schwächung Beijings, da die Volksrepublik im kommenden Jahr Gastgeberin der Olympiade ist und daher nur eingeschränkt handlungsfähig sei, heißt es in der deutschen Hauptstadt. Die Berliner Tibet-Aktivitäten gehören zu einem überparteilichen Generalkonsens und folgen alten Traditionen der deutschen Außenpolitik, die bereits in den 1930er und 1940er Jahren Lhasa als wichtigen Stützpunkt für Einflussmaßnahmen in Zentralasien betrachtete...
... Hochrangige Vertreter der deutschsprachigen Minderheit Norditaliens ("Südtiroler") erklären die Zugehörigkeit Tibets zur Volksrepublik China für "illegal" und fordern die Sezession des westchinesischen Autonomiegebiets. Entsprechende Verlautbarungen erfolgten am vergangenen Wochenende bei einem Besuch norditalienischer Parlamentarier in Indien, wo die "Exilregierung" Tibets ihren Sitz hat. Die "Südtiroler" Behörden, die die "Exilregierung" seit mehreren Jahren über deutsche "Volksgruppen"-Politik beraten, kooperieren mit Vorfeldorganisationen der Berliner Außenpolitik. Ein Mitglied der aktuellen Besuchsdelegation verlangt auch die Sezession "Südtirols" nach montenegrinischem Modell. Die gegen die territoriale Integrität Chinas gerichteten Vorstöße erfolgen wenige Tage nach dem Start einer antichinesischen Offensive der Bundesregierung, die die Unterstützung tibetischer Separatisten mit breit angelegten Einflussmaßnahmen in der Mongolei verknüpft und die Bevölkerung aller Autonomieregionen West- und Nordchinas gegen die Zentralregierung in Stellung bringen soll...
Wie der "Weltkongress der Uiguren" (Sitz: München) mitteilt, wird seine Präsidentin Rebiya Kadeer unter anderem im Auswärtigen Amt empfangen. Die Uiguren sind eine muslimische Minderheit aus der Autonomen Region Xinjiang (Westchina), sie streben die Sezession ihrer Wohngebiete ("Ost-Turkestan") aus der Volksrepublik China an. Rebiya Kadeers Auftritt in der deutschen Hauptstadt ist publizistisch sorgfältig vorbereitet und geschieht in Übereinstimmung mit Maßnahmen der USA. Kurz nach dem Besuch des Dalai Lama im Kanzleramt intensiviert Berlin damit die Sezessionsoffensive gegen Beijing...

[ La cancelliera della coalizione destra-sinistra, Angela Merkel, ha iniziato un rapporto "diplomatico" diretto con il Dalai Lama. A ruota, rappresentanti separatisti sudtirolesi hanno fatto visita al "governo tibetano in esilio", in India... Il Tibet non è l'unico "piede di porco" usato dagli strateghi tedeschi per spaccare la Cina: la Germania ha instaurato rapporti "diplomatici" ufficiali anche con il "Congresso Mondiale degli Uiguri"...]

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 24.09 / 27.09 / 02.10 / 22.10.2007

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57013
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57017
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57023
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57047


Härtere Gangart

Die Heinrich-Böll-Stiftung Hessen widmet sich dem "Selbstbestimmungsrecht der Tibeter" und stellt die territoriale Integrität der VR China in Frage. (...) Wie es in einem Aufruf des politischen Oberhaupts der tibetischen Separatisten heißt, gebühre der Europäischen Union und den Vereinigten Staaten die "Führung", um gegen Beijing vorzugehen. In der vergangenen Woche beschloss der US-Kongress, dem Dalai Lama die "Congressional Gold Medal" und damit die höchste Auszeichnung zu verleihen, die eine Privatperson in den Vereinigten Staaten erhalten kann... [ Anche la tedesca "Fondazione H. Böll" è attivamente impegnata a favore della secessione del Tibet dalla Cina. Segue forse le orme del noto scrittore, dal quale prende il nome, notoriamente sul libro paga della CIA?... ]

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 18.09.2006
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56520

Druck ausüben

Das Auswärtige Amt (AA) und dessen Internet-Portal "Qantara.de" kündigen die Eröffnung eines Verbindungsbüros chinesischer Separatisten in Deutschland an. Bei den Oppositionellen handelt es sich um Vertreter der uigurischen Minderheit im autonomen Gebiet Xinjiang (Nordwestchina)...
[ Ancora notizie dagli emuli e dai successori del nazista Heinrich Harrer (quello di "Sette anni in Tibet"): la novità adesso è la creazione di un portale internet (Qantara.de) da parte del Ministero degli Esteri di Berlino, con lo scopo di sostenere propagandisticamente le mire secessioniste degli islamisti dello Xinjiang ("uiguri"). Marco Pannella ringrazia. ]

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 21.08.2005

http://www.german-foreign-policy.com/de/news/art/2005/55580.php

Identität

BONN/ULAN BATOR (Eigener Bericht) - Bei den jüngsten Gesprächen mit dem Ministerpräsidenten der Mongolei sowie zahlreichen hochrangigen Politikern des Landes hat das deutsche Ministerium für wirtschaftliche Zusammenarbeit und Entwicklung (BMZ) größeren Einfluss auf die Verteilung der mongolischen Entwicklungsgelder an Privatunternehmen verlangt... Berlin will die Mongolei als machtpolitischen Vorposten nutzen und ist an grenzübergreifender Ethno-Propaganda ("Pan-Mongolismus") deutlich interessiert...

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 19.06.2005
http://www.german-foreign-policy.com/de/news/art/2005/54068.php

Die Tibetfrage

Die FDP-nahe Friedrich-Naumann-Stiftung (FNSt) und die tibetische Exilregierung werden ihre Zusammenarbeit in der ,,Tibetfrage" intensivieren... Tibet war bereits während der NS-Ostexpansion Gegenstand deutscher Zentralasien-Strategien und galt damals als möglicher Bündnispartner gegen Großbritannien...
[ In Germania, la Fondazione Friedrich Naumann sta collaborando strettamente con un cosiddetto "governo tibetano in esilio", per ristabilire l'antico rapporto cultural-geopolitico instaurato dal nazionalsocialismo (all'epoca, in funzione essenzialmente antibritannica) con i monaci-guerrieri. Tra i personaggi che hanno mantenuto vivo il legame tra le due "aristocrazie spirituali", tedesca e tibetana, annoveriamo ad esempio l'ex SS-Obersturmbannführer Bruno Beger, che ancora negli anni Settanta era ospite d'onore del Dalai Lama. La suddetta Fondazione, che e' vicina ai liberali (FDP), prende il nome dal teorico della "Mitteleuropa": una Europa costituita cioè da una Grande Germania circondata da piccoli e deboli Stati "trabant". Tra questi ultimi Naumann non annoverava la Serbia, poichè "la Serbia, come fortezza intralciante in quest'area deve essere cancellata dalla cartina geografica" (citazione dal libro "Mitteleuropa", di F. Naumann)... ]

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 31.10.2004

http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1099180871.php
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3963


Haupsitz

...Mehrere separatistische Organisationen, die für die Sezession der westchinesischen Region Xinjiang (,,Ostturkestan") eintreten, haben seit Jahren ihren Hauptsitz in Süddeutschland, darunter auch die beiden von Beijing als terroristisch eingestuften Vereinigungen...

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 2004?

http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1082240457.php

Deutschland unterstützt Separatismus in Westchina

...Der Deutsche Bundestag fordert in einem Beschluss vom 18. April den chinesischen Volkskongress auf, gemeinsam mit dem Dalai Lama - einer aus Tibet stammenden religiösen Führergestalt - ein ,,Tibet-Statut" auszuhandeln... Unter dem Deckmantel der ,,Menschenrechtspolitik" äußert sich die deutsche Regierung auch zur Entwicklung in der westchinesischen Autonomen Region Xinjiang. Dort ist seit den 1980er Jahren in den muslimischen Bevölkerungsteilen eine separatistische Bewegung immer stärker geworden, die einen eigenen Staat ,,Ost-Turkestan" für die uigurische Bevölkerung der Provinz fordert...

Informationen zur Deutschen Außenpolitik - 2002?

http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1020117600.php


Plus d'articles en francais:

La géopolitique d’Internet

... Les Chinois craignent aussi que des firmes américaines comme Google soient en dernière analyse des outils des services secrets américains sur le territoire chinois. Est-ce une attitude paranoïde ? (...) Dans une ville côtière de Chine (...) se répand tout d’un coup la rumeur selon laquelle une jeune fille han a été violée par des ouvriers ouigours ; il en résulte des incidents au cours desquels deux Ouigours perdent la vie. La rumeur qui a provoqué cette tragédie est fausse mais voici que se répand alors une deuxième rumeur plus forte encore et encore plus funeste : Internet diffuse dans son réseau la nouvelle selon laquelle dans la ville côtière de Chine des centaines de Ouigours auraient perdu la vie, massacrés par les Hans dans l’indifférence et même sous le regard complaisant de la police. Résultat : des tumultes ethniques dans le Xinjiang, qui provoquent la mort de presque 200 personnes, cette fois presque toutes hans...

par Domenico Losurdo - 20 septembre 2010
http://www.comite-valmy.org/spip.php?article856


Qu’attend le dalaï-lama de la Chine ?

Le président américain Barack Obama a l’intention de recevoir le dalaï-lama à la Maison-Blanche au cours du mois de février. Les Chinois ne veulent pas en entendre parler. Ils considèrent le dalaï-lama comme un séparatiste. Est-ce le cas ? Le dalaï-lama dit quand même qu’il ne désire pas l’indépendance du Tibet, mais tout simplement davantage d’autonomie, non ? Les Chinois sont-ils donc obstinés à ce point ?

par Jean-Paul Desimpelaere - Février 2010
http://www.infochina.be/fr/node/358
http://www.michelcollon.info/index.php?option=com_content&view=article&id=2563:quattend-le-dalai-lama-de-la-chine-&catid=6:articles&Itemid=11

Tienanmen, 20 ans après.  L’échec de la première « révolution colorée »


Il y a 20 ans, Zhao Ziyang tentait de prendre le pouvoir en Chine avec l’appui de la CIA. Ce qui devait être la première « révolution colorée » de l’Histoire échoua. Dans une présentation totalement tronquée, la propagande atlantiste a imposé l’image d’un soulèvement populaire écrasé dans le sang par la cruelle dictature communiste. La presse occidentale en célèbre aujourd’hui l’anniversaire en grande pompe pour mieux dénigrer la Chine populaire, devenue seconde puissance économique du monde. Domenico Losurdo revient sur cette grande manipulation.

par Domenico Losurdo - juin 2009
http://www.voltairenet.org/article160446.html
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6438

Le Falun Gong, arme de la CIA contre le « Grand dragon rouge »

L’une des principales personnalités soutenues par le département d’État pour le Prix Nobel de la Paix est un maître d’art respiratoire chinois, Li Hongzhi, qui a coordonné les manifestations anti-communistes sur le passage de la flamme olympique. Peu connu du grand public, l’homme a fondé une puissante secte qui étend l’influence états-unienne sur la diaspora chinoise, le Falun Gong. Avec l’aide de Washington, il dispose désormais d’une vaste infrastructure médiatique et mène une croisade contre le Parti communiste chinois.
 
par Thierry Meyssan - Réseau Voltaire -
22 aout 2008
http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2008-08-28%2006:29:00&log=invites

Tibet : Enquête sur une photo manipulée

Regardez bien cette photo « Soldats chinois déguisés en moines », que vous avez sans doute reçue ou recevrez bientôt. Elle circule beaucoup sur le Net, avec le commentaire : « Londres - 20 mars - Le GCHQ, l'agence gouvernementale de communications qui surveille électroniquement la moitié du monde depuis l'espace, a confirmé l'accusation du Dalaï Lama, selon laquelle l'Armée Populaire de Libération chinoise, déguisée en moines, a provoqué les émeutes qui ont tué ou blessé des centaines de Tibétains... »

par Michel Collon - Avril 2008




A Nuova Delhi: contro la Cina, per la causa
                    tibetana

A Nuova Delhi: contro la Cina, per la causa tibetana, marzo 2008 (Fonte: ANSA )
"...Nel Tibet i lama rossi della setta Bon avevano adottato una svastica con segmenti a senso inverso da sinistra a destra.
Nella foto, i rebbi sono destrogiri esattamente come nella svastica nazista, la svastica è nera su campo bianco, e c'è il sottile bordo rosso, ancora esattamente come nella svastica nazista.
I rebbi che ruotano verso sinistra, come nel caso della svastica delle religioni asiatiche, rappresentano il ciclo della vita. Puntati a destra, come nella svastica nazista, significano l'annullamento della vita..." (C. Carpinelli)





Cosa ha a che fare la CIA con il Dalai Lama?

di Sara Flounders
(da Workers World, Aug. 26, 1999
Web: http://www.workers.org)


Il 14 agosto il Dalai Lama (DL) - figura di spicco del buddismo tibetano - era a New York in Central Park. In questa citta' era gia' apparso in tre incontri al Teatro Beacon (tutto esaurito) piu' altre occasioni in cui persone
benestanti hanno potuto pagare fino a 1000 dollari un biglietto per poterlo ascoltare.
Il Dalai Lama, con il considerevole aiuto dei maggiori media, e' divenuto una figura di culto. Lo si chieda a chiunque si sintonizza abitualmente sulle radio-televisioni piu'importanti. Anche se non si interessa di politica, costui dira' che il Dalai Lama e' una persona buona, santa ed una "forza spirituale".
Il suo nuovo libro "L'arte della felicita'", scritto assieme con Howard C. Cutler, e'stato pubblicizzato fino a che non e' entrato nella lista dei best-sellers per 29 settimane.

Ma il Dalai Lama e' veramente un uomo non-politico? Se cosi' fosse, perche' questo "santo" che si ritiene non
ammazzerebbe un insetto, ha appoggiato i bombardamenti  NATO sulla Jugoslavia? Le persone interessate alle
questioni di carattere sociale dovrebbero sapere che,  come Papa Giovanni Paolo II, il DL denuncia l'aborto, tutte
le forme di controllo delle nascite e l'omosessualita'. L'imperialismo USA ha molta esperienza nell'uso dei
sentimenti religiosi di milioni di persone. La CIA formo' un blocco unico con il Papa, che aveva l'appoggio di
milioni di cattolici, per abbattere il socialismo in Polonia. Non dovrebbe stupire il fatto il DL sia utilizzato anche dalla CIA.
D'altro canto, le figure religiose che si oppongono agli USA sono demonizzate o diventano obbiettivi degli assassini - dall'Arcivescovo Romero in Salvador ai religiosi musulmani in Libano e Palestina/Israele.
Lo scorso anno Hollywood ha realizzato due importanti films sul Tibet. Gli Studios amano il DL, che, come si e' detto, incorpora lo spirito e le aspirazioni del popolo tibetano. I ricchi gruppi che ora controllano Hollywood - Disney e la Tristar - entrambi appoggiano l'organizzazione Free Tibet. Hollywood glorifica la classe religiosa tibetana ed il suo presunto passato idilliaco allo stesso modo in cui "Via col vento " glorificava la classe dominate schiavista e razzista del vecchio sud.
Uno di quest film, "Sette anni in Tibet", e' stato basato su di un libro scritto da un nazista austriaco, Heinrich Harrer, coinvolto in alcuni dei crimini piu' brutali dei nazi-fascisti austriaci. Harrer fini' in Tibet durante la
seconda guerra mondiale in missione segreta per l'imperialismo tedesco, che stava tentando di competere con
l'imperialismo britannico in Asia. Egli fu accettato nel circolo piu' ristretto, fra la nobilta' tibetana.

L'imperialismo e le culture indigene

In tutto il mondo le societa' indigene dal Nord America, alla America Latina, l'Africa e l'Oceania sono state
decimate. La ricca varieta' di culture e' stata scalzata, calpestata, ridicolizzata. I nativi sono stati sterminati
in tutto il mondo da tutte le forze che adesso sembrano essere rispettosamente in adorazione della cultura tibetana.
Il Tibet e il buddismo tibetano sarebbero stati di scarso interesse per l'imperialismo britannico ed americano se non
fosse stato per la grande rivoluzione cinese, che ha spazzato via tutto il vecchio mondo e la corrotta societa' feudale.
Questa e' stata una rivoluzione che ha coinvolto movimenti di massa di milioni di contadini poveri organizzati per la distribuzione delle terre e per la cacciata dei vecchi signori feudali. Tale grade sollevamento sociale ha liberato le energie creative e la partecipazione di un quarto dell'umanita'. Tuttora pero' i media occidentali glorificano il vecchio Tibet.

L'era della divisione della Cina e del suo dominio

Per oltre 100 anni, le potenze imperialiste dell'Europa occidentale ed il Giappone hanno mantenuto la Cina nelle sfere di loro influenza, proprio come l'Europa ha mantenuto l'Africa fra le sue colonie. Gli Stati Uniti allora si opponevano a questo, ma solo in quanto esclusi dall'accesso in Cina per i loro affari. Nell'ottocento la Gran Bretagna, potenza dominante, combatte' due guerre contro la dinastia Manchu per il diritto al controllo sulla vendita dell'oppio in Cina. Nel 1904 la GB lancio' una invasione su larga scala del Tibet. Col trattato di Lhasa la Cina fu costretta a concedere due aree di commercio alla GB, e a pagare un ingente somma per riparare alle spese militari della guerra.
Nel 1949 l'armata Rossa era vicina alla sconfitta definitiva dell'esercito del Kuomintang del generale Chiang Kai-shek, aiutato dagli USA. Washington allora stava operando per far aderire il Tibet all'ONU come paese
indipendente. Gli sforzi fallirono perche' il Tibet e' considerato da oltre 700 anni come provincia cinese, ed anche il Kuomintang asseriva che la Cina includesse il Tibet e l'isola di Taiwan.
Oggi mentre l'imperialismo USA cresce e diventa sempre piu' aggressivo, esso si sta muovendo su vari fronti per forzare la separazione dalla Cina del Tibet, di Taiwan e della provincia occidentale del Xinjiang.
Proprio come nei Balcani e nella ex-Unione Sovietica, le grandi corporations americane supportano ed incoraggiano i separatisti per rompere e controllare completamente le aree del globo che precedentemente erano libere dal dominio imperialista.

La vita nell'antico Tibet

Il Tibet pre-rivoluzionario era una regione totalmente sottosviluppata. Non possedeva alcun sistema viario. Le sole piste erano quelle della preghiera. Era una teocrazia feudale basata su agricoltura, servitu' e schiavitu'. Oltre il 90% della popolazione era senza terra e ridotta in servitu'. Erano legati alla terra ma senza alcuna proprieta'. I loro figli erano registrati fra le proprieta' del loro Signore.
Non vi erano scuole, eccetto i monasteri in cui (pochi) giovani studiavano canti. Il totale degli studenti presenti in scuole private era di 600 studenti. L'educazione per le donne era totalmente sconosciuta. Non vi era alcuna forma di assistenza sanitaria, non vi erano ospedali in tutto il Tibet.
Un centinaio di famiglie nobili e gli abati dei monasteri - anche essi membri di famiglie nobili - possedevano tutto.
Il Dalai Lama viveva nelle 1000 stanze del palazzo di Potala. Tradizionalmente era scelto nella sua infanzia fra i giovani delle famiglie potenti. Egli rimaneva poi come un pupazzo sotto il controllo del notabilato che lo seguiva.
Per il contadino medio la vita era breve e misera, il Tibet aveva il piu' alto tasso di tubercolosi e mortalita' infantile nel mondo. Oggi il Tibet ha 2380 scuole primarie, moltissime scuole professionali e l'istruzione si svolge in lingua tibetana. Vi sono oltre 20000 dottori, 95 ospedali cittadini e 770 cliniche.

La lotta di classe in Cina

Nel 1949 la Rivoluzione Cinese stabili' primariamente che il Tibet fosse una regione autonoma con molti piu' diritti
di quanti ne avesse mai avuti in precedenza. La politica del PC Cinese fu quella di attendere che si sviluppassero
le condizioni fra le classi oppresse tibetane per il sollevamento e la cacciata del regime feudale.
La schiavitu' fu dichiarata fuorilegge solo dal 1959, 10 anni dopo la Rivoluzione. Cio' avvene dopo un grande
movimento di massa che isolo' il Dalai Lama. E' vero, comunque , che il PC cinese abbia sfidato gli antichi costumi tibetani.
Prima di tutto il governo cinese pago' un adeguato salario a tutti coloro che lavorassero alla costruzione delle strade. Cio' distrusse totalmente l'usanza della servitu'.
Prima di cio' un servo poteva sopravvivere lavorando per il Signore: non per guadagnare ma per il cibo.
Ancora piu' rivoluzionario fu pagare i ragazzi e gli ex-schiavi per frequentare le scuole; essi furono anche dotati di libri, vitto e alloggio. Nelle famiglie piu' disperate avevano dovuto lavorare anche i bambini per sopravvivere.
La nuova politica rivoluzionaria sollevo' per la prima volta il livello economico delle classi piu' oppresse di questa societa' cosi' rigida.

La Cia mobilita le resistenza delle classi-dominanti

Dal 1955 la CIA inizio' a costruire un esercito controrivoluzionario in Tibet, molto simile ai Contras in Nicaragua e, piu' recentemente, al finaziamento ed addestramento dell'UCK in Kosovo.
Il 16 agosto 1999 su Newsweek e' apparso l'articolo "Una guerra segreta sul tetto del mondo - i monaci e l'operazione segreta della Cia in Tibet", nel quale si descrivono in dettaglio le operazioni CIA dal 1957 al 1965.
Analogamente, il principale articolo del Chicago Tribune del 25 gennaio 1997 descriveva lo speciale addestramento dei mercenari tibetani a Camp Hale nelle Montagne Rocciose in Colorado, per tutti gli anni '50. Tali mercenari furono paracadutati in Tibet. In accordo ai famigerati "articoli del Pentagono" ci sono stati almeno
700 di questi voli negli anni 50. Furono usati C-130, come piu' tardi in Viet-Nam, per portare munizioni ed armi. Vi erano anche basi speciali a Guam e ad Okinawa, dove furono addestrati soldati tibetani. Gyalo Thumdup, fratello del Dalai Lama, segui' le operazioni, e non era certo un mistero. Se ne faceva un vanto.
Il Chicago Tribune aveva titolato "La guerra segreta della Cia in Tibet" ed afferma in modo chiaro che "ben poco sulle operazioni Cia in Himalaya e' veramente segreto, eccetto forse ai contribuenti USA che le hanno finanziate".
La CIA diede una rendita annuale speciale di 180000$ al Dalai Lama per tutti gli anni 60; questa e' ora una piccola
fortuna in Nepal, ove aveva organizzato un esercito ed un governo virtuale in esilio. Gli USA hanno anche organizzato delle radiostazioni per proiettare in Tibet l'"immagine" del DL come quella di un dio-re.
Ralph McGhee, che ha scritto molti articoli sulle operazioni CIA, e mantiene anche un sito web, ha descritto
in dettaglio come la "compagnia" abbia promosso il DL.
L'ufficio CIA NATIONAL EDOWDMENT for DEMOCRACY ha procurato denaro per un fondo per il Tibet, per la Voce  del Tibet, e per la campagna internazionale per il Tibet.





"Il Manifesto" del 9 Gennaio 2000

CINA: UNA CRISI ALLA FRONTIERA DI UNA NUOVA GUERRA FREDDA

Il mito del Tibet

Dall'Impero a Mao, un popolo in gioco tra "modernizzazioni" di Pechino
e interessi occidentali in Asia.
La fuga del
"giovane Buddha" dalla storia all'immaginario

- ENRICA COLLOTTI PISCHEL -

La notizia della fuga dalla Cina del giovanissimo Lama Ugyen Trinley Dorje, terza autorità nella gerarchia delle
reincarnazioni del buddhismo tibetano stata ritenuta molto ghiotta dai giornali italiani e viene considerata un grave
scacco per il governo cinese che non sarebbe riuscito a impedirla, nonostante il proprio apparato militare.
Quest'interpretazione ignora che i cinesi non hanno mai fatto nulla per fermare la fuga dei rappresentanti politici
e religiosi tibetani dalla Cina: nel 1959 l'intera classe dirigente tibetana, con alla testa il Dalai Lama si
allontanò da Lhasa con una lunga fuga a piedi, nonostante il pattugliamento degli aerei da combattimento cinesi. Fa parte della politica delle autorità cinesi il pensare che gli avversari è sempre meglio tenerli fuori del paese che dentro, meglio lontani dai loro adepti che vicini. Se poi le circostanze equivoche di quest'ultimo episodio - cioè la
mancata condanna di Pechino - possano far pensare a ipotesi di contatti con il Dalai Lama e di trattative di conciliazione, è difficile dirlo ora. Certamente il fatto che la grande organizzazione propagandistica che negli Stati Uniti (ma anche in Europa e nello stesso nostro scafato e realistico paese) sostiene la causa dell'indipendenza tibetana si sia buttata sull'episodio, non rende certo facile un'intesa: i cinesi sanno fare molto bene i compromessi e sono disposti a concluderli quando siano convenienti. Ma ritengono che debbano essere cercati e raggiunti con la massima discrezione e comunque al di fuori di pressioni che li possano far apparire come una resa a pressioni straniere. E non dimentichiamo mai che "straniero" per l'intera Asia orientale nell'ultimo secolo e mezzo ha significato umiliazione e asservimento: di essa fece parte anche il tentativo più volte condotto di staccare il Tibet dalla Cina.

Il più povero

Molte cose dovrebbero essere dette a proposito del mito del Tibet che ha preso piede, anche nei ranghi della sinistra. Dal cinematografico "Shangri-la", al di fuori del tempo, dello spazio e del clima, alle ovvie seduzioni di turismo "estremo", dalle tendenze a vedere esempi validi in civiltà rimaste primitive e tagliate fuori dal processo della storia, alla sistematica disinformazione diffusa da potenti mezzi mediatici statunitensi e al fascino che sugli occidentali delusi esercitano le religioni e le ideologie esotiche ed esoteriche, tutto confluito in un'affabulazione della quale sono stati vittime in primo luogo proprio i tibetani.
Certamente sono uno dei popoli più poveri del mondo, esposti a molteplici forme di oppressione: tra esse quella cinese è stata con ogni probabilità meno gravosa di quella esercitata dai monaci e dagli aristocratici, dei quali i pastori e i contadini erano fino al 1959 "schiavi", nel senso letterale del termine, in quanto sottoposti al diritto di vita e di morte dei loro padroni. Che poi tutti, ma con ben diverso vantaggio, trovassero conforto nel ricorso ad una delle forme più degradate di buddhismo (il buddhismo tantrico tibetano popolato di fantasmi e di incantesimi ha ben poco a che vedere con la meditazione intellettuale e la creatività artistica dello Zen), si può anche comprenderlo.
Per fare un minimo di chiarezza è necessario comunque precisare alcune cose. Il Tibet non stato "conquistato dalla Cina comunista nel 1950": dopo precedenti più discontinui rapporti, fu conquistato dall'impero cinese, nella prima metà del secolo XVIII e da allora stato considerato parte dello stato cinese da tutti i governi della Cina, anche dal Guomindang. La Cina (in cinese "Stato del Centro") è stato ed è uno stato multietnico nel quale è in corso da millenni un processo di trasferimenti di gruppi etnici e soprattutto di fusione dei gruppi periferici entro quello più importante che rappresenta nove decimi dei cinesi ed è sempre stato capace di offrire ai suoi membri una maggiore prosperità e i benefici di una cultura più concreta. Mettere in discussione la natura multietnica della civiltà e dello Stato cinesi significherebbe mettere in moto la più spaventosa catastrofe degli ultimi secoli.
Quella praticata dalla Cina non è mai stata una politica di "pulizia etnica" bensì di fusione entro un insieme non etnico ma contraddistinto da una comune cultura e da comuni pratiche produttive: più che sterminarle, i cinesi hanno comprato le minoranze.
E' vero che i tibetani per ragioni geografiche sono, entro lo "Stato del Centro" il gruppo più lontano dalla comune
cultura, però da 250 anni sono stati sempre governati da funzionari cinesi nominati dal governo centrale: giuridicamente e istituzionalmente ciò ha un senso. Gli inglesi all'apice del loro potere sull'India all'inizio del
secolo XX intrapresero, tuttavia, una serie di manovre per staccare il Tibet dalla Cina e porlo sotto la loro
influenza giungendo, nel 1913 a convocare una conferenza a Simla nella quale le autorità tibetane cedettero vasti
territori all'India britannica.  Nessun governo cinese ha mai accettato la validità di quella conferenza.
Nel periodo precedente il 1949 il governo del Guomindang considerava il Tibet a pieno diritto, parte del proprio
territorio, tanto che durante la Seconda guerra mondiale concedeva il diritto di sorvolo agli aerei alleati.

Il ruolo della Cia

Non ha quindi alcun senso dire che la Cina conquistò il Tibet nel 1950; nel 1950 le forze di Mao completarono in Tibet il controllo sul territorio cinese; nel 1951 fu raggiunto un accordo con il Dalai Lama per la concessione di un regime di autonomia. Verso il 1957, nel pieno dell'assedio statunitense alla Cina, i servizi segreti inglesi e americani fomentarono una rivolta dei gruppi di tibetani arroccati sulle montagne delle regioni cinesi del Sichuan e dello Yunnan, lungo la strada che dalla Cina porta al Tibet; i cinesi repressero certamente la rivolta con pugno di ferro: nelle circostanze internazionali nelle quali si trovavano e nel loro contesto etnico non era razionale pensare che si comportassero diversamente. Alla fine del 1958 i servizi segreti inglesi annunciarono che all'inizio del 1959 essa si sarebbe trasferita a Lhasa e avrebbe cercato l'appoggio del Dalai Lama. Ed infatti ciò che avvenne: sullo sfondo della rivolta, il Dalai Lama dichiarò decaduto l'accordo per il regime autonomo e fuggì con la maggioranza della classe dirigente tibetana in India, dove costituì un proprio governo in esilio e il proprio centro di propaganda.
Nessun governo al mondo ha riconosciuto questa compagine. Recentemente la Cia (i servizi segreti americani sono infatti obbligati a rendicontare prima o poi le loro spese di fronte ai contribuenti) ha ammesso di aver finanziato tutta l'operazione della rivolta tibetana.

Pechino: autonomia no

Dopo il 1959 il governo cinese spossessò monasteri e aristocratici e "liberò gli schiavi", iniziando una politica di modernizzazione forzosa (vaccinazioni, costruzione di opere pubbliche) e di formazione di una classe dirigente locale, figlia di schiavi, sottoposta a un bombardamento educativo razionalista e anti-religioso. Furono questi giovani che durante la rivoluzione culturale distrussero templi e monasteri, infliggendo gravi danni a un patrimonio culturale unico e a un'identità certo non abbandonata dalle masse.
Dopo la morte di Mao, i governanti cinesi hanno cercato di ristabilire i rapporti con i tibetani, migliorando le sorti
economiche dell'altipiano ma importando anche gran numero di cinesi, non solo militari. Hanno anche trattato
indirettamente con il Dalai Lama, che - politico asiatico molto scaltro - non chiede l'indipendenza, ma una più o meno larga autonomia: Pechino non ha mai tuttavia voluto concedere un reale autogoverno, che aprirebbe rischi di
secessione e metterebbe in discussione tutti i rapporti etnici del vasto paese. Alle spalle del Dalai Lama si è
sviluppato, intanto, un vasto insieme di interessi della classe dirigente tibetana che ormai è nata all'estero e vi ha ricevuto una formazione culturale moderna: è questa che chiede un'indipendenza che potrebbe essere ottenuta solo
con una guerra spietata alla Cina e potrebbe essere innestata dal reclutamento di giovani guerriglieri in India - segnali "terroristici" in questo senso ci sono già stati.
Erano proprio dissennati i governanti cinesi che ritenevano che l'attacco alla Serbia motivato dalla difesa dei
"diritti umani" in Kosovo fosse in effetti la prova generale di un attacco alla Cina?




www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 25-05-03

Menzogne americane sul Tibet e sul Dalai Lama


Media commerciali e ufficiali propongono incessantemente la
versione americana del tormento che il Tibet avrebbe subito
dall'aggressore e sterminatore cinese. Personalmente ero affascinato
anch'io dal buddismo tibetano e dalla santità del Dalai Lama. Ero
pure addolorato per l'oppressione subita dai tibetani a causa
dell'oppressione cinese. Bhè, come diciamo nel nostro motto, ho
cambiato radicalmente idea per accordarla alla verità. Le mie
conclusioni sono una profonda avversione per la "causa tibetana"
(così come ce la propone Hollywood) e per il Dalai Lama.

Come di fronte ad ogni versione ufficiale, mi sono mosso alla ricerca
di una verità alternativa. Non ero sicuro di trovarne una, ma volevo
vedere se il "martirio" del Tibet è così univoco come gli americani
vorrebbero far credere. Volevo vedere se i Cinesi possono essere
considerati "aggressori" del Tibet come ripetono incessantemente i
media legati a Washington e Londra. Questa ricerca è fatta in nome
del solo principio che mi caratterizza: la ricerca della verità. E ho
trovato delle cose sconcertanti...

Secoli di aggressioni, stermini, attentati, eccidi, guerre da parte
degli occidentali al popolo cinese non fanno parte di questo articolo,
ma vale la pena almeno accennarli per puntualizzare che nessun
"occidentale" può parlare di aggressione cinese a chicchessia senza
prima parlare di torture, umiliazioni, spoliazioni, stermini da parte
degli occidentali ai danni dei "musi gialli". Chiudiamo qui la parentesi
su cui magari scriveremo un articolo dedicato.

L'imperialismo occidentale cerca incessantemente di promuovere la
secessione del Tibet dalla Cina. Perfino una certa sinistra in buona
fede si fa portavoce (assieme agli organi di informazione dell'Impero)
di questa posizione per subalternità o mancanza di conoscenza. E
veniamo ai fatti.

La sovranità cinese sul Tibet ha alle spalle secoli e secoli di storia.
Il Tibet è territorio cinese dal tempo in cui in Europa non esistevano
ancora gli Stati nazionali. I primi a mettere in discussione la
sovranità cinese sul Tibet sono stati i fautori dell'imperialismo
britannico. (1)(2)
Come si legge in un manuale di storia asiatica (uno qualunque), i
tentativi di distruggere la sovranità cinese sul Tibet sono la
conseguenza di una politica volta allo "smantellamento della Cina".
(3)
Non sono soltanto i comunisti cinesi a considerare il Tibet parte della
Cina. Sun Yat-sen, primo presidente della Repubblica nata dal
rovesciamento della dinastia Manciù, ne era convinto. Quando gli
inglesi gli chiesero di partecipare attivamente alla Prima Guerra
Mondiale per poter recuperare alla Cina i territori che la Germania le
aveva strappato, lui rispose: "Voi vorreste strapparci anche il Tibet!".
(4)
Prima della guerra fredda Washington riconosceva che il Tibet era
territorio cinese. Ancora nel 1949 il Dipartimento di Stato Americano
pubblicò un libro sulle relazioni USA-Cina con una mappa che
mostrava tutta la Cina, Tibet incluso dunque. (5)

Tuttavia, con l'avanzare del Partito Comunista Cinese e quindi con
l'avvicinarsi al potere di un chiaro Partito di massa antimperialista,
Washington cominciò a manipolare la realtà. Gli inizi di questa
manipolazione possono essere rintracciati in una lettera del 13
gennaio 1947 al Presidente americano Truman da parte di Gorge R.
Merrel, incaricato d'affari USA a Nuova Dheli. La lettera riguardava
la "inestimabile importanza strategica" del Tibet e recitava:
"Il Tibet può pertanto essere considerato come un bastione contro
l'espansione del comunismo in Asia o almeno come un'isola di
conservatorismo in un mare di sconvolgimenti politici". E aggiunse
che "l'altopiano tibetano [?] in epoca di guerra missilistica può
rivelarsi il territorio più importante di tutta l'Asia".
Questi particolari sono tratti da un autore americano per decenni
funzionario della CIA. L'Autore evidenzia come il contenuto di
questa lettera sia quasi combaciante con la visione imperialistica
che aveva a suo tempo l'Inghilterra vittoriana impegnata nel "grande
gioco" dell'espansione in Asia. (6)
Il separatismo tibetano diviene uno strumento dell'imperialismo
americano o, meglio, per dirla come il funzionario della CIA, diviene
uno strumento degli "interessi geopolitici USA" per costringere il
nuovo governo comunista di Mao a disperdere le forze, ponendo
quindi le condizioni per un "cambiamento di regime a Pechino".

Per portare a compimento questi "interessi geopolitici USA", vennero
addestrati "guerriglieri" nel Colorado e poi paracadutati in Tibet e
riforniti per via aerea di armi, munizioni, apparecchiature
ricetrasmittenti, ecc. A tali guerriglieri la CIA aggiunge la
"collaborazione dei banditi Khampa di vecchio stile". (7)
In questo contesto si sviluppa la "rivolta tibetana" del 1959.
E' ancora il funzionario della CIA, Knaus, a raccontare i fatti: la
rivolta faceva seguito ad un tentativo fallito da parte dei servizi
segreti americani di provocare disordini in Cina a partire dalle
Filippine; come disse un esponente della CIA, lo scatenamento della
rivolta aveva "poco a che fare con l'aiuto ai tibetani", perché lo
scopo era quello di mettere in difficoltà i "comunisti cinesi". Era la
stessa logica che i servizi segreti americani usavano in Indonesia per
"aiutare i colonnelli ribelli indonesiani nel loro sforzo di rovesciare
Sukarno", reo di essere troppo tollerante verso i comunisti di quel
paese. (8) Come è noto il colpo di Stato verrà portato a termine grazie
alla CIA nel 1965, col massacro di centinaia di migliaia di comunisti o
di elementi tolleranti verso i comunisti. Sarebbero state meno feroci le
forze finanziate e addestrate dalla CIA in Tibet se avesse vinto il
separatismo? (9)

Penso che sia interessante far sapere che fu un agente della CIA a
organizzare la fuga del Dalai Lama dal Tibet: questo agente visse
più tardi nel Laos "in una casa decorata con una corona di orecchie
strappate dalle teste di comunisti morti", come ci informa un
docente americano su una rivista USA. (10)

Dopo il fallimento in territorio cinese della rivolta tibetana, i
servizi segreti americani danno inizio ad una campagna mediatica
in occidente.
Nonostante che il Dalai Lama fosse considerato allo stesso modo dei
colonnelli macellai indonesiani, come il capo della rivolta reazionaria
anticomunista filo-occidentale, ora viene santificato. Diventa il leader
della non violenza. Lo stesso buddismo tibetano diventa una dottrina
e una tecnica spirituale sublime. L'industria cinematografica
americana si adopera per proporre incessantemente questo falso mito.

Ma la storia ha dei precedenti. Quando agli inizi del Novecento gli
inglesi e la Russia si contendevano il Tibet, regione della Cina,
correva voce che lo Zar in persona si fosse convertito al buddismo.
(11)

Oggi, invece, sono la CIA e Hollywood ad essere convertiti al
buddismo. Una conversione che ha del miracoloso se si pensa che
l'Occidente ha sempre disprezzato il buddismo tibetano come
sinonimo di dispotismo orientale, con la sua figura di Dio-Re. Basti
ricordare il disprezzo dei padri della cultura occidentale come
Rousseau, Herder e Hegel. Fino ai primi anni del 1900 i lama sono
considerati una "incarnazione di tutti i vizi e di tutte le corruzioni,
non già dei lama defunti". (12)

Quando la Gran Bretagna si accinse poi alla conquista del Tibet lo
fece in nome della civiltà contro "quest'ultima roccaforte
dell'oscurantismo", per civilizzare "questo piccolo popolo
miserabile". (13)

Oggi la propaganda americana cerca di rimuovere l'infamia della
teocrazia tibetana. Come illustra lo stesso storico Morris, quello che
era in carica agli inizi del '900 "era uno dei pochi Dalai Lama ad
aver raggiunto la maggiore età, dato che la maggior parte di loro
veniva eliminata durante la fanciullezza a seconda della
convenienza del Consiglio di Reggenza". (14)

Stando a quanto affermano Hollywood e la CIA, il buddismo tibetano
è divenuto sinonimo di pace e tolleranza, oltre che di elevata
spiritualità. Seguendo l'ideologia imperialistica anticomunista
occidentale, "i tibetani sono dei superuomini e i cinesi dei
subumani". (15)

La teocrazia oscurantista tibetana è santificata dai media
commerciali americani al servizio degli strateghi militari. La struttura
castale si manifesta anche dopo la morte: il corpo di un aristocratico
viene cremato o inumato, mentre i corpi della massa vengono dati in
pasto agli avvoltoi. Poco tempo fa era l'"International Herald
Tribune" che descriveva come durante i funerali di plebei fosse il
sacerdote che staccava pezzo per pezzo la carne dalle ossa per
facilitare il compito degli avvoltoi.
La descrizione era minuziosa e seguita da uno studioso che spiegava il
tutto in chiave "ecologica". (16) Lo studioso non chiariva però perché
all'equilibrio ecologico doveva contribuire solo il corpo dei plebei.

Vorrei chiarire la mia posizione: io non condanno queste pratiche
disumane perché potrei rimanere vittima della mia cultura italiana;
dovrei essere un tibetano per condannarle; ad ognuno la sua cultura.
Io condanno il fatto che gli occidentali imperialisti appoggino pratiche
così disumane per noi, sostengano movimenti sanguinari come il
buddismo tibetano e siano pronti ad inventarsi ogni peggiore frottola
(molto meno disumana) su falsi crimini di Cuba, di Saddam, di
Pechino e di tutti gli avversari, salvo santificare la reazione più
assoluta.

La Rivoluzione Culturale maoista si era scagliata contro la pratica
castale, discriminatrice e violenta. Nel Tibet precedente alla
Rivoluzione la teocrazia riduceva in schiavitù o servaggio la
stragrande maggioranza della popolazione. Come scrisse uno scrittore
radicalmente anticomunista, le riforme realizzate dal 1951 hanno
"abolito feudalesimo e servaggio". (17) La Rivoluzione abolì anche
la teocrazia incarnata nel Dio-Re che pretendeva e pretende ancor
oggi di essere il Dalai Lama. Fu attuata la separazione tra potere
religioso e potere civile.

La Rivoluzione ha significato per i tibetani l'accesso a diritti umani
prima del tutto sconosciuti, un miglioramento del tenore di vita e un
sensibile prolungamento della vita media. E ciò è, malgrado i media,
universalmente riconosciuto da tutti gli esperti analisti della regione.
La Cina di oggi garantisce alla Regione Autonoma Tibetana libertà
che non ha mai conosciuto in tutta la sua storia passata e recente. La
regione tibetana, oltre ad avere il bilinguismo con prima lingua il
tibetano, vede garantiti altri diritti nazionali quali la preferenza a
favore dei tibetani e delle altre minoranze nazionali per quanto
riguarda l'ammissione all'università, la carriera pubblica, ecc.
(18)

Il santificato Dalai Lama viene insignito del Premio Nobel. Ma cosa
chiede questo personaggio che si proclama Dio-Re? "Esige la
creazione di un Grande Tibet, il quale includerebbe non solo il
territorio che ha costituito il Tibet politico in età contemporanea,
ma anche aree tibetane nella Cina occidentale, in larghissima
parte perse dal Tibet già nel diciottesimo secolo". (19) E poi
esistono tibetani in Bhutan, Nepal, India. Tutti i loro territori
dovrebbero far parte del Grande Tibet. Si tratta della pretesta di
Hitler di riunificate nello lo stesso Stato tutti i territori che erano
abitati da maggioranza tedesca. Il principio "nazionale" del Dalai
Lama è quello di Hitler, con la sola differenza che del
nazional-socialismo il Dalai Lama non ha neppure un briciolo di
"socialismo". E' solo puro nazionalismo esasperato ai massimi livelli.

Ora, questa santità, Premio Nobel per la Pace, odia profondamente gli
uomini che hanno la pelle gialla e parlano il cinese. Un odio viscerale,
razzista, tanto che, quando l'India procedette al riarmo nucleare,
trovò il suo più fiero sostenitore nel Premio Nobel, il Dalai Lama.
Ma, ci domandiamo, almeno il multimiliardario Dalai Lama
rappresenta il popolo tibetano? Risposta: nemmeno per sogno! E'
perfino il "Libro Nero del Comunismo" a riconoscere che
un'elementare analisi storica "distrugge il mito unanimista
alimentato dai partigiani del Dalai Lama". (20)
Alla liberazione pacifica del Tibet nel 1951, che portò alla caduta del
regime teocratico, vi fu una resistenza accanita dei gruppi più
reazionari e delle classi dei privilegiati, ma i comunisti poterono
contare sull'appoggio della stragrande maggioranza della popolazione
civile. Gli autori più anticomunisti e anticinesi del pianeta-Occidente
si scagliano così contro la plebe tibetana, colpevole di "essersi
collegata subito col regime comunista"; anche i monaci sono dei
farabutti che "non esitano ad augurarsi che 'presto sia liberato' il
Tibet" e che commettono il crimine di fraternizzare con i comunisti e
l'esercito Popolare di Liberazione.

Per questi autori è inconcepibile come il Dalai Lama sia disprezzato
non solo dalla maggior parte del popolo, ma anche da ampi settori
religiosi tibetani. Ancora nel 1992, nel corso di un suo viaggio a
Londra il Dalai Lama è oggetto di manifestazioni ostili da parte
della più grande organizzazione buddista in Gran Bretagna, che lo
accusa di essere un "dittatore spietato" e un "oppressore della
libertà religiosa". (21)

Oggi il Dalai Lama continua a sperare in una disintegrazione della
Cina come è avvenuto nella tragedia che ha caratterizzato l'URSS. (22)

Michele - Risiko

NOTE:
Le informazioni di questo articolo sono ricavate da Domenico
Losurdo, "La sinistra, la Cina e l'imperialismo", ed. La città del
Sole, Napoli.
La sua opera di informazione è indispensabile sull'argomento.
(1) Owen Lattimore, 1970, "La frontiera. Popoli e imperialismi alla
frontiera tra Cina e Russia", Einaudi, Torino.
(2) Jacques Fernet, 1978, "Il mondo cinese. Dalle prime civiltà alla
Repubblica Popolare", Einaudi, Torino.
(3) Jan Romein, 1969, "Il secolo dell'Asia. Imperialismo occidentale e
rivoluzione asiatica nel secolo XX", Einaudi, Torino.
(4) Sun Yat-sen, 1976, "L'imperialismo dei bianchi e l'imperialismo
dei gialli", in "I tre principi del popolo", Einaudi, Torino.
(5) Herbert Aptheker, 1977, "America Foreign Policy and The Cold
War" (1962), Krauss Reprint Millwood, N.Y.
(6) Jhon Kenneth Knaus, 1999, "Orphans of the Cold War. American
and the Tibetan Struggle for Survival", PublicAffairs, N.Y.
(7) Come sopra.
(8) Come sopra.
(9) Domenico Losurdo, 1999, "La sinistra, la Cina e l'imperialismo",
La città del Sole, Napoli.
(10) Daniel Wikler, 1999, "The Dalai Lama and the CIA", in "The
New York Review of Books", 23 settembre.
(11) James Morris, 1992, "Pax Britannica", The Folio Society,
London.
(12) Donald S. Lopez Jr., 1998, "Prisoners of Shangri - La. Tibetan
Buddhism and the West", University of Chicago Press, Chicago and
London.
(13) Vedi nota 11.
(14) Come sopra.
(15) Vedi nota 12.
(16) Seth Faison, 1999, "In Tibean 'Sky Burials', Vultures Dispose of
the Dead", in "International Herald Tribune", 6 luglio.
(17) Melvyn C. Goldstein, 1998, "The Dalai Lama's Dilemma", in
"Foreign Affairs", gennaio-febbraio.
(18) Seth Faison, 1999, "for Tibetans in Sichuan, Life in the Shadow
of Intollerance", in "International Herald Tribune", 1 settembre.
(19) Vedi nota 17.
(20) Courtois et al., 1998, « Il Libro Nero del Comunismo »,
Mondadori, Milano.
(21) Vedi nota 12.
(22) Vedi nota 17.





www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 04-09-03

Tibet: le vere intenzioni degli Stati Uniti

dal "Quotidiano del popolo" - People's Daily -
http://english.peopledaily.com.cn
http://english.peopledaily.com.cn/200306/10/eng20030610_117936.shtml
 traduzione dall'inglese di B.F.


Pechino Martedì 10 Giugno 2003

Articolo di smentita dell’ US Report sul Tibet cinese

 Un articolo firmato Hua Zi, apparso lunedì 9 Giugno sul Quotidiano del Popolo, confuta il rapporto statunitense sui così detti negoziati del Tibet. Citando dati storici e fatti attuali, l’articolo, intitolato “Quali sono le vere intenzioni degli Stati uniti”, critica la pesante interferenza del governo US negli affari interni della Cina.

 Segue un estratto dell’articolo scritto da Hua Zi

 In conformità con il “Foreign Relations Authorization Act 2003” il presidente US George W. Bush ha emesso un rapporto inerente il Tibet annesso alla Sezione 613 dell’Atto del Congresso. L’8 Maggio del 2003.
 Il rapporto da un lato ripete che gli Stati Uniti riconoscono che il Tibet è parte della Repubblica popolare cinese, e intanto chiede che sia supportato “l’avvicinamento a metà strada” del Dalai Lama, che mira ad un “vero autogoverno”, ed esorta il governo cinese al rispetto del particolare patrimonio religioso, linguistico e culturale del popolo tibetano ed al rispetto dei suoi diritti umani e delle libertà civili.
 Secondo il rapporto l’importante obiettivo degli Stati Uniti è di incoraggiare  il governo cinese e il Dalai Lama ad instaurare un effettivo dialogo per cercare una sistemazione negoziata per le questioni relative al Tibet.
 Il documento elenca anche gli sforzi fatti da presidente, segretario di stato ed altri membri del governo statunitense per incoraggiare il governo cinese ad promuovere un dialogo con il Dalai Lama.

 Come è ben noto il “Foreign Relations Authorization Act 2003” porta una quantità di clausole avverse alla Cina. Il governo cinese ha quindi espresso immediatamente una forte opposizione alle note legislative uscite dal Congresso US
 Nel Settembre 2002 il presidente Bush fece un annuncio all’atto della firma della legge, notando che le clausole relative alla Cina ivi contenute erano inappropriate, che la politica degli Stati uniti verso la Cina unita non doveva essere cambiata, e che la sua firma non significava che egli avesse adottato e incluso tali clausole nella politica estera del paese.

 Commentando l’annuncio fatto da Bush la portavoce del Ministero degli esteri cinese Zhang Qiyue disse nella conferenza stampa del 4 Ottobre 2002 “Noi speriamo che gli US tengano fede alla loro parola e che non perseguano quelle clausole, per non dar luogo ad alcuna ripercussione negativa sulle relazioni sino-statunitensi”
 E’ un rammarico che il governo US abbia emesso il rapporto presidenziale sul Tibet otto mesi più tardi. Tale mossa degli US, che hanno ritrattato la propria parola , ha già avuto un impatto negativo sulla relazione sino-statunitense, quale che sia il contenuto del rapporto.

 L’autore dell’articolo segue da anni  il “problema Tibet” nelle relazioni Cina-US ed ha notato che è la prima volta che un presidente americano abbia mai proposto un rapporto di questo tipo, che mostra un alto grado di interesse dell’amministrazione Bush per la questione del Tibet.

 In realtà, non ci sarebbe stato il “problema Tibet” nel mondo se solo, non ci fosse stato un “problema Washington” o un “problema New York”.
 La questione del Tibet deriva essenzialmente dal fatto che da quasi un secolo le forze dell’imperialismo occidentale hanno indottrinato e aiutato i separatisti tibetani per cercare di separare il Tibet dalla Cina.
 Attualmente il “problema Tibet” non esisterebbe se gli Stati uniti e gli altri paesi occidentali non dessero supporto alla cricca del Dalai e se questa abbandonasse l’intenzione di mirare all’indipendenza del Tibet - o a qualche pretestuosa forma di indipendenza - e smettesse di attivarsi per dividere il paese. Agli Stati uniti non dovrebbe sfuggire l’essenza della questione.
 Nel tempo, tutti i precedenti governi US non hanno mai riconosciuto il Tibet come uno stato indipendente ma hanno considerato il Tibet come una Regione autonoma parte della Repubblica popolare cinese, convenendo che questa è anche la visione della comunità internazionale.

 Naturalmente ci si domanderà: perché gli Stati uniti dimostrano tanto interesse per  questioni interne riguardanti la Cina stessa come la questione tibetana?
 Secondo il rapporto gli Stati uniti si preoccupano del “problema Tibet” assumendo come un “obiettivo importante” per il governo US “incoraggiare un fattivo dialogo tra il governo cinese e il Dalai Lama o i suoi rappresentanti per risolvere i problemi, nell’interesse comune, del governo cinese e del popolo tibetano” e anche perché “il Dalai Lama può essere un partner utile alla Cina nelle difficoltà dei cambiamenti del nuovo corso e per la stabilità nazionale e regionale. Egli rappresenta l’opinione di una grande maggioranza di tibetani”
 Se il governo cinese non tiene un  dialogo concreto con il Dalai Lama “senza precondizioni e non giunge presto ad una composizione delle differenze porterà a maggiori tensioni dentro la Cina e sarà un ostacolo per un più pieno impegno politico ed economico con gli Stati uniti e le altre nazioni”
 Questo è il vero modo di pensare americano.

 Cosa dice il rapporto in merito ai fatti? Questo giornalista, Hua Zi, ha rivisitato ciò che il governo US ha fatto sul “problema Tibet” ed ha analizzato se le cure americane su tale “problema” siano benefiche o dannose per i tibetani, per la stabilità della Cina e per gli scambi politici ed economici della Cina con gli Stati Uniti e con gli altri paesi:
 * Gli Stati uniti non hanno mai negato la sovranità della Cina sul Tibet, ne riconosciuto il Tibet come uno stato indipendente. Il Dipartimento di Stato disse in un comunicato ufficiale nel 1995 che storicamente gli Stati uniti hanno riconosciuto la sovranità della Cina sul Tibet. E infine nel 1966 la politica US ha chiaramente riconosciuto la Regione Autonoma del Tibet come parte della Repubblica Popolare della Cina  (la Regione Autonoma del Tibet fu costituita nel Settembre del ’65) Questa politica, consolidata nel tempo, è in sintonia con la visione della comunità internazionale, inclusa la Cina e i paesi ad essa più vicini. Nessun paese al mondo ha mai riconosciuto il Tibet come uno stato sovrano. E, dal momento che gli Stati uniti non riconoscono il Tibet come stato indipendente, non è stata stabilita alcuna relazione diplomatica con il sedicente “governo tibetano in esilio”.
 * Il 27 Luglio 1998 ad un conferenza stampa congiunta a Pechino con il presidente cinese Jiang Zemin, il presidente US Bill Clinton disse di concordare che il Tibet è parte della Cina, un’autonoma regione della Cina.
 * Anche il rapporto proposto dal presidente Bush dice. “gli Stati uniti riconoscono la regione autonoma del Tibet essere parte della repubblica popolare cinese. Questa radicata politica è conforme al parere della comunità internazionale”

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 Il rapporto da un lato riconosce che il Tibet è parte della Cina e non riconosce il Tibet come uno stato indipendente, mentre d’altro canto sostiene che il Dalai Lama rappresenta l’opinione di una vasta maggioranza dei tibetani. (“la sua autorità morale aiuta ad unire la comunità tibetana all’interno e al di fuori della Cina”)
 In altre parole, il governo americano sostiene che il governo della Cina non possa rappresentare le opinioni e gli interessi della grande maggioranza dei tibetani, che sono cittadini della Repubblica Popolare Cinese.
 Questo concetto di mettere gran parte dei cittadini tibetani cinesi in opposizione con il governo eletto da loro stessi risulta illogico e contronatura e non potrà portare benefici al popolo tibetano e alla stabilità della Cina.

 Il 17 Aprile 1997, l’ambasciatore in Cina Jeames Sasser, durante una visita a Lhasa, disse che fin dall’epoca Sun Yat-sen il governo statunitense considerava il Tibet come una parte inseparabile della Cina.

 Il governo centrale cinese ha adottato una chiara e solida politica nei confronti del Dalai Lama. Cioè, solo se il Dalai Lama  abbandona le proprie rivendicazioni per “l’indipendenza del Tibet” e ogni altra attività separatista, riconosce apertamente il Tibet come parte integrante della Cina, Taiwan come una delle province della Cina e il Governo della Repubblica Popolare della Cina come solo legittimo rappresentante del paese, la Cina potrà avere contatti e trattative con lui.
 Nonostante queste posizioni che gli Stati uniti stessi riconoscono pubblicamente e alle quali la comunità internazionale aderisce universalmente, non sono richieste dal governo Us al Dalai Lama. Al contrario, il governo US continua a premere quello cinese a tenere sistematici rapporti con il Dalai Lama per risolvere la pretestuosa questione relativa ai rapporti tra le autorità cinesi ed il Tibet.
 Questo atto e i toni di connivenza e di provocazione da parte del governo US tradiscono le loro recondite motivazioni al sostegno al Dalai Lama per contrastare il governo centrale della Cina. Può questo sostegno risolvere a tempi brevi il così detto “problema tibetano”?

 Poiché il Tibet è parte intrinseca del territorio cinese, la Regione Autonoma del Tibet esercita l’autonomia regionale sotto l’autorità del governo centrale. E’ noto alla collettività internazionale che il governo cinese si attiene alle proprie chiare e nette posizioni e politiche riguardo gli affari concernenti il Tibet. Nessun paese del mondo (inclusi gli Stati uniti stessi) permetterebbe a forze straniere di intromettersi e interferire su come trattare gli affari interni. E’ la norma fondamentale del diritto internazionale.

 Sul così detto “problema tibeteano” gli Stati uniti non solo non si sono attenuti a questa norma basilare ma sono intervenuti grossolanamente sugli affari tibetani, interni alla Cina. Più di una dozzina di misure di intervento sono elencate sul “Tibet Policy Act 2002” inclusi passi fatti dal presidente, dal segretario di stato, da altri membri del Dipartimento di Stato. L’atto statunitense proclama anche “ la mancata soluzione di questo problema da parte della Cina sarà un ostacolo ad un pieno rapporto politico ed economico con gli Stati uniti e le altre nazioni” Non sono minacce troppo sopratono?

 Dopo più di mezzo secolo, a cosa hanno portato  le preoccupazioni per la questione del Tibet americane all’interno della situazione politica tibetana? Quali conseguenze sono ricadute sul popolo tibetano? Faremmo bene a dare uno sguardo al passato:

 * Alla fine del 1942 l’American Office of Strategic Services (OSS, il predecessore della CIA) assegnò il capitano Tosltoy e il tenente Dolan a Lhasa; essi furono i primi ufficiali inviati in missione in Tibet.
 * Alla fine del 1946 il presidente Harry Truman ordinò di mandare in Tibet diversi generatori diesel, che furono poi usati nel ’49 dai separatisti come fonte energetica per propagandare via radio “l’indipendenza del Tibet” ed anche come strumenti di contatto e comunicazione con gli Stati uniti.
 *.Nel Marzo 1953 l’Esercito di Liberazione del Popolo Cinese (PLA) marciò attraverso il Qamdo per preparare la liberazione al Tibet. Gli Stati uniti quindi agitarono il Dalai Lama e alcuni capi locali tibetani a far fronte nel tentativo di opporsi alla liberazione. Allora la così detta “teoria della minaccia comunista” e la “teorizzazione dell’aggressività e dello espansionismo cinesi” permearono tutte le pubblicazioni e i giornali americani, grandi e piccoli. Nel Maggio del ’51 il Tibet fu pacificamente liberato con la ratifica dell’Accordo del Governo Centrale del Popolo e del Governo Locale Tibetano sul Provvedimento per la pacifica liberazione del Tibet.
 * Nel Luglio del 1951 Thubten Norbu, fratello maggiore del Dalai Lama, ed il suo inviato personale giunsero a New York con funzioni da intermediari per contatti segreti tra gli Stati uniti e il Dalai Lama, con l’aiuto della CIA. Intanto un altro dei fratelli maggiori del Dalai Lama, Gyalo Thondup, firmava un accordo con la CIA per dirigere l’organizzazione dell’intelligence e realizzare la guerriglia nel Tibet.
 Nel frattempo, con il coinvolgimento della CIA, diplomatici americani in India avevano lavorato al progetto di un piano di volo per cercare di portare il Dalai Lama in India. Ma il piano fallì subito a causa dell’opposizione della forza patriottica tibetana. Tuttavia gli stretti contatti tra alti strati dei separatisti del Tibet e la CIA e i complotti dei separatisti in cerca di finanziamenti, sostegno e aiuti dalla CIA, sono continuati nel tempo.
 * Le prime missioni della CIA in Tibet risalgono all’inizio del ’57quando il primo gruppo dei sei Kampa, residenti in India, furono scelti per ricevere l’addestramento dei servizi segreti da agenti statunitensi. Gli Stati uniti impiantarono in Colorado i campi di addestramento per gli agenti prescelti, per poi paracadutarli di nuovo in Tibet e nelle altre aree abitate da tibetani della Cina, per unirsi alle forze ribelli contro il governo centrale cinese.
 * Nel 1959, quando si verificò la ribellione tibetana, il Dalai Lama fu aiutato a fuggire in India con l'aiuto della CIA. Aerei della CIA penetrarono per centinaia di miglia nello spazio aereo cinese per scortare i tibetani transfughi, spiarono le mosse dell’Esercito di Liberazione del Popolo (PLA) e gettarono viveri, mappe, radio e denaro per quei ribelli. Uno degli agenti addestrati negli US ha scortato il Dalai Lama per tutto il tempo durante la sua fuga.
 * Intorno al 1960 secondo i disegni della CIA la base delle forze ribelli tibetane fu trasferita a Mustang, in Nepal. Alla fine dell’anno circa 200 ribelli tibetani  arrivarono a Mustang e vi impiantarono una base per la guerriglia. Dopo di che presero ad attraversare il confine , a rubare in Tibet e ad assalire gli uomini del PLA e altri addetti governativi. Ma successe che, ai tempi del primo viaggio ufficiale del presidente Nixon in Cina, nel’72, la CIA smise di finanziare i ribelli tibetani, sospendendo l’approvvigionamento delle armi per la loro guerriglia e chiuse le basi della guerriglia comprese nei confini di India e Nepal.

 Durante questo storico processo le attenzioni degli Stati uniti riguardo il “problema tibetano” hanno solo aggravato le ribellioni in Tibet e nelle altre aree abitate da tibetani. Queste “attenzioni” hanno gettato il popolo tibetano in un abisso di miseria e portato a molti anni di turbolenze la zona lungo il confine del Tibet cinese.
 Tra la fine degli anni 50 e l’inizio dei 60 gli Stati uniti istigarono diversi piccoli paesi ad avanzare mozioni sulla così detta questione tibetana presso le Nazioni unite. Questi dovettero usare motivazioni così deteriori che loro stessi probabilmente non avrebbero mai voluto portare ad argomento.

 Comunque la vicenda delle cure particolari degli Stati uniti per la questione tibetana non finì qui. La questione diventò poi un pretesto per la “diplomazia dei diritti umani”.
 Il 18 Giugno 1987 la House of Representatives US approvò un emendamento riguardo presunte violazioni dei diritti umani della Cina in Tibet. L’emendamento, dopo varie revisioni, passò al Senato e fu aggiunto all’Atto delle Autorizzazioni, delle relazioni estere dell’anno fiscale 1988-89.
 I parlamenti dei paesi occidentali si allinearono consenzienti e passarono leggi che hanno interferito negli affari della Cina e hanno accusato il governo cinese di violare i diritti umani in Tibet e appoggiato il Dalai Lama.
 Il 21 Settembre del 1987 la sottocommissione per i diritti umani della US House  of Representatives diede la parola al Dalai Lama, che portò una proposta in cinque punti riguardante un futuribile status del Tibet.

 La commissione affari esteri tenne un’audizione  il 14 Ottobre ’87 sui diritti umani in Tibet, durante la quale diversi congressisti si accodarono al Dalai Lama e cercarono di fare pressioni sulla Cina. Dopo di ché il Dali Lama avviò le attività separatiste andando spesso ad esternare le proprie idee nei paesi occidentali.
 Le preoccupazioni americane sulle questioni relative al Tibet hanno davvero portato ad una stabilità interna in Cina dall‘87 all‘89? In realtà il 27 Settembre del 1987, sei giorni dopo le dichiarazioni del Dalai Lama alla sottocommissione per i diritti civili  alla House of Representatives, Lhasa, capitale della regione autonoma, fu testimone della prima insurrezione dal ‘59 per realizzare la pretesa “indipendenza tibetana”. Alcuni slogan e manifesti apparvero nelle strade allo stesso momento in cui il Congresso US iniziò a porre attenzione negli affari tibetani.
 Si verificarono dozzine di rivolte nel seguente biennio a Lhasa, che causarono al popolo del Tibet terribili perdite di vite e di ricchezze e compromisero seriamente la loro normalità di lavoro, di studio, di vita. I disordini vennero decisamente osteggiati dalla popolazione appartenente a vari gruppi etnici del Tibet. Il Governo Popolare della Regione Autonoma del Tibet vide con irrefutabile chiarezza che i disordini in Lhasa erano direttamente progettati e fomentati da forze golpiste tibetane sovversive.

 Il governo US e il Congresso continuarono ad appoggiare il Dalai Lama in vari modi dopo il 1989. E i toni delle attività sovversive del Dalai Lama cambiarono nel tempo.  Il 19 Agosto 1991 il Dalai Lama annunciò l’abbandono delle così dette “proposte di Strasburgo” fatte nel Giugno ’88, e chiese strenuamente la completa indipendenza del Tibet, che, nello stesso anno, predisse si sarebbe realizzata in un tempo tra i cinque e i dieci anni.
 Dopo il 1993 il Dalai Lama propose invece quello che fu definito “l’approccio a metà strada” e richiese un’autonomia ad alto livello per il Tibet, sul tipo dei “due paesi, due sistemi” definiti per Hong Kong, seguendo le disposizioni del vice presidente US, che patrocinava la realizzazione dell’indipendenza del Tibet in due tappe.

 Ma fino ad ora non abbiamo assistito a nessuna pubblica dichiarazione del Dalai Lama che indichi che egli voglia accettare i principi delle proposte di trattative del governo centrale. Gli Stati uniti non prendono atto della doppiezza del Dalai Lama, e continuano a  premere  il governo cinese affinché conduca con lui negoziati senza precondizioni.
 Tutto sommato tutta l’instabilità in Tibet in più di mezzo secolo trascorso è stata causata da interferenze e sabotaggi dalle forze sovversive tibetane, spalleggiate da US e altre forze occidentali anti-cinesi.

 Per gli Stati uniti, che si dichiarano pionieri della “politica democratica”, sembra difficile capire bene chi rappresenti gli interessi del popolo del Tibet. Il popolo cinese non permetterà che il governo cinese, eletto dal Congresso Nazionale del Popolo (NPC) e i deputati del NPC, eletti dal popolo di vari gruppi etnici della Cina, non rappresentino gli interessi del popolo. Lo stesso vale con il Governo Popolare della Regione Autonoma Tibetana.
 Perciò sono il governo cinese e quello regionale autonomo tibetano - piuttosto che quello degli Stati uniti o il Dalai Lama, che ha abbandonato la sua madrepatria e i suoi seguaci religiosi più di quattro decadi fa - che conoscono meglio come salvaguardare i fondamentali interessi del popolo di tutti i gruppi etnici in Tibet, inclusa la protezione della lingua, della religione e del patrimonio culturale dei tibetani.

 Il governatorato locale tibetano ha registrato una popolazione di un milione nel 1953, quando la nuova Cina fece il suo primo censimento. Secondo il quinto censimento nazionale, del 2002, la popolazione di tibetani ammonta quasi a 4,6 milioni, dei quali 2,41 milioni vivono nella Regione Autonoma Tibetana. Si stima inoltre che vi siano 120-130 mila tibetani che vivono all’estero
 Sia da un punto di vista storico sia realistico, la rivendicazione del rapporto del governo US che il Dalai Lama rappresenti l’opinione della grande maggioranza dei tibetani e che la sua autorità morale aiuti ad unire la comunità tibetana dentro e fuori la Cina, risulta falsa.

 Il Dalai Lama faceva funzioni di capo esecutivo di un governo locale tibetano che era un’integrazione tra potere politico e autorità religiosa e il Tibet sotto la sua potestà era sotto un oscuro sistema feudale servile.
 Il Dalai Lama ha tradito il proprio paese si è gettato sotto lo scudo delle forze straniere anti-cinesi solo perché era un oppositore di qualsiasi cambiamento nel sistema barbarico. In esilio egli non ha operato alcun contributo ne per lo sviluppo del Tibet ne per la felicità e il benessere dei seguaci del buddismo tibetano nel corso di 40 anni trascorsi.
 Al contrario il preteso governo tibetano in esilio capeggiato dal Dalai Lama è stato coinvolto in attività politiche volte a dividere il paese per anni. Il Dalai Lama, in violazione dei riti religiosi e delle convenzioni storiche del buddismo tibetano, ha nominato da se stesso il Panchen, Budda vivente. Come può essere il rappresentante del popolo tibetano? Come può unire la comunità tibetana dell’interno e di fuori dalla Cina?

 E’ una scelta storica fatta da tutte le genti tibetane di seguire la via socialista e il sistema dell’autonomia regionale sotto la leadership del Partito Comunista della Cina, e non ritorneranno mai indietro dalla propria scelta.
 Il governo US distorcendo i fatti, ha perseguito il proprio interesse esaltando il Dalai Lama. Ha patentemente profanato la volontà di diversi milioni di tibetani in Cina. Facendo pressioni o  anche minacce sul governo cinese, interferisce negli affari interni della Cina e nuoce allo sviluppo del Tibet, alla stabilità della società cinese e al miglioramento e allo sviluppo delle relazioni Sino-Us. Questa interferenza si scontra con la ferma opposizione da parte del governo cinese e crea ulteriore sfiducia negli Stati uniti da parte di tutto il popolo cinese, inclusi i tibetani.

 Perché il governo US si preoccupa del problema del Tibet, se non è per proteggere la lingua, la religione, il patrimonio culturale, i diritti umani e la libertà del popolo tibetano, o per salvaguardare la stabilità della Cina? L’estensore dell’articolo crede che il problema del Tibet o il Dalai Lama servano alle forze US come pretesto contro la Cina, nel loro intento di contenere la Cina.






Domenico Losurdo

CHI E' IL DALAI LAMA?

dalla rivista L'Ernesto - http://www.lernesto.it


Celebrato e trasfigurato dalla cinematografia di Hollywood, il Dalai Lama continua indubbiamente a godere di una vasta popolarità: il suo ultimo viaggio in Italia si è concluso solennemente con una foto di gruppo coi dirigenti dei partiti di centro-sinistra, che hanno voluto così testimoniare la loro stima o la loro riverenza nei confronti del campione della lotta di «liberazione del popolo tibetano».

Ma chi è realmente costui? Tanto per cominciare, egli non è nato nel Tibet storico, ma in territorio incontestabilmente cinese, per l’esattezza nella provincia di Amdo che nel 1935, l’anno della nascita, era amministrata dal Kuomintang. In famiglia si parlava un dialetto regionale cinese, sicché il nostro eroe impara il tibetano come una lingua straniera, ed è costretto a impararla a partire dall’età di tre anni, e cioè dal momento in cui, riconosciuto come l’incarnazione del 13° Dalai Lama, viene sottratto alla sua famiglia e segregato in un convento, per essere sottoposto all’influenza esclusiva dei monaci che gli insegnano a sentirsi, a pensare, a scrivere, a parlare e a comportarsi come il Dio-Re dei tibetani ovvero come Sua Santità.


1. Un «paradiso» raccapricciante

Desumo queste notizie da un libro (Heinrich Harrer, Sette anni nel Tibet, Mondadori, Oscar bestsellers, 1999), che pure ha un carattere di semi-ufficialità (si conclude con il «Messaggio» in cui il Dalai Lama esprime la sua gratitudine all’autore) e che ha contribuito moltissimo alla costruzione del mito hollywoodiano. Si tratta di un testo a suo modo straordinario, che riesce a trasformare in capitoli di storia sacra anche i particolari più inquietanti. Nel 1946, Harrer incontra a Lhasa i genitori del Dalai Lama, dove si sono trasferiti ormai da molti anni, abbandonando la natia Amdo. E, tuttavia, essi non sono ancora divenuti tibetani: bevono il tè alla cinese, continuano a parlare un dialetto cinese e, per intendersi con Harrer, che si esprime in tibetano, hanno bisogno dell’aiuto di un «interprete». Certo, la loro vita è cambiata radicalmente: «Era un grosso salto quello dalla loro piccola casa di contadini in una lontana provincia al palazzo che ora abitavano e ai vasti poderi che erano adesso di loro proprietà». Avevano ceduto ai monaci un bambino di tenerissima età, che poi riconosce nella sua autobiografia di aver molto sofferto per questa separazione. In cambio, i genitori avevano potuto godere di una prodigiosa ascesa sociale. Siamo in presenza di un comportamento discutibile? Non sia mai detto. Harrer si affretta subito a sottolineare la «nobiltà innata» di questa coppia (p. 133): come potrebbe essere diversamente, dato che si tratta del padre e della madre del Dio-Re?

Ma che società è quella su cui il Dalai Lama è chiamato a governare? Sia pure a malincuore, l’autore del libro finisce col riconoscerlo: «La supremazia dell’ordine monastico nel Tibet è assoluta, e si può confrontare solo con una severa dittatura. I monaci diffidano di ogni influsso che possa mettere in pericolo la loro dominazione». Ad essere punito non è soltanto chi agisce contro il «potere» ma anche «chiunque lo metta in dubbio» (p. 76). Diamo ora uno sguardo ai rapporti sociali. Si direbbe che la merce più a buon mercato sia costituita dai servi (si tratta, in ultima analisi, di schiavi). Harrer descrive giulivo l’incontro con un alto funzionario: anche se non è un personaggio particolarmente importante, egli può comunque disporre di un «seguito di trenta servi e serve» (p. 56). Essi vengono sottoposti a fatiche non solo bestiali ma persino inutili: «Circa venti uomini erano legati alla cintura da una corda e trascinavano un immenso tronco, cantando in coro le loro lente nenie e avanzando di pari passo. Ansanti e in un bagno di sudore non potevano soffermarsi per pigliare fiato, perché il capofila non lo permetteva. Questo lavoro massacrante rappresenta una parte delle loro tasse, un tributo da sistema feudale». Sarebbe stato facile far ricorso alla ruota, ma «il governo non voleva la ruota»; e, come sappiamo, contrastare o anche solo mettere in discussione il potere della casta dominante poteva essere assai pericoloso. Ma, secondo Harrer, non ha senso versare lacrime sul popolo tibetano di quegli anni: «forse così era più felice» (pp. 159-160).

Incolmabile era l’abisso che separava i servi dai padroni. Per la gente comune, al Dio-Re non era lecito rivolgere né la parola né lo sguardo. Ecco cosa avviene nel corso di una processione:

«Le porte della cattedrale si aprirono e lentamente uscì il Dalai Lama […] Devota la folla si inchinò immediatamente. Il cerimoniale religioso esigerebbe che la gente si gettasse per terra, ma era impossibile farlo a causa della mancanza di spazio. Migliaia di persone curvarono invece la schiena, come un campo di grano sciabolato dal vento. Nessuno osava alzare gli occhi. Lento e compassato il Dalai Lama iniziò il suo giro intorno al Barkhor […] Le donne non osavano respirare».

Finita la processione, il quadro cambia in modo radicale:

«Come ridestata da un sonno ipnotico la folla in quel momento passò dall’ordine al caos […] I monaci-soldato entrarono subito in azione […] All’impazzata facevano mulinare i loro bastoni sulla folla […] Ma nonostante la gragnuola di colpi, i battuti ritornavano come fossero posseduti da demoni […] Adesso accettavano colpi e frustate come una benedizione. Fiaccole di pece fumosa cadevano sulle loro teste, urla di dolore, qui un volto bruciato, là i gemiti di un calpestato!» (pp. 157-8).

Vale la pena di notare che questo spettacolo viene seguito dal nostro autore in modo ammirato e devoto. Non a caso, il tutto è contenuto in un paragrafo dal titolo eloquente: «Un dio alza, benedicendo, la mano». L’unico momento in cui Harrer assume un atteggiamento critico si verifica allorché egli descrive la condizione igienica e sanitaria del Tibet del tempo. Infuria la mortalità infantile, la durata media della vita è incredibilmente bassa, le medicine sono sconosciute, in compenso circolano farmaci assai singolari: «spesso i lama ungono i loro pazienti con la propria saliva santa; oppure tsampa e burro vengono mescolati con l’urina degli uomini santi per ottenere una specie di emulsione che viene somministrata ai malati» (p. 194). Qui si ritrae perplesso anche il nostro autore devoto e bacchettone: se pure dal «Dio-Ragazzo» è stato «persuaso a credere nella reincarnazione» (p. 248), egli tuttavia non riesce a «giustificare il fatto che si bevesse l’urina del Buddha Vivente», e cioè del Dalai Lama. Solleva il problema con quest’ultimo, ma con scarsi risultati: il Dio-Re «da solo non poteva combattere tali usi e costumi, e in fondo non se ne preoccupava troppo». Ciò nonostante, il nostro autore, che si accontenta di poco, messe da parte le sue riserve, conclude imperturbabile: «In India, del resto, era uno spettacolo giornaliero vedere la gente bere l’urina delle vacche sacre» (p. 294).

A questo punto, Harrer può procedere senza più impacci nella sua opera di trasfigurazione del Tibet pre-rivoluzionario. In realtà, esso è carico di violenza e non conosce neppure il principio della responsabilità individuale: le punizioni possono essere anche trasversali e colpire i parenti del responsabile di una mancanza anche assai lieve o persino immaginaria (p. 79). Ma cosa avviene per i crimini considerati più gravi? «Mi raccontarono di un uomo che aveva rubato una lampada dorata al burro da uno dei templi di Kyirong. Fu dichiarato colpevole del reato, e quella che noi avremmo considerato una sentenza disumana fu portata a compimento. Gli furono pubblicamente mozzate le mani, e il suo corpo mutilato ma ancora vivo fu avvolto in una pelle di yak bagnata. Quando smise di sanguinare, venne gettato in un precipizio» (p. 75). Ma anche reati minori, ad esempio «il gioco d’azzardo», possono essere puniti in modo spietato se commessi nei giorni di festività solenni: «i monaci sono a tale riguardo inesorabili e molto temuti, perché più di una volta è avvenuto che qualcuno sia morto sotto la rigorosa flagellazione, la pena usuale» (pp. 153-3). La violenza più selvaggia caratterizza i rapporti non solo tra «semidei» e «esseri inferiori» ma anche tra le diverse frazioni della casta dominante: ai responsabili delle frequenti «rivoluzioni militari» e «guerre civili» che caratterizzano la storia del Tibet pre-rivoluzionario (l’ultima si verifica nel 1947), vengono fatti «cavare gli occhi con una spada» (pp. 224-5). E, tuttavia, il nostro zelante convertito al lamaismo non si limita a dichiarare che «le punizioni sono piuttosto drastiche, ma sembrano essere commisurate alla mentalità della popolazione» (p. 75). No, il Tibet pre-rivoluzionario è ai suoi occhi un’oasi incantata di non violenza: «Dopo un po’ che si è nel paese, a nessuno è più possibile uccidere una mosca senza pensarci. Io stesso, in presenza di un tibetano, non avrei mai osato schiacciare un insetto soltanto perché mi infastidiva» (p. 183). In conclusione, siamo in presenza di un «paradiso» (p. 77). Oltre che di Harrer, questa è l’opinione anche del Dalai Lama che nel suo «Messaggio» finale si abbandona ad una struggente nostalgia degli anni vissuti da Dio-Re: «ricordiamo quei giorni felici che trascorremmo assieme in un paese felice» (happy) ovvero, secondo la traduzione italiana, in «un paese libero».

 
2. «Invasione» del Tibet e tentativo di smembramento della Cina

Questo paese «felice» e «libero», questo «paradiso» viene trasformato in un inferno dall’«invasione» cinese. Le mistificazioni non hanno mai fine. Ha realmente senso parlare di «invasione»? Quale paese aveva riconosciuto l’«indipendenza» del Tibet e intratteneva con esso relazioni diplomatiche? In realtà, ancora nel 1949, nel pubblicare un libro sulle relazioni Usa-Cina, il dipartimento di Stato americano accludeva una mappa di per sé eloquente: con tutta chiarezza sia il Tibet che Taiwan vi figuravano quali parti integranti del grande paese asiatico, impegnato a porre fine una volta per sempre alle amputazioni territoriali imposte da un secolo di aggressioni colonialiste e imperialiste. Naturalmente, con l’avvento dei comunisti al potere, cambia tutto, comprese le carte geografiche: ogni falsificazione storica e geografica è lecita se essa consente di ridare slancio alla politica a suo tempo iniziata con la guerra dell’oppio e di avanzare cioè in direzione dello smembramento della Cina comunista.

E’ un obiettivo che sembra sul punto di realizzarsi nel 1959. Con un cambiamento radicale rispetto alla politica seguita sino a quel momento, che l’aveva visto collaborare col nuovo potere insediatosi a Pechino, il Dalai Lama sceglie la via dell’esilio e comincia ad agitare la bandiera dell’indipendenza del Tibet. Si tratta realmente di una rivendicazione nazionale? Abbiamo visto che il Dalai Lama stesso non è di origine tibetana ed è costretto ad imparare una lingua che non è la sua lingua materna. Ma concentriamo pure la nostra attenzione sulla casta dominante autoctona. Per un verso questa, nonostante la generale ed estrema miseria del popolo, può coltivare i suoi raffinati gusti cosmopoliti: ai suoi banchetti si scialacquano «squisitezze di tutte le parti del mondo» (pp. 174-5). A degustarle sono raffinati parassiti che, nell’ostentare il loro sfarzo, non danno certo prova di ristrettezza provinciale: «le volpi azzurre vengono da Amburgo, le perle coltivate dal Giappone, le turchesi via Bombay dalla Persia, i coralli dall’Italia e l’ambra da Berlino e Königsberg» (p. 166). Ma mentre si sente affine all’aristocrazia parassitaria di ogni angolo del mondo, la casta dominante tibetana guarda ai suoi servi come ad una razza diversa e inferiore; sì, «la nobiltà ha le sue leggi severe: è permesso sposare soltanto chi è dello stesso rango» (p. 191). Che senso ha allora parlare di lotta di indipendenza nazionale? Come possono esserci una nazione e una comunità nazionale se, per riconoscimento dello stesso candido cantore del Tibet pre-rivoluzionario, i «semidei» nobiliari, lungi dal considerare concittadini i loro servi, li bollano e li trattano quali «esseri inferiori» (pp. 170 e 168)?

D’altro canto, a quale Tibet pensa il Dalai Lama, allorché comincia ad agitare la bandiera dell’indipendenza? E’ il Grande Tibet, che avrebbe dovuto abbracciare vaste aree al di fuori del Tibet propriamente detto, annettendo anche le popolazioni di origine tibetana residenti in regioni come lo Yunnan e il Sichuan, da secoli parte integrante del territorio della Cina e talvolta culla storica di questa civiltà multisecolare e multinazionale. Chiaramente, il Grande Tibet costituiva e costituisce un elemento essenziale del progetto di smembramento di un paese che, a partire dalla sua rinascita nel 1949, non cessa di turbare i sogni di dominio mondiale accarezzati a Washington.

Ma cosa sarebbe successo nel Tibet propriamente detto se le ambizioni del Dalai Lama si fossero realizzate? Lasciamo pure da parte i servi e gli «esseri inferiori» a cui chiaramente non prestano molta attenzione i seguaci e i devoti di Sua Santità. In ogni caso, il Tibet pre-rivoluzionario è una «teocrazia» (p. 169): «un europeo difficilmente è in grado di capire quale importanza si annetta al più piccolo capriccio del Dio-Re» (p. 270). Sì, «il potere della gerarchia era illimitato» (p. 148), ed esso si esercitava su qualunque aspetto dell’esistenza: «la vita delle persone è regolata dalla volontà divina, i cui unici interpreti sono i lama» (p. 182). Ovviamente, non c’è distinzione tra sfera religiosa e sfera politica: i monaci permettevano «alle tibetane le nozze con un mussulmano solo alla condizione di non abiurare» (p. 169); non era consentito convertirsi dal lamaismo all’Islam. Assieme ai rapporti matrimoniali anche la vita sessuale conosce una regolamentazione occhiuta: «per gli adulteri vigono pene molto drastiche, ad esempio il taglio del naso» (p. 191). E’ chiaro: pur di smembrare la Cina, Washington non esitava a montare in sella al cavallo fondamentalista del lamaismo integralista e del Dalai Lama.

Ora, anche Sua Santità è costretto a prenderne atto: il progetto secessionista è sostanzialmente fallito. Ed ecco allora le dichiarazioni per cui ci si accontenterebbe dell’«autonomia». In realtà, il Tibet è da un pezzo una regione autonoma. E non si tratta di parole. Già, nel 1998, pur formulando critiche, Foreign Affairs, la rivista americana vicina al Dipartimento di Stato, con un articolo di Melvyn C. Goldstein, si è lasciata sfuggire riconoscimenti importanti: nella Regione Autonoma Tibetana il 60-70% dei funzionari sono di etnia tibetana e vige la pratica del bilinguismo. Naturalmente, c’è sempre spazio per miglioramenti; resta il fatto che, in seguito alla diffusione dell’istruzione, la lingua tibetana è oggi parlata e scritta da un numero di persone ben più elevato che nel Tibet pre-rivoluzionario. E’ da aggiungere che solo la distruzione dell’ordinamento castale e delle barriere che separavano i «semidei» dagli «esseri inferiori» ha reso possibile l’emergere su larga base di un’identità culturale e nazionale tibetana. La propaganda corrente è il rovesciamento della verità.

Mentre gode di un’ampia autonomia, il Tibet, grazie anche agli sforzi massicci del governo centrale, conosce un periodo di straordinario sviluppo economico e sociale. Assieme al livello di istruzione, al tenore di vita e alla durata media della vita cresce anche la coesione tra i diversi gruppi etnici, come è confermato fra l’altro dall’aumento dei matrimoni misti tra han (cinesi) e tibetani. Ma proprio ciò diventa il nuovo cavallo di battaglia della campagna anticinese. Ne è un esempio clamoroso l’articolo di Bernardo Valli su la Repubblica del 29 novembre. Mi limito qui a citare il sommario: «L’integrazione tra questi due popoli è l’ultima arma per annullare la cultura millenaria del paese sul tetto del mondo». Chiaramente, il giornalista si è lasciato abbagliare dall’immagine di un Tibet all’insegna della purezza etnica e religiosa che è il sogno dei gruppi fondamentalisti e secessionisti. Per comprenderne il carattere regressivo, basta ridare la parola al cronista che ha ispirato Hollywood. Nel Tibet pre-rivoluzionario, oltre ai tibetani e ai cinesi «si possono incontrare anche lhadaki, bhutanesi, mongoli, sikkimesi, kazaki e via dicendo». Sono ben presenti anche i nepalesi: «Le loro famiglie rimangono quasi sempre nel Nepal, dove anche loro ritornano di tanto in tanto. In questo differiscono dai cinesi, che sposano volentieri donne tibetane, conducendo una vita coniugale esemplare» (pp. 168-9). La maggiore «autonomia» che si rivendica, non si sa bene se per il Tibet propriamente detto ovvero per il Grande Tibet, dovrebbe comportare anche la possibilità per il governo regionale di vietare i matrimoni misti e di realizzare una purezza etnica e culturale che non esisteva neppure prima del 1949?

 
3. La cooptazione del Dalai Lama nell’Occidente e nella razza bianca e la denuncia del pericolo giallo

L’articolo di Repubblica è prezioso perché ci permette di cogliere la sottile vena razzista che attraversa la campagna anticinese in corso. Com’è noto, nel ricercare le origini della razza «ariana» o «nordica» o «bianca», la mitologia razzista e il Terzo Reich hanno spesso guardato con interesse all’India e al Tibet: è di qui che avrebbe preso le mosse la marcia trionfale della razza superiore. Nel 1939, al seguito di una spedizione delle SS l’austriaco Harrer giunge nell’India del nord (oggi Pakistan) e di qui poi penetra nel Tibet. Allorché incontra il Dalai Lama, subito lo riconosce e lo celebra come membro della superiore razza bianca: «La sua carnagione era molto più chiara di quella del tibetano medio, e in qualche sfumatura anche più bianca di quella dell’aristocrazia tibetana» (p. 280). Del tutto estranei alla razza bianca sono invece i cinesi. Ecco perché è un evento straordinario la prima conversazione che Sua Santità ha con Harrer: egli si trovava «per la prima volta solo con un uomo bianco» (p. 277). In quanto sostanzialmente bianco il Dalai Lama non era certo inferiore agli «europei» ed era comunque «aperto a tutte le idee occidentali» (pp. 292 e 294). Ben diversamente si atteggiano i cinesi, nemici mortali dell’Occidente. Lo conferma ad Harrer un «ministro-monaco» del Tibet sacro: «nelle antiche scritture, ci disse, si leggeva una profezia: una grande potenza del Nord muoverà guerra al Tibet, distruggerà la religione e imporrà la sua egemonia al mondo» (p. 141). Non c’è dubbio: la denuncia del pericolo giallo è il filo conduttore del libro che ha ispirato la leggenda hollywoodiana del Dalai Lama.

Torniamo alla foto di gruppo che ha concluso il suo recente viaggio in Italia. Fisicamente assenti ma idealmente ben presenti si possono considerare Richard Gere e gli altri divi di Hollywood, inondati di dollari per celebrare la leggenda del Dio-Re venuto dall’Oriente misterioso. E’ doloroso ammetterlo ma bisogna prenderne atto: è ormai da qualche tempo che, volte le spalle alla storia e alla geografia, una certa sinistra si rivela in grado di alimentarsi solo di miti teosofici e cinematografici, senza prendere le distanze neppure dai miti cinematografici più torbidi.





THE FINAL ENEMY / IL NEMICO ULTIMO

Il Partito Radicale Transnazionale di Marco Pannella, Emma Bonino ed
Adriano Sofri ha pubblicato sul suo sito internet i dettagli del piano
di guerra alla Cina, compresa una mappa che mostra come sara'
ristrutturata l'area ex-cinese dopo lo sterminio umanitario:

La Cina squartata dal Partito Radicale
http://www.radicalparty.org/uighur/mappafinale.gif

Il Partito Radicale Transnazionale si batte da anni per lo squartamento
delle realta' statuali sovrane che tuttora con grande impudenza
intralciano la espansione del capitale monopolistico occidentale (es.
Jugoslavia, Russia, Cina): per questo il Partito Radicale
Transnazionale appoggia tutte le rivendicazioni di segno nazionalitario
(es. Cecenia), bigotto-reazionario (es. Tibet) e nazista (es. Croazia)
utili allo scopo. (a cura di Italo Slavo)





www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 21-11-05

Michael Parenti

Feudalesimo bonario: il mito del Tibet  /  Le mythe du Tibet

 
Da un capo all’altro dei secoli è prevalsa una dolorosa simbiosi fra religione e violenza. Le storie della cristianità, del giudaismo, dell’induismo e dell’islamismo sono pesantemente legate a vendette micidiali e distruttive, persecuzioni e guerre. Più volte, gli appartenenti ad una confessione religiosa hanno rivendicato e vantato un mandato divino per terrorizzare e massacrare eretici, infedeli ed altri peccatori.
Alcuni hanno obiettato che il buddismo è diverso, che occupa una posizione  antitetica rispetto alla violenza cronica delle altre confessioni religiose. In verità, così com’è praticato da molti negli Stati Uniti, il buddismo è più una disciplina “spirituale” e psicologica che non una teologia nel senso consueto del termine. Esso offre tecniche meditative e auto-terapie che si ritiene favoriscano l’ “illuminazione” e l’armonia dell’interiorità. Ma, come ogni altro sistema di valori, di convinzioni, il buddismo deve essere valutato non soltanto dalle sue dottrine, ma dall’effettivo comportamento dei suoi seguaci.

Eccezionalità del buddismo?

Un colpo d’occhio alla storia rivela che le organizzazioni buddiste non fanno eccezione alle persecuzioni violente che hanno così caratterizzato i gruppi religiosi nel corso delle epoche storiche. In Tibet, dall’inizio del diciassettesimo secolo e sino al secolo successivo inoltrato, sette buddiste  in conflitto si impegnarono in ostilità armate ed esecuzioni sommarie. (1) Nel ventesimo secolo, dalla Thailandia alla Birmania alla Corea al Giappone, i buddisti si sono scontrati fra loro e con i non buddisti. In Sri Lanka, enormi battaglie in nome del buddismo sono parte integrante della storia cingalese. (2)

Soltanto pochi anni fa, in Corea del Sud, migliaia di monaci dell’ordine buddista Chogye – che, secondo l’opinione generale erano dedicati ad una ricerca meditativa alla ricerca dell’illuminazione spirituale – si combatterono con pugni, pietre, bombe incendiarie, e randelli, in battaglie campali che continuavano per settimane. Stavano rivaleggiando per il controllo dell’ordine monastico, il maggiore della Corea del Sud, con il suo budget annuo di 9.2 milioni di dollari, i suoi milioni di dollari aggiuntivi in proprietà, e il privilegio di nominare 1700 monaci per mansioni varie. Le risse distrussero in parte i principali santuari buddisti e lasciarono dozzine di monaci feriti, alcuni dei quali in maniera seria.

Entrambe le fazioni che lottavano per la supremazia ricercavano il sostegno della nazione. In effetti, i cittadini coreani sembravano disdegnare entrambe le parti, essendo dell’opinione che non aveva importanza quale consorteria avrebbe preso controllo di un ordine, poiché avrebbe comunque impiegato le donazioni dei fedeli per accumulare ricchezze, comprese case ed auto costose. Secondo un notiziario di cronaca, la confusione all’interno dell’ordine buddista Chogye (molta della quale portata sugli schermi televisivi coreani): “ha mandato in frantumi l’immagine dell’Illuminismo Buddista”. (3)

Ma molti buddisti odierni negli Stati Uniti farebbero obiezione, affermando che nulla di ciò si applicherebbe al caso del Dalai Lama e del Tibet da lui presieduto prima della spaccatura cinese del 1959.  Il Tibet in cui credono, quello del Dalai Lama, era un mondo orientato verso un orizzonte spirituale, scevro da stili di vita egoistici, libero dal vuoto materialismo, da inutili ricerche e dai vizi corrotti che assediano la società moderna industrializzata. I media occidentali, insieme a uno stuolo di libri di viaggi, romanzi e film di Hollywood hanno dipinto la teocrazia tibetana come una vera Shangri-La e il Dalai Lama come un santo saggio, “il più grande essere umano vivente”, come lo ha descritto con grandissimo entusiasmo l’attore Richard Gere. (4)

Lo stesso Dalai Lama ha dato adito a tali immagini idealizzate sul Tibet, mediante affermazioni come: “La civiltà tibetana ha una ricca e lunga storia. L’influenza persuasiva del buddismo e le asperità di una vita fra gli ampi spazi aperti di un ambiente incorrotto, ha avuto come risultato una società dedicata alla pace e all’armonia. Provavamo diletto nella libertà e nella contentezza, nell’essere paghi.” (5)

Ma la storia del Tibet appare un po’ diversa. Nel tredicesimo secolo, l’imperatore Kublai Khan creò il primo Grande Lama, che avrebbe dovuto presiedere tutti gli altri Lama, così come farebbe un papa con i suoi vescovi. Parecchi secoli dopo, l’imperatore della Cina inviò un esercito in Tibet per sostenere il Grande Lama, un’ ambizioso venticinquenne che si autoconferì il titolo di Dalai (Oceano) Lama, signore di tutto il Tibet. Ecco un’ironia storica: il primo Dalai Lama fu investito della propria carica da un esercito cinese. Per elevare la sua autorità oltre la sfida mondana, temporale, il primo Dalai Lama confiscò monasteri che non appartenevano alla sua setta, e si crede anche che abbia distrutto scritti buddisti contrastanti con la sua pretesa di divinità.

Il Dalai Lama che gli successe ricercò una vita sibaritica (ndt: termine che indica un eccesso di lusso e mollezza, “degno di un sibarita”), da individuo raffinato e dedito ai piaceri, godendo di molte concubine, organizzando feste, scrivendo poesie erotiche e comportandosi in altri modi, che dovrebbero sembrare sconvenienti per una incarnazione degli dei.

Per questo la sua figura, in seguito è stata "oscurata" dai suoi monaci. In 170 anni, malgrado il loro stato riconosciuto come dei, cinque Lama di Dalai sono stato assassinati dai loro gran sacerdoti o da loro altri cortigiani non violenti buddistici. (7)

Shangri-La (per signori e Lama)

Le religioni hanno sempre avuto una stretta correlazione non soltanto con la violenza, ma anche con lo sfruttamento economico. In realtà, è spesso la strumentalizzazione economica che conduce necessariamente alla violenza. Tale è stato il caso della teocrazia tibetana. Fino al 1959, quando il Dalai Lama presiedette l’ultima volta il Tibet, la maggior parte della terra arabile era ancora organizzata attorno a proprietà feudali religiose o secolari lavorate da servi della gleba. Addirittura uno scrittore come Pradyumna Karan, solidale con il vecchio ordine, riconosce che “una grande quantità di proprietà apparteneva ai monasteri, la maggioranza di essi accumulava notevoli ricchezze… Inoltre, monaci e Lama riuscirono ad ammassare individualmente notevoli ricchezze tramite la partecipazione attiva negli affari, nel commercio e nell’usura.” (8)

Il monastero di Drepung era uno delle più estese proprietà terrestri del mondo, con i suoi 185 feudi, 25.000 servi della gleba, 300 grandi pascoli e 16.000 guardiani di gregge. La ricchezza dei monasteri andava ai Lama di più alto rango, molti dei quali rampolli di famiglie aristocratiche, mentre invece la maggior parte del clero più basso era povero come la classe contadina dalla quale discendeva. Questa disuguaglianza economica classista all’interno del clero tibetano, è strettamente paragonabile a quella del clero cristiano dell’Europa medievale. Insieme  al clero superiore, i leaders secolari facevano la loro parte. Un esempio considerevole fu il comandante in capo dell’esercito tibetano, che possedeva 4.000 chilometri quadrati di terra e 3.500 servi. Egli era anche un membro del Consiglio terriero del Dalai Lama. (9)
L’Antico Tibet è stato rappresentato da alcuni dei suoi ammiratori occidentali come “una nazione che non necessitava forze di polizia perché il suo popolo osservava spontaneamente le leggi del karma.” (10) In realtà era dotato di un esercito professionale, sebbene di piccole dimensioni, che era al servizio dei proprietari terrieri come gendarmeria, con l’incarico di mantenere l’ordine e catturare i servi della gleba fuggitivi. (11)

I ragazzini tibetani venivano regolarmente sottratti alle loro famiglie e condotti nei monasteri per essere educati come monaci. Una volta laggiù, erano vincolati per tutta la vita. Tashì-Tsering, un monaco, riferisce che era pratica comune per i bambini contadini essere abusati sessualmente nei monasteri. Egli stesso fu vittima di ripetute violenze sessuali perpetrate durante l’infanzia, non molto tempo dopo che fu introdotto nel monastero, all’età di nove anni. (12)

 
Nell’Antico Tibet vi era un piccolo numero di agricoltori il cui stato sociale era una sorta di contadino libero, e forse un numero aggiuntivo di 10.000 persone, le quali costituivano la “classe media”, famiglie di mercanti, bottegai e piccoli commercianti. Migliaia di altri erano mendicanti. Una piccola minoranza erano poi schiavi, di solito servi domestici, che non possedevano nulla. La loro prole nasceva già in condizioni di schiavitù. (13)
Nel 1953, la maggioranza della popolazione rurale – circa 700.000 su una popolazione totale stimata 1.250.000 – era composta da servi della gleba. Vincolati alla terra, veniva loro assegnata soltanto una piccola parcella fondiaria per poter coltivare il cibo atto al sostentamento. I servi della gleba e il resto dei contadini dovevano in genere fare a meno dell’istruzione e dalle cure mediche. Trascorrevano la maggioranza del loro tempo sgobbando per i monasteri e per i singoli Lama di alto rango, e per un’aristocrazia secolare, laica, che non contava più di 200 famiglie. Essi erano in effetti proprietà dei loro signori, che gli comandavano quali prodotti della terra coltivare e quali animali allevare. Non si potevano sposare senza il consenso del loro signore o Lama. Se il suo signore lo avesse inviato in un luogo di lavoro lontano, un servo avrebbe potuto essere facilmente separato dalla sua famiglia. I servi potevano essere venduti dai loro padroni, o sottoposti a tortura e morte. (14)

Se dobbiamo dar credito al racconto di una donna ventiduenne, ella stessa serva fuggiasca, il signore tibetano era solito selezionare fra il meglio della popolazione femminile di servitù della gleba: “Tutte le ragazze graziose della servitù erano solitamente prese dal proprietario come domestiche e trattate come lui desiderava.” Esse “erano soltanto schiave senza alcun diritto.” (15) La servitù necessitava di un permesso per recarsi ovunque. I proprietari terrieri avevano l’autorità legale di catturare e impiegare metodi coercitivi, sino alla violenza, nei confronti di quelli che tentavano di fuggire, obbligandoli a tornare indietro. Un servo di ventiquattro anni, anch’egli fuggiasco, intervistato da Anna Louise Strong, accoglieva con favore l’intervento cinese come una “liberazione”. Nel corso del suo periodo di servitù sostiene di non avere ricevuto un trattamento molto diverso da un animale da traino, sottoposto a un incessante lavoro, fame e freddo, incapace di leggere o scrivere, senza conoscere nulla, né sapere nulla. Egli racconta il suo tentativo di fuga: la prima volta che [gli uomini del padrone] mi agguantarono mentre stavo cercando di sfuggire, ero molto piccolo, e mi diedero soltanto un buffetto imprecando contro di me. La seconda volta mi picchiarono. La terza volta avevo già quindici anni e mi diedero quindici frustate pesanti, violente, con due uomini seduti sopra di me, uno sulla mia testa e uno sui miei piedi. Il sangue mi uscì allora dal naso e dalla bocca. Il sorvegliante disse: “Questo è soltanto sangue dal naso; forse prenderai bastonate più forti, e perderai sangue dal cervello.” Mi picchiarono poi con bastonate più intense, versando alcool e acqua con soda caustica sulle ferite, per aumentare il dolore. Persi i sensi per due ore…” (16)

Oltre a ritrovarsi in un vincolo lavorativo che li obbligava a lavorare la terra del signore – oppure quella del monastero - per tutta la durata della vita e senza salario, i servi della gleba erano costretti a riparare le case del signore, trasportarne la messe e raccoglierne la legna da ardere. Si esigeva anche che provvedessero a trasportare gli animali e al trasporto su richiesta, a seconda delle pretese del padrone. “Era un efficiente sistema di sfruttamento economico, che assicurava alle élites laiche e religiose del paese una forza lavoro sicura e permanente per coltivare i loro appezzamenti di terreno, che li esonerava dall’accollarsi qualsiasi responsabilità quotidiana diretta circa la sussistenza del servo, e senza la necessità di competere per la manodopera in un contesto di mercato.” (17)
La gente comune sgobbava sotto il doppio fardello della corvée (lavoro forzato non retribuito in favore del padrone) e delle decime onerose. Ogni aspetto della vita era gravato da tributi: il matrimonio, la nascita di ogni figlio, ogni morte in famiglia. Erano soggetti a imposta per aver piantato un nuovo albero nel loro cortile, per tenere animali domestici o dell’aia, per il possesso di un vaso di fiori, o per l’aver messo un campanello ad un animale. C’erano tasse per le festività religiose, per cantare, ballare, far rullare il tamburo e suonare il campanello. La gente veniva tassata per quando veniva mandata in prigione e quando la si rilasciava. Addirittura i mendicanti erano soggetti alla pressione fiscale. Quelli che non riuscivano a trovare lavoro erano tassati a causa della loro disoccupazione, e se si spostavano in un altro villaggio nella loro ricerca di un’occupazione, pagavano una tassa di transito. Quando la gente non poteva pagare, i monasteri prestavano loro denaro ad un interesse oscillante fra il 20% e il 50%. Alcuni debiti venivano tramandati di padre in figlio sino al nipote. I debitori che non potevano evadere i loro debiti, rischiavano la riduzione in schiavitù per un periodo di tempo stabilito dal monastero, a volte per il resto delle loro vite. (18)
Le dottrine pedagogiche della teocrazia ne appoggiarono e rafforzarono l’ordine sociale classista. Si insegnava ai poveri e agli afflitti che i propri guai erano su di loro a causa del loro comportamento sciocco e immorale nel corso delle loro vite precedenti. Dovevano quindi accettare l a miseria della loro esistenza presente come un’espiazione e in anticipo, solo così  il loro destino, la loro sorte sarebbero migliorati se fossero rinati, se si fossero reincarnati. I ricchi e potenti consideravano naturalmente la loro buona fortuna come una ricompensa e una dimostrazione tangibile di virtù nelle vite passate e presenti.

Torture e mutilazioni in Shangri-La

Nel Tibet del Dalai Lama, la tortura e la mutilazione – comprese l’asportazione dell’occhio e della lingua, l’azzoppamento e l’amputazione delle braccia e delle gambe – erano le punizioni principali inflitte ai ladri, ai servi fuggiaschi, e ad altri “criminali”. Viaggiando attraverso il Tibet negli anni ’60, Stuart e Roma Gelder ebbero un colloquio con un antico servo, Tsereh Wang Tuei, che aveva rubato due pecore che appartenevano ad un monastero. Per questo ebbe entrambi gli occhi strappati e le mani mutilate. Spiega che non è più un buddista: “Quando un sacro Lama disse loro di accecarmi, pensai che non c’era alcun bene nella religione.” (19)
Alcuni visitatori occidentali nell’Antico Tibet hanno fatto notare l’elevato numero di amputati. Dato che è contro la dottrina buddista sottrarre la vita, alcuni delinquenti furono severamente frustati e poi “abbandonati a  Dio” nella gelida notte a morire. “I paralleli fra il Tibet e l’Europa medievale sono impressionanti,” conclude Tom Grunfeld nel suo libro sul Tibet. (20)

Alcuni monasteri avevano le proprie prigioni private, riporta Anna Louise Strong. Nel 1959, visitò una mostra di apparecchiature da tortura che erano state impiegate dai signori feudatari tibetani. C’erano manette di tutte le taglie, comprese quelle di piccola misura per bambini, e strumenti per mozzare nasi e orecchie, e spezzare mani. Per strappare gli occhi, c’era uno speciale copricapo di pietra, provvisto di due fori, che veniva premuto sul capo, così che gli occhi potessero gonfiarsi e deformarsi fuoriuscendo dalle orbite, facilitandone l’asportazione. C’erano congegni per tagliare le rotule e i talloni, o per azzoppare. C’erano tizzoni ardenti, scudisci e strumenti speciali per sventrare. (21)

L’esposizione presentava fotografie e testimonianze di vittime che erano state accecate o storpiate o che avevano patito amputazioni per furto. C’era il pastore il cui padrone vantava un debito nei suoi confronti in denaro e grano, ma che si rifiutava di pagare. Così il pastore si impossessò di una delle mucche del padrone; e per questo gli furono troncate le mani. Ad un altro guardiano di gregge, che si opponeva al dover concedere la moglie al suo signore, furono staccate le mani. C’erano fotografie di attivisti comunisti dai nasi e dalle labbra superiori troncati, e una donna che era stata violentata e che poi ebbe il naso mozzato. (22)

Il dispotismo teocratico era stato per anni il principio informatore. Nel 1895, un visitatore inglese in Tibet, il dr. A. L. Waddell scrisse che i tibetani erano assoggettati all’ “intollerabile tirannia dei monaci” e alle superstizioni diaboliche che essi avevano modellato al fine di terrorizzare le persone. Perceval Landon descrisse nel 1904 la regola del Dalai Lama come una “macchina da sopraffazione” e un “ostacolo ad ogni progresso umano.” Più o meno a quel tempo, un altro viaggiatore inglese, il Capitano W.F.T. O’Connor notava che “ i grandi proprietari terrieri e i sacerdoti… esercitano ciascuno all’interno del proprio dominio un potere dispotico dal quale non c’è appello,” mentre il popolo è “oppresso dalla più mostruosa crescita di monachesimo e clericalismo che il mondo abbia mai visto.” I governatori tibetani, come quelli europei durante il medioevo, “forgiarono innumerevoli armi per asservire il popolo, inventarono leggende umilianti e stimolarono uno spirito di superstizione” fra la gente comune. (23)
Nel 1937, un altro visitatore, Spencer Chapman, scrisse:  “…il monaco buddista tibetano non trascorre il proprio tempo provvedendo alle persone o ad istruirle, e nemmeno i laici prendono parte ai servizi dei monasteri o li frequentano. Il mendicante sul ciglio della strada non è nulla per il monaco. La conoscenza è una prerogativa dei monasteri custodita gelosamente, ed è strumentalizzata per aumentare la loro influenza e ricchezza...” (24)

Occupazione e rivolta

I comunisti cinesi occuparono il Tibet nel 1951, rivendicando la sovranità sul paese. Il trattato del 1951 stabiliva un apparente autogoverno sotto l’autorità del Dalai Lama, ma conferiva di fatto alla Cina il controllo militare e il diritto esclusivo di condurre le relazioni estere. Si rilasciava anche ai cinesi un ruolo diretto nell’amministrazione interna “per promuovere le riforme sociali.” Inizialmente, procedevano cautamente facendo affidamento per lo più sulla persuasione, tentando di attuare processi di cambiamento. Tra le prime riforme varate ci fu quella che riduceva i tassi d’interesse da usuraio, e costruirono alcuni ospedali e strade.

Mao Tze Tung e i suoi quadri comunisti non intendevano semplicemente occupare il Tibet. Desideravano la cooperazione del Dalai Lama nel trasformare l’economia feudale del Tibet in conformità con gli obiettivi socialisti. Perfino Melvyn Goldstein, che è solidale con il Dalai Lama e con la causa dell’indipendenza tibetana, ammette che “contrariamente all’opinione corrente in Occidente”, i cinesi “perseguivano una politica moderata.    Avevano cura di mostrare rispetto per la cultura e la religione tibetane” e “permettevano ai vecchi sistemi monastico e feudali di continuare immutati. Fra il 1951 e il 1959, non solo non venne confiscata alcuna proprietà aristocratica o monastica,ma venne permesso ai signori feudali di esercitare una continua autorità giudiziaria nei confronti dei contadini a loro vincolati ereditariamente.” (25)
Non più tardi del 1957, Mao Tze Tung cercò ancora di rafforzare una politica progressiva. Ridusse il numero di quadri cinesi e delle truppe in Tibet, e promise al Dalai Lama che la Cina non avrebbe portare a termine riforme terriere in Tibet per i sei anni successivi e oltre, se le condizioni non fossero ancora maturate. (26)

Nondimeno però, l’autorità cinese in Tibet arrecava grandi disagi ai signori e ai Lama. Ciò che li infastidiva più di ogni altra cosa non era che gli intrusi fossero cinesi. Nel corso dei secoli avevano visto cinesi andare e venire, godendo di buone relazioni con il Generalissimo e il regime reazionario del Kuomintang in Cina. (27) Effettivamente, l’approvazione del governo reazionario del Kuomintang era necessaria, per ratificare la scelta dell’attuale Dalai Lama e del Lama Panchen. Quando il giovane Dalai Lama fu investito della sua carica a Lhasa, ciò avvenne con un scorta armata di truppe di Chiang Kaishek e di un ministro cinese in carica, in conformità con una tradizione secolare. (28) Quel che preoccupava i signori tibetani e i Lama era che questi cinesi recenti erano comunisti. Si sarebbe trattato soltanto di una questione di tempo, ne erano certi, poi i comunisti avrebbero iniziato ad imporre le loro soluzioni ugualitarie e collettiviste sulla loro teocrazia altamente privilegiata.

Nel 1956-57  bande armate tibetane tesero un’imboscata al convoglio dell’Esercito di Liberazione del Popolo cinese (EPL). La sommossa  ricevette il sostegno esteso e materiale della CIA, comprendente armi,  provviste e l'addestramento militare per le unità di commando del Tibetan. È ormai di conoscenza pubblica che fu la CIA a impiantare le basi di sostegno in Nepal,  compiendo numerosi ponti aerei per le operazioni di guerriglia condotte all’interno del Tibet. (29)
Nel frattempo negli Stati Uniti, la Società Americana per un'Asia Libera, un ramo della CIA, propagandava in modo dispiegato la causa di resistenza del Tibetan. Il fratello maggiore del Dalai Lama, Thubtan Norbu, ha giocato un notevole ruolo  in questo gruppo. Molti dei commando del Tibetan e gli agenti che la CIA aveva paracadutato nel paese, erano dei capi di clan aristocratici o i figli dei capi. Il novanta per cento di loro non li conosceva nessuno nel paese, secondo una relazione della CIA. (30)
La ridotta guarnigione dell’EPL in Tibet non avrebbe mai potuto catturare tutti loro, se non avesse ricevuto il sostegno dei tibetani che non sostennero la rivolta. Questo dimostra che la resistenza ha avuto una base piuttosto stretta dentro il Tibet.  "Molti Lama e molti membri laici dell'elite e molti dell'esercito del Tibetan hanno sostenuto la rivolta, ma la maggioranza della popolazione non l’ha fatto e questo ha sancito il suo fallimento," scrisse Hugh Deane. (31)

Nel loro libro sul Tibet, Ginsburg e Mathos raggiungono una conclusione simile: "Gli insorti del Tibetan non sono mai riusciti a raccogliere nei loro ranghi anche solo una consistente parte della popolazione, per  non dire niente della maggioranza di essa. Per quanto può essere constatato, la gran parte della popolazione di Lhasa e della campagna contigua, non aderirono nonostante il tentativo di unirle nella lotta contro il cinese..." (32)
Alla fine la resistenza si sgretolò.

I Comunisti rovesciano il Feudalesimo

Qualunque presunta ingiustizia e qualunque presunta nuova oppressione furono  introdotte dai cinesi in Tibet dopo 1959, essi di fatto  hanno abolito la schiavitù ed il sistema di servi della gleba e l’utilizzo di mano d'opera non pagata. Hanno eliminato il sistema delle tasse, creato piani di nuovi lavoro, ridotto in gran parte la disoccupazione  e la miseria. Hanno costruito i soli ospedali che esistono nel paese, e un nuovo sistema educativo, rompendo perciò il monopolio educativo dei monasteri. Hanno costruito i sistemi d’irrigazione per l'acqua e portato l’energia elettrica in Lhasa.Abolito il sistema delle flagellazioni pubbliche, le mutilazioni e le amputazioni come criminali forme di punizione. (33)
Il governo cinese ha espropriato anche le proprietà terriere e ha riorganizzato i contadini in centinaia di comuni. Heinrich Harrer  ha scritto un libro di successo delle sue esperienze in Tibet che è diventato un film di Hollywood. (Solo dopo si è saputo che Harrer era stato un sergente nazista sotto  Hitler. (34)
Egli narra che i tibetani  resisterono orgogliosamente contro i cinesi e "che hanno difeso nobilmente la loro indipendenza... Erano predominantemente i nobili, i proprietari ed i Lama; sono poi stati puniti utilizzandoli per eseguire i lavori più bassi, come lavorare alla costruzione di  strade e ponti. Furono  poi ulteriormente umiliati, essendo usati per la pulizia delle città prima dell’arrivo dei turisti..." Dovevano anche vivere in un accampamento originalmente abitato da mendicanti e vagabondi. (35)

Dal 1961 centinaia di migliaia di acri precedentemente posseduti dai signori e dai  Lama furono distribuiti agli affittuarii ed ai contadini senza terra. Nelle zone pastorali, le greggi che erano state possedute una volta dai nobili furono  date alle comuni dei poveri e dei pastori. Miglioramenti ed investimenti furono apportati nell'allevamento del bestiame e per le nuove coltivazioni di verdure e di frumento e orzo, che furono introdotti per la prima volta; fu pianificato il sistema di irrigazione, che hanno portato ad un notevole incremento della produzione contadina. (36)

 
Molti rimasero religiosi come sempre, e liberi di dare le elemosine al clero. Ma la gente non fu  più  costretta a omaggiare o fare regali obbligati ai monasteri ed ai signori. I molti monaci che erano stati costretti negli ordini religiosi da bambini senza poter scegliere ora erano liberi di rinunciare alla vita monastica e così migliaia di essi, particolarmente quelli più giovani, tornarono alla vita civile. Il clero restante può vivere contando su minimi stipendi governativi ed un reddito supplementare guadagnato officiando ai servizi di nozze ed ai funerali. (37)

Le denunce fatte dal Dalai Lama  circa le sterilizzazioni di massa e la deportazione forzata dei tibetani, fatte dai cinesi non hanno mai trovato conferme da alcuna prova.

Sia il Dalai Lama che il suo fratello più giovane e consigliere, Tendzin Choegyal, hanno sostenuto che "più di 1.2 milione tibetani sarebbero morti come conseguenza dell’”occupazione cinese”.(38)
Ad essi non importa come spesso nelle loro dichiarazioni, che i numeri dati siano sconcertanti e lasciano completamente perplessi.

Il censimento ufficiale del 1953 sei anni prima dell’arrivo dei cinesi, aveva registrato l'intera popolazione del Tibet, stabilendo la cifra di 1.274.000 abitanti.
Altre valutazioni avevano conteggiato circa  due milioni di tibetani abitanti il paese. (39)
Se i cinesi avessero ucciso 1.2 milioni, città intere dell'inizio degli anni 60  e parti enormi della campagna, effettivamente quasi tutto il Tibet, sarebbe stato spopolato, trasformato in un enorme campo di concentramento, pieno di fosse comuni e cimiteri, di cui però non abbiamo trovato prove. La forza militare cinese nel Tibet non era abbastanza grande come numero, non avrebbe potuto sterminare materialmente tutta quella gente anche se avesse speso tutto il proprio tempo e attività, senza fare nient’altro.
Le autorità cinesi ammettono " errori" nel passato, specialmente durante la rivoluzione culturale 1966-76 quando le persecuzioni religiose  raggiunsero un'alto livello sia in Cina che nel Tibet. Dopo la rivolta verso la fine degli anni 50, furono migliaia i tibetani incarcerati. Durante il “grande balzo in avanti”, la collettivizzazione dell’agricoltura, la coltivazione forzata del grano furono imposte ai contadini, a volte con effetti disastrosi. Verso la fine degli anni 70, la Cina aveva  ottenuto la completa pacificazione della situazione nel Tibet "ed ha provato a modificare e correggere alcuni errori commessi durante i due decenni precedenti." (40)

Nel 1980 il governo cinese iniziava una serie di riforme destinate ad assegnare al Tibet un  grado sempre più grande di autonomia e del auto amministrazione. Ai tibetani venne permesso coltivare propri appezzamenti di terra, vendere le eccedenze della raccolta, scegliere le coltivazioni più adatte al proprio sostentamento e per mantenere il bestiame e le pecore. Vennero ripristinate le comunicazione con il mondo esterno ed i controlli di frontiera furono facilitati per permettere ai tibetani di visitare i parenti in India e Nepal. (41)

 

 
























Le Elites, gli Emigrati ed il denaro della CIA


Per i Lama dell’alta società tibetana ed i signori, l'intervento comunista fu una calamità. La maggior parte di loro fuggirono all'estero,  come il Dalai Lama, che scappò in un operazione organizzata direttamente  dalla CIA. Alcuni scoprirono con orrore che avrebbero  dovuto lavorare per vivere. Quelle elite feudali che rimasero in Tibet e decisero di cooperare col nuovo regime, si trovarono davanti a nuove situazioni di vita non certo facili.
Eccone alcuni esempi: nel 1959, la giornalista Anna Louise Strong visitò l'Istituto Centrale delle Minoranze Nazionali a Pechino, che addestrava le varie minoranze etniche per il servizio civile o  preparava per l'entrata nelle scuole agricole e mediche. Dei 900 studenti del Tibetan presenti, la maggior parte erano il servi in fuga e ex schiavi. Ma circa 100 erano di famiglie agiate del Tibetan, inviate dai loro genitori in modo che avrebbero potuto ottenere posti favorevoli nella nuova amministrazione. Il divario di classe che divideva tra questi due gruppi di studenti era fin troppo evidente. Una nota di direttore dell'istituto diceva: “ Quelli provenienti dalle famiglie nobili ritengono che in tutte le cose essi sono superiori. Si risentono di dover portare le  proprie valige, fare i  propri letti, badare alla propria stanza. Questo, pensano, è un incarico da schiavi; si ritengono insultati perché pretendiamo che facciano questo. Alcuni non l'accettano e tornano a casa;  altri alla fine l'accettano.
Il servo all’inizio ha paura degli altri e non può sedere con facilità nella stessa stanza con essi. In periodi successivi prossimo cominciano ad avere meno paura ma tuttavia continuano a sentire differenze e non riescono a mescolarsi.
Soltanto con il tempo e la discussione continua raggiungono il momento in cui si mescolano facilmente e si sentono come studenti e persone, criticandosi o aiutandosi l'un l'altro, con normalità. (42)
Intanto un  nauseante patto fu fatto dagli emigrati tibetani con l’Occidente ed il sostegno sostanzioso di agenzie americane per il mantenimento di un mondo fondato sulla disuguaglianza economica.
Dall’inizio del 1960 la comunità tibetana in esilio ha intascato segretamente 1,7 milioni di dollari all'anno dalla CIA, come accertato dalla documentazione rilasciata dal Ministero degli Affari Esteri USA nel 1998. Quando  questo fatto è stato pubblicizzato, l'organizzazione del Dalai Lama ha emesso un comunicato ammettendo che aveva ricevuto alcuni milioni di dollari dalla CIA durante gli anni 1960 per inviare squadre armate di esiliati in Tibet per contrastare la rivoluzione maoista. Il Dalai Lama riceveva per sé 186.000 dollari,  rendendolo così di fatto un agente ufficiale pagato dalla CIA. Anche i servizi segreti indiani l'hanno finanziato e anche altri esiliati tibetani. (43)

Egli si è sempre rifiutato di dire se egli o suoi fratelli hanno lavorato per la CIA. Anche l'agenzia si è rifiutata di commentare. (44)
Nonostante ha sempre presentato sé stesso come il difensore di diritti umani, e per questo vinse il Premio Nobel per la pace nel 1989, il Dalai Lama  ha sempre continuato a frequentare e avuto come consiglieri l'émigrazione aristocratica ed ogni altro reazionario, durante il suo esilio. Nel 1995, il Raleigh, il N.C. News e Observer ha messo in prima pagina una fotografia a colori del Dalai Lama mentre abbracciava il famoso reazionario senatore Repubblicano Jesse Helms, sotto il titolo : "Buddista Affascina l'Eroe della Destra Religiosa." (45)
Nel mese di aprile del 1999, con Margaret Thatcher, il papa Giovanni Paolo II ed il primo George Bush, il Dalai Lama ha fatto appello al governo britannico per liberare Augusto Pinochet, l'ex dittatore fascista del Cile e un cliente da molto tempo della CIA arrestato mentre visitava l'Inghilterra. Ha sollecitato che a Pinochet sia permesso ritornare alla sua patria e non costringerlo ad andare è in Spagna dove era ricercato dai giudici spagnoli per  crimini contro umanità.

Oggi, principalmente attraverso il “Fondo per lo sviluppo della democrazia”  ed altri canali che sono rami della CIA, il Congresso degli Stati Uniti continua ad assegnare i 2 milioni di dollari  annuali per i tibetani in India, con altri milioni supplementari per "le attività di democrazia" all'interno della Comunità tibetana in esilio. Il Dalai Lama inoltre ottiene i soldi dal finanziere George Soros, che sovvenziona la creatura della CIA Radio Free Europa/ Radio Liberty e altri istituti. (46)

 
La questione culturale

Ci è stato detto che quando il Dalai Lama governava il Tibet, la gente viveva in simbiosi armoniosa con i loro signori monastici e secolari, in un ordine sociale costituito da una cultura profondamente spirituale e nonviolenta. La relazione profonda del contadino al sistema  di credenza sacra avrebbe loro dato una tranquilla stabilità, ispirata da insegnamenti religiosi umanitari e pacifici. Uno di questi è paragonato, nell’immagine idealizzata dell’Europa feudale, come presentato dai cattolici conservatori  quali G. K. Chesterton e Hilaire Belloc. Per loro, la cristianità medioevale era un mondo di contadini contenti che vivono nel legame profondo dello spirito con la loro chiesa, sotto la protezione del loro signori. (47)

Siamo invitati ancora ad accettare una cultura particolare relativemente alle proprie condizioni, che significa accettarla come presentata dalle classi dominanti, da coloro che da essa ne traggono i maggiori profitti.


L'immagine della Shangri-La del Tibet non ha nessuna rassomiglianza con la realtà storica, poi trasformata in un immagine romanticizzata  dell’Europa medioevale. Si potrebbe dire che come cittadini del mondo moderno non possiamo afferrare le equazioni di felicità e dolore, contentezza ed abitudini, che caratterizzano di più "lo spirituale" e le società "tradizionali". Ciò può essere comprensibile e può spiegare perchè alcuni di noi idealizzano tali società. Ma ancora, un occhio sgorbiato è un occhio sgorbiato; una fustigazione è una fustigazione; e lo sfruttamento opprimente dei servi e degli schiavi è ancora una brutale ingiustizia di classe qualunque abbellimento culturale si tenti. C’è una differenza fra un legame spirituale e la schiavitù umana, anche quando entrambi esistono parallelamente.

Sicuramente ci sono molte cose da deplorare circa l’intervento cinese. Negli anni 90, l’etnia Han, il più grande gruppo etnico che rappresenta oltre il 95 per cento della popolazione generale della Cina, ha cominciato a muoversi in  numero notevole verso il Tibet e varie  province occidentali. (48)
Questi riassestamenti demografici hanno avuto sicuramente effetti sulle culture indigene della Cina e del Tibet occidentali… Alcuni dirigenti cinesi nel Tibet hanno assunto troppo spesso un atteggiamento di superiorità verso la popolazione indigena. Alcuni osservano i loro vicini tibetani come retrogradi e pigri, necessitanti di sviluppo economico e "educazione  patriottica."
… Durante gli anni 90 diversi tibetani secondo molte informazioni sono stati arrestati, per attività separatiste e legami con la  "sovversione politica."... (49)
…. Nel frattempo, la storia, la cultura e la religione tibetane sono trascurate nelle scuole. I materiali didattici, sono comunque ancora in tibetano, anche se molto è indirizzato verso la storia cinese e le sue culture…(50)

Il nuovo ordine ha molti sostenitori.
Un’articolo del Washington  Post del 1999 scriveva che il Dalai Lama continua ad essere riverito nel Tibet, ma. . . pochi tibetani accoglierebbero favorevolmente un ritorno dei clan aristocratici corrotti che sono fuggiti con lui nel 1959 e che compongono la massa dei suoi consiglieri. Molti contadini tibetani, per esempio, non hanno interesse nella cessione della terra che avevano ottenuto durante la riforma fondiaria della Cina, espropriata ai clan aristocratici feudali. Gli ex schiavi del Tibet dicono anche, che non desiderano che  i loro precedenti padroni tornino al potere.

 


"Già ho vissuto una volta quella vita prima," ha detto Wangchuk, un ex schiavo di 67 anni con indosso i suoi vestiti migliori per il suo pellegrinaggio annuale a Shigatse, uno dei luoghi più sacri del buddismo tibetano. Ha detto che adorava il Dalai Lama, ma ha aggiunto, "non posso essere libero sotto comunismo cinese, ma la mia vita è migliore di quando ero uno schiavo."(51) Nel sostenere il rovesciamento cinese della teocrazia feudale  del Dalai Lama non devo approvare ogni cosa fatta circa il ruolo cinese nel Tibet. Questo punto è capito raramente dagli odierni aderenti della Shangri-La nell'occidente.
Il contrario è inoltre allineare. Criticare l'invasione cinese non significa che dobbiamo romanticizzare  il regime feudale precedente. Una protesta comune fra i seguaci buddisti nell'ovest è che la cultura religiosa del Tibet sta per essere distrutta dalle autorità cinesi. Questo potrebbe essere.
Ma ciò che tratto qui è la presunta natura spirituale, ammirevole e primitiva di quella cultura pre-invasione. In breve, possiamo sostenere la libertà e l'indipendenza religiose per il Tibet senza dovere abbracciare la mitologia di un paradiso perduto. Per concludere, vorreisottolineare che la critica proposta qui non è intesa come attacco personale al Dalai Lama. Egli appare sempre come un individuo abbastanza piacevole, che parla spesso di pace, di amore e di nonviolenza.










































Nel 1994, in un'intervista con Melvyn Goldstein, ha voluto ricordare che fin da giovane egli era sempre stato per la costruzione di scuole, "macchine" e strade nel suo paese. Sostenne che aveva pensato che gli obblighi e le tasse imposti ai contadini "siano stati estremamente difettosi." Ed ha provato antipatia per il fatto che la gente era stata strozzata con i vecchi debiti, a volte passati di generazione in generazione. (52)
Inoltre ha creato "un governo in esilio" con una Costituzione scritta, un assemblea rappresentativa ed altri aspetti democratici. (53)
Come molti sovrani di un tempo, il Dalai Lama dà l’impressione di essere più più preparato a parlare di potere invece che di esercitarlo. Se si tiene conto che ci ha messo quarant’anni di esilio, un ‘occupazione cinese per arrivare a proporre la democrazia per il Tibet e a criticare l’autocrazia feudale di cui lui stesso era la massima apoteosi.
Ma la sua critica del vecchio ordine arriva troppo in ritardo per convincere i tibetani. Molti di loro desiderano che possa tornare  nel paese, ma sembra che relativamente pochi desiderino un ritorno all'ordine sociale che lui ha rappresentato.

In un libro pubblicato nel 1996, il Dalai Lama profferì una clamorosa dichiarazione che fece venire i brividi  alla Comunità dell’esilio. Si legge in un capitolo: di tutte le teorie economiche moderne, il sistema economico marxista è fondato su principi morali, mentre il capitalismo è interessato soltanto al guadagno e al profitto. Il marxismo è indirizzato alla distribuzione della ricchezza su una base uguale e alla giusta utilizzazione dei mezzi di produzione. Inoltre esso è anche concepito sugli interessi della classe lavoratrice che è la maggioranza della popolazione, così come per il destino degli sfruttati e di quelli che hanno più bisogno, inoltre si preoccupa del destino di chi non è privilegiato e per le vittime dello sfruttamento imposto dalla minoranza. Per questi motivi il sistema fa appello a me e mi sembra giusto... Per questo motivo penso a me come mezzo marxista e mezzo buddista. (54)
E più recentemente nel 2001, mentre visitava la California, ha sottolineato che "il Tibet, è materialmente molto, molto indietro. Spiritualmente è abbastanza ricco. Ma la spiritualità non può riempire i nostri stomaci."
Questo è un messaggio a cui  dovrebbero fare attenzione i ricchi e benestanti proseliti occidentali del buddismo  che ritengono che esso non può essere confuso con considerazioni materiali, mentre romanticizzano il Tibet feudale. Al di là del buddismo e del Dalai Lama, quello  che ho provato a sfidare è il mito del Tibet, l'immagine di un paradiso perduto, un ordine sociale che era poco più di un teocrazia dispotica e retrograda, fondata sulla schiavitù e sulla  povertà, danneggiando così lo spirito dell’uomo, dove le più grandi  ricchezze sono state accumulate da pochi potenti che vivevano al di sopra degli altri,  approfittando del lavoro, del sangue e del sudore della maggioranza.
Per a maggior parte degli aristocratici tibetani in esilio, quello è il mondo a cui vorrebbero ardentemente ritornare.
Esso è molto lontano dallo Shangri-La.

 
(Trad. di E. Vigna, revisione a cura di AM)

 
Note:

1.       Melvyn C. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon: China, Tibet, and the Dalai Lama (Berkeley: University of
California Press, 1995), 6-16.

2.       Mark Juergensmeyer, Terror in the Mind of God, (Berkeley: University of California Press, 2000), 113.

3.       Kyong-Hwa Seok, "Korean monk gangs battle for temple turf," San Francisco Examiner, December 3, 1998.

4.       Gere quoted in "Our Little Secret," CounterPunch, 1-15 November 1997.

5.       Dalai Lama quoted in Donald Lopez Jr., Prisoners of Shangri-La: Tibetan Buddhism and the West (Chicago and
London: Chicago University Press, 1998), 205.

6.       Stuart Gelder and Roma Gelder, The Timely Rain: Travels in New Tibet (New York: Monthly Review Press, 1964), 119.

7.       Gelder and Gelder, The Timely Rain, 123.

8.       Pradyumna P. Karan, The Changing Face of Tibet: The Impact of Chinese Communist Ideology on the Landscape
(Lexington, Kentucky: University Press of Kentucky, 1976), 64.

9.       Gelder and Gelder, The Timely Rain, 62 and 174.

10.  As skeptically noted by Lopez, Prisoners of Shangri-La, 9.

11.  See the testimony of one serf who himself had been hunted down by Tibetan soldiers and returned to his master: Anna
Louise Strong, Tibetan Interviews (Peking: New World Press, 1929), 29-30 90.

12.  Melvyn Goldstein, William Siebenschuh, and Tashì-Tsering, The Struggle for Modern Tibet: The Autobiography of
Tashì-Tsering (Armonk, N.Y.: M.E. Sharpe, 1997).

13.  Gelder and Gelder, The Timely Rain, 110.

14.  Strong, Tibetan Interviews, 15, 19-21, 24.

15.  Quoted in Strong, Tibetan Interviews, 25.

16.  Strong, Tibetan Interviews, 31.

17.  Melvyn C. Goldstein, A History of Modern Tibet 1913-1951 (Berkeley: University of California Press, 1989), 5.

18.  Gelder and Gelder, The Timely Rain, 175-176; and Strong, Tibetan Interviews, 25-26.

19.  Gelder and Gelder, The Timely Rain, 113.

20.  A. Tom Grunfeld, The Making of Modern Tibet rev. ed. (Armonk, N.Y. and London: 1996), 9 and 7-33 for a general discussion of feudal Tibet; see also Felix Greene, A Curtain of Ignorance (Garden City, N.Y.: Doubleday, 1961), 241-249; Goldstein, A History of Modern Tibet 1913-1951, 3-5; and Lopez, Prisoners of Shangri-La, passim.

21.  Strong, Tibetan Interviews, 91-92.

22.  Strong, Tibetan Interviews, 92-96.

23.  Waddell, Landon, and O'Connor are quoted in Gelder and Gelder, The Timely Rain, 123-125.

24.  Quoted in Gelder and Gelder, The Timely Rain, 125.

25.  Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 52.

26.  Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 54.

27.  Heinrich Harrer, Return to Tibet (New York: Schocken, 1985), 29.

28.  Strong, Tibetan Interview, 73.

29.  See Kenneth Conboy and James Morrison, The CIA's Secret War in Tibet (Lawrence, Kansas: University of Kansas Press, 2002); and William Leary, "Secret Mission to Tibet," Air & Space, December 1997/January 1998.

30.  Leary, "Secret Mission to Tibet."

31.  Hugh Deane, "The Cold War in Tibet," CovertAction Quarterly (Winter 1987).

32.  George Ginsburg and Michael Mathos Communist China and Tibet (1964), quoted in Deane, "The Cold War in Tibet."  Deane notes that author Bina Roy reached a similar conclusion.

33.  See Greene, A Curtain of Ignorance, 248 and passim; and Grunfeld, The Making of Modern Tibet, passim.

34.  Los Angeles Times, 18 August 1997.

35.  Harrer, Return to Tibet, 54.

36.  Karan, The Changing Face of Tibet, 36-38, 41, 57-58; London Times, 4 July 1966.

37.  Gelder and Gelder, The Timely Rain, 29 and 47-48.

38.  Tendzin Choegyal, "The Truth about Tibet," Imprimis (publication of Hillsdale College, Michigan), April 1999.

39.  Karan, The Changing Face of Tibet, 52-53.

40.  Elaine Kurtenbach, Associate Press report, San Francisco Chronicle, 12 February 1998.

41.  Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 47-48.

42.  Strong, Tibetan Interviews, 15-16.

43.  Jim Mann, "CIA Gave Aid to Tibetan Exiles in '60s, Files Show," Los Angeles Times, 15 September 1998; and New York Times, 1 October, 1998.

44.  Reuters report, San Francisco Chronicle, 27 January 1997.

45.  News & Observer, 6 September 1995, cited in Lopez, Prisoners of Shangri-La, 3.

46.  Heather Cottin, "George Soros, Imperial Wizard," CovertAction Quarterly no. 74 (Fall 2002).

47.  The Gelders draw this comparison, The Timely Rain, 64.

48.  The Han have also moved into Xinjiang, a large northwest province about the size of Tibet, populated by Uighurs; see Peter  Hessler, "The Middleman," New Yorker, 14 & 21 October 2002.

49.  Report by the International Committee of Lawyers for Tibet, A Generation in Peril (Berkeley Calif.: 2001), passim.

50.  International Committee of Lawyers for Tibet, A Generation in Peril, 66-68, 98.

51.  John Pomfret, "Tibet Caught in China's Web," Washington Post, 23 July 1999.

52.  Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 51.

53.  Tendzin Choegyal, "The Truth about Tibet."

54.  The Dalai Lama in Marianne Dresser (ed.), Beyond Dogma: Dialogues and Discourses (Berkeley, Calif.: North Atlantic Books, 1996).

  

L’histoire du Christianisme, celle du Judaïsme, celle de l'Hindouisme et celle de l'Islam sont fortement marquées par la violence. A travers les âges, les religieux ont toujours invoqué un mandat divin pour massacrer des infidèles, des hérétiques, et même d'autres dévots au sein de leurs propres rangs. Certaines personnes soutiennent que le Bouddhisme est différent, qu'il se distingue nettement de la violence chronique des autres religions. Certes, pour certains praticiens à l’Ouest, le Bouddhisme est plus une discipline spirituelle et psychologique qu'une théologie au sens habituel. Il offre des techniques méditatives censées promouvoir la lumière et l'harmonie en soi. Mais à l’instar de n’importe quel autre système de croyance, le Bouddhisme ne doit pas être appréhendé uniquement par ses enseignements, mais aussi en fonction du comportement effectif de ses partisans.



Le bouddhisme est-il une exception ?


Un regard sur l'histoire révèle que les organisations bouddhistes ne se sont pas abstenues d'actes violents si caractéristiques aux groupes religieux. Au Tibet, du début du dix-septième siècle jusqu’au sein du dix-huitième siècle, des sectes bouddhistes rivales se sont livrées à des affrontements armés et à des exécutions sommaires. (1) Au vingtième siècle, en Thaïlande, en Birmanie, en Corée, au Japon, et ailleurs, des Bouddhistes se sont battus aussi bien entre eux qu’avec des non-bouddhistes. Au Sri Lanka, des batailles rangées au nom du Bouddhisme font partie de l'histoire cingalaise. (2)

Il y a juste quelques années en Corée du Sud, des milliers de moines de l'ordre bouddhiste Chogye se sont battus entre eux à grand renfort de coup de poings, de pierres, de bombes incendiaires et de gourdins, dans des batailles rangées qui ont duré plusieurs semaines. Ils rivalisaient pour le contrôle de l'ordre, le plus grand en Corée du Sud, avec un budget annuel de 9,2 millions de dollars, auquel il faut ajouter des millions de dollars en biens immobiliers ainsi que le privilège d’appointer 1.700 moines à des devoirs divers. Les bagarres ont en partie détruit les principaux sanctuaires bouddhistes et ont fait des dizaines de blessés parmi les moines, dont certains sérieusement. Le public coréen manifesta son dédain envers les deux camps, estimant que quelque soit la clique de moines qui prendrait le contrôle, "elle utiliserait les dons des fidèles pour acquérir des maisons luxueuses et des voitures onéreuses". (3)









Mais qu’en était-il du Dalaï-lama et du Tibet qu'il a présidé avant l'intervention chinoise en 1959 ? Il est largement répandu par beaucoup de dévots bouddhistes que l’ancien Tibet était un royaume consacré à la spiritualité, exempt de styles de vie égoïstes, de matérialisme vide et de vices corrupteurs qui infestent la société industrialisée moderne. Les mass media occidentaux, les livres de voyage, les romans et les films Hollywoodiens ont dépeint la théocratie tibétaine comme un véritable Shangri-La (paradis terrestre).

Le Dalaï-lama, lui-même, a affirmé que "l'influence pénétrante du Bouddhisme" au Tibet, "au milieu des espaces grand ouverts d'un environnement non corrompu a eu pour effet de produire une société consacrée à la paix et à l'harmonie. Nous jouissions de la liberté et du contentement." (4) Une lecture de l'histoire du Tibet suggère une image différente. Au treizième siècle, l'Empereur Kublai Khan a créé le premier Grand Lama, qui devait présider tous les autres lamas à l'instar d'un pape qui préside ses évêques. Plusieurs siècles plus tard, l'Empereur de Chine a envoyé une armée au Tibet pour soutenir le Grand Lama, un homme ambitieux de 25 ans, qui s'est alors donné le titre de Dalaï (Océan) lama, dirigeant de tout le Tibet. C'est tout à fait une ironie de l’histoire : le premier Dalaï-lama a été installé par une armée chinoise.

Pour élever son autorité, le premier Dalaï-lama saisit les monastères qui n'appartenaient pas à sa secte et aurait détruit les écritures bouddhistes qui étaient en désaccord avec sa revendication à la divinité. Le Dalaï-lama qui lui a succédé a poursuivi une vie sybaritique, jouissant de la compagnie de beaucoup de maîtresses, faisant la fête avec des amis, et agissant entre autres façons considérées inconvenantes pour une divinité incarnée. Pour cela, il fut éliminé par ses prêtres. Durant 170 ans, malgré leur statut reconnu de dieu, cinq Dalaï-lama ont été assassinés par leurs grands prêtres ou par d'autres courtisans. (5)










Shangri-La (pour Seigneurs et Lamas)

Les religions ont eu un rapport étroit non seulement avec la violence mais aussi avec l'exploitation économique. En effet, c'est souvent l'exploitation économique qui nécessite la violence. Tel était le cas avec la théocratie tibétaine. Jusque 1959, quand le Dalaï-lama a fini de présider le Tibet, la plupart de la terre arable était toujours organisée en domaines seigneuriaux travaillés par des serfs. Même un auteur sympathisant du vieil ordre admet que "bon nombre de domaines ont appartenu aux monastères et la plupart d'entre eux ont amassé d’immenses richesses.... De plus, certains moines et lamas individuellement ont pu accumuler une grande richesse par la participation active dans le commerce et le prêt d'argent." (6)



Le monastère de Drepung était un des plus grands propriétaires terriens dans le monde, avec ses 185 manoirs, 25.000 serfs, 300 grands pâturages et 16.000 bergers. La richesse des monastères est allée aux lamas ayant le grade le plus élevé, beaucoup d'entre eux étant les rejetons de familles aristocratiques.
Les leaders séculiers firent aussi bien. Un exemple notable était le commandant en chef de l'armée tibétaine, qui possédait 4.000 kilomètres carrés de terre et 3.500 serfs. Il était aussi un membre du Cabinet intime du Dalaï-lama. (7) Le vieux Tibet a été faussement représenté par certains de ses admirateurs Occidentaux comme "une nation qui n'a exigé aucune police parce que ses gens ont volontairement observé les lois du karma." (8) En fait, il avait une armée professionnelle, bien que petite, qui a servi comme une gendarmerie en faveur des propriétaires pour maintenir l'ordre et traquer des serfs fugitifs.







De jeunes garçons tibétains ont été régulièrement enlevés à leurs familles et emmenés dans les monastères pour être formés comme moines. Une fois là, ils étaient internés à vie. Tashì-Tsering, un moine, rapporte qu’il était courant que des enfants de paysans soient sexuellement maltraités dans les monastères. Lui-même était une victime de viol répété à partir de l’âge de neuf ans. (9) Les domaines monastiques enrôlèrent de force des enfants de paysans aux fins de servitude perpétuelle comme domestiques, danseurs et soldats.

Dans le vieux Tibet, il y avait un petit nombre de fermiers qui subsistaient comme une sorte de paysannerie libre, et, peut-être, en plus, 10.000 personnes qui composaient la classe moyenne constituée des familles de marchands, de commerçants et de petits négociants. Des milliers d'autres étaient des mendiants. Une petite minorité était des esclaves, la plupart du temps des domestiques qui ne possédaient rien. Leur descendance naissait dans l'esclavage. (10) La plus grande partie de la population rurale - environ 700.000 sur une population totale évaluée à 1.250.000 - était des serfs. Les serfs et d'autres paysans vivaient généralement un peu mieux que les esclaves. Ils n’avaient pas de scolarité ni de soins médicaux. Ils passaient la plupart de leur temps à peiner pour les lamas de haut rang, ou pour une aristocratie foncière séculière. Leurs maîtres leur disaient quelle culture produire et quels animaux élever. Ils ne pouvaient pas se marier sans le consentement de leur seigneur ou lama. Et ils pouvaient facilement être séparé de leur famille s’il plaisait au propriétaire de les envoyer travailler dans un endroit éloigné. (11)





Une femme de 22 ans, elle-même une serve fugitive rapporte : "De jolies filles de serfs étaient habituellement emmenées par le propriétaire comme domestiques de maison et utilisées comme il le souhaitait". Elles "étaient juste des esclaves sans droits". (12) Les serfs devaient avoir une permission pour tous leurs déplacements. Les propriétaires terriens avaient l'autorité légale pour capturer ceux qui essayaient de fuir. Un serf fugitif de 24 ans a accueilli l'intervention chinoise comme "une libération". Il affirmait que pendant le temps où il était un serf, il était soumis à un travail dur incessant, à la faim et au froid, incapable de lire ou d'écrire et ne sachant rien du tout. Après sa troisième tentative de fuite ratée, il fût impitoyablement battu par les hommes du propriétaire terrien jusqu’à ce que le sang lui coule du nez et de la bouche ; puis, ils ont versé de l'alcool et de la soude caustique sur les blessures pour augmenter la douleur. (13)

Les serfs étaient dans l’obligation de travailler à vie la terre du seigneur - ou la terre du monastère - sans être payés, de réparer les maisons du seigneur, de transporter sa récolte et de rassembler son bois de chauffage. Ils étaient aussi supposés fournir les animaux de transport et le transport sur demande. (14) Ils étaient taxés sur le mariage, taxé sur la naissance de chaque enfant et sur chaque mort dans la famille. Ils étaient taxés sur la plantation d’un nouvel arbre dans leur terrain et sur la possession d’animaux. Il y avait des impôts pour les festivals religieux, pour le chant, la danse, le tambourinage et la sonnerie de cloche. Les gens étaient taxés quand ils étaient envoyés en prison et quand ils en sortaient. Ceux qui ne pouvaient pas trouver de travail étaient taxés pour être sans emploi et s'ils allaient dans un autre village à la recherche de travail, ils devaient payer un impôt de passage. Quand les gens ne pouvaient pas payer, les monastères leur prêtaient de l'argent à un taux d'intérêt de 20 à 50 pour cent. Certaines dettes étaient passées du père au fils et au petit-fils. Les débiteurs qui ne pouvaient pas honorer leurs obligations risquaient d’être réduits en esclavage, parfois pour le reste de leur vie. (15)


Les enseignements religieux de la théocratie soutenaient cet ordre de classe. Le pauvre et l’affligé apprenaient qu'ils devaient supporter leurs ennuis à cause de leurs mauvaises manières dans des vies précédentes. Donc, ils devaient accepter la misère de leur existence présente comme une rédemption karmique et en prévision de ce que leur sort s'améliorerait une fois réincarné. Le riche et le puissant, bien sûr, considéraient leur bonne fortune comme une récompense, et une preuve tangible de leur vertu dans les vies passées et présentes.





















Torture et Mutilation


Au Tibet du Dalaï-lama, la torture et la mutilation - incluant l’énucléation, l’arrachage de la langue, le sectionnement du tendon du jarret et l’amputation - étaient des punitions favorites infligées aux serfs fugitifs et aux voleurs. En voyageant à travers le Tibet dans les années 1960, Stuart et Roma Gelder ont interviewé un ancien serf, Tsereh Wang Tuei, qui avait volé deux moutons appartenant à un monastère. Pour cela, il a eu les yeux énucléés et la main mutilée afin de ne plus pouvoir l’utiliser. Il explique qu'il n'est plus un Bouddhiste : "quand un saint lama leur a dit de m'aveugler, j'ai pensé qu'il n’y avait rien de bon dans la religion". (16) Bien qu’il était contraire aux enseignements bouddhistes de prendre la vie humaine, quelques contrevenants étaient sévèrement fouettés et ensuite "abandonnés à Dieu" dans la nuit glaciale pour y mourir. "Les parallèles entre le Tibet et l'Europe médiévale sont saisissantes", conclut Tom Grunfeld dans son livre sur le Tibet. (17)


En 1959, Anna Louise Strong a visité une exposition d'équipement de torture qui avait été utilisé par les suzerains tibétains. Il y avait des menottes de toutes les tailles, y compris de petites pour des enfants, et des instruments pour couper le nez et les oreilles, pour énucléer les yeux et pour briser les mains. Il y avait des instruments pour couper les rotules et les talons, ou paralyser les jambes. Il y avait des fers chauds, des fouets et des instruments spéciaux pour éviscérer. (18)





L'exposition a présenté des photographies et les témoignages des victimes qui avaient été aveuglées ou estropiées ou subi des amputations pour raison de vol. Il y avait le berger dont le maître lui devait un remboursement en yuan et du blé, mais a refusé de payer. Alors, il a pris une des vaches du maître ; pour cela, il eut les mains coupées. Un autre berger qui s'est opposé à ce que sa femme lui soit prise par son seigneur a eu les mains broyées. Il y avait les images d’activistes communistes dont le nez et la lèvre supérieure ont été coupées et celles d’une femme qui a été violée, et puis, dont le nez a été coupé en tranches.(19)


D’anciens visiteurs du Tibet commentent le despotisme théocratique. En 1895, un anglais, le docteur A. L. Waddell, a écrit que la population était sous la "tyrannie intolérable de moines" et les superstitions diaboliques qu’ils avaient fabriquées pour terroriser les gens. En 1904, Perceval Landon a décrit l'autorité du Dalaï-lama comme "une machine d'oppression". À peu près au même moment, un autre voyageur anglais, le Capitaine W.F.T. O'Connor, a observé que "les grands propriétaires terriens et les prêtres .. exercent chacun dans leur domaine respectif un pouvoir despotique sans aucun appel", tandis que les gens sont "opprimés par une fabrique de prêtres et de monachisme des plus monstrueuses". Les dirigeants tibétains ont "inventé des légendes dégradantes et ont stimulé un esprit de superstition" parmi le peuple. En 1937, un autre visiteur, Spencer Chapman, a écrit, "le moine lamaïste ne passe pas son temps à administrer les gens ou à les éduquer…. Le mendiant sur le bord de la route n'est rien pour le moine. La connaissance est la prérogative jalousement gardée des monastères et est utilisée pour augmenter leur influence et leur richesse." (20)


Occupation et révolte

Les communistes chinois ont occupé le Tibet en 1951, revendiquant la souveraineté sur ce pays. Le traité de 1951 prévoyait l'autonomie apparente sous l'autorité du Dalaï-lama, mais confiait à la Chine le contrôle militaire et le droit exclusif de conduire les relations avec l'étranger. Les Chinois disposaient aussi d’un rôle direct dans l'administration interne "pour promouvoir des réformes sociales". D'abord, ils réformèrent lentement, comptant surtout sur la persuasion comme tentative pour effectuer le changement. Parmi les premières réformes qu’ils ont appliquées, il y avait la réduction des taux d'intérêt usuraires et la construction de quelques hôpitaux et de routes. "Contrairement à la croyance populaire à l'Ouest", écrit un observateur, les Chinois "prirent soin de montrer du respect pour la culture et la religion tibétaines". Aucune propriété aristocratique ou monastique n'a été confisquée, et les seigneurs féodaux continuèrent à régner sur les paysans qui leur étaient héréditairement attachés." (21)
















Les seigneurs et les lamas tibétains avaient vu les Chinois aller et venir au cours des siècles et avaient joui de bonnes relations avec le Generalissimo Chiang Kaishek et son pouvoir réactionnaire sur la Chine avec le Kuomintang.(22) L'approbation du gouvernement Kuomintang était nécessaire pour valider le choix du Dalaï-lama et du Panchen Lama. Quand le jeune Dalaï-lama a été installé à Lhassa, c’était avec une escorte armée des troupes chinoises et un ministre chinois conformément à la tradition vieille de plusieurs siècles. Ce qui contrariait les seigneurs et lamas tibétains, c’était que ces derniers chinois étaient des communistes. C'était seulement une question de temps, ils en étaient sûrs, avant que les Communistes ne commencent à imposer leurs solutions collectivistes égalitaires au Tibet.



En 1956-57, des bandes armées tibétaines tendirent une embuscade à des convois de l'Armée Populaire de Libération chinoise. Le soulèvement reçut un appui important de la Central Intelligence Agency américaine (C.I.A.), comprenant un entraînement militaire, des camps d'appui au Népal et de nombreux ponts aériens.(23) Pendant ce temps, aux Etats-Unis, la Société américaine pour une Asie libre, un front de la C.I.A., avait énergiquement fait la publicité de la cause de la résistance tibétaine avec le frère aîné du Dalaï-lama, Thubtan Norbu, qui jouât un rôle actif dans ce groupe. Le second frère aîné du Dalaï-lama, Gyalo Thondup, mis sur pied une opération de renseignements avec la C.I.A. en 1951. Il remit ça plus tard dans une unité de guérilla entraînée par la C.I.A. dont les recrues furent parachutées à nouveau au Tibet.(24)
Beaucoup de commandos et d’agents tibétains que la C.I.A. avait déposé dans le pays étaient les chefs de clans aristocratiques ou les fils des chefs. Pour nonante pour cent d'entre eux, on n'en entendit jamais plus parler, selon un rapport de la C.I.A. elle-même, signifiant en cela qu’ils avaient probablement étaient capturés ou tués.(25) "Beaucoup de lamas et de membres séculiers de l'élite et le gros de l'armée tibétaine ont rejoint le soulèvement, mais, en général, la population ne l'a pas fait, ce qui entraîna son échec", écrit Hugh Deane.(26)

Dans leur livre sur le Tibet, Ginsburg et Mathos arrivent à une conclusion semblable : "Autant qu'il peut être vérifié, la plupart du peuple de Lhassa et de la campagne attenante ne rejoignis pas le combat contre les Chinois, aussi bien quand il commença qu’au cours de son déroulement."(27) Finalement, la résistance s’effondra.

Les communistes entrent

Quels que furent les maux et les nouvelles oppressions introduits par les chinois au Tibet après 1959, ils ont supprimé l'esclavage et le système de servage de travail impayé et mirent un terme aux flagellations, aux mutilations et aux amputations comme méthodes de sanctions criminelles. Ils ont éliminé les nombreux impôts écrasants, commencé des projets de grands travaux et ont énormément réduit le chômage et la mendicité. Ils ont instauré l'éducation laïque, brisant ainsi le monopole de l'éducation des monastères. Ils ont mis en place la distribution d'eau courante et d'électricité dans Lhassa. (28)

Heinrich Harrer (il fut ultérieurement révélé que Harrer avait été un sergent dans les SS d'Hitler) a écrit un best-seller racontant ses expériences au Tibet et qui a été montré dans un film populaire de Hollywood. Il rapporta que les Tibétains qui ont résisté aux Chinois "étaient principalement les nobles, les semi-nobles et les lamas ; ils ont été punis en étant contraint de devoir exécuter les tâches les plus humbles, comme travailler sur des routes et des ponts. Ils furent encore plus humiliés par le fait de devoir nettoyer la ville avant l’arrivée des touristes". Ils ont aussi dû vivre dans un camp à l'origine réservé aux mendiants et aux vagabonds. (29)





En 1961, les Chinois ont exproprié les propriétés foncières tenues par les seigneurs et les lamas et ont réorganisé les paysans en centaines de communes. Ils distribuèrent des centaines de milliers d'acres à des fermiers locataires et à des paysans sans terre. Les troupeaux qui appartenaient auparavant à la noblesse ont été rendu à des collectifs de bergers pauvres. Des améliorations ont été faites dans la reproduction du bétail et des nouvelles variétés de légumes et des nouvelles souches de blé et d'orge ont été introduites ; avec des améliorations en matière d'irrigation, tout cela aurait mené à une augmentation de la production agraire. (30)

Beaucoup de paysans sont restés aussi religieux qu’avant, donnant l'aumône au clergé. Mais les nombreux moines qui avaient été enrôlés de force dans les ordres religieux quand ils étaient enfants étaient maintenant libres de renoncer à la vie monastique, ce que des milliers ont fait, particulièrement les plus jeunes. Le clergé restant a vécu sur des bourses modestes dispensées par le gouvernement et sur le revenu supplémentaire gagné en officiant des services de prière, des mariages et des obsèques.(31)





Tant le Dalaï-lama que son conseiller et frère le plus jeune, Tendzin Choegyal, ont prétendu que "plus de 1,2 millions de Tibétains sont morts en conséquence de l'occupation chinoise."(32)




Mais le recensement officiel de 1953 - six ans avant les sévères mesures chinoises - a enregistré la population entière résidant au Tibet au nombre de 1.274.000.(33) D'autres comptes de recensement évaluent la population tibétaine ethnique dans le pays à environ deux millions. Si les Chinois avaient tué 1,2 millions de Tibétains au début des années 1960, alors des villes entières et d’importantes parties de la campagne, en fait presque tout le Tibet, auraient été dépeuplé, transformé en un champ de batailles parsemé de camps de la mort et de charniers - dont nous n'avons vu aucune preuve. Les minces forces armées chinoises présentes au Tibet n'étaient pas assez importantes pour regrouper, pourchasser et exterminer autant de personnes même si elles y avaient consacré tout leur temps en ne faisant rien d'autre.
Les autorités chinoises reconnaissent "des erreurs", particulièrement pendant la Révolution Culturelle en 1966-76 quand la persécution religieuse a atteint une haute vague tant en Chine qu'au Tibet. Après le soulèvement à la fin des années 1950, des milliers de Tibétains ont été incarcérés. Pendant le Grand bond en avant, la collectivisation obligatoire et l'agriculture de grain ont été imposées à la paysannerie, parfois avec un effet désastreux. À la fin des années 1970, la Chine a commencé à relâcher le contrôle sur le Tibet "et a essayé de réparer certains des dégâts provoqué pendant les deux décennies précédentes."(34)

En 1980, le gouvernement chinois a amorcé des réformes censément conçues pour accorder au Tibet un degré plus grand d'autonomie et d'auto-administration. Les Tibétains seraient dès lors autorisé à cultiver des parcelles privées, à vendre leurs surplus de moisson, à décider eux-mêmes quel produit cultiver et à garder des yaks et des moutons. La communication avec le monde extérieur était de nouveau permise et les contrôles aux frontières furent facilités pour permettre aux Tibétains de visiter des parents exilés en Inde et au Népal.(35)

Dans les années 1990, les Hans, le plus grand groupe ethnique comprenant plus de 95 pour cent de la population énorme de la Chine, ont commencé à se déplacer en nombre substantiel au Tibet et dans diverses provinces occidentales. Dans les rues de Lhassa et de Shigatse, les signes de la prééminence han sont aisément visibles. Les Chinois dirigent les usines et beaucoup des magasins et des stands de vente. De grands immeubles de bureaux et de grands centres commerciaux ont été construits avec des fonds qui auraient été mieux dépensés pour des usines de traitement d'eau et des logements. Les cadres chinois au Tibet ont souvent considéré leurs voisins tibétains comme arriérés et paresseux, ayant besoin d'un développement économique et d'une "éducation patriotique". Pendant les années 1990, des employés du gouvernement tibétain soupçonnés d'entretenir des sympathies nationalistes ont été licenciés et des campagnes ont été lancées pour discréditer le Dalaï-lama. Des Tibétains ont, selon certaines sources, été arrêtés, emprisonnés et soumis au travail obligatoire pour avoir mené des activités séparatistes et s'être engagé dans "la subversion" politique. Certaines des personnes appréhendées ont été retenues en détention administrative sans eau et alimentation adéquates, sans couvertures, sujettes à des menaces, des coups et d'autres mauvais traitements.(36)

Les règlements de planning familial chinois permettent une limite de trois enfants par familles tibétaines. (Pendant des années, les familles hans étaient soumises à la limite de l’enfant unique) Si un couple dépasse la limite, les enfants en excès peuvent être interdits d'accès à la garderie subventionnée, aux services médicaux, au logement et à l'éducation. Ces pénalités ont été appliquées de manière irrégulière et varièrent selon le district. Par ailleurs, l'histoire, la culture et la religion tibétaines sont négligées dans les écoles. Les matériels pédagogiques, quoique traduits en tibétain, se concentrent sur l'histoire et la culture chinoises. (37)

Élites, émigrés et la C.I.A.

Pour les lamas et les seigneurs riches, l'intervention communiste était une calamité. La plupart d'entre eux se sont enfuis à l'étranger, ainsi fît le Dalaï-lama lui-même, qui a été aidé dans sa fuite par la C.I.A. Certains ont découvert avec horreur qu'ils devraient travailler pour vivre.




























Pourtant, pendant les années 1960, la communauté tibétaine en exil a secrètement empoché 1,7 millions de $ par an provenant de la C.I.A. selon des documents rendus publics par le Département d'Etat en 1998. Une fois que ce fait a été rendu public, l'organisation du Dalaï-lama lui-même a publié une déclaration admettant qu'il avait reçu des millions de dollars de la C.I.A. pendant les années 1960 pour envoyer des escadrons armés d'exilés au Tibet pour saper la révolution maoïste. Le revenu annuel du Dalaï-lama dispensé par le C.I.A. était de 186.000 $. Les services secrets indiens l'ont aussi financé ainsi que d'autres exilés tibétains. Il a refusé de dire si lui ou ses frères travaillaient pour la C.I.A. L'agence s’est aussi abstenue de faire des commentaires. (38)

En 1995, le News & Observer de Raleigh en Caroline du Nord, a publié en couverture une photographie couleur montrant le Dalaï-lama recevant l’accolade du sénateur Républicain réactionnaire Jesse Helms, sous le titre "le Bouddhiste fascine le Héros des droits religieux".(39) En avril 1999, avec Margareth Thatcher, le Pape Jean Paul II et George Bush premier, le Dalaï-lama a lancé un appel au gouvernement britannique afin qu'il libère Augusto Pinochet, l'ancien dictateur fasciste du Chili et un client de longue date de la C.I.A. et qui avait été appréhendé alors qu'il était en visite en Angleterre. Il a vivement recommandé que Pinochet ne soit pas forcé d'aller en Espagne où il était requis par un juge espagnol pour passer en justice pour des crimes contre l'humanité.

Aujourd'hui, surtout via la National Endowment for Democracy (NED) et d'autres canaux qui sonnent plus respectablement que la C.I.A., le Congrès US continue d'allouer 2 millions de $ par an aux Tibétains en Inde, plus quelques millions complémentaires pour "des activités démocratiques" dans la communauté d'exil tibétaine. Le Dalaï-lama obtient aussi de l'argent du financier George Soros, qui dirige Radio Free Europe/Radio Liberty, la radio créée par la C.I.A., ainsi que d'autres instituts.(40)

La question de la culture

On nous a dit que quand le Dalaï-lama gouvernait le Tibet, le peuple vivait dans une symbiose satisfaisante et tranquille avec leurs seigneurs monastiques et séculiers, selon un ordre social fondé sur une culture profondément spirituelle et non violente inspirée par des enseignements religieux humains et pacifiques. La culture religieuse tibétaine était le ciment social et le baume réconfortant qui maintenaient les lamas riches et les paysans pauvres liés spirituellement et … pour soutenir ces prosélytes qui considèrent le vieux Tibet comme un modèle de pureté culturelle, un paradis terrestre.
On peut se rappeler les images idéalisées de l'Europe féodale présentées par des catholiques conservateurs contemporains comme G. K. Chesterton et Hilaire Belloc. Pour eux, la chrétienté médiévale était un monde de paysans satisfaits vivant dans un lien spirituel profond avec leur Église, sous la protection de leurs seigneurs.(41) A nouveau, nous sommes invités à accepter une culture particulière selon ses propres canons, qui signifie l'accepter tel qu'elle est présentée par sa classe privilégiée, par ceux du sommet qui en ont profité le plus. L'image du Shangri-La du Tibet n'a pas plus de ressemblance avec la réalité historique que ne l'a l'image idéalisée de l'Europe médiévale.

Quand il est vu dans toute son effroyable réalité, le vieux Tibet confirme que la culture n’est absolument pas neutre. La culture peut faire office de couverture de légitimation à une foule de graves injustices, bénéficiant à une portion de la population d’une société au grave détriment d’autres segments de cette population. Dans le Tibet théocratique, les intérêts dominants manipulaient la culture traditionnelle pour consolider leur richesse et leur pouvoir. La théocratie assimilait les pensées et les actions rebelles à des influences sataniques. Elle propageait la supposition générale de la supériorité du seigneur et de l’infériorité du paysan. Le riche était représenté comme méritant sa belle vie et le pauvre comme méritant sa misérable existence, le tout codifié en enseignements à propos de la succession karmique des vertus et des vices issus de vies passées et présenté comme l’expression de la volonté de Dieu.

Il pourrait être dit que nous, citoyens du monde laïc moderne, ne pouvons pas saisir les équations du bonheur et de la douleur, le contentement et la coutume qui caractérisent des sociétés plus traditionnellement spirituelles. Cela peut être vrai et cela peut expliquer pourquoi certains d'entre nous idéalisent de telles sociétés. Mais tout de même, un œil énucléé est un œil énucléé, une flagellation est une flagellation, et l'exploitation oppressante des serfs et des esclaves est toujours une injustice de classe brutale quels que soient ses emballages culturels. Il y a une différence entre un lien spirituel et un esclavage humain, même quand tous les deux existent côte à côte.



Bon nombre de Tibétains ordinaires souhaitent le retour du Dalaï-lama dans leur pays mais il apparaît que relativement peu souhaite un retour à l’ordre ancien qu’il représente. Une histoire publiée en 1999 dans le "Washington Post" note qu’il continue à être révéré au Tibet, mais … peu de Tibétains accueilleraient un retour des clans aristocratiques corrompus qui se sont enfuis avec lui en 1959, et cela comprend la plus grande partie de ses conseillers. Beaucoup de fermiers tibétains, par exemple, n'ont aucun intérêt à recéder la terre qu'ils ont gagnée pendant la réforme agraire que la Chine a imposée aux clans. Les anciens esclaves du Tibet disent qu'ils, eux aussi, ne veulent pas que leurs anciens maîtres reviennent au pouvoir.

"J'ai déjà vécu cette vie une fois auparavant", a dit Wangchuk, un ancien esclave de 67 ans qui portait ses meilleurs vêtements pour son pèlerinage annuel vers Shigatse, un des sites les plus saints du Bouddhisme tibétain. Il a dit qu'il vénérait le Dalaï-lama, mais a ajouté, "je ne peux pas être libre sous le communisme chinois, mais je suis dans de meilleures conditions que quand j'étais un esclave."(42)

Kim Lewis qui a étudié les méthodes de guérison avec un moine bouddhiste à Berkeley en Californie a eu l’occasion de parler longuement avec plus d’une dizaine de femmes tibétaines qui vivaient dans le bâtiment du moine. Quand elle demanda comment elles se sentaient à l’idée de retourner dans leur pays d’origine, le sentiment était unanimement négatif. Au début, Lewis pensait que leur répugnance avait un rapport avec l’occupation chinoise mais elles l’informèrent vite qu’il en était tout autrement. Elles dirent qu’elles étaient extrêmement reconnaissante "de ne pas avoir du se marier à 4 ou 5 hommes, de ne pas devoir être enceinte presque tout le temps", ou de devoir supporter des maladies sexuellement transmissibles contractées par un mari errant. Les plus jeunes femmes "étaient enchantées de recevoir une éducation et ne voulaient absolument rien à voir avec une quelconque religion, et se demandaient pourquoi les Américains étaient si naïfs". Elles racontèrent les histoires des épreuves de leur grand-mère avec des moines qui les utilisaient comme "épouses de sagesse", leur disant "qu’elles gagneraient énormément de mérites en fournissant les ‘moyens de l’éblouissement’ – après tout, Buddha avait besoin d’être avec une femme pour atteindre l’illumination".
Les femmes interviewées par Lewis parlèrent avec amertume au sujet de la confiscation de leurs jeunes garçons par les monastères au Tibet. Quand un enfant criait après sa mère, il lui était dit "Pourquoi la réclames-tu, elle t’a abandonné – elle est juste une femme." Parmi les autres problèmes, il y avait notamment "l’homosexualité endémique dans la secte Gelugpa. Tout n’était pas parfait au Shangri-la", opine Lewis."(43)

Les moines qui ont obtenu l’asile politique en Californie ont fait une demande pour obtenir la sécurité sociale. Lewis, elle-même une partisane pendant un temps, les a aidé pour les documents administratifs. Elle observe qu’ils continuent à recevoir des chèques de la sécurité sociale d’un montant de 550 à 700 dollars par mois avec Medicare et MediCal. En plus, les moines résident sans payer de loyer dans d’agréables appartements équipés. "Ils ne paient aucune charge, ils ont l’accès gratuit à internet avec des ordinateurs mis à leur disposition, ainsi que des fax, des téléphones fixes et portables et la télévision câblée." En plus, ils reçoivent un traitement mensuel de leur ordre. Et le centre dharma prend une collection spéciale de ses membres (tous américains), distinct de leurs devoirs de membres. Certains membres effectuent avec passion les tâches ménagères pour les moines, notamment les courses chez l’épicier, l’entretien de leurs appartements et leurs toilettes. Ces même saints hommes "ne voient aucun problème à critiquer l’obsession des Américains pour les choses matérielles".(44)
Soutenir le renversement de la vieille théocratie féodale par la Chine ne signifie pas applaudir à tout ce que fait l'autorité chinoise au Tibet. Ce point est rarement compris par les adhérents du Shangri-La aujourd'hui à l'Ouest.
L'inverse est aussi vrai. Dénoncer l'occupation chinoise ne signifie pas que nous devons idéaliser l'ancien régime féodal. Une complainte commune parmi les prosélytes bouddhistes à l'Ouest est que la culture religieuse du Tibet est sapée par l’occupation. Cela semble vraiment être le cas. Nombre de monastères sont fermés et la théocratie est passée dans l’histoire. Ce que je mets en doute ici est la nature soi-disant admirable et essentiellement spirituelle de cette culture d'avant l'invasion. En bref, nous pouvons préconiser la liberté religieuse et l'indépendance pour le Tibet sans devoir embrasser la mythologie d'un Paradis Perdu.
Finalement, il devrait être noté que la critique posée ici ne doit pas être considérée comme une attaque personnelle contre le Dalaï-lama. Quel que soit ses associations passées avec la C.I.A. et certains réactionnaires, il parle souvent de paix, d'amour et de non-violence. Et il ne peut lui-même être réellement blâmé pour les abus de l’ancien régime, n’ayant que 15 ans quand il s’enfuit en exil.

En 1994, dans une interview avec Melvyn Goldstein, il dit en privé qu'il était depuis sa jeunesse en faveur de la construction d'écoles, "de machines" et de routes dans son pays. Il prétend qu'il pensait que la corvée (travail forcé non payé d’un serf au profit du seigneur) et certains impôts imposés aux paysans étaient "extrêmement mauvais". Et il n'aimait pas la façon dont les gens étaient surchargés avec des vieilles dettes parfois transmises de génération en génération.45 En outre, il propose maintenant la démocratie pour le Tibet, caractérisée par une constitution écrite, une assemblée représentative et d'autres attributs démocratiques essentiels.(46)





En 1996, le Dalaï-lama a fait un communiqué qui a du avoir un effet dérangeant dans la communauté en exil. Il dit en partie ceci:

De toutes les théories économiques modernes, le système économique marxiste est fondé sur des principes moraux, tandis que le capitalisme n’est fondé que sur le gain et la rentabilité. Le marxisme est basé sur la distribution de la richesse sur une base égale et sur l'utilisation équitable des moyens de production. Il est aussi concerné par le destin des travailleurs - qui sont la majorité - aussi bien que par le destin d'entre ceux qui sont défavorisés et dans le besoin, et le marxisme se soucie des victimes de minorités exploitées. Pour ces raisons, le système m'interpelle et il semble juste ... Je me considère moi-même comme demi-marxiste et demi-bouddhiste. (47)

Et plus récemment, en 2001, en visitant la Californie, il a fait remarquer que "le Tibet, matériellement, est très, très en arrière. Spirituellement, il est tout assez riche. Mais la spiritualité ne peut pas remplir nos estomacs."(48)
Voici un message qui devrait être pris en compte par les prosélytes bouddhistes bien alimentés en Occident qui dissertent avec nostalgie sur le vieux Tibet.
Ce que j'ai essayé de défier, ce sont le mythe du Tibet, l'image du Paradis perdu d'un ordre social qui, en fait, n’était rien de plus qu'une théocratie rétrograde de servage et de pauvreté, où une minorité privilégiée vivait richement et puissamment au prix du sang, de la sueur et des larmes de la majorité.
On est loin du Shangri-la.
























Notes :

1. Melvyn C. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon : China, Tibet, and the Dalai Lama (Berkeley : University of California Press, 1995), 6-16.

2. Mark Juergensmeyer, Terror in the Mind of God, (Berkeley : University of California Press, 2000), 113.

3. Kyong-Hwa Seok, "Korean Monk Gangs Battle for Temple Turf", San Francisco Examiner, December 3, 1998.

4. Dalai Lama quoted in Donald Lopez Jr., Prisoners of Shangri-La : Tibetan Buddhism and the West (Chicago and London : Chicago University Press, 1998), 205.

5. Stuart Gelder and Roma Gelder, The Timely Rain : Travels in New Tibet (New York : Monthly Review Press, 1964), 119, 123.

6. Pradyumna P. Karan, The Changing Face of Tibet : The Impact of Chinese Communist Ideology on the Landscape (Lexington, Kentucky : University Press of Kentucky, 1976), 64.

7. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 62 and 174.

8. As skeptically noted by Lopez, Prisoners of Shangri-La, 9.

9. Melvyn Goldstein, William Siebenschuh, and Tashì-Tsering, The Struggle for Modern Tibet : The Autobiography of Tashì-Tsering (Armonk, N.Y. : M.E. Sharpe, 1997).

10. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 110.

11. Anna Louise Strong, Tibetan Interviews (Peking : New World Press, 1929), 15, 19-21, 24.

12. Quoted in Strong, Tibetan Interviews, 25.

13. Strong, Tibetan Interviews, 31.

14. Melvyn C. Goldstein, A History of Modern Tibet 1913-1951 (Berkeley : University of California Press, 1989), 5.

15. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 175-176; and Strong, Tibetan Interviews, 25-26.

16. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 113.

17. A. Tom Grunfeld, The Making of Modern Tibet rev. ed. (Armonk, N.Y. and London : 1996), 9 and 7-33 for a general discussion of feudal Tibet; see also Felix Greene, A Curtain of Ignorance (Garden City, N.Y. : Doubleday, 1961), 241-249; Goldstein, A History of Modern Tibet 1913-1951, 3-5; and Lopez, Prisoners of Shangri-La, passim.

18. Strong, Tibetan Interviews, 91-92.

19. Strong, Tibetan Interviews, 92-96.

20. Waddell, Landon, and O'Connor are quoted in Gelder and Gelder, The Timely Rain, 123-125.

21. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 52.

22. Heinrich Harrer, Return to Tibet (New York : Schocken, 1985), 29.

23. See Kenneth Conboy and James Morrison, The CIA's Secret War in Tibet (Lawrence, Kansas : University of Kansas Press, 2002); and William Leary, "Secret Mission to Tibet", Air & Space, December 1997/January 1998.

24. On the CIA's links to the Dalai Lama and his family and entourage, see Loren Coleman, Tom Slick and the Search for the Yeti (London : Faber and Faber, 1989).

25. Leary, "Secret Mission to Tibet".

26. Hugh Deane, "The Cold War in Tibet", CovertAction Quarterly (Winter 1987).

27. George Ginsburg and Michael Mathos, Communist China and Tibet (1964), quoted in Deane, "The Cold War in Tibet". Deane notes that author Bina Roy reached a similar conclusion.

28. See Greene, A Curtain of Ignorance, 248 and passim; and Grunfeld, The Making of Modern Tibet, passim.

29. Harrer, Return to Tibet, 54.

30. Karan, The Changing Face of Tibet, 36-38, 41, 57-58; London Times, 4 July 1966.

31. Gelder and Gelder, The Timely Rain, 29 and 47-48.

32. Tendzin Choegyal, "The Truth about Tibet", Imprimis (publication of Hillsdale College, Michigan), April 1999.

33. Karan, The Changing Face of Tibet, 52-53.

34. Elaine Kurtenbach, Associate Press report, San Francisco Chronicle, 12 February 1998.

35. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 47-48.

36. Report by the International Committee of Lawyers for Tibet, A Generation in Peril (Berkeley Calif. : 2001), passim.

37. International Committee of Lawyers for Tibet, A Generation in Peril, 66-68, 98.

38. Jim Mann, "CIA Gave Aid to Tibetan Exiles in '60s, Files Show", Los Angeles Times, 15 September 1998; and New York Times, 1 October, 1998; and Morrison, The CIA's Secret War in Tibet.

39. News & Observer, 6 September 1995, cited in Lopez, Prisoners of Shangri-La, 3.

40. Heather Cottin, "George Soros, Imperial Wizard", CovertAction Quarterly no. 74 (Fall 2002).

41. The Gelders draw this comparison, The Timely Rain, 64.

42. John Pomfret, "Tibet Caught in China's Web", Washington Post, 23 July 1999.

43. Kim Lewis, correspondence to me, 15 July 2004.

44. Kim Lewis, additional correspondence to me, 16 July 2004.

45. Goldstein, The Snow Lion and the Dragon, 51.

46. Tendzin Choegyal, "The Truth about Tibet."

47. The Dalai Lama in Marianne Dresser (ed.), Beyond Dogma : Dialogues and Discourses (Berkeley, Calif. : North Atlantic Books, 1996).

48. Quoted in San Francisco Chronicle, 17 May 2001.






La CIA sponsor du Dalaï Lama

Jean-Paul Desimpelaere
 

Patrick French, alors qu'il était directeur de la « Free Tibet Campaign » (Campagne pour l'indépendance du Tibet) en Angleterre, a été le premier à pouvoir consulter les archives du gouvernement du Dalaï-Lama en exil. Il en a tiré des conclusions étonnantes.
 
Les Chinois ont-ils liquidé les Tibétains ?
http://www.solidaire.org/ 31-05-2006


Il en est arrivé à la conclusion dégrisante que les preuves du génocide tibétain par les Chinois avaient été falsifiées et il a aussitôt donné sa démission en tant que directeur de la campagne pour l'indépendance du Tibet (1).
Dans les années soixante, sous la direction du frère du Dalaï-Lama, Gyalo Thondrup, des témoignages furent collectés parmi les réfugiés tibétains en Inde. French constata que les chiffres des morts avaient été ajoutés en marge par après. Autre exemple, le même affrontement armé, narrée par cinq réfugiés différents, avait été comptabilisée cinq fois. Entre-temps, le chiffre de 1,2 million de tués par la faute des Chinois allait faire le tour du monde.

French affirme que ce n'est tout bonnement pas possible : tous les chiffres concernent des hommes. Et il n'y avait que 1,5 million de Tibétains mâles, à l'époque. Il n'y en aurait donc quasiment plus aujourd'hui. Depuis, la population a augmenté pour atteindre presque 6 millions d'habitants actuellement, soit presque deux fois plus qu'en 1954. Chiffre donné et par le Dalaï-Lama et les autorités chinoises, étonnamment d'accord pour une fois.
Des observateurs internationaux (la Banque mondiale, l'Organisation mondiale de la santé) se rangent d'ailleurs derrière ces chiffres. N'empêche qu'aujourd'hui encore, le Dalaï-Lama continue à prétendre que 1,2 million de Tibétains sont morts de la faute des Chinois.

Le dalaï-lama est-il une sorte de pape du bouddhisme mondial ?


Ici, il convient de relativiser les choses. 6 % de la population mondiale est bouddhiste. C'est peu. En outre, le dalaï-lama n'est en aucun cas le représentant du bouddhisme zen (Japon), ni du bouddhisme de l'Asie du Sud-Est (Thaïlande), ni non plus du bouddhisme chinois. Le bouddhisme tibétain représente seulement 1/60e de ces 6 %. Et, enfin, il existe de plus au Tibet quatre écoles séparées. Le Dalaï-Lama appartient à l'une d'elles : la « gelugpa » (les bonnets jaunes). Bref, un pape suivi par peu de fidèles religieux, mais par beaucoup d'adeptes politiques…

Qui sont ses sponsors ?

De 1959 à 1972 :

- 180.000 dollars par an pour lui personnellement, sur les fiches de paie de la CIA (documents libérés par le gouvernement américain ; le dalaï-lama a nié la chose jusqu'en 1980)

- 1,7 million de dollars par an pour la mise en place de son réseau international.


Ensuite le même montant a été versé via une dotation du NED, une organisation non gouvernementale américaine dont le budget est alimenté par le Congrès. Le Dalaï-Lama dit que ses deux frères gèrent « les affaires ». Ses deux frères, Thubten Norbu (un lama de rang supérieur) et Gyalo Thondrup avaient été embauchés par la CIA dès 1951, le premier pour collecter des fonds et diriger la propagande et le second pour organiser la résistance armée.

La bombe atomique indienne : le bouddha souriant

Dès le début, c'est-à-dire quand il est devenu manifeste que la révolution chinoise allait se solder par un succès en 1949, les USA ont essayé de convaincre le dalaï-lama de gagner l'exil. Ils mirent de l'argent, toute une logistique et leur propagande à sa disposition. Mais le dalaï-lama et son gouvernement voulaient que les États-Unis envoient une armée sur place comme ils l'avaient fait en Corée et ils trouvèrent donc la proposition américaine trop faible. (Modern War Studies, Kansas University, USA, 2002). En 1959, les Etats-Unis parvenaient quand même à convaincre le dalaï-lama de quitter le Tibet, mais il fallait encore convaincre l'Inde de lui accorder l'asile. Eisenhower proposait un « marché » à Nehru : l'Inde acceptait le dalaï-lama sur son territoire et les Etats-Unis octroyaient à 400 ingénieurs indiens une bourse d'études afin qu'ils s'initient à la « technologie nucléaire » aux États-Unis. Le marché fut accepté (2). En 1974, la première bombe A indienne fut affublée du surnom cynique de... « bouddha souriant » (3).


1 « Tibet, Tibet », P. French, Albin Michel, 2005.
2 Le major américain William Corson, responsable des négociations de l'époque, Press Trust of India, 10/8/1999.
3 Raj Ramanna, ancien directeur du programme nucléaire de l'Inde, 10/10/1997, Press Trust of India.


La CIA sponsor del Dalai Lama

Jean-Paul Desimpelaere


 
Patrick French, mentre era direttore della «Free Tibet Campaign» (Campagna per l'indipendenza del Tibet) in Inghilterra, è stato il primo a poter consultare gli archivi del governo del Dalai Lama in esilio. Ne ha trato delle conclusioni stupefacenti.
 
I Cinesi hanno liquidato i Tibetani?
http://www.solidaire.org 31-05-2006


E’ arrivato alla conclusione disilludente che le prove del genocidio tibetano per mano dei Cinesi siano state falsificate e ha anche dato subito le sue dimissioni da direttore della campagne per l'indipendenza del Tibet(1).
Negli anni sessanta, sotto la direzione del fratello del Dalai Lama, Gyalo Thondrup, delle testimonianze furono raccolte tra i rifugiati tibetani in India. French constatò che le cifre dei morti erano state aggiustate in seguito. Altro esempio, lo stesso scontro armato, narrato da cinque diversi rifugiati, era stato contato cinque volte. Nel frattempo, la cifra di 1,2 milioni di uccisi per colpa dei Cinesi faceva il giro del monde.

French afferma che ciò non poteva essere assolutamente possibile: tutte le cifre concernevano solo uomini. E non c’erano che 1,5 milioni di Tibetani maschi, all'epoca. Non ce ne sarebbero quasi più oggi, dunque. Dopo, la popolazione è aumentata per raggiungere quasi 6 milioni di abitanti attuali, cioè quasi due volte quella del 1954. Cifre date sia dal Dalai Lama che dalle autorità cinesi, vi è per una volta un stupefacente accordo.
Degli osservatori internazionali (la Banca mondiale, l'Organizzazione mondiale del sanità) si allineano a tali cifre. Non impedisce oggi, ancora, che il Dalai Lama continui a pretendere che 1,2 milioni di Tibetani siano morti a causa dei Cinesi.
 
Il dalai lama è una sorta di papa del buddismo mondiale?

Qui, conviene relativizzare le cose. Il 6% della popolazione mondiale è buddista. E’ poco. Inoltre, il dalai lama non è per nulla il rappresentante del buddismo zen (Giappone), né del buddismo dell'Asia del Sud-Est (Thailandia), né tanto meno del buddismo cinese. Il buddismo tibetano rappresenta solo 1/60.mo di questo 6%. E, infine, esistono in Tibet quattro scuole separate. Il Dalai Lama appartiene a una di esse: la «gelugpa» (i berretti gialli). In breve, un papa seguito assai poco dai fedeli religiosi, ma molto dagli adepti politici..
 
Chi sono i suoi sponsor?

Dal 1959 al 1972:

- 180.000 dollari all’anno per lui personalmente, su assegni intestati alla CIA (documenti consegnati dal governo USA; il dalai lama ha negato la cosa fino al 1980)

- 1,7 milioni di dollari all’anno per l’attuazione della sua rete internazionale.

In seguito lo stesso ammontare è stato versato tramite la dotazione del NED, una organizzazione non governativa USA il cui budget è alimentato dal Congresso. Il Dalai Lama dice che i suoi due fratelli gestiscono «gli affari». I suoi due fratelli, Thubten Norbu (un lama di rango superiore) e Gyalo Thondrup erano stati arruolati dalla CIA dal 1951, il primo per raccogliere fondi e dirigere la propaganda e il secondo per organizzare la resistenza armata.
 
La bomba atomica indiana: il Buddha sorride

Fin dall’inizio, cioè da quando è divenuto manifesto che la rivoluzione cinese avrebbe avuto successo nel 1949, gli USA hanno tentato di convincere il dalai lama a esiliarsi. Misero soldi, logistica e la loro propagande a sua disposizione. Ma il dalai lama e il suo governo volevano che gli USA inviassero un esercito sul posto, come avevano fatto in Corea e trovarono dunque la proposta americana assai debole. (Modern War Studies, Kansas University, USA, 2002). Nel 1959, gli USA giunsero, quanto meno, a convincere il dalai lama ad abbandonare il Tibet, ma bisognava ancora convincere l'India ad accordargli l'asilo. Eisenhower propose uno «scambio» a Nehru: l'India accettava il dalai lama sul suo territorio e gli USA concedevano a 400 ingegneri indiani una borsa di studio affinché si addestrassero al la «tecnologia nucleare» negli USA. Lo scambio fu accettato(2). Nel 1974, la prima bombe A indiana fu apostrofata con il soprannome cinico di... «Buddha sorridente»(3).
 
1 «Tibet, Tibet», P. French, Albin Michel, 2005.
2 Il maggiore statunitense William Corson, responsabile dei negoziatio dell'epoca, Press Trust of India, 10/8/1999.
3 Raj Ramanna, ex direttore del programma nucleare dell'India, 10/10/1997, Press Trust of India.
 
Traduzione di Alessandro Lattanzio





Ce que le Dalaï Lama ne dit pas sur le Tibet et sur sa doctrine

Elisabeth Martens



Les raisons qui m’ont poussé à écrire ce livre qui va à l’encontre des idées toutes faites à propos du Tibet, de son histoire et de sa religion : de plus en plus d’amis proches écoutaient religieusement les discours du Dalaï Lama, se disaient sympathisants du Bouddhisme tibétain, et du même coup, adhéraient aux thèses du mouvement pour l’indépendance du Tibet. Au point où moi-même - plus sensibilisée à la question tibétaine parce que j’ai habité en Chine trois ans et parce que je donne des cours sur la pensée chinoise -, j’ai été amenée à me positionner. Dès lors, je me suis documentée et j’ai constaté que les informations disponibles, ici en Occident, à propos de l’histoire du Tibet et du Bouddhisme au Tibet sont soit détournées, soit inexistantes. De là, ma recherche.
 
« Histoire du Bouddhisme tibétain, la Compassion des Puissants »,
édition L’Harmattan, collection « Recherches asiatiques », 2007
ISBN : 978-2-296-04033-5, prix : 25,50 €


Texte de présentation du livre

Mon livre, résultat de cette recherche, raconte l’histoire du Bouddhisme tibétain (lire : BT dans la suite du texte), depuis sa formation jusqu’à son actualité brûlante ; il est divisé en trois parties distinctes : entrée, plat consistant et dessert... comme un bon repas de famille après lequel on n’a plus qu’à aller faire la sieste ! Pas de panique : il est écrit dans un style allègre et avec un brin d’ironie, ce qui allège la digestion. Toutefois il peut se lire comme trois petits livres, chacun relatant une époque du BT. L’entrée de notre petit repas familial concerne la période de gestation du BT, depuis l’enseignement du Bouddha (6ème AC), jusqu’à la formation de l’école bouddhiste qui, au 9ème PC, s’implante sur le Haut Plateau Tibétain : le Vajrayana ou Véhicule tantrique ou Tantrisme. Après avoir esquissé le Dharma (ou « enseignement du Bouddha »), je rappelle la scission que connut le Bouddhisme au 1er PC et les cheminements différents du Hinayana et du Mahayana (Petit et Grand Véhicules). Je survole ensuite l’évolution du Mahayana en Inde avec ses senteurs hindouistes et la naissance du Vajrayana au 6ème PC.

Je raconte un peu plus longuement l’entrée du Mahayana en Chine, son utilisation politique lors de l’éclatement de l’Empire chinois, et les questions que le Bouddhisme a posé à la pensée chinoise. Celle-ci, ne pensant pas en-dehors du monde physique et temporel, limité et duel, qui est le nôtre, n’était pas prête à entendre le message de délivrance du Dharma : pour la Chine, la souffrance (la « dukkha » du Bouddhisme) est l’autre facette du bien-être, et qui ne connaît pas l’un ne peut jouir de l’autre. Il n’empêche que la venue du Bouddhisme en Chine a placé celle-ci au pied de son mur philosophique : « transcendance ou immanence ? », la question était clairement posée. La Chine, après un millénaire d’influence bouddhiste, a résolument opté pour la dialectique et le Relativisme. Comme vous pouvez le constater, j’ai profité de cette première partie pour me poser des questions philosophiques et existentielles : qu’est-ce qu’une religion ? comment la distinguer d’une philosophie ? l’enseignement du Bouddha n’est-il pas aussi une religion, malgré ce qu’en disent actuellement ses adeptes ? quel est le rôle des religions dans la vie psychique des êtres humains ? quel est leur rôle dans l’évolution d’une société ? les religions sont-elles encore nécessaires ? ne peut-on se passer de la religion tout en développant notre côté spirituel ? etc. Autant de questions auxquelles je m’attarde, sans doute pour mettre mes propres idées au clair, tout en sachant que ces questions touchent la plupart d’entre nous. Donc, cette première partie de mon livre est écrite comme un essai.

La seconde partie du livre est le « plat consistant », le gros oeuvre après le hors-d’œuvre. Il s’agit de l’histoire du Bouddhisme au Tibet, depuis son arrivée au Tibet (vers le 6ème PC) jusqu’à sa pratique actuelle, au Tibet. Pour engager cette partie de l’histoire, j’ai voulu planter le décor : qu’appelle-t-on le « Tibet » avant l’arrivée du Bouddhisme ? La géographie du Haut Plateau explique comment des êtres humains ont atterri si haut et si loin de tout, dans des régions qui sont devenues inhospitalières, alors qu’elles ne l’étaient pas lorsque les premiers venus s’y sont installés. Qui sont ces gens, d’où venaient-ils ?

On s’aperçoit que ce que nous appelons le « peuple tibétain », sont des populations composites : les unes venant de l’Ouest (Asie centrale), les autres du Sud-Ouest (vallée de l’Indus), ou du Sud-Est (fonds des forêts birmanes), de l’Est (vallée du Yangzi), et du Nord (vallée du Fleuve Jaune). Cette diversité ethnique est encore visible aujourd’hui : d’une vallée à l’autre, l’architecture des maisons, les vêtements et même la langue, sont parfois différents. De ce fait, avant l’arrivée du Bouddhisme qui, au Tibet, a servi de ciment culturel et politique, le Haut Plateau tibétain était sillonné de populations de croyances et de cultures nettement plus variées. Leurs cultes étaient animistes et elles étaient influencées par une religion venue, semble-t-il, de l’Ouest (Asie centrale) : le Bön. Depuis le 4ème AC, il existait bien un petit royaume tibétain dans la vallée centrale du Yarlong (ou Brahmapoutre) avec la dynastie des Tubo, mais ce n’est qu’au 7ème PC que le roi SongTsen Gampo voulut agrandir son territoire. A la manière du célèbre Gengis Khan, le roi réunit les diverses populations du Haut Plateau en vue d’attaquer son puissant voisin, la Chine des Tang. Et c’est là que tout commença : la Chine repoussa les Tibétains, puis l’empereur des Tang offrit au roi tibétain sa fille en mariage.

Cette première alliance entre la Chine et le Tibet permit au Bouddhisme (école chinoise du JingTu) d’entrer à la cour royale du Tibet, où il resta coincé pendant quelques siècles. Au 9ème, la dynastie Tubo s’effrite et plonge les Tibétains dans l’instabilité politique, et ce jusqu’à l’arrivée des Mongols (13ème). Pendant ce temps-là, au 11ème, le Nord de l’Inde est assailli par des marées musulmanes. Or c’était justement dans le Nord de l’Inde que se trouvaient les plus importantes écoles du Tantrisme (ou Vajrayana formé en Inde vers le 6ème PC). Sous l’assaut des Musulmans, les maîtres tantriques fuient l’Inde et se réfugient de l’autre côté des montagnes de l’Himalaya : dans un Tibet sans foi ni loi. Le Bouddhisme, version tantrique, connaît alors une véritable explosion au Tibet : les maîtres importent les textes sacrés et les font traduire en tibétain (dont l’écriture est proche du sanskrit), les communautés tantriques se multiplient à vive allure, les écoles se subdivisent en de nombreuses sous-entités, dont les derniers nés (au 14ème) sont les plus connus : les Bonnets Jaunes. Les populations tibétaines, soumises jusque-là au bon vouloir des seigneurs et aux rivalités entre grandes familles de la noblesse tibétaine, se convertissent en masse au Bouddhisme et se mettent au service des communautés tantriques: la structure ecclésiastique du Tantrisme leur apporte sécurité et stabilité.

De cette manière, le Bouddhisme a permis d’instaurer au Tibet une société féodale. Le pouvoir est partagé entre la noblesse tibétaine et les communautés bouddhistes, plus de 90 % de la population est placée en servitude. C’est un système bien huilé qui va perdurer jusqu’à la moitié du 20ème siècle, pour le bonheur et le plaisir de quelques uns (noblesse et autorités tantriques) et au détriment de l’écrasante majorité (serfs et esclaves). L’arrivée des Mongols au 13ème ne va que conforter la structure féodale du Tibet ; les Mongols feront du Tibet une annexe de leur Empire chinois. Les Mandchous qui contrôlent l’Empire chinois du 17ème au 19ème divisent la Chine en 18 provinces ; depuis, le Tibet est une des 18 provinces chinoises.

Or, à la fin du 19ème, la Chine se vend par concessions successives et de plus en plus ridicules aux puissances occidentales. Le Tibet qui, grâce à la puissance de son pouvoir ecclésiastique, a amassé de grandes richesses, est convoité par les Anglais : le lieu de villégiature privilégié des lords britanniques pendant la saison des moussons - Darjeeling, Kalimpong, le Sikkim, etc.- sont autant de régions où aboutissent les caravanes de laine et de sel en provenance du Tibet. Constatant l’intérêt gourmand des Tsars russes pour le Haut Plateau, les Anglais ne font ni une ni deux : ils envahissent le Tibet, s’installent et ouvrent des comptoirs de commerce. Se retroussant les moustaches, ils jouent au bridge et au tennis devant le palais d’été du 13ème Dalaï Lama, principale autorité tibétaine à cette époque, sans omettre de l’inviter à une partie de badminton. Le grand Lama se trouble : Mandchous, Russes, Anglais, et même Japonais se pressent sur le pas de sa porte et louvoient dans les couloirs du Potala. « L’accord de Simla », qui devait être signé en 1913, signe en réalité le désaccord entre la Chine, le Tibet et l’Angleterre : la Chine ne cèdera pas le Tibet à l’Angleterre, le Tibet restera chinois ; plus tard, les Nations Unies approuveront.

Suite à la Seconde Guerre Mondiale, les Anglais sont remplacés par les Américains sur le Toit du Monde, et les parties de bridge par des boîtes de biscuits à l’huile d’arachide offertes par le président Roosevelt. Cette fois, le jeune 14ème Dalaï Lama est tiraillé entre, d’une part, la Chine communiste qui lui fait miroiter le développement économique du Tibet et une relative autonomie dans les prises de décisions concernant la politique intérieure du Tibet, et d’autre part, les Etats-Unis qui lui promettent une sécurité financière et logistique et une complète indépendance dans un futur à déterminer. Somme toute, il préfère les biscuits, même à l’huile de cacahuète. En 1959, il prend ses cliques et ses claques et s’en va avec ses tambours et ses trompettes, plus quelques carpettes, on ne sait jamais si elles commençaient à léviter. Ce que le Bouddhisme est devenu au Tibet suite au départ du Dalaï Lama, quelle a été son évolution, ses périodes difficiles, sa reconstruction, le regain d’intérêt de la Chine pour le BT, tout cela est relaté dans la fin de la seconde partie du livre. Vous l’aurez compris, ce second chapitre est une étude historique, fruit d’un long travail de documentation (voir biblio). J’ai voulu écrire cette partie, plus ardue pour le lecteur, dans un style naturel et laissant apparaître une progression dans le récit.

Le dessert, comme tous les grands desserts, plonge d’abord l’assemblée dans un profond silence, un recueillement presque méditatif, mêlé d’une certaine gêne, pour exploser ensuite en un fou rire général et se terminer en une bonne humeur communicative. Bref, je me suis beaucoup amusé dans le dernier chapitre et pour cause : dérision et autodérision étaient les fils conducteurs de ce pamphlet. Il retrace l’étrange parcours que le BT connut en Occident. Au 19ème, il fut recueilli avec ferveur par Helena Blavatsky, fille d’un colonel tsariste, et mise en contact avec des maîtres tantriques dès son jeune âge. Grâce à ses soins attentifs, les rites du BT vont servir, parmi d’autres pratiques ésotériques, à calmer les frayeurs de la bourgeoisie face à la montée du Socialisme.

Les successeurs de l’école de Théosophie fondée par Blavatsky ne sont autres que les nombreuses nébuleuses du New Age qui, dès le début du 20ème, défendront les thèses les plus « réactionnaires » : nostalgie des époques révolues, retour vers la terre-mère, culte de la race pure et des racines aryennes cachées dans les replis de l’Himalaya... un langage que l’idéologie nazie n’aura pas beaucoup de mal à récupérer avant et pendant la Seconde Guerre Mondiale.

Pour le Dalaï Lama qui débarque en Europe fin des années 70, il valait mieux mettre ce passé récent au portemanteau des oubliettes. Avec l’aide de son généreux sponsor étasunien, il s’y est pris avec intelligence et patience : depuis 50 ans (un demi siècle !), la même histoire du pauvre roi-dieu déchu de son trône par l’horrible diable rouge à queue fourchue nous est servie au Mac Donald des mythes modernes, réveillant en nous le même archétype du bon père de famille qui acquit sa liberté et celle de son clan grâce à l’exil et à la souffrance, les mêmes clichés quant à la tolérance, la compassion, le détachement qui seraient les qualités innées du BT, le même déni systématique de l’histoire du Tibet, bref, le même manque de discernement dès qu’il s’agit de la question tibétaine.

Pourtant, dès qu’on se demande les raisons qui ont poussé les Etats-Unis à faire un tel cas de leur « citoyen modèle » (le Dalaï Lama vient de recevoir, des mains de G.W.Bush, la médaille d’or du meilleur citoyen américain, juste pendant que se tenait le congrès quinquennal du PCC !), la réponse est limpide : au lendemain de la « Grande Guerre », il était une effigie idéale pour soutenir la lutte contre le communisme chinois. Puis, dans la foulée de la guerre du Vietnam et du mouvement hippie, le Dalaï Lama a mis ses efforts dans un « retour aux sources du Bouddhisme », en nettoyant le BT de son aspect ésotérique et en le « philosophisant » (c’est depuis qu’on dit, chez nous, que le Bouddhisme n’est pas une religion mais une philosophie). Cela permit aux semi bourgeois intellectuels et post-68, que nous sommes, de ne plus « bêtement » croire en Dieu, mais d’adhérer au nouvel « athéisme qui embrasse l’absolu ». Qui plus est, le Bouddhisme, dans sa version dalaïste, ne demandait pas d’engagement, ce qui convenait parfaitement à notre egotisme.

Ce fut une étape délicate dans l’opération de séduction qu’entreprit le BT sur l’Occident intellectuel, mais ce fut une réussite, couronnée par un prix Nobel discerné au grand Dalaï en ’89, peu après les événements de la Place TianAnMen et la chute du Mur de Berlin ! Réussite totale pour le Dalaï Lama, à tel point qu’actuellement, une large majorité de la gauche intellectuelle, même celle qui se dit « progressiste » ou, encore plus, celle qui se dit « écologiste », et même en accord avec la droite (dont on ne peut pas vraiment dire qu’elle soit intellectuelle) adhère sans réserve à ses discours. Mais si le Dalaï Lama met « l’Occident pensant » dans sa manche en utilisant sa propre religion, n’est-ce pas pour mieux servir les desseins des Etats-Unis : fragiliser la Chine, la déstabiliser de l’intérieur par nos assauts incessants du « politiquement correct », pendant que les troupes américaines installent leurs bases militaires tout autour des frontières chinoises.

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TABLE des MATIèRES

Introduction

Chapitre 1 : le Bouddhisme avant son entrée au Tibet

1.1. L’enseignement originel du Bouddha, le Dharma

Siddhârta Gautama, le Bouddha historique
La Transcendance bouddhiste : un Au-delà de la souffrance
Quelques originalités de la réflexion du Bouddha
« Les Quatre Nobles Vérités et le Sentier aux Huit Embranchements »
Le karma et la loi de « Cause à Effet »

1.2. Le Bouddhisme du Grand Véhicule, le Mahayana

Schisme fatal dans la communauté bouddhiste (1er AC)
Le Petit Véhicule se dirige vers l’Asie du Sud-Est
Le Grand Véhicule ouvre ses portes à l’ésotérisme
Principe de Vacuité, fondement des écoles du Grand Véhicule
Ecoles de la « Voie du Milieu » et de la « Pratique du Yoga »
La Vacuité bouddhiste et la physique quantique
Convergences entre Bouddhisme, Taoïsme et Relativisme
Divergences entre pensées bouddhiste et chinoise
D’où nous vient la pensée de la Transcendance ?
La poésie du « sentiment océanique »
Modèle chinois d’adoption de notre condition humaine
En Inde comme en Chine, le panthéon mahayaniste se multiplie
Le Tantrisme ou Vajrayana, ultime sursaut bouddhiste
« Expérimenter » : Voie tantrique vers l’Eveil
Le Tantrisme : paradis perdu ou enfer retrouvé ?
Fusion tantrique entre maître et disciple
Les divinités tantriques s’accouplent à leur shakti
Où donc se cache Siddhârta Gautama ?

1.3. Expansion du Grand Véhicule en Chine

Contexte de la Chine lors de l’arrivée du Bouddhisme (1er PC)
L’entré du Bouddhisme en Chine passe quasi inaperçue
Idéologie des Han lors de l’arrivée du Bouddhisme
La pensée holiste des Han, source d’inspiration pour le Tantrisme ?
A la recherche de l’unité perdue... ou acceptation de nos dualités ?
Le Bouddhisme s’installe en Chine grâce à sa confusion avec le Taoïsme
Le Bouddhisme, pacificateur des populations du Nord de la Chine (3-6ème PC)
Le JingTu, école bouddhiste la plus populaire en Chine
L’école du Vide, mais de quel « vide » s’agit-il ?
Au Sud, les avis sont partagés entre « gradualistes » et « subitistes »
Indianisation du Bouddhisme chinois et naissance du Tantrisme en Inde
Durant les Tang (7-9ème) : apogée du Bouddhisme chinois et contact avec le Tibet
Première répression du Bouddhisme en Chine : l’édit impérial de 845
Le MiZong, ou « l’école du Mystère », atteint le Tibet

Chapitre 2 : Histoire du Bouddhisme au Tibet

2.1. Paysages du Tibet avant l’arrivée du Bouddhisme

Le Plateau tibétain entre déserts, précipices et autres monstres sacrés
Le Bön, religion autochtone du Tibet
Première phase du Bön, reflet d’une société tribale et matriarcale
Polyandrie et démographie, de l’ancien Tibet au Tibet moderne
Seconde phase du Bön, naissance d’une doctrine influencée par l’Hindouisme
Le yungdrung, ou swastika, emblème du Bön

2.2. Phase d’implantation du Bouddhisme au Tibet (7-9ème)

Le Bouddhisme chinois sert les ambitions de Songtsen Gampo, roi des Tubo
Les conquêtes des Tubo génèrent un changement de structure sociale
Le Bouddhisme, catalyseur du patriarcat tibétain
Padmasambhava, maître tantrique indien, devient le père du Bouddhisme tibétain
Première école du Bouddhisme tibétain : l’école des Nyingmapa
Troisième phase du Bön et sa division en blanc, noir et zébré
Fin de règne des Tubo et premières persécutions bouddhistes

2.3. Renaissance du Bouddhisme tibétain (9-11ème)

Le Bouddhisme tibétain se réinstalle peu à peu sur le Haut Plateau
Une floraison de nouvelles écoles : Sakyapa, Kagyupa, Kadampa, etcetera
Le tantra de Kalachakra ou du « Maître de la Roue du Temps »
Le Royaume de Shambala : mythe ou réalité ?
Le Kalachakra revendique son authenticité
L’Islam, ennemi principal du Bouddhisme tibétain
Quels sont les autres ennemis de la « Bonne Doctrine » ?
Le rituel de Kalachakra œuvre-t-il pour la paix dans le monde ?
Le Tibet, l’écrin précieux des trois Véhicules
La population du Tibet subit les sévices de Kalachakra

2.4. Expansion du Bouddhisme tibétain (12-13ème)

La dynastie mongole des Yuan annexe le Tibet à l’Empire chinois
Les Mongols se convertissent au Bouddhisme tibétain
Phagpa Rinpotché nommé « précepteur impérial du Tibet »
L’histoire du « Bardo Thödol », le « Livre tibétain des morts »
Le Bardo Thödol à l’occidentale
Le Bouddhisme tibétain s’étend aux steppes mongoles

2.5. La réforme du Bouddhisme tibétain (14-15ème)

Tsongkapa, réformateur du Bouddhisme tibétain et fondateur des Bonnets Jaunes
Retour à un « Gradualisme » modéré pour l’école des Bonnet Jaunes
Les trois étapes de la Voie du Milieu
Mantra, mudra, mandala : voies sacrées de Réalisation
La petite porte du fond : voie douteuse vers la Réalisation
Le fulgurant succès des Bonnets Jaunes
Hiérarchie et discipline chez les Bonnets Jaunes
Le système des « tulkous » assure la succession et le maintien des biens

2.6. Le règne des douze premiers Dalaï Lamas (15 -19ème)

Le titre honorifique de « Dalaï Lama » est conféré par Altan Khan
Guerre civile entre écoles bouddhistes : le massacre de Drepung
Construction du palais du Potala sous le règne du Grand Cinquième
La dynastie mandchoue des Qing (1644-1911) place le Tibet sous son contrôle
La compagnie de Jésus rencontre le Bouddhisme tibétain
Guerre civile pour un Océan de Sagesse : second massacre de Drepung
L’établissement du « kashag », assemblée gouvernementale tibétaine
Les Mandchous tracent les frontières de la province tibétaine
Code civil tibétain décrété par les Mandchous
Du 8ème au 12ème Dalaï Lama : un siècle meurtrier pour les Dalaï !
Au 19ème, le Bouddhisme tibétain doit composer avec L’Empire britannique
La Russie des Tsars contaminée par le tantra de Kalachakra

2.7. Le Bouddhisme tibétain sous influence occidentale (19-20ème)

Des slaloms périlleux pour le Grand Treizième !
Une demande d’indépendance du Tibet avancée par le 13ème Dalaï Lama
Quelle modernisation pour quel Tibet ?
L’héritage spirituel et temporel du Grand Treizième
Le Bouddhisme tibétain s’allie à l’impérialisme nippon
En 1940, intrônisation du 14ème Dalaï Lama

2.8. Le Bouddhisme tibétain sous drapeau chinois (20-21ème)

En 1951, l’Armée Populaire de Chine arrive à Lhassa
Un début de règne difficile pour le 14ème Dalaï Lama
Le 14ème Dalaï Lama : « semi-bouddhiste, semi-marxiste » ?
Guerriers du Bouddha, soldats de la Libération et agents de la CIA sur le Toit du Monde
L’organisation de la résistance tibétaine est soutenue par la CIA
Exil du Dalaï Lama : forcé ou volontaire ?
Dharamsala, centre névralgique du mouvement pour l’indépendance du Tibet
Quelle démocratie à Dharamsala ?
La première bévue de la Chine : l’Arunachal-pradesh
La Révolution Culturelle, qu’eut-elle de « culturel » ?
Bouddhisme ou marxisme : risque de dérapage des « ismes »
Une grave erreur du PCC : avoir voulu éradiquer les religions
Résurgence du Bouddhisme tibétain sur le Haut Plateau à partir des années 80
Les émeutes de 1987 et 1988 à Lhassa
Amélioration du niveau de vie pour les Tibétains
Sa Sainteté le Dalaï Lama, prix Nobel de la Paix
Un nouvel objectif pour le Dalaï Lama : la re-bouddhéisation de la Chine
L’encerclement de la Chine par les USA
La réponse de la Chine
Liberté de religion en République Populaire de Chine ? et le FaLunGong ?

Chapitre 3 : Le Bouddhisme tibétain en Occident

3.1. Le Tibet, un mythe né en Occident

Quelques caractéristiques du Bouddhisme qui favorisent son implantation
Contexte idéologique de l’Europe lors de l’arrivée du Bouddhisme tibétain (19ème)
Le trait d’union : Helena Blavatsky, une étoile parmi les Tsars
La Société théosophique en marche contre le Matérialisme
Fin du 19ème, les touristes sont mal venus sur le Toit du Monde
D’Alexandra David-Neel à Lobsang Rampa, fils de plombier anglais
C.G. Jung et R. Wilhelm, un espoir pour l’orientalisme
Deux dissidents de la Théosophie : Krishnamurti et Steiner
Big Brother surveille les galaxies du Verseau
René Guénon : la « Tradition universelle » vient du Tibet !
Julius Evola ou le Bouddhisme tibétain au service du national-socialisme
L’Ahnenerbe en voyage initiatique au pays de Shambala
«...et si le Dalaï Lama devenait un criminel de guerre ! », dit le Dalaï Lama
Le mythe de la « bonne guerre », version zen
« Le sabre qui donne la vie » : une expression de D.T. Suzuki
Le Bouddhisme au service de la Guerre Froide
Golden sixties et beatnik : « let it be ! »
Durckheim et Herrigel, deux constructeurs d’ego

3.2. Usage postmoderne du mythe tibétain

La Bonne Doctrine s’implante au coeur de notre « matérialisme spirituel »
Chogyam Trungpa, précurseur de la vague dalaïste
La France, pays d’acceuil du Bouddhisme tibétain en Europe
Les mauvaises fréquentations du Dalaï Lama
Une fracture intellectuelle nécessaire à l’Eveil
Du génocide ethnique au génocide culturel
Bio branchés, BT-light ou dalaïstes convaincus : de quelle gauche s’agit-il ?
1989, l’année de tous les dangers... et de la naissance d’Arte
Les « aimables fadaises » du Dalaï Lama
Il faut un ego surdimensionné pour adhérer au Dharma
Le Bouddhisme tibétain joue la carte du « retour aux sources »
Bouddhisme et Christianisme : deux religions de salut
Les dialogues interreligieux : une internationale contre le relativisme

3.3. Critique de la bouddhomania actuelle

Phénoménologie bouddhiste et psychanalyse
Le Bouddhisme tibétain à la conquête du monde scientifique
Les pensées positives du Bouddhisme tibétain
Le dessein intelligent du Dalaï Lama
Le Bouddhisme tibétain jusqu’au cœur de nos écoles primaires
Bouddhisme tibétain et engagement social
« Se changer soi-même pour changer le monde »
Le Bouddhisme tibétain n’est pas une exception sur le marché des religions
Transcendance et concurrence en terre bouddhiste
Le marketing du Bouddhisme tibétain

Conclusion

Bibliographie

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Bibliographie


Par auteurs

1. Andreyev A., « The Tsar’s Generals and Tibet. A propos of some ‘white spots’ in the history of Russo-Tibetan relations », in « Tibet And Her Neighbours, A History », ouvrage collectif sous la direction d’Alex McKay, Ed. Hansjörg Mayer, 2003
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3. Ariès P., « Les sectes à l’assaut de la santé, le pluralisme thérapeutique en danger », Ed ; Golias, 2000
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Il Tibet, la Cina e i Lama-party della sinistra “radical”
 
di Sergio Ricaldone

Le mutevoli folgorazioni che spesso influenzano le scelte del ceto politico di sinistra riservano sempre delle bizzarre sorprese: dalle calde foreste del Chiapas l’attenzione ora si è spostata ai freddi altopiani del Tibet, a sostegno del Dalai Lama e con chiari intenti anticinesi.  Emerge, come d’abitudine, la propensione a pontificare su quello che succede in casa altrui e, come sempre, il separatismo (del Kosovo, della Cecenia o del Tibet) è una bandiera che certa sinistra continua a sventolare con desolante supponenza.  Proviamo ad immaginare la reazione se i comunisti cinesi dovessero offrire il loro sostegno ai separatisti della Padania. Allora, chi è e cosa vuole questo stravagante Dalai Lama che all’austerità dei templi buddisti preferisce confortevoli soggiorni negli hotel a 5 stelle dell’emisfero occidentale?
 
Riteniamo utile riassumere i fatti storicamente assodati che hanno segnato i principali passaggi del Tibet, dall’oscuro medioevo lamaista al suo attuale trend di sviluppo economico e sociale come entità autonoma del grande pianeta Cina.
 
Dal 1727 – ossia ben prima che la Padania e il regno delle due Sicilie diventassero parte integrante dello Stato italiano – il Tibet è diventato, a sua volta, parte integrante della Cina, sotto forma di dipendenza autonoma.  In quanto tale è sempre stato dominato (fino alla rivoluzione) da un regime teocratico autoritario, con tutto il potere concentrato nella mani del Dalai Lama, capo spirituale e temporale.
 
Tutta la terra era di proprietà del Gran Lama e della gerarchia teocratica buddista-lamaista, espressione di un rapporto di produzione feudale basato sulla servitù della gleba, con larghe fasce di schiavitù.  L’investitura del Lama era sottoposta e ratificata alla corte imperiale di Pechino.  Questa prassi è stata mantenuta anche nel periodo del Kuomintang.
 
La Repubblica popolare cinese ha assunto il controllo del territorio tibetano il 23 maggio 1951.  Da quel momento inizia un lungo processo di trasformazione sociale che comprende l’abolizione della servitù della gleba e della schiavitù, la distribuzione dei pascoli ai contadini senza terra (non esistono a quell’altitudine altre significative coltivazioni agricole) e la costituzione di cooperative. Inizia nel contempo il programma di alfabetizzazione di massa con partenza da quota zero.
 
La costituzione cinese riconosce al Tibet (e non solo al Tibet) lo status di repubblica autonoma che comprende il riconoscimento della lingua, della cultura e della religione (all’incirca quello che la Costituzione italiana riconosce alle regioni autonome della Valle d’Aosta e del Trentino-Alto Adige).
 
Nel 1959 un tentativo insurrezionale di bande armate addestrate dalla CIA in California (archivi resi pubblici dalla stessa CIA) viene sventato dalla popolazione di Lhasa che insorge in massa e costringe il Dalai Lama alla fuga in India.   Sono totalmente false le accuse di genocidio rivolte alla Cina: la popolazione è più che raddoppiata negli ultimi 40 anni e, dei 2,7 milioni di abitanti, il 90% è di origine tibetana, e solo il 10% è composto da residenti di etnie diverse. La speranza di vita è salita dai 35 anni dei primi anni cinquanta ai 69 di oggi.  Credo che l’ultima persona al mondo titolata a parlare di diritti umani sia il Dalai Lama.
 
Spunti interessanti sulla politica di smembramento perseguita da Washington contro la Cina sono presenti nel libro “La grande scacchiera” di Z. Brzezinski, un insospettabile autore celebrato come lucido stratega del pensiero imperialista americano.   A chi si sentisse irresistibilmente attratto dal tema dei “diritti umani” di ispirazione lamaista consiglierei di farsi la faticosa gita che dal Tibet, attraverso il colle sud dell’Everest, conduce nel contiguo Nepal, il piccolo stato himalayano sconvolto fino al 2006 da una guerriglia contadina, scoppiata nel 1996.  Seguendo l’esempio dei loro fratelli tibetani, con cui sono legati da secoli, i contadini nepalesi sono insorti per liberarsi dalla servitù della gleba e dalla schiavitù, ossia dagli stessi rapporti feudali che il Dalai Lama amministrava nel Tibet prima della rivoluzione.  L’inviato in Nepal di Le Monde Diplomatique, Cedric Gouverneur, ha scritto sul n° 11 del 2003: “Una parola ritorna costantemente sulla bocca di ogni guerrigliero intervistato: sviluppo!  Gli insorti vogliono medici, strade, ponti, elettricità, dighe e poter esportare i loro raccolti. Vogliono semplicemente uscire dalla miseria”.  Evidentemente sono state le trasformazioni nel Tibet moderno che hanno acceso le speranze dei loro fratelli nepalesi.  Vediamole queste trasformazioni. 
 
Dalla metà degli anni 90 il PIL del Tibet è aumentato del 13% l’anno, ossia più degli eccezionali ritmi di sviluppo della stessa Cina.  Le opere edili sono raddoppiate e il commercio, che fino ad una decina di anni fa si svolgeva quasi esclusivamente col confinante Nepal, è cresciuto di 18 volte rispetto al 95. Con gli stessi ritmi vengono sviluppati il sistema sanitario e quello scolastico (entrambi inesistenti nel passato).  Nel 2001 il governo di Pechino ha stanziato 65 miliardi di yuan per finanziare progetti di infrastrutture che permettano ai tibetani di uscire dal medioevo buddista- lamaista e di approdare nell’universo contemporaneo usufruendo dei vantaggi offerti dal progresso economico e sociale che sta trasformando la Cina popolare.
 
Fino a pochi mesi fa l’unica via di comunicazione tra il Tibet e il resto della Cina era una strada dissestata che partendo da Golmund (provincia del Qinghai) consentiva ai camion di accedere a Lhasa in 50/60 ore di viaggio.  Oggi lo stesso percorso si compie in 16 ore sul modernissimo “treno del cielo” che corre lungo i binari della più alta ferrovia del pianeta: oltre 1200 km. costruiti lungo un itinerario da fantascienza, a oltre 5.000 m. di altitudine.
 
Sarebbe questa la “devastazione freddamente calcolata dalle autorità cinesi” che,   come ci racconta il Dalai Lama, starebbe distruggendo le tradizioni e la cultura religiosa del popolo tibetano?
 
Possibile che il ceto politico di sinistra non venga sfiorato dal dubbio di cadere nel ridicolo prestando fede alle lamentazioni di questo bizzarro personaggio?



Mao
                        nuota nello Yangtse





Per il popolo del Tibet e contro il feudalesimo lamaista

di Jose Antonio Egido *

da www.contropiano.org


Cosa era il Tibet prima dell'avvento del socialismo?


Il Tibet è uno dei luoghi più remoti del pianeta. E' un altopiano nel cuore dell'Asia, separato dal sud Asia dalle più alte montagne del mondo, l'Himalaya. Sei catene montuose dividono la regione in valli isolate. Il Tibet era appartenuto alla Cina da circa 700 anni, ma la mancanza di comunicazioni l'aveva isolato dalla Cina e dal mondo.

Il buddismo penetrò nel Tibet nel secolo VII [1]. Il principe Strong-tsan-gampo, artefice dell'unità del Tibet, usò questa religione nella sua opera di unificazione. Per molto tempo il buddismo fu la religione dell'aristocrazia feudale mentre il popolo praticava riti di sciamani e di clan (religione Bon o Bon-po).

A partire dal secolo IX il buddismo si diffuse nel popolo sotto la forma mahayana. All'inizio del secolo X il partito antibuddista sostenuto dalla vecchia aristocrazia feudale diede vita a persecuzioni contro i buddisti. Ma i buddisti riuscirono ad assassinare il re Lang-darma e vincere.Nel secolo XI il buddismo vinse definitivamente sotto la forma di una nuova corrente denominata tantrismo. Durante i secoli XI e XII furono costruiti in Tibet numerosi monasteri buddisti con una moltitudine di monaci denominati lama. Nel 1271 Kublai Khan, fondatore della dinastia mongola degli Yuan (1270-1370), nominò ministro degli affari civili e religiosi il capo della setta buddista più importante del Tibet. La dinastia cinese dei Ming, che regnò dal 1368 al 1644, protesse similmente la religione buddista ma attuò una politica di frammentazione del paese che la indebolì. Sorse una corrente buddista riformatrice che impose una disciplina monacale severa e l'obbligo portare vestiti e protezioni gialle. Tutto il potere si concentrò nelle mani di due gerarchi supremi: il Panchem-rimpoche e il Dalai-rimpoche (futuro Dalai Lama). Entrambi furono dichiarati incarnazioni delle divinità buddiste più venerate.

Nominalmente l'autorità massima del Tibet era rappresentata dagli imperatori cinesi che riscuotevano le tasse e nominavano funzionari incaricati prelevarle, però i gerarchi buddisti avevano localmente molta influenza. Nel 1639-1640 il mongolo Gushi assassinò il principe locale e trasferì tutto il potere secolare al Dalai Lama. All'inizio della dinastia dei manchú la Cina ristabilì la relativa sovranità sul Tibet ma il potere reale rimase nelle mani del Dalai Lama e, pricipalmente, nelle mani dei lama supremi che lo circondavano. Nel Tibet si affermò una forma particolare di regime feudale nella quale i grandi signori (monaci e secolari) dominavano una massa di contadini privati dei diritti e il potere politico era monopolizzato dai gerarchi buddisti. Al vertice della gerarchia c'era il Panchem-Lama considerato padre spirituale del Dalai Lama che era quello che esercitava il potere temporale. Un autore cinese ha scritto che "solo 626 persone possedevano il 93% della terra e della ricchezza nazionale e 70% dei yakes [2] nel Tibet. Fra loro 333 erano capi dei monasteri e autorità religiose e 287 autorità secolari (contando la nobiltà e l'esercito) e sei ministri di gabinetto [3]. La classe alta era formata da circa il 2% della popolazione e il 3% erano i loro agenti: soprintendenti, amministratori della loro proprietà e comandanti dei loro eserciti privati. L' 80% erano servi, il 5% gli schiavi e 10% erano monaci poveri che lavoravano come contadini per gli abati e pregavano. Nonostante la presunta regola lamaísta della non violenza questi monaci erano frustati continuamente.

Oggi, l'attuale Dalai Lama si presenta al mondo come un uomo sacro al quale non interessano le cose materiali. La realtà è che era il proprietario principale dei servi del Tibet. Secondo la legge era proprietario di tutto il paese ed i relativi abitanti. In pratica la sua famiglia disponeva di 27 proprietà immobiliari, 36 prati, 6.170 servi e 102 schiavi.


Le orribili condizioni di vita delle masse popolari

La vita dei servi di tibetanos prima di 1949 era breve e durissima. Tanto gli uomini che le donne lavoravano nelle mansioni più sacrificate e nel lavoro forzato, chiamato ulag, per 16 o 18 ore al giorno. Dovevano dare ai proprietari (che non lavoravano) il 70% della raccolta. Non potevano usare le stesse sedie, le stesse parole, né gli utensili dei proprietari. Erano puniti con le frustate se toccavano una certa cosa del proprietario. Non povano sposarsi né lasciare una proprietà senza permesso del padrone. I servi e le donne erano considerati animali parlanti che non avevano diritto di guardare in faccia i padroni. L'esperto studioso del Tibet A. Tom Grunfeld riferisce di una una figlia dei proprietari i cui servi la alzavano per farla salire e scendere le scale [4]. Gli schiavi erano percossi, non li nutrivano e li uccidevano di lavoro. Nella capitale Lhasa i bambini si compravano e si vendevano.

La parola donna, kimen, significava stato inferiore di nascita. Le donne dovevano pregare "che io abbandoni questo corpo femminile e rinasca come uomo". I gerarchi religiosi impedivano loro di alzare gli occhi oltre il ginocchio di un uomo. Era comune bruciare le donne per essere "streghe", spesso perché esse praticavano i rituali della religione Bon. Partorire gemelli era prova che una donna si era accoppiata con uno spirito malvagio e nella campagna era frequente che bruciavano la madre e i gemelli appena nati. Un uomo ricco poteva avere molte spose e un nobile con poca terra doveva dividere una donna con i propri fratelli.

Il popolo ha sofferto costantemente di freddo e di fame. Prima della liberazione nel Tibet non c' era elettricità nè strade nè ospedali né quasi scuole. Molti servi diventavano malati a causa della denutrizione mentre alcuni monasteri accumulavano ricchezze ed bruciavano quantità elevate di alimenti come offerte. La maggior parte dei neonati moriva prima di compiere un anno. La mortalità infantile nel 1950 era del 43%. Il vaiolo colpiva un terzo della popolazione e nel 1925 sterminò 7 mila abitanti di Lhasa. La lebbra, la tubercolosi, il gozzo, il tetano, la cecità, le malattie veneree e le ulcere causavano grande mortalità. La speranza di vita nel 1950 era di 35 anni.

Le superstitioni diffuse dai monaci li convincevano ad essere contro agli antibiotici. Essi dicevano ai servi che le malattie e la morte erano causati dai peccati e che l'unica maniera di prevenire le malattie era pregare e dare i soldi ai monaci.

I signori feudali mantenevano il popolo nell'ignoranza più completa per meglio sottometterlo e per lavargli il cervello. Nel 1951 il 95% della popolazione era analfabeta. La lingua scritta serviva solo per il culto religioso.

Il sistema feudale impediva lo sviluppo delle forze produttive. Non permetteva l'uso degli aratri di ferro, estrarre il carbone, pescare, cercare, né realizzare innovazioni sanitarie di nessun tipo. Non c' erano nè comunicazioni nè commercio né nessuna industria pur elementare. Mille anni prima, quando il buddismo è stato introdotto, si calcola che nel Tibet vivevano 10 milioni di persone, ma nel 1950 ce n'erano solo due o tre milioni.


Come è arrivato il Socialismo nel Tibet?

Il partito comunista della Cina (PCC) si pose un problema rispetto al Tibet: il tremendo ritardo e la dominazione feudale rendeva impossibile lo scoppio di una ribellione dei servi senza un aiuto esterno. Ma era necessario intervenire nel Tibet prima che si trasformasse in un fortezza della controrivoluzione da dove le classi dominanti cinesi abbattute, i signori feudali locali e l'imperialismo potessero mettere in pericolo la giovane Repubblica Popolare Cinese (RPC). I feudali lamaisti erano stati compiacenti con i colonialisti britannici che entrarono a Lhasa nel 1904 dall'India e con il tentativo nordamericano di riconoscere il Tibet "indipendente" nel 1949 con una rappresentanza all'ONU. L'esperienza pratica lasciava prevedere che, come in altri posti, la classe dominante locale si sarebbe alleata con le forze imperialistiche per combattere il nemico comune, la rivoluzione socialista trionfante.

I comunisti sapevano che la rivoluzione non può essere esportata in un altro paese con le baionette di un esercito occupante ed è per questo che si adoperarono con tatto e prudenza per creare le condizioni di un movimento rivoluzionario ben radicato nelle masse popolari tibetane. L'esercito popolare di Liberazione (EPL), esercito di contadini rivoluzionari forgiati durante 20 anni di combattimenti e diretti dal PCC, avanzò verso le pianure tibetane nell' ottobre del 1950

Nel Chambo sconfisse facilmente l'esercito inviato dai feudali tibetani ma là arrestò la sua avanzata e trasmise loro un messaggio con una proposta: Se il Tibet si fosse integrato nella Repubblica popolare cinese (RPC) il governo dei proprietari dei servi (chiamato di Kashag) avrebbe potuto continuare a governare nel tempo sotto la direzione del governo centrale popolare. I comunisti non avrebbero abolito le pratiche feudali né avrebbero preso misure contro la religione fino a che la popolazione non avesse sostenuto i cambiamenti rivoluzionari. L' EPL avrebbe protetto le frontiere per evitare un intervento imperialistico. Il governo feudale accettò la proposta e firmò "l'accordo dei 17 punti" che riconosceva la sovranità cinese e si applicava nelle zone suttomesse al Kashag e non in altre zone tibetane, dove viveva la metà della popolazione [5]. I 26 di ottobre del 1951 l' EPL entrò pacificamente a Lhasa guidato dal generalei Zhang Guojua.


La cospirazione controrivoluzionaria dei lamaisti nobili

Logicamente i feudali non accolsero i comunisti con le braccia aperte, ma cominciarono a cospirare per provare a perpetuare il loro sistema di dominazione. Fecero il possibile per rendere nemico ai lòro servi l' EPL: sparsero voce che i comunisti usavano il sangue dei bambini tibetani come combustibile per i loro camion, li accusavano di "uccidere i cani" per eliminare i cani rabbiosi che terrorizzavano la gente,... Determinati monasteri furono trasformati in centri di attività controrivoluzionaria e in magazzini segreti di armi che la CIA nordamericana inviava dall'India. La CIA stabilì un centro di addestramento degli agenti tibetani nel campo Hale delle Montagne Rocciose in Colorado per la sua grande altitudine. Inoltre tibetani mercenari furono addestrati nelle basi yanki di Guam e di Okinawa [6]. Complessivamente gli USA hanno addestrato militarmente 1.700 tibetanos durante gli anni 50 e 60.

L'EPL aveva l'ordine rigoroso di rispettare la popolazione, la sua cultura e le sue credenze, persino i suoi timori superstiziosi che non potevano essere sradicati rapidamente. I servi furono sorpresi quando furono contrattati per una paga per costruire una strada che collegasse il Tibet con le province centrali. Parecchi servi giovani furono incoraggiati ad istruirsi negli istituti per le minoranze nazionali nelle città dell' est della Cina e imparare la lettura, la scrittura e la contabilità. Cominciarono ad arrivare merci che migliorarono la vita della popolazione come tè e fosforo, arrivarono i primi telefoni, telegrafi, trasmettitori e le presse e le prime scuole. Nel 1957 6.000 allievi frequentavono 79 scuole primarie. Gruppi di medici cominciarono a trattare e curare la gente compresi i nobili e le mentalità cominciarono a cambiare.

I latifondisti feudali videro in pericolo il loro potere ed organizzarono le prime ribellioni armate nel 1956. Nelle zone in cui vigeva l'accordo dei 17 punti i comunisti incoraggiavano i servi a smettere di pagare il fitto ai monasteri ed ai nobili, la qualcosa esasperava questi ultimi. Nel marzo del 1959 avvenne una ribellione in grande scala sostenuta dalla CIA che che inviò i suoi agenti addestrati e lanciò carichi di munizioni e di mitragliatrici dai velivoli C-130 dell'aeronautica nordamericana. I monaci e i loro agenti armati attaccarono la guarnigione dell' EPL a Lhasa. I comunisti risposero non solo militarmente ma pricipalmente politicamente. Mille studenti tibetani ritornarono rapidamente dagli istituti per le minoranze nazionali per partecipare ad una grande campagna di cambiamenti rivoluzionari.


La sconfitta del feudalesimo nel Tibet

Il governo del Kashag che aveva sostenuto la ribellione fu sciolto. In tutte le regioni si crearono degli organi di potere chiamati "uffici per reprimere la sommossa". Il nuovo governo si chiamò "comitato preparatorio per la regione indipendente del Tibet". Fu abolito l'ulag, il lavoro forzato e la servitù. Gli schiavi dei nobili furono liberati. I conspiratori principali furono arrestati. La donna fu liberata dalla poligamia e della poliandria. I servi smisero di pagare l'affitto ai monasteri e la metà di questi dovettero chiudere. I nomadi di un isolato accampamento chiamato Pala si levarono in armi contro il partito del Dalai Lama [7].La giornalista britannica Sara Flounders scrive che "milioni di contadini poveri si mobilitarono per espellere gli antichi latifondisti" [8]. I servi anziani hanno ricevuto 20 mila scritture e bestiame della terra, decorati con le bandierine rosse e l'immagine del presidente Mao.

Dopo la sconfitta della ribellione, il Dalai Lama numero 14, chiamato Tenzin Gyatso, fuggì in esilio accompagnato da 13 mila persone della nobiltà e dell'alto clero lamaista con i propri schiavi, guardie armate e carovane dei muli caricati di ricchezze. La CIA lo trasformò in un simbolo della guerra contro la rivoluzione socialista ed il Partito Comunista. Il Dalai Lama istituì nella città dell'India di Dharamsala "un governo in esilio". A partire dal 1964 figura nella lista dei salariati della CIA che gli assegnò un importo annuale di 180 mila dollari nel quadro di un programma per demolire i regimi comunisti. Il suo "governo" riceveva annualmente 1.7 milione dollari. Durante gli anni 90 continua a ricevere i soldi della CIA.

Da allora questo reazionario continua ad avere un grande supporto dalla lobby anticinese nordamericana, dall'industria di Hollywood che produce le pellicole della propaganda a suo favore [9], dalla Fondazione Nazionale per la Democrazia (schermo della CIA) che finanzia il Fondo Tibet, la radio Voce del Tibet e la campagna internazionale per il Tibet. Nel 1987 fu ricevuto dalla commissione "dei diritti umani" del senato nordamericano. Nell' agosto del 1999 il Dipartimento di stato nordamericano organizzò la sua visita a New York.

I settori anti-comunisti occidentali, come il giudice spagnolo Garzón, denunciano pubblicamente la Cina per il presunto "genocidio" commesso nel Tibet dal 1959. Questo "genocidio" compare nella propaganda anticinese ma nessuno ha fornito la più piccola prova. Tali settori sono quelli che spinsero nel 1989 affinché gli fosse assegnato il premio Nobel "della pace"[10], premio che hanno ricevuto criminali di guerra ben noti come il Henry Kissinger, Menahem Beguin e Simón Peres.

Anche se il buddismo proibisce uccidere e tutte le forme di violenza, l'attuale Dalai Lama ha sostenuto calorosamente la guerra della NATO contro la Iugoslavia del 1999. Durante quell'anno a Santiago del Cile si dichiarò contro la persecuzione del criminale Augusto Pinochet.

Egli si trova posizionato perfettamente nel campo degli sfruttatori e dei nemici del popolo. Anche se gode di un' aureola di santità ed è considerato un dio, non è più che uno strumento efficace della controrivoluzione e dell'imperialismo. Per essere accettato dai suoi alleati ha riformato alcune delle tradizioni più orribili ed ha adottato il discorso cinico "dei diritti umani" che ripetono anche gli assassini del governo d'Israele, i militari fascisti colombiani e altri vassalli degli statunitensi, ma il sistema politico che rappresenta è una dittatura religiosa nella quale non esistono diritti politici per le donne né per chi dubita della sua autorità. Per esempio, la setta tibetana dei Shugden formata da cento mila persone esiliate in India che non riconoscono questa autorità è sistematicamente emarginata e perseguitata. Molti occidentali afflitti e disorientati dalla società borghese, si sentono illusamente attratti dal misticismo lamaista, che provoca il beneficio di buoni commerci dei tibetani.

Le autorità cinesi gli offrono di aprire il dialogo in cambio del riconoscimento dell'appartenenza del Tibet alla RPC.


Il Tibet oggi

Nel 1980 il segretario generale del PCC Hu Yaobang ha visitato Lhasa. Nel settembre del 1987 ebbe luogo a Lhasa un' insurrezione dei monaci nazionalisti che assalirono una stazione di polizia. Nel 1988 ci furono altri disordini. Nella primavera di 1989, nel contesto di un movimento controrivoluzionario in tutta la Cina, sostenuto dall'imperialismo, avvenne una nuova ribellione a Lhasa che portò ad arresti ed alla proclamazione della legge marziale. Nel 1996 e 1997a Lhasa esplosero bombe. La tragedia che hanno conosciuto le popolazioni dell'ex URSS alle quali la controrivoluzione capitalistica ha strappato tutti i propri diritti e che hanno subito guerre civili di devastazione (ci ricordiamo delle guerre di Chechenia, Daguestán, Moldavia, la Georgia, Tayikistán, Nagorno-Karabaj,....) è stata evitata dalla decisa determinazionee del PCC sostenuto dalle masse popolari.

L'accusa che la RPC forza la popolazione a limitare la sua crescita demografica è negata da entrambi gli antropologi nordamericani che abbiamo citato e che hanno fatto indagini nel Tibet nel 1985 e nel 1988 per incarico della National Geographic Society [11]. Le donne tibetane non sono forzate ad avere un unico figlio, come è il caso della maggioranza del popolo cinese.

Il Tibet è oggi una regione indipendente dell' ovest della RPC che, come tutta la parte occidentale del paese, conosce un minore sviluppo economico e sociale rispetto alle province della costa dell'est. Il 15% della popolazione è povero ma solo 3 distretti della regione appartiengonoe ai 63 più poveri della RPC. Un Fondo per la riduzione della povertà nel Tibet sviluppa programmi contro la povertà. Il governo prova a innescare il progresso economico di questa regione. Nel 1967 funzionavano 67 fabbriche in tutto il Tibet; nel 1975 250 aziende producevano beni di consumo di base: pentole a pressione, attrezzi, piccoli oggetti elettrici,... . Nel 1993 c' erano 41.830 piccole imprese. A Lhasa oggi sono attive parecchie fabbriche (di ceramica, di cemento e di birra) e numerosi stabilimenti e officine (tessile, di mobili, tappeti...). E' stata costruita la ferrovia più alta del mondo che mette fine all'isolamento storico tibetano. Dal 1999 al 2020 si prevede di aumentare la produzione elettrica 3 volte e quella industriale 14 volte. Internet permette agli abitanti delle valli più appartate, ubicate a 4.500 metri di altitudine, di collegarsi con il mondo. I militanti comunisti tibetani sono promossi [12]. L' 80% dei quadri dirigenti sono tibetani. La lingua e la cultura tibetana godono di protezione speciale. Si prova a dare impulso al turismo come fonte di sviluppo economico. I contadini tibetani, liberati della servitù feudale, sviluppano nel regime di contratto familiare, le parcelle di terreno che sfruttano per l'agricoltura e il bestiame.

Il PCC considera con ragione che la religione deve essere sottomessa all'ordine sociale socialista [13] e non essere un ariete per la controrivoluzione e la guerra civile come è accaduto nei vecchi paesi socialisti dei Balcani, della Polonia, del Caucaso, dell'Afghanistan e del centro dell'Asia. È per questo che la religione lamaista è autorizzata e rispettata purchè non si trasformi in in un centro organizzato della lotta contro l'ordine socialista che conseguentemente significa appartenenza del Tibet alla RPC.

Le donne tibetane godono di molti più diritti che nell'India, nel Pakistan, nel Nepal e nell'Afghanistan e di moltissimi più diritti che nell'antico Tibet feudale.

Le masse in generale similmente godono di più diritti: nel 1999 c'erano 2.632 medici, 95 ospedali comunali e 770 cliniche. La mortalità infantile è nel 1998 del 3%. La speranza di vita è di 65 anni. C' è un operatore sanitario ogni 200 abitanti. Nel 1997 a Lhasa è stato inaugurato un ospedale moderno. La scolarizzazione dei bambini arriva all' 82% e si realizza in cinese e tibetano. I cittadini cinesi della nazionalità di maggioranza si sono stabiliti nelle città del Tibet e i tibetani emigrano nelle zone più sviluppate alla ricerca di un maggiore benessere economico. E' possibile trovare degli oggetti di arte e decorativi tibetani nelle vie del centro di Chang-Chun, provincia cinese di Jilin (che si trova nella parte opposta della Cina n.d.t.). Ma il Tibet non è "invaso" da 2 milioni di coloni (di etnia) Han (la più numerosa tra le etnie che popolano la vasta Cina, n.d.t.) come dice la propaganda anticinese. Secondo il censimento dell' ottobre 1995 il Tibet conta 2.389.000 abitanti dei quali soltanto il 3.3% è di origine Han [14], meno che nel 1990 che era del 3,7% [15]. Nel 1949 si aveva l' 1% di Han. Secondo un rapporto del servizio di investigazione del congresso nordamericano la popolazione Han nel Tibet era nel 1989 del 5%.

Popolazione tibetana (in milioni) in base ai censimenti fatti dalla RPC.

1964 1982 1990 1995

Regione Autonoma Tibet 1.209 1.706 2.096 2.389

Popolazione tibetana 2.501 3.874 4.593




[1] Serguei Tokarev, Historia de la religión, Editorial Progreso, Moscú, 1990, p.338.
[2] Animales de montaña que parecen vacas peludas.
[3] Han Suyin, Lhasa, the Open City-A Journey to Tibet, Putnam, 1977.
[4] The Making of Modern Tibet, Zed Books, 1987.
[5] Aun hoy la mitad de la población tibetana no vive en el Tibet sino en las provincias de Ganshu, Sicuani y Qinghai.
[6] Chicago Tribune, "La guerra secreta de la CIA en el Tibet", 25 enero 1997, Newsweek,"La guerra secreta en el techo del mundo", 16 agosto 1999 que describe la intervención de la CIA en apoyo a los feudales tibetanos de 1957 a 1965.
[7] Según documentan los antropólogos de la Universidad de Cleveland expertos en Tibet Melvyn C. Goldstein y Cynthia M. Beall en su libro Nomads of Western Tibet,1990.
[8] "La CIA y el Dalai Lama", www.anti-imperialism.net/lai/
[9] Ya en los años 30 produjo "Horizontes perdidos". En 1997 Martin Scorses dirigio "Kundun" considerada una burda falsificación. La película "Siete años en el Tibet" se basa en el libro del nazi austriaco convencido Heinrich Harrer, asesor personal del Dalai Lama.
[10] Este premio, lejos de ser neutral, es concedido por una fundación privada apoyada por el gobierno noruego que representa los intereses de ciertas grandes industrias, que obtiene grandes beneficios de la venta de armas y de las inversiones en Bolsa y que expresa los intereses del capitalismo occidental. Léase "La otra cara de los Premios Nóbel", El País, 21 diciembre 2003.
[11] Dossier elaborado por estos científicos de la revista Asian Survey en 1991.
[12] En 1987 el PCC informó que tenía 40 mil militantes en Tibet.
[13] Véase el informe de Jian Zemin en el XVI Congreso del PCC en el 2003,www.china.org.cn.
[14] Han:nacionalidad ampliamente mayoritaria en China.
[15] Beijing Information, 2 septiembre 1996.

 
* studioso ed esperto dei problemi delle nazionalità, per diversi anni è stato il responsabile esteri di Herri Batasuna





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Una partita geopolitica rischiosa:
Washington gioca alla “Roulette Tibetana” con la Cina

by F. William Engdahl

Global Research, www.globalresearch.ca
 
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
 
10 aprile 2008

Con tutta evidenza Washington ha intrapreso con Pechino una partita geopolitica oltremodo rischiosa, alimentando le fiamme della violenza in Tibet proprio in questo periodo tanto cruciale per le loro relazioni e durante la preparazione delle Olimpiadi in Cina. Questo fa parte di una strategia di intensificazione della destabilizzazione della Cina, che è stata innescata nei mesi scorsi da parte dell’Amministrazione Bush.  La strategia comprende anche il tentativo di accendere una Rivoluzione “Zafferano” anti-Cinese nella regione confinante del Myanmar (Birmania), e portando truppe NATO sotto comando USA in Darfur, dove le compagnie petrolifere della Cina stanno sviluppando riserve di petrolio potenzialmente enormi. La strategia prevede contromosse attraverso l’Africa ricca di minerali, ed include ostinati tentativi per trasformare l’India nella nuova più importante base avanzata degli Stati Uniti nel Sud del continente Asiatico per schierarla contro la Cina, sebbene la prova dei fatti indichi che il governo Indiano sta procedendo con molta cautela, visto che non desidera che le sue relazioni con la Cina vengano turbate. 
Sicuramente, l’attuale operazione in Tibet aveva ricevuto il via libera nell’ottobre dello scorso anno, quando George Bush si è reso disponibile ad incontrare per la prima volta pubblicamente il Dalai Lama a Washington. Il Presidente degli Stati Uniti non era inconsapevole degli alti rischi di un tale insulto a Pechino. E Bush rendeva più aspra l’offesa verso il più importante partner commerciale dell’America, la Cina, accettando di presenziare presso il Congresso degli Stati Uniti alla consegna al Dalai Lama della Medaglia d’Oro del Congresso.
Le subitanee espressioni di appoggio ai monaci “cremisi” del Tibet da parte di George Bush, della Condi Rice, del francese Nicolas Sarkozy e della tedesca Angela Merkel più recentemente hanno assunto le dimensioni dell’assurdo. La signora Merkel annunciava il suo boicottaggio col non presenziare in agosto alle Olimpiadi estive di Pechino, in segno di protesta per il trattamento di Pechino nei riguardi dei monaci Tibetani. Quello che il suo ufficio stampa ometteva di comunicare era che lei fino a quel momento non aveva proprio progettato di recarvisi.    
La dichiarazione della Merkel  veniva seguita da quella del Primo Ministro della Polonia, il filo-Washington Donald Tusk, anche lui se ne sarebbe stato lontano, come pure da quella del Presidente della Cechia Vaclav Klaus, anche filo-USA. Non risulta chiaro quando costoro avevano deciso di andare a presenziare alle Olimpiadi, ma però questo fa assumere teatralità ai titoli di testa della stampa.
L’attuale ondata di violente proteste e di documentate aggressioni da parte dei monaci Tibetani contro i residenti Han Cinesi ha avuto inizio il 10 marzo, quando diverse centinaia di monaci hanno marciato su Lhasa per esigere il rilascio di altri monaci, presumibilmente detenuti per avere voluto festeggiare la consegna della Medaglia d’Oro del Congresso USA nell’ottobre scorso. I monaci venivano raggiunti da altri monaci che manifestavano contro il governo di Pechino in occasione del 49.esimo anniversario dell’insurrezione Tibetana contro il potere della Cina.

La partita geopolitica

Come lo stesso governo Cinese ha sottolineato con tutta chiarezza, l’improvvisa esplosione di violenza anti-Cinese in Tibet, una nuova fase nel movimento guidato dall’esiliato Dalai Lama, veniva sospettosamente programmata per tentare di fissare l’attenzione pubblica sul processo riguardante i diritti umani a Pechino, alla vigilia delle prossime Olimpiadi. Le Olimpiadi di Pechino sono un avvenimento visto in Cina come un importante riconoscimento del conseguimento del traguardo di una nuova Cina prospera sullo scacchiere mondiale.
Gli attori sulla scena delle azioni in Tibet nella “rivoluzione Cremisi” confermano che Washington si era messo al lavoro a pieno tempo negli ultimi mesi per preparare un’altra delle sue infami Rivoluzioni “Colorate”, queste sbandierate pubbliche proteste progettate per procurare il massimo disagio a Pechino. Questi attori della messa in scena all’interno e all’esterno del Tibet sono i soliti sospetti, collegati al Dipartimento di Stato USA, al National Endowment for Democracy – Fondazione Nazionale per la Democrazia (NED), alla Casa delle Libertà della CIA attraverso la sua Presidentessa, Bette Bao Lord e il di lei ruolo nel Comitato Internazionale per il Tibet, come pure alla Trace Foundation, (N.d.tr.: la Trace Foundation é impegnata da anni nel sostegno delle tradizioni culturali e di uno sviluppo sostenibile di molte comunità Tibetane), finanziata con i soldi di George Soros tramite sua figlia, la Andrea Soros Colombel.
Il Primo Ministro Cinese Wen Jiabao ha accusato il Dalai Lama di stare orchestrando le recenti agitazioni per sabotare i Giochi Olimpici “in modo da conseguire il suo odioso obiettivo”, l’indipendenza Tibetana.  Bush ha telefonato al suo equivalente Cinese, il Presidente Hu Jintao, facendo pressioni per un tavolo di confronto fra Pechino e il Dalai Lama in esilio. La Casa Bianca ha affermato che Bush, “ha sollevato le sue preoccupazioni rispetto alla situazione in Tibet ed ha incoraggiato il governo Cinese ad impegnarsi in un dialogo costruttivo con i rappresentanti del Dalai Lama e di permettere l’accesso in Tibet a giornalisti e diplomatici.” Da come viene riferito dal portavoce del Ministro degli Esteri Qin Gang, il Presidente Hu ha risposto a Bush che il Dalai Lama deve “mettere un freno al suo sabotaggio” delle Olimpiadi, prima che Pechino prenda la decisione di intraprendere colloqui con il capo spirituale Tibetano in esilio.  

Gli strani amici del Dalai Lama

In Occidente, l’immagine del Dalai Lama è stata così tanto esaltata che in molti ambienti viene considerato alla stessa stregua di un Dio. Mentre la vicenda spirituale del Dalai Lama non è oggetto della nostra attenzione, è importante considerare brevemente la cerchia con cui ha scelto di collaborare per la maggior parte della sua esistenza.   Il Dalai Lama opera in quelli che possono essere definiti solamente come ambienti politici più che conservatori, reazionari.                              
Ciò che generalmente oggi viene dimenticato, è che, durante gli anni Trenta, i Nazisti, e fra costoro il comandante della Gestapo Heinrich Himmler ed altri dirigenti al vertice del Partito Nazista, ritenevano il Tibet come il luogo santo dei sopravvissuti della perduta Atlantide e il sito originario della “pura razza Nordica”.                                                                                                                             
Quando aveva 11 anni, e allora veniva designato come Dalai Lama, ricevette l’amicizia di Heinrich Harrer, un membro del Partito Nazista ed ufficiale delle temutissime SS di Heinrich Himmler. Lontano dalla innocente immagine che di lui propone il popolare film Hollywoodiano con Brad Pitt, Harrer era un membro ai vertici delle SS al momento del suo incontro con l’undicenne Dalai Lama, quando divenne il suo insegnante incaricato di impartirgli informazioni sul “mondo all’esterno del Tibet”. Solo il Dalai Lama è a conoscenza dei contenuti delle lezioni private di Harrer, e i due restarono amici fino alla morte di Harrer nel 2006, all’età di 93 anni.1
Naturalmente che un’amicizia, anche se unica, non definisce il carattere di una persona, ma è interessante per contestualizzare le vicinanze future. Nell’aprile 1999, insieme a Margaret Thatcher, e all’ex Ambasciatore a Pechino, Direttore della CIA e Presidente, George H.W. Bush, il Dalai Lama esigeva dal governo Britannico il rilascio di Augusto Pinochet, l’ex dittatore fascista del Cile e per lungo tempo cliente della CIA, che si trovava in visita in Inghilterra. Il Dalai Lama faceva pressioni perché Pinochet non venisse costretto ad andare in Spagna, dove era ricercato per essere sottoposto a processo per crimini contro l’umanità. Il Dalai Lama aveva stretti rapporti con Miguel Serrano2, capo del partito Nazional-Socialista del Cile, che proponeva una specie di esoterico Hitlerismo.3
Lasciando da parte a questo punto la pretesa del Dalai Lama alla divinità, quello che è incontestabile è che, dal momento della sua fuga in esilio in India nel 1959,  è stato circondato e finanziato per parte rilevante da vari servizi di spionaggio Statunitensi ed Occidentali e da un branco di Organizzazioni Non Governative. Quello che importa qui è il programma degli amici del Dalai Lama di Washington.

La Fondazione Nazionale per la Democrazia (NED) ancora all’opera...

Lo scrittore Michael Parenti sottolineava nel suo lavoro, “Friendly Feudalism: The Tibet Myth – Feudalesimo Benevolo: Il mito Tibet”: “Durante gli anni Cinquanta e Sessanta, la CIA sosteneva attivamente la causa Tibetana con armi, addestramento militare, denaro, appoggio aereo e con ogni sorta di altri aiuti.” La “Società Americana per una Libera Asia”, con sede negli Stati Uniti, una copertura della CIA, dava pubblicità alla causa della resistenza Tibetana, con il fratello più vecchio del Dalai Lama, Thubtan Norbu, in un ruolo attivo nel gruppo. Nel 1951, l’altro fratello maggiore del Dalai Lama, Gyalo Thondup, concordava con la CIA un’operazione di spionaggio. Secondo Parenti, in seguito questa operazione si trasformava in una unità di guerriglia addestrata dalla CIA, i cui membri venivano paracadutati all’interno del Tibet. 4            
Secondo documenti dell’intelligence USA declassificati e resi pubblici alla fine degli anni Novanta, “per tutto il corso degli anni Sessanta, la CIA finanziava il movimento Tibetano in esilio con 1,7 milioni di dollari all’anno per operazioni contro la Cina, incluso un assegno annuale di 180.000 dollari a favore del Dalai Lama.” 5
Con l’aiuto della CIA, il Dalai Lama era fuggito a Dharamsala, India, dove vive ancor oggi e continua a ricevere milioni di dollari a suo sostegno, non dalla CIA, ma da una organizzazione copertura della CIA che risuona più innocentemente come “Fondazione Nazionale per la Democrazia” (NED), foraggiata dal Congresso degli USA. La NED è stata attiva in ogni Rivoluzione Colorata, con nel retroscena sempre gli USA, per destabilizzare la Serbia e la Georgia, l’Ucraina e la Birmania. I finanziamenti della Fondazione vanno a sostegno dei media dell’opposizione e per le campagne di relazioni pubbliche globali per rendere graditi i candidati  oppositori suoi preferiti.
Come in altre recenti Rivoluzioni Colorate, il governo degli Stati Uniti sta alimentando le fiamme della destabilizzazione contro la Cina, finanziando le organizzazioni di protesta che esercitano l’opposizione all’interno e all’esterno del Tibet tramite il suo braccio operativo, la “Fondazione Nazionale per la Democrazia” (NED).                                                                                                             
La NED veniva istituita dall’Amministrazione Reagan nei primi anni Ottanta, per raccomandazione di Bill Casey, all’epoca di Reagan Direttore della “Central Intelligence Agency” – Ufficio Centrale di Informazione (CIA), in seguito a denuncie altamente pubblicizzate contro la CIA, per tutta una serie di omicidi e di destabilizzazioni di regimi non amici. Alla NED veniva assegnato un ruolo di Organizzazione Non Governativa ONG, una categoria sottratta alla CIA e ad altre agenzie Governative in modo da renderle meno evidenti, presumibilmente, agli occhi della pubblica opinione. Infatti, il primo Presidente operativo della NED, Allen Weinstein, commentava al Washington Post che, “una buona parte di quello che noi [la NED] facciamo oggi, 25 anni fa veniva fatto segretamente dalla CIA.” 6
Lo storico dei servizi segreti Americani, William Blum afferma: “La NED giocava un ruolo importante nell’affare Iran-Contra degli anni Ottanta, finanziando elementi chiave dell’oscuro Progetto Democrazia. Questa rete privata di politica estera USA scatenava conflitti, controllava il traffico di armi e di droga, ed era impegnata in altre egualmente affascinanti attività. Nel 1987, un portavoce della Casa Bianca dichiarava che quelli della NED esercitavano un Progetto Democratico.” 7
Attualmente, la più importante organizzazione pro-Dalai Lama per l’indipendenza del Tibet è la   “International Campaign for Tibet”(ICT) – Campagna Internazionale pro Tibet, fondata a Washington nel 1988. Almeno dal 1994, la ICT sta ricevendo finanziamenti dalla NED. Nel 2005, la ICT ha assegnato il suo annuale riconoscimento “Light of Truth – Luce di Verità” a Carl Gershman, promotore della NED. Fra gli altri vincitori del premio della ICT possiamo annoverare la Fondazione Tedesca Friedrich Naumann e il leader Ceco, Vaclav Havel. Il Consiglio Direttivo della ICT è pieno zeppo di ex funzionari del Dipartimento di Stato USA, come Gare Smith e Julia Taft. 8
Un’altra organizzazione particolarmente attiva contro Pechino è la “Students for a Free Tibet” (SFT) – Studenti per un Libero Tibet, di stanza negli USA, fondata nel 1994 a New York City come progetto della Commissione Tibet degli Stati Uniti e dell’International Campaign for Tibet (ICT) finanziata dalla NED. La SFT è meglio conosciuta per avere dispiegato uno striscione lungo circa 140 metri in cima alla Grande Muraglia in Cina, che faceva appello per un Tibet libero ed imputava a Pechino un genocidio contro il Tibet con accuse totalmente prive di sostanza. Chiaramente questa organizzazione mette in scena teatrini per studenti sempliciotti.      
La SFT faceva parte delle cinque organizzazioni che il 4 gennaio di quest’anno hanno proclamato l’inizio di una “insurrezione del popolo Tibetano” e co-fondato un ufficio temporaneo con lo scopo di coordinare e di finanziare la rivolta.
Harry Wu è un altro importante sostenitore del Dalai Lama contro Pechino. Egli assunse notorietà per avere rilasciato nel 1996 un’intervista a Playboy dove dichiarava di essere in possesso di un “videotaped di un prigioniero i cui reni sono stati chirurgicamente asportati mentre era ancora vivo, e poi il prigioniero è stato portato fuori e sparato. Questo video è stato messo in onda dalla BBC.”   Il filmato della BBC non mostrava nulla di tutto questo, ma il danno era stato fatto. Quanta gente sarebbe andata a verificare negli archivi della BBC? Wu, un professore di Berkeley in pensione, che aveva abbandonato la Cina dopo esservi stato imprigionato come dissidente, è a capo della Laogai Research Foundation – Fondazione per la Ricerca sui Laogai (N.d.tr.: i Laogai sarebbero campi di concentramento cinesi), una organizzazione esentasse finanziata principalmente dalla NED.9
Fra i progetti di sua competenza, la NED con i finanziamenti del governo Statunitense sostiene anche il giornale “Tibet Times”, diretto dalla base dell’esilio del  Dalai Lama, a Dharamsala, in India. Inoltre la NED finanzia il “Tibet Multimedia Center” per “la diffusione delle informazioni sulla lotta per i diritti umani e la democrazia  in Tibet,” sempre con sede a Dharamsala. Per di più, la NED finanzia il “Tibetan Center for Human Rights and Democracy”.
In breve, il Dipartimento di Stato e la congrega che fa da copertura allo spionaggio degli Stati Uniti,  sono loro a dare slancio al movimento per un Libero Tibet e alle aggressioni di marzo contro i Cinesi Han. La domanda da porsi è perché, e specialmente perché proprio adesso?  

Tibet, tesoro di minerali naturali

Per la Cina, il Tibet ha un alto valore strategico, non solo per la sua dislocazione geografica a ridosso del confine con l’India, il più recente alleato di Washington anti-Cinese in Asia. Infatti, il Tibet è un tesoro di minerali ed anche di petrolio. Il Tibet contiene alcuni fra i più ricchi ed estesi giacimenti di uranio, di litio e di borace al mondo, i più grandi giacimenti di rame in Asia, enormi giacimenti di ferro, e più di 80.000 miniere d’oro. Le foreste del Tibet sono le più grandi riserve di legname da costruzione a disposizione della Cina; dal 1980, si valuta che 54 miliardi di alberi siano stati abbattuti e utilizzati dai Cinesi. Inoltre, il Tibet contiene alcune delle più rilevanti riserve di petrolio nella regione. 10  Sul confine fra la Regione Autonoma del Tibet e la Regione Autonoma del Xinjiang Uygur esiste una vasta regione mineraria e petrolifera nel Bacino del Quidam, nota come “bacino del tesoro”. Il bacino contiene 57 differenti tipi di risorse minerarie con giacimenti comprovati di petrolio, gas naturale, carbone, sale grezzo, potassio, magnesio, piombo, zinco ed oro, i più grandi in Cina. Questi beni minerari hanno un valore economico potenziale di 15 bilioni di yuan o 1,8 bilioni di dollari USA. E data la sua collocazione sul “tetto del mondo”, il Tibet è forse la più importante fonte di acqua al mondo. Nel Tibet si trovano le sorgenti dei sette fiumi più grandi dell’Asia, che forniscono acqua a 2 miliardi di persone. Chi controlla l’acqua del Tibet ha in mano la leva geopolitica più potente su tutta l’Asia. Ma oggi l’interesse principale sul Tibet per Washington è il suo potenziale di azione come leva per destabilizzare e ricattare il Governo di Pechino.

La “non-violenza” come forma di belligeranza di Washington

Gli avvenimenti in Tibet, dal 10 marzo, sono stati riportati nei media Occidentali con poca considerazione per la precisione o per indipendenti riscontri incrociati.  Molte delle immagini, sovresposte nei giornali e nelle TV Europee e degli Stati Uniti, non sono state proprio sull’oppressione militare Cinese nei confronti dei lama o dei monaci Tibetani. In molti casi, i resoconti delle agenzie Reuters o AFP hanno mostrato le percosse contro Cinesi Han da parte di monaci Tibetani organizzati paramilitarmente. In qualche caso, le emittenti Televisive Tedesche hanno diffuso immagini di bastonature che non avvenivano in Tibet, ma invece a Kathmandu da parte della polizia del Nepal. 11
La complicità dei media Occidentali sottolinea molto più semplicemente che le loro modalità di porsi sulla questione Tibet fanno parte di un tentativo di destabilizzazione ben orchestrato da parte di Washington. Poca gente è consapevole che la National Endowment for Democracy - Fondazione Nazionale per la Democrazia (NED) è stata perfino strumentale, in concerto con l’Associazione di Gene Sharp, impropriamente intitolata ad Albert Einstein, [N.d.tr.: Gene Sharp, conosciuto per i suoi studi sulla nonviolenza e sulla disobbedienza civile, è stato soprannominato “il Clausewitz” della guerra nonviolenta. Gene Sharp è stato il fondatore, nel 1983, dell'Albert Einstein Institute per “lo studio e l'utilizzo della nonviolenza nei conflitti di tutto il mondo”. Il suo pensiero e i suoi testi sono considerati fonte di ispirazione per i movimenti studenteschi e popolari che hanno condotto in particolare le Rivoluzioni Colorate negli stati indipendenti, un tempo parte dell'Unione Sovietica, che hanno rovesciato pacificamente i governi in carica sostituendoli con nuovi governi più filo-occidentali.] per opera del Colonnello Robert Helvey, [presidente dell’Albert Einstein, un ex ufficiale dell’esercito americano con 30 anni d’esperienza nel Sudest Asiatico], nell’appoggiare le proteste studentesche della Piazza Tiananmen nel giugno del 1989. La Albert Einstein Institution, come si auto-rappresenta, è specialista nella “nonviolenza come forma di belligeranza”.12
Nel passato, il Colonnello Helvey aveva fatto stazione in Birmania con la Defense Intelligence Agency – Agenzia di Intelligence per la Difesa. Helvey addestrava ad Hong Kong i dirigenti studenteschi provenienti da Pechino nelle tecniche di dimostrazioni di massa, che poi sono state messe in opera nei fatti della Piazza Tiananmen del giugno 1989. Attualmente, trova opportuno muoversi come consigliere del Falun Gong (movimento... spirituale cinese) in identiche tecniche di disobbedienza civile. Helvey ufficialmente si era ritirato dall’esercito nel 1991, ma molto prima di allora collaborava con l’Albert Einstein Institution e  con l’Open Society Foundation di George Soros. Nella sua relazione annuale del 2004 dell’Albert Einstein Institution, Helvey ammetteva di stare addestrando gente in Tibet. 13
Con la diffusione di Internet e l’uso della telefonia mobile, il Pentagono Statunitense ha raffinato una forma del tutto nuova per la destabilizzazione politica e i cambiamenti di regime.  Un ricercatore del fenomeno che sta nel retroscena dell’onda delle Rivoluzioni Colorate, Jonathan Mowat, descrive così tutto questo: “...Quello a cui noi stiamo assistendo è l’applicazione civile della dottrina Rivoluzione nelle Questioni Militari del Segretario Donald Rumsfeld, che fa assegnamento sul dispiegamento di piccoli gruppi altamente mobili messi in grado di comunicare e di fare intelligence in tempo reale.                        
Reparti militari, che prendono il controllo di isolati cittadini con l’aiuto  di schermi video “elmetti per l’intelligence” che forniscono loro una visione istantanea delle condizioni ambientali, costituiscono l’aspetto militare. Bande di giovani, che convergono su punti di incontro designati come obiettivo in dialogo costante con telefoni cellulari costituiscono l’applicazione civile di questa dottrina.”                            
Questo parallelo non dovrebbe sorprendere, dato che l’esercito USA e la National Security Agency, l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale, hanno sovvenzionato lo sviluppo di Internet, della telefonia cellulare, e dei relativi programmi informatici. Per loro concezione, queste tecnologie sono state studiate e sperimentate proprio per trovare la loro applicazione ottimale in un nuovo tipo di teatro di guerra. La “rivoluzione” nelle situazioni di conflitto che questi nuovi strumenti permettono è stata spinta all’estremo dai diversi specialisti della guerra psicologica. Anche se questi pensatori militari sono stati operativi per tanto tempo nelle alte sfere (per esempio, presso la RAND Corporation), solo con la vittoria dei neoconservatori la loro presenza in larga dimensione si è realizzata nelle più cruciali strutture di comando dell’apparato militare USA nel Pentagono di Donald Rumsfeld.14

L’obiettivo, controllare la Cina

La politica di Washington ha utilizzato e raffinato queste tecniche di “rivoluzionaria nonviolenza” e le operazioni della NED hanno incorporato una serie di progetti di colpi “delicati o democratici”, come parti di una più larga strategia per cercare di tagliare fuori la Cina dall’accesso alle riserve esterne di petrolio e di gas, vitali per il suo sviluppo.  
Ritorna alla mente la citazione degli anni Settanta dell’allora Segretario di Stato Henry Kissinger, fautore delle geopolitiche di stampo Britannico in un contesto Americano: “Se si controlla il petrolio, si controlla il mondo...”     
Il tentativo di destabilizzazione da parte di Washington usando il Tibet, senza dubbio con il “tranquillo aiuto” dei suoi amici nei servizi di intelligence Britannici e di altri alleati degli Stati Uniti, fa parte di un chiaro disegno.          
Questo modello include il tentativo di “Rivoluzione Zafferano” messo in atto da Washington per destabilizzare la Birmania. Include il tentativo in corso di inviare truppe NATO nel Darfur per impedire alla Cina di accedere in Africa alle risorse strategicamente vitali di petrolio. Include i tentativi di fomentare tensioni in Uzbekistan, Kyrgystan e di far crollare i progetti vitali per la Cina di nuovi corridoi energetici verso il Kazakhstan. L’antica rotta commerciale in Asia, la Grande Via della Seta, attraversava il Tashkent verso l’Uzbekistan ed Alma-Ata nel Kazakhstan per evidenti ragioni geografiche, in una regione circondata da notevoli catene montuose.  Il controllo geopolitico di Uzbekistan, Kyrgystan, Kazakhstan renderebbe possibile il controllo di qualsiasi potenziale rete di oleodotti tra la Cina e l’Asia Centrale, proprio mentre l’accerchiamento della Russia rende possibile il controllo degli impianti di conduzione di idrocarburi ed altri collegamenti fra la Russia e l’Europa occidentale, la Cina, l’India e il Medio Oriente, visto che la Cina dipende dall’ininterrotto flusso di petrolio proveniente dall’Iran, Arabia Saudita e altri paesi OPEC.

Dietro la strategia dell’accerchiamento della Cina

In questo contesto, un’analisi rivelatrice di Zbigniew Brzezinski del settembre/ottobre 1997 nella rivista di Affari Esteri della Commissione del Comune di New York per le Relazioni con l’Estero merita di essere citata. Brzezinski, un protetto di David Rockefeller e seguace del promotore della geopolitica Britannica, Sir Halford Mackinder, è attualmente il consigliere di politica estera per il candidato alla Presidenza degli USA, Barack Obama. Nel 1997, egli scriveva apertamente:       
“L’Eurasia è l’area del mondo dove si trovano gli stati più politicamente dinamici e decisi. Tutti i pretendenti storici al potere globale sono in Eurasia. Gli aspiranti all’egemonia regionale a maggior densità di popolazione nel mondo, la Cina e l’India, si trovano in  Eurasia, come lo sono tutti i potenziali sfidanti al primato Americano in politica e nell’economia. Dopo gli Stati Uniti, i successivi sei paesi più importanti in campo economico e per spese militari sono in Eurasia, come tutte, tranne una, le potenze nucleari riconosciute come tali, e tutte, tranne una, quelle non acclarate. L’Eurasia incide per il 75% della popolazione mondiale; per il 60% del Prodotto Nazionale Lordo globale e per il 75% delle risorse energetiche del mondo. Nell’insieme, la potenza dell’Eurasia in grado di svilupparsi mette in ombra anche la potenza dell’America. 

L’Eurasia è il super-continente asse del mondo. La potenza che prendesse il dominio sull’Eurasia potrebbe esercitare la sua influenza su due delle tre regioni mondiali più proficue dal punto di vista economico, l’Europa Occidentale e l’Asia Orientale. Inoltre, uno sguardo rapido alla carta geografica ci indica che il paese dominante in Eurasia potrebbe quasi automaticamente controllare il Medio Oriente e l’Africa. Con l’Eurasia che ora funge da decisiva scacchiera geopolitica, non è più sufficiente costruire una politica su misura per l’Europa e un’altra per l’Asia. Quello che avverrà con la distribuzione del potere sul continente Eurasiatico sarà di importanza decisiva per la supremazia dell’America sul mondo...”15 (Accentuazione dei caratteri ad opera dell’autore)
Questa enunciazione, scritta ben prima dei bombardamenti condotti dagli USA sulla ex Jugoslavia e delle occupazioni militari dell’Afghanistan e dell’Iraq, o dell’appoggio Statunitense all’oleodotto  Baku-Tbilisi-Ceyhan, indirizza le dichiarazioni solenni di Washington riguardanti la “liberazione del mondo dalla tirannia” e l’“espansione della democrazia” in un contesto alquanto differente da quello usualmente citato da George W. Bush.                                                                                          
Si tratta dell’egemonia sul mondo, non della democrazia! Quindi, non dovrebbe sorprendere se potenze come la Cina non sono persuase che assegnare a Washington un tale potere schiacciante sia nell’interesse nazionale dei Cinesi, ancor più che la Russia pensi che costituirebbe un passo verso la pace permettere alla NATO di inglobare l’Ucraina e la Georgia e di posizionare missili USA sulla porta di casa della Russia “a difesa contro la minaccia di attacchi nucleari Iraniani contro gli Stati Uniti.”
La destabilizzazione del Tibet guidata dagli USA fa parte di uno spostamento strategico di grande significato. Sta avvenendo proprio quando l’economia e il dollaro Statunitense, ancora moneta di riferimento nel mondo, stanno passando la loro peggiore crisi dagli anni Trenta. Quindi è significativo il fatto che l’Amministrazione Statunitense invii a Pechino Henry Paulson, banchiere di Wall Street ed ex Presidente della Goldman Sachs, nel bel mezzo dei suoi tentativi di creare difficoltà a Pechino sulla questione Tibetana. Washington sta letteralmente giocando con il fuoco.  La Cina da tanto tempo ha superato il Giappone come maggior detentore al mondo di riserve di valuta estera, ora sull’intorno dei 1.5 bilioni di dollari, la maggior parte dei quali sono investiti in obbligazioni e buoni del Tesoro USA, quindi parte del debito pubblico Statunitense. Paulson sa bene che se Pechino lo decidesse, potrebbe mettere in ginocchio gli USA vendendo sul mercato solo una piccola porzione del debito contratto dagli USA nei confronti della Cina.


Note:

1 Ex-Nazista, precettore del Dalai, Harrer muore nel 1993, The Times of India, 9 gennaio 2006, in
http://timesofindia.indiatimes.com/articleshow/msid-1363946,prtpage-1.cms.
2 Goodrick-Clarke, Nicholas, “Black Sun: Aryan Cults, Esoteric Nazism and the Politics of Identity – Sole Nero: culti Ariani, Nazismo esoterico e la politica dell’Identità”, New York University Press, 2001, p. 177.
3 Goldner, Colin, “Mönchischer Terror auf dem Dach der Welt Teil 1: Die Begeisterung für den Dalai Lama und den tibetischen BuddhismusTerrore monastico sul tetto del mondo; Parte I: L’entusiasmo per il Dalai Lama e il Buddismo Tibetano”, 26 marzo 2008, citato nel libro sul Dalai Lama: “Fall eines GottkönigsCaduta di un Re Divino”, Alibi Verlag, nuova edizione dell’aprile 2008, riprodotto in http://www.jungewelt.de/2008/03-27/006.php.
4 Parenti, Michael, “Friendly Feudalism: The Tibet Myth - Feudalesimo Benevolo: Il mito Tibet” , giugno 2007, in www.michaelparenti.org/Tibet.html.
5 Mann, Jim, “CIA funded covert Tibet exile campaign in 1960s – La CIA ha finanziato segretamente negli anni Sessanta la campagna in favore degli esiliati dal Tibet”, The Age (Australia), 16 settembre 1998.
6 Ignatius, D., “Innocence Abroad: The New World of Spyless Coups – Innocenza all'estero: il Nuovo Mondo dei golpe non spionistici”, The Washington Post, 22 settembre 1991.
7 Blum, William, “The NED and ‘Project Democracy,’” gennaio 2000, in www.friendsoftibet.org/databank/usdefence/usd5.html
8 Barker, Michael, “Democratic Imperialism: Tibet, China and the National Endowment for Democracy”, Global Research, 13 agosto 2007, www.globalresearch.ca.
9 McGehee, Ralph, Archivio di Ralph McGehee su JFK Place, “CIA Operations in China - Part III”, 2 maggio1996, in www.acorn.net/jfkplace/03/RM/RM.china-for.
10 Commissione USA sul Tibet, “Fifteen things you should know about Tibet and China – Quindici cose che si dovrebbero conoscere sul Tibet e la Cina”, in
http://ustibetcommittee.org/facts/facts.html.
11 Goldner, Colin, “Mönchischer Terror auf dem Dach der Welt;  Teil 2: Krawalle im Vorfeld der Olympischen Spiele - Terrore monastico sul tetto del mondo; Parte II : Disordini in vista dei Giochi Olimpici,” op cit.
12 Mowat, Jonathan, “The new Gladio in action? – La nuova Gladio in azione?”, Ondine Journal, 19 marzo 2005, in
http://onlinejournal.com/artman/publish/printer_308.shtml.
13 Ibid.
14 Ibid.
15 Brzezinski, Zbigniew, “A Geostrategy for Eurasia, Foreign Affairs, 76:5 – Una geostrategia per l’Eurasia, Affari Esteri, 76:5” settembre/ottobre 1997.
 

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The original text of the following article, enriched with maps, photos and hyperlinks:
China and America: The Tibet Human Rights PsyOp - by Michel Chossudovsky
is to be found at Global Research, April 13, 2008:
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8673



Cina e America: “l’operazione psicologica” dei diritti umani del Tibet

di Michel Chossudovsky


su Resistenze del 15/05/2008
www.resistenze.org - osservatorio - della guerra - 12-05-08 - n. 227

L'originale in inglese del testo che segue, corredato di mappe, foto e hyperlink importanti si trova alla pagina:
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=8673

Globalresearch, 13 aprile 2008



La questione dei diritti umani è diventata il punto focale della disinformazione dei media.

Quanto ai diritti umani, la Cina non è un modello ma non lo sono neppure gli Stati Uniti ed il loro incrollabile alleato britannico, estesamente responsabili di crimini di guerra e violazioni di diritti umani in Iraq e nel mondo. Gli Stati Uniti ed i loro alleati, anche se sostengono la pratica della tortura, degli assassini politici e l’istituzione di campi segreti di detenzione, continuano ad essere presentati alla pubblica opinione come il modello di democrazia occidentale da emulare da parte dei paesi in sviluppo, in contrapposizione a Russia, Iran, Corea del Nord e Repubblica Popolare Cinese.

Diritti umani "doppio standard"

Mentre vengono messe in risalto le accuse di violazioni dei diritti umani alla Cina in relazione al Tibet, l’attuale ondata di massacri in Iraq e in Palestina non è menzionata: i media occidentali hanno appena segnalato il quinto"anniversario della Liberazione" dell'Iraq, coprendo il bilancio delle uccisioni patrocinate dagli Stati Uniti e delle atrocità perpetrate contro un’intera popolazione, nel nome di una "guerra globale al terrorismo".

Ci sono più di 1,2 milioni di civili iracheni uccisi, 3 milioni di feriti. L’Alta Commissione per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) indica un quadro di 2,2 milioni di iracheni rifugiati che hanno abbandonato il loro paese e 2,4 milioni di persone "spostatesi all’interno".

"La popolazione dell’Iraq al tempo dell'invasione degli Stati Uniti, nel marzo 2003, si aggirava sui 27 milioni di persone, oggi sono circa 23 milioni. Semplici calcoli aritmetici indicano che attualmente più di metà della popolazione dell'Iraq, o è rifugiata, o bisognosa di aiuti di emergenza, o ferita, o morta."

La scacchiera geopolitica

Ci sono obiettivi geopolitici profondamente radicati dietro alla campagna contro la leadership cinese.

I piani di guerra di Stati Uniti-Nato-Israele riferiti all'Iran sono in un stato avanzato di preparazione. Con il governo dell'Iran, la Cina ha legami economici ed anche un accordo di cooperazione militare bilaterale di vasta portata. La Cina inoltre è anche un alleato di Russia, Kazakhstan, Repubblica Kyrgysa, Tajikistan ed Uzbekistan nel contesto dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (SCO). Fin dal 2005, l’Iran ha uno status di ‘membro osservatore’ all'interno della SCO.

A sua volta la SCO ha legami con l'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), un accordo di pianificazione superiore per la cooperazione militare tra Russia, Armenia, Bielorussia, Uzbekistan, Kazakhstan, Repubblica Kyrgysa e Tajikistan.

Nell’ottobre dello scorso anno l'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) e l’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (SCO) hanno firmato un Memorandum di Intesa, ponendo le basi per la cooperazione militare tra le due organizzazioni. Questo accordo SCO-CSTO, appena menzionato dai media occidentali, comporta la creazione di una ben sviluppata alleanza militare tra la Cina, la Russia e gli stati membri di SCO/CSTO. E’ importante notare che la SCTO e la SCO nel 2006 tennero esercitazioni militari congiunte, in coincidenza con quelle condotte dall'Iran.

Nell’ambito dei piani di guerra degli Stati Uniti diretti contro l'Iran, gli Stati Uniti sono anche impegnati ad indebolire le alleanze dell'Iran, segnatamente con la Russia e con la Cina. Nel caso della Cina, Washington sta cercando di destabilizzare i legami bilaterali tra Pechino e Tehran, così come l’avvicinamento dell'Iran alla SCO, che ha la sua sede centrale a Pechino.

La Cina è un alleato dell'Iran. L'intenzione di Washington è di usare le accuse a Pechino di violazioni dei diritti umani come pretesto per colpire la Cina, alleata dell’Iran.

A questo riguardo, un'operazione militare diretta contro l'Iran può riuscire solamente se viene scardinata la struttura delle alleanze militari che collegano l'Iran, la Cina e la Russia. Questo è ciò che il cancelliere tedesco Otto von Bismarck aveva capito in relazione alla struttura prevalente delle alleanze militari in competizione alla vigilia della I Guerra Mondiale. La Triplice Alleanza era un patto stipulato nel 1882 tra la Germania, l'Impero Austro-Ungarico e l'Italia. Mentre nel 1907, un accordo anglo-russo preparò la strada per la formazione della Triplice Intesa, costituita da Francia, Regno Unito e Russia.

La Triplice Alleanza cadde nel 1914, quando dall'alleanza si ritirò l’Italia e dichiarò la sua neutralità, determinando in questo modo lo scoppio della I Guerra Mondiale.

La Storia insegna l'importanza delle alleanze militari in competizione. Nel contesto attuale, i partner degli Stati Uniti e della Nato stanno cercando di minare la formazione coesa di un’alleanza militare eurasiatica, SCO-CSTO, che potrebbe sfidare efficacemente e contenere l’espansionismo militare degli Stati Uniti-Nato nell’Eurasia, combinando le capacità militari non solo di Russia e Cina ma anche quelle di molte ex repubbliche sovietiche, tra le quali Bielorussia, Armenia, Kazakhstan, Tajikistan, Uzbekistan e Repubblica Kyrgysa.

L’accerchiamento della Cina

Con l'eccezione della sua frontiera Settentrionale, che confina con la Federazione Russa, la Mongolia e il Kazakhstan, la Cina è circondata da basi militari degli Stati Uniti

Il corridoio dell’Eurasia

Fin dall'invasione e dall’occupazione del 2001 dell'Afghanistan, gli Stati Uniti hanno una presenza militare sulla frontiera occidentale della Cina, in Afghanistan e in Pakistan. Gli Stati Uniti sono impegnati ad installare basi militari permanenti in Afghanistan- che occupa una posizione strategica, confinando con le ex repubbliche sovietiche, la Cina e l’Iran.

Gli Stati Uniti e la Nato inoltre , fin dal 1996, hanno anche stabilito legami militari con diverse ex repubbliche sovietiche sotto il GUUAM (Georgia, Ucraina, Uzbekistan, Azerbaijan e Moldavia). Nell’era posteriore all’11/9, Washington ha usato il pretesto della "guerra globale contro il terrorismo" per sviluppare ulteriormente una presenza militare statunitense nei paesi del GUUAM. (Nel 2002 l’Uzbekistan si è ritirato dal GUUAM, e ora l'organizzazione è diventata GUAM).

La Cina ha interessi petroliferi nell’Eurasia così come nell’Africa sub-sahariana, che confliggono con quelli anglo-americani. Quello che è in gioco è dunque il controllo geopolitico del corridoio eurasiatico.

Nel marzo 1999, il Congresso degli U.S., adottò l'Atto della Strategia della Via della Seta, che definiva gli ampi interessi economici e strategici dell’America in una regione che si estende dal Mediterraneo Orientale all’Asia Centrale. La Strategia della Via della Seta (SRS) traccia un quadro per lo sviluppo degli affari dell'impero Americano lungo un esteso corridoio geografico

La riuscita della realizzazione della SRS richiede la concomitante "militarizzazione" dell’intero corridoio eurasiatico, come mezzo per assicurarsi il controllo sulle grandi riserve di petrolio e di gas naturale, così come per "proteggere"i gasdotti e i corridoi commerciali. Questa militarizzazione è ampiamente diretta contro Cina, Russia ed Iran.

Anche la militarizzazione del Mare del Sud Cinese e degli Stretti di Taiwan è parte integrante di questa strategia che, nell’era post 11/ 9, è basata nel dispiegamento su "molti fronti".

Anche nell'era post-Guerra Fredda, la Cina resta comunque un obiettivo per un attacco nucleare di primo colpo degli Stati Uniti.

Nella Rassegna della Situazione Nucleare del 2002 (NPR), la Cina e la Russia sono identificate, insieme ad una lista di "stati canaglia", come obiettivi potenziali di un attacco nucleare preventivo degli Stati Uniti. Nella NPR la Cina è elencata come "un paese che potrebbe essere coinvolto in un’immediata o potenziale emergenza". Specificamente, la Rassegna della Situazione Nucleare indica uno scontro militare sullo status di Taiwan come uno degli scenari che potrebbero condurre Washington ad usare contro la Cina le armi nucleari.

La Cina è stata accerchiata: l’esercito degli Stati Uniti è presente nel Mare del Sud della Cina e negli Stretti di Taiwan, nella Penisola Coreana e nel Mar del Giappone così come nel cuore dell'Asia Centrale e sui confini occidentali cinesi, nelle regioni autonome dello Xinjiang-Uigur. Come tratto dell’accerchiamento della Cina, inoltre, “il Giappone è stato gradualmente amalgamato, armonizzando le sue politiche militari con quelle degli Stati Uniti e della Nato”.

Indebolire la Cina dall’interno: sostegno coperto ai movimenti secessionisti

Coerentemente con la sua politica di indebolire e alla fine di dividere la Repubblica Popolare della Cina, Washington sostiene movimenti secessionisti sia in Tibet sia in regioni autonome come lo Xinjiang-Uigur, che confina verso nord-est con il Pakistan e l'Afghanistan.

Nello Xinjiang-Uigur, l'intelligence pachistana (ISI), agendo in collegamento con la CIA, sostiene diverse organizzazioni islamiche, tra le quali il Partito Riformatore Islamico, l’Unione dell’Alleanza Nazionale del Turkestan Orientale, l’Organizzazione della Liberazione Uigur e il Partito Uigur della Jihad Centro-asiatica. Molte di queste organizzazioni islamiche hanno ricevuto appoggio e addestramento da Al Qaeda, che è un’attività finanziata dall'intelligence degli Stati Uniti. L'obiettivo dichiarato di queste organizzazioni islamiche basate in Cina è di "instaurare un califfato islamico nella regione". Il califfato integrerebbe l'Uzbekistan, il Tajikistan, il Kyrgyzstan (Turkestan occidentale) e la regione autonoma Uigur della Cina (Turkestan orientale) in un sola entità politica.

Il "progetto del califfato" viola la sovranità territoriale cinese. Il secessionismo sulla frontiera occidentale della Cina, sostenuto da diverse "fondazioni" wahabite degli Stati del Golfo, è, ancora una volta, solidale con gli interessi strategici americani nell’Asia Centrale. Nel frattempo la potente lobby basata negli Stati Uniti sta erogando appoggio alle forze separatiste in Tibet.

Promuovendo tacitamente la secessione della regione di Xinjiang-Uigur (usando come "intermediario" l'ISI del Pakistan), Washington sta tentando di provocare un processo più ampio di destabilizzazione politica e di frammentazione della Repubblica Popolare Cinese. Queste varie manovre coperte si aggiungono all’installazione da parte degli Stati Uniti di basi militari in Afghanistan e in molte delle ex repubbliche sovietiche, direttamente sul confine occidentale della Cina. Anche la militarizzazione del Mare del Sud Cinese e degli Stretti di Taiwan è parte integrante di questa strategia.

Le rivolte di Lhasa

Le violente insurrezioni nella capitale del Tibet di metà-marzo sono state un evento inscenato con cura. Nel loro immediato seguito, è stata lanciata una campagna di disinformazione mediatica, diretta contro la Cina, sostenuta da dichiarazioni politiche dei leader occidentali.

Ci sono indicazioni che l'intelligence degli Stati Uniti abbia giocato un ruolo dietro alle quinte, per quella che molti osservatori hanno descritto come un’operazione attentamente premeditata.

L'evento di Lhasa di metà-marzo non è stato il "pacifico movimento spontaneo" di protesta descritto dai media occidentali. Le rivolte, che hanno coinvolto una banda di malfattori, sono state premeditate; progettate con cura. Attivisti tibetani in India, affiliati al governo in esilio del Dalai Lama, "hanno detto che stavano effettivamente aspettando i disordini. Ma hanno rifiutato di precisare quello che sono venuti a sapere o chi erano i loro collaboratori " (Guerilla News)

Le immagini non suggeriscono un partecipazione massiccia alla protesta ma piuttosto una furia condotta da poche centinaia di individui. Monaci buddisti sono coinvolti nelle violenze. Secondo il China Daily (31 marzo 2008), dietro alle violenze c’era anche il Congresso della Gioventù tibetano (TYC), con sede in India, considerato dalla Cina come una"organizzazione dalla linea dura", affiliato al Dalai Lama- I campi di addestrando del TYC sono finanziati dalla Fondazione Nazionale per la Democrazia (NED)-.

Lo svolgimento del video conferma che dei civili sono stati presi a sassate, colpiti e, in alcuni casi, uccisi. La maggior parte delle vittime erano cinesi Han. Almeno dieci persone sono restate arse vive come risultato di azioni incendiarie, secondo le dichiarazioni del governo del Tibet. Queste dichiarazioni sono state confermate dal racconto di molti testimoni oculari. Secondo il rapporto di People's Daily:

"Cinque commessi di un negozio di abbigliamento sono arsi vivi prima di poter avere una opportunità di fuga. Un uomo alto 1,70 metro, chiamato Zuo Yuancun è morto orrendamente carbonizzato. Un lavoratore migrante è stato pugnalato al fegato dai malfattori. Ad una donna, duramente picchiata dagli assalitori, è stato asportato l’orecchio"... (People’s Daily, 22 marzo 2008)

Tuttavia i media occidentali hanno descritto disinvoltamente il saccheggio e l’incendio come una "dimostrazione pacifica", soffocata con l'uso della forza dalle autorità cinesi. Non ci sono rapporti precisi (ne di fonte cinese, ne dei giornali occidentali) sul numero di feriti causati dalla polizia cinese nell'operazione lanciata per reprimere le insurrezioni. I resoconti della stampa occidentale indicano un dispiegamento su larga scala, di più di 1000 soldati e poliziotti, su veicoli blindati nella capitale tibetana.

Uffici e scuole sono stati attaccati, automobili sono state date alle fiamme. Secondo il rapporto cinese, ci sono stati 22 morti e 623 feriti. "I rivoltosi hanno appiccato il fuoco in più di 300 ubicazioni, prevalentemente case private, negozi e scuole, hanno distrutto veicoli e danneggiato installazioni pubbliche".

La pianificazione delle insurrezioni è stata coordinata con la campagna di disinformazione dei media, che hanno accusato le autorità cinesi di avere istigato il saccheggio e gli incendi. Il Dalai Lama ha accusato Pechino di “aver travestito le truppe da monaci” per dare l'impressione che i monaci buddisti fossero dietro alle insurrezioni. Tale tesi era fondata su una fotografia, di quattro anni prima, di soldati vestiti come monaci nella performance di uno spettacolo teatrale (South China Morning Post, 4 aprile 2008).

Il giornale del continente (People’s Daily) ha notato che le forze di sicurezza che hanno contenuto le insurrezioni a Lhasa non potevano verosimilmente essere vestite con le uniformi mostrate nella fotografia, perché quelle erano uniformi estive, non adatte al freddo di marzo. Inoltre gli ufficiali armati mostrati nella fotografia erano in uniformi di vecchio tipo, dismesse dal 2005. ... Xinhua afferma che la fotografia era scattata anni fa durante uno spettacolo, quando i soldati presero in prestito da monaci i loro mantelli prima di salire sul palcoscenico.

L’affermazione del Dalai Lama che siano state le autorità cinesi ad istigare le insurrezioni, riportata nei media occidentali, è sostenuta dalla dichiarazione di un ex funzionario del Partito Comunista, Mr. Ruan Ming, che afferma "che il CCP ha inscenato gli incidenti in Tibet per costringere il Dalai Lama a dimettersi e giustificare la repressione futura dei tibetani. Mr. Ruan Ming è stato un speechwriter dell’ex Segretario Generale CCP, Hu Yaobang." (citazione da The Epoch Time)

Il ruolo dell'intelligence degli Stati Uniti

L'organizzazione delle insurrezioni di Lhasa è parte di un modello costante. Le rivolte costituiscono un tentativo per provocare in Cina un conflitto etnico. Servono gli interessi della politica estera degli Stati Uniti.

In quale misura l'intelligence degli Stati Uniti ha giocato segretamente un ruolo nell’attuale ondata di proteste che riguardano il Tibet?

Data la natura coperta delle operazioni di intelligence, non c'è nessuna prova tangibile del coinvolgimento diretto della CIA, tuttavia vi sono varie organizzazioni tibetane, collegate al "governo in esilio" del Tibet, che sono note per essere sostenute dalla CIA e/o dall'organizzazione del fronte civile del CIA, la Fondazione Nazionale per la Democrazia (NED).

Il coinvolgimento della CIA nel fornire sostegno coperto al movimento secessionista tibetano risale alla metà egli anni ‘50. Il Dalai Lama è stato sul libro paga della CIA dalla fine degli anni ‘50 fino al 1974:

A partire dal 1956 la CIA ha condotto una campagna su larga scala di azioni coperte contro i comunisti cinesi in Tibet. Questo portò alla disastrosa sollevazione cruenta del 1959, che lasciò decine di migliaia di tibetani morti, mentre il Dalai Lama e circa 100.000 seguaci furono indotti alla fuga attraverso gli infidi passi dell’Himalaya, in India e in Nepal.

La CIA fondò un campo di addestramento militare segreto per i combattenti dell’insurrezione del Dalai Lama a Camp Hale, vicino a Leadville, in Colorado, negli Stati Uniti. I combattenti tibetani furono addestrati ed equipaggiati dalla CIA per una guerra di guerriglia ed operazioni di sabotaggio contro i comunisti cinesi.

I guerriglieri addestrati dagli Stati Uniti compirono regolarmente incursioni in Tibet, occasionalmente guidati da contrattisti mercenari della CIA e appoggiati da aerei della CIA. Il programma di addestramento iniziale finì nel dicembre 1961- anche se pare che il campo del Colorado sia rimasto aperto almeno fino al 1966.

A fianco dell'esercito di guerriglia ‘tibetano’, la Task Force tibetana della CIA, creata da Roger E. McCarthy, ha proseguito l'operazione con il nome in codice di "ST CIRCUS" per molestare le forze cinesi per altri 15 anni, fino al 1974, quando è stato ufficialmente ratificato il cessato coinvolgimento.

McCarthy, che ebbe anche il ruolo di comandante della Task Force del Tibet, fu in attività dal 1959 al 1961; più tardi andò a seguire operazioni simili in Vietnam e Laos.

Dalla metà degli anni ’60, la CIA cambiò la sua strategia paracadutando in Tibet ‘guerriglieri’ ed agenti dell’intelligence per allestire il Chusi Gangdruk, un esercito da guerriglia di circa 2.000 combattenti di etnia Khamba in basi come “Mustang” in Nepal (questa base fu chiusa dal governo del Nepal solamente nel 1974, dopo le forti pressioni di Pechino.)

Dopo la Guerra tra India e Cina del 1962, il CIA sviluppò una stretta relazione con i servizi d'intelligence indiani, sia per l’addestramento sia per il rifornimento degli agenti del Tibet."

La Fondazione Nazionale per la Democrazia (NED)

La Fondazione Nazionale per la Democrazia (NED), che eroga il sostegno finanziario ai gruppi di opposizione filo-statunitensi in tutto il mondo, ha giocato un ruolo significativo nel manovrare le "rivoluzioni di velluto" che servono gli interessi geopolitici ed economici di Washington.

La NED, anche se non formalmente parte della CIA, svolge un'importante funzione di intelligence all'interno dell'arena di partiti politici e ONG. Fu creata nel 1983, quando la CIA era stata accusata di corrompere clandestinamente statisti e di allestire un fronte di organizzazioni fasulle nella società civile. Secondo Allen Weinstein, che fu il responsabile per l’avviamento la NED durante l'Amministrazione Reagan, "molto di quello che noi facciamo oggi, 25 anni fa era fatto clandestinamente dalla CIA." (Washington Post, 21 settembre1991).

La NED opera attraverso quattro istituti centrali: l'Istituto Nazionale Democratico per gli Affari Internazionali (NDIIA), l’Istituto Internazionale Repubblicano (IRI), il Centro americano per la Solidarietà Internazionale del Lavoro (ACILS) ed il Centro Internazionale per l’Impresa Privata.

La NED fornì i fondi alle organizzazioni della "società civile" in Venezuela, che organizzarono un tentato colpo di stato contro il Presidente Hugo Chavez. Ad Haiti, la NED sostenne i gruppi di opposizione dietro all'insurrezione armata che contribuirono a far cadere il Presidente Bertrand Aristide nel febbraio 2004. Il colpo di stato di Haiti è stato il risultato di un'operazione militare e di intelligence accuratamente inscenata.

La NED finanzia diverse organizzazioni del Tibet, sia all'interno sia all'esterno della Cina. La principale organizzazione filo-Dalai Lama finanziata dalla NED per l’indipendenza del Tibet è la Campagna Internazionale per Tibet (ICT), fondata a Washington nel 1988. L'ICT ha uffici a Washington, Amsterdam, Berlino e Bruxelles. Diversamente da altre organizzazioni sovvenzionate dalla NED in Tibet, l'ICT ha una relazione di stretta intimità e "sovrapposizione" con la NED e il dipartimento di Stato degli Stati Uniti:

Alcuni dei direttori della ICT sono anche membri integranti dell’istituto ‘di promozione della democrazia’, ed includono Bette Bao Lord (che è presidentessa della Casa della Libertà e direttrice del Foro della Libertà), Gare A. Smith (chi prima aveva mansione di vice-primo deputato nel Dipartimento di Stato U.S., Ufficio della Democrazia, Diritti Umani e Lavoro), Julia Taft (che è stata direttrice della NED, ed ex Assistente del Segretario di Stato e Coordinatore Speciale per le questioni tibetane, ha lavorato per USAID, ed è anche stata Presidente del CEO di InterAction), e in fine, Mark Handelman (che è anche direttore della Coalizione Nazionale per i diritti degli haitiani, un'organizzazione il cui lavoro è ideologicamente collegato agli interventi di vecchia data della NED ad Haiti).

Il quadro di consulenti dell'ICT presenta anche individui che sono direttamente collegati alla NED, Harry Wu e Qiang Xiao (che è l’ex direttore esecutivo dei Diritti Umani in Cina, finanziati dalla NED).

Come il loro consiglio di amministrazione, il consiglio internazionale di consulenti dell’ICT include molti notabili ‘democratici’ come Vaclav Havel, Fang Lizhi (che nel 1995 era un membro del consiglio dei Diritti Umani in Cina), Jose Ramos-Horta (che lavorò nel consiglio consultivo internazionale per il Progetto di Coalizione Democratica), Kerry Kennedy (che è una dirigente del Centro di Informazioni della Cina, finanziato dalla NED), Vytautas Landsbergis (che è un patron internazionale della neoconservatrice Società Henry Jackson – con sede in Gran Bretagna) e, fino alla sua recente morte, la moglie del neocon Jeane J. Kirkpatrick (che fu anche legata a gruppi democratici come la Casa della Libertà e la Fondazione per la Difesa delle Democrazie).

Altre organizzazioni tibetane finanziate dalla NED comprendono, come primi assegnatari, gli Studenti per il Tibet Libero (SFT). La SFT fu fondata nel 1994 a New York City “come un progetto di impegno U.S.-Tibet”. La SFT è nota soprattutto per aver dispiegato, in rivendicazione del Tibet libero, una bandiera di 450 piedi sulla Grande Muraglia della Cina. “Lo scorso gennaio, la SFT, insieme con altre cinque organizzazioni tibetane, ha proclamato "l'inizio di una sollevazione di persone tibetane"... e co-fondato un ufficio provvisorio con compito di coordinamento e finanziamento."

La NED finanzia inoltre il Tibet Multimedia Center (con sede anche a Dharamsala) per la
diffusione di informazioni che indirizzano la lotta per i diritti umani e la democrazia in Tibet”. Sempre la NED finanzia il Centro tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia.

Esiste una divisione di compiti tra la CIA e la NED. Mentre la CIA fornisce appoggio coperto a gruppi paramilitari di ribelli armati e ad organizzazioni terroriste, la NED finanzia i partiti politici "civili" e le organizzazioni non governative nell’ottica di instaurare la "democrazia americana" attorno al mondo.

Per così dire la NED costituisce il “braccio civile” della CIA. Gli interventi CIA-NED in diverse parti del mondo sono caratterizzati da un modello costante, applicato in numerosi paesi.

PsyOp: screditare il governo cinese

L'obiettivo di breve termine è screditare il governo cinese nei mesi che portano ai giochi olimpici di Pechino, usando la campagna del Tibet anche per distogliere l’opinione pubblica dalla guerra del Medio Oriente e dai crimini di guerra commessi da Stati Uniti, Nato e Israele. Vengono sottolineate le presunte violazioni dei diritti umani della Cina per depistare e offrire un volto umano agli Stati Uniti che guidano la guerra in Medio Oriente.

Gli Stati Uniti che in realtà hanno patrocinato piani di guerra diretti contro l'Iran trovano ora credito e giustificazione per l’inadempienza di Tehran alle richieste "della comunità internazionale"; con il Tibet che fa titolo, le vere crisi umanitarie nel Medio Oriente non vanno in prima pagina sui giornali.

Più generalmente, la questione dei diritti umani è distorta: le realtà sono invertite, gli enormi crimini commessi dagli Stati Uniti e dai loro partner di coalizione sono ora celati, ora giustificati come mezzi per proteggere la società contro i terroristi.

E’ stato instaurato un "doppio standard" nell'accertamento delle violazioni dei diritti umani: in Medio Oriente, l'uccisione di civili è classificata come danno collaterale, ed è giustificata come parte della "guerra globale al terrorismo." Le vittime sono dichiarate responsabili per la loro propria morte.

La torcia olimpica

Nelle capitali occidentali sono state messe in atto manifestazioni calcolate con cura sulle violazioni dei diritti umani in Cina

Un parziale boicottaggio dei giochi olimpici sembra essere in preparazione. Bernard Kouchner, Ministro degli Esteri francese (strenuo protagonista degli interessi degli Stati Uniti, in rapporto con il Bilderbergs), ha chiesto un boicottaggio delle cerimonie inaugurali delle Olimpiadi. Kouchner ha affermato che l'idea dovrebbe essere discussa alla riunione dei Ministri degli Esteri dell’UE

La torcia olimpica è stata accesa in Grecia in una cerimonia che è stata turbata da "attivisti pro-Tibet." L'evento è stato patrocinato da "Reporter Senza Frontiere", un'organizzazione nota per avere collegamenti con l'intelligence degli Stati Uniti. "Reporter Senza Frontiere" riceve anche finanziamenti dalla Fondazione Nazionale per la Democrazia (NED).

La torcia olimpica è simbolica. L'operazione psicologica (PsyOp) consiste nel prendere come obiettivo la torcia olimpica nei mesi che portano ai giochi olimpici di Pechino: ad ogni fase di questo percorso, il governo cinese viene denigrato dai media occidentali.

Le implicazioni economiche globali

La campagna del Tibet, diretta contro il governo cinese, potrebbe avere dei contraccolpi.

Stiamo attraversando la crisi economica e finanziaria più seria della storia moderna. La crisi economica che sta sviluppandosi è soggetta a una diretta relazione con l’avventura militare patrocinata dagli Stati Uniti in Medio Oriente e nell’Asia Centrale

La Cina gioca un ruolo strategico rispetto all’espansionismo militare US. Finora non ha esercitato il suo potere di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulle molte delibere dirette contro l’Iran presentate dagli Stati Uniti presso il CSNU

La Cina ha un ruolo centrale anche nel sistema economico e finanziario globale.

la Cina detiene ora il valore di 1,5 miliardi $ di strumenti debitori statunitensi (inclusi buoni del Tesoro U.S.), risultante da un'eccedenza commerciale accumulata con gli Stati Uniti. Ha la capacità di destabilizzare significativamente i mercati valutari internazionali. Il $ U.S. verrebbe spinto a livelli ancora più bassi, se la Cina svendesse le sue partecipazioni azionarie di debito denominate in dollari.

Inoltre, la Cina è la più grande produttrice di un’ampia serie di beni manufatti che costituiscono, per l'occidente, una parte significativa del consumo mensile delle famiglie. I giganti della vendita al dettaglio occidentali contano sul flusso continuato e ininterrotto di merci industriali a basso costo di fabbricazione cinese.

Per i paesi occidentali, l'inserimento della Cina nelle strutture globali del commercio, dell’investimento, della finanza e dei diritti di proprietà intellettuale sotto l’Organizzazione Commerciale Mondiale (WTO) è assolutamente cruciale. Se Pechino decidesse di ridurre il proprio"Made in China" nelle esportazioni manifatturiere agli Stati Uniti, la base produttiva fragile e declinante dell'America non sarebbe in grado di colmare il vuoto, almeno nel breve termine.

Inoltre, gli Stati Uniti ed i loro partner di coalizione, Regno Unito, Germania, Francia e Giappone hanno importanti interessi da investimento in Cina. Nel 2001, prima dell'accesso della Cina WTO, gli Stati Uniti e la Cina firmarono un accordo commerciale bilaterale. Questo accordo permette agli investitori statunitensi, inclusi i grandi istituti di credito di Wall Street, di entrare nel sistema finanziario e commerciale di Shanghai così come nel mercato bancario nazionale della Cina

Mentre la Cina è, per qualche aspetto, la “colonia industriale per il lavoro a basso costo", dell'Occidente, le relazioni della Cina con il sistema del commercio globale non sono affatto immutabili.

La relazione della Cina con il capitalismo globale ha le sue radici nella "politica della Porta Aperta" formulata inizialmente nel 1979. Fin dagli anni ottanta, la Cina è divenuta nei mercati occidentali il principale fornitore di beni industriali. Ogni minaccia contro la Cina e/o azzardo militare diretto contro gli alleati eurasiatici della Cina, incluso l'Iran, potrebbero potenzialmente scardinare l’esteso commercio di beni fabbricati dalla Cina.

L'esportazione industriale della Cina è fonte di un’enorme formazione di ricchezza nelle economie capitaliste avanzate. Da dove viene la ricchezza della famiglia Walton, proprietaria di Wal Mart ? Wal Mart non produce niente. Importa merci "Made in China" a basso costo e le rivende nel mercato al dettaglio negli Stati Uniti a più di dieci volte il loro prezzo di produzione.

Questo processo "di sviluppo guidato dall’importazione" ha permesso ai paesi occidentali "industrializzati" di chiudere una grande parte del loro outlets manifatturieri. A sua volta, i sweatshops industriali della Cina servono a generare i profitti multimiliardari, in dollari, per le società occidentali, compresi i giganti della vendita al dettaglio, che acquistano e/o subappaltano la loro produzione alla Cina.

Ogni minaccia di natura militare diretta contro la Cina potrebbe avere conseguenze economiche devastanti, molto oltre l’usuale spirale crescente del prezzo del greggio.


Traduzione dall’inglese a cura del CCDP




The url address of the original article is:
Тибет: развернут ли США новую тайную войну «под крышей мира»?
http://www.fondsk.ru/article.php?id=1289
Tibet: Will the USA Launch a New Secret War “Under the Roof of the World”?
http://en.fondsk.ru/article.php?id=1289

http://www.resistenze.org/sito/te/po/ci/poci8d08-002922.htm
www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 08-04-08 - n. 222

 
Tibet: lanceranno gli USA una nuova guerra segreta sotto il «tetto del mondo»?
 
17.03.2008
di Andrej Аreshev
 
Continuano ormai da una settimana i disordini scoppiati (a prima vista inaspettatamente) nella Repubblica popolare cinese all'interno della regione autonoma del Tibet. Le manifestazioni iniziate dai monaci buddisti in occasione dell'anniversario dell'unione del Tibet con la Cina sono sfociate in scontri di massa con la polizia e pogrom. I tragici avvenimenti, coincisi con la sessione ordinaria dell'Assemblea Nazionale dei rappresentanti del Popolo[1], hanno assunto dimensioni serie, causando diversi morti e costringendo Pechino a mobilitare per placare i disordini anche parte dell'esercito regolare.
 
Fonti occidentali informano di un'estensione dei moti alle province vicine al Tibet (in particolare lo Sichuan[2]) e di repressioni di massa da parte delle autorità cinesi, raffigurando queste ultime con un taglio estremamente negativo. La mente corre subito a un fatto analogo, ovvero la rappresentazione da parte dei media occidentali dell'intervento della polizia ed esercito jugoslavi in Kosovo nel 1998, immediatamente prima dell'aggressione da parte della Nato. Le informazioni di prima mano, di cui è difficile attestare veridicità e completezza, provengono principalmente dai circoli tibetani che hanno sede nei Paesi vicini e dalle ONG occidentali che difendono i diritti umani.
 
Così, secondo il portavoce del «governo tibetano in esilio» Thubten Samphel, ci sono già 80 morti e 72 feriti durante le azioni di protesta. Queste cifre sarebbero confermate da molti testimoni oculari in Tibet che avrebbero contato i cadaveri. Fonti ufficiali cinesi parlano di 10 morti. Alcune informazioni provenienti da fonti pro-tibetane rappresentano apertamente scenari tragici: parlano di massacri di tibetani da parte di soldati cinesi e riportano che “i tibetani che vivono nella storica provincia di Amdo[3], non sono intenzionati ad arrendersi e continueranno strenuamente le azioni di protesta persino fino all'inizio delle Olimpiadi di Pechino”[4].
 
Gli sviluppi di questa vicenda, di fatto, possono arrecare un danno non da poco alla Cina alla vigilia delle Olimpiadi estive di quest'anno. L'agenzia Associated Press scrive: “Le manifestazioni a Lhasa hanno rappresentato per il governo di Pechino la sfida più seria degli ultimi vent'anni in Tibet, scatenando un'ondata di proteste in tutto il mondo e mettendo la Cina in cattiva luce alla vigilia dei Giochi olimpici”[5]. Tuttavia, quanto sta accadendo sul tetto del mondo, assume un significato geopolitico ben più ampio
 
Gli esperti, di fronte ad avvenimenti che ormai accadono in più continenti – in Africa[6] piuttosto che in America Latina, in Birmania[7], in Asia Centrale, nel Medio Oriente o in Pakistan – sottolineano una presenza ormai ricorrente di elementi riconducibili alla contrapposizione fra USA e Cina, non sempre evidente, ma non per questo meno forte. In particolare, una della cause dell'intervento contro l'Iraq e delle minacce rivolte incessantemente all'Iran, è il tentativo di rinchiudere la Cina nella gabbia della sua fame energetica[8].
 
Di sicuro anche le difficoltà di questi giorni, in cui versa il suo avversario geopolitico fondamentale, saranno oggetto da parte di Washington di tentativi di totale strumentalizzazione e di direzione del corso degli eventi verso scenari a esso favorevoli. Il Segretario generale USA Condoleeza Rice ha già richiamato Pechino alla «moderazione» per superare l'attuale crisi politica nella regione autonoma del Tibet. Esprimendo cordoglio per le vittime civili a causa dei disordini occorsi a Lhasa, capoluogo del Tibet, successivamente alle proteste pacifiche, la Rice si è detta preoccupata per le informazioni di un crescente concentramento di polizia ed esercito nei luoghi degli scontri e ha chiamato entrambe le parti a rinunciare alla violenza. Su come incendi e devastazioni su vasta scala male si attaglino all'etichetta di “proteste pacifiche”, la signora Segretario di Stato ha preferito non fare menzione. Non ha perso occasione però per ricordare che il presidente Bush “richiama di continuo il governo cinese a un dialogo costruttivo” con l'autorità spirituale dei buddisti tibetani, il Dalai Lama, sia direttamente, sia tramite suoi rappresentanti. In nome dell'amministrazione USA la Rice ha fatto appello a Pechino perché corregga quegli aspetti della sua politica verso il Tibet, “che hanno condotto a tensioni nelle sfere della religione, della cultura e dei mezzi di sostentamento locali”.
 
Si deve tener conto che negli ultimi anni il movimento nazionalista tibetano si è radicalizzato notevolmente: non sarà facile per Pechino scendere con esso a patti. Ne danno testimonianza indiretta le dimensioni e la buona organizzazione delle proteste, compresa l'ondata di dimostrazioni anticinesi occorse contemporaneamente in molti Paesi, dagli USA alla Francia, dal Nepal all'Australia. Le vicende legate all'indipendenza del Kosovo non potevano non ispirare i fautori della piena indipendenza tibetana dalla Cina. A Washington lo sanno e stanno continuando a puntare sul Dalai Lama come fautore di «forme di protesta non violenta», un novello «Ibrahim Rugova tibetano». Il capo spirituale tibetano gode in Occidente di ampio sostegno; a questo proposito basti ricordare il suo incontro con George Bush senior in occasione della cerimonia di premiazione in cui il Dalai Lama fu conferito della medaglia d'oro del Congresso USA nell'Ottobre del 2007.
 
Il Dalai Lama ha già chiesto un'inchiesta internazionale per la repressione degli atti di protesta in Tibet. “Le organizzazioni internazionali competenti devono investigare sulla situazione in Tibet sempre più complicata e chiarirne le cause”, così si è pronunciato in una sua dichiarazione a Dharamsala[9], definendo le azioni delle autorità cinesi come «genocidio culturale»[10].
 
Di fatto, il Dalai Lama volente o nolente sta preparando il terreno per forze ben più radicali, che son già ora pronte a colpire, avendo dalla loro il sostegno politico, propagandistico e di altro genere, anzi tutto da oltreoceano.
 
Il coinvolgimento USA negli affari interni del popolo tibetano e nei suoi rapporti con Pechino risale a diversi decenni fa. In pratica, subito dopo l'unificazione del Tibet alla Cina nel 1949 e l'annessione delle province di Kham e Amdo[11] nel 1956 la CIA, su iniziativa del governo USA, iniziò fra quelle montagne una «guerra segreta». Nell'ottobre 1957 da un aeroporto vicino a Dacca si alzò in volo un aeroplano senza segni di riconoscimento, con a bordo i primi due tibetani, addestrati per un mese dalla CIA. Atterrarono nell'area loro assegnata non lontano da Lhasa e presero subito contatto con il capo dei rivoltosi locali. Iniziò l'insurrezione a Lhasa e il Dalai Lama lasciò il Paese. Nel 1958 oltre 30 tibetani nella massima segretezza iniziarono l'addestramento nella base USA di Camp Hale in Colorado. A oggi per quel campo di addestramento ne sono passati oltre 300. Nel luglio del 1959 la CIA iniziò il rifornimento aereo di armi, munizioni e soldati addestrati che arrivavano in Tibet grazie a C-130 che partivano da una base segreta in Thailandia. Così, dal 1957 al 1960 furono trasportate circa 400 tonnellate di merce. In una di queste operazioni diversive condotte dai guerriglieri tibetani rimase ucciso il comandante del distretto militare del Tibet occidentale, il quale recava con sé documenti importantissimi del PCC. Fu così che a Langley[12] finirono informazioni preziose sulla situazione interna in Cina, sulla consistenza del suo esercito, sul suo programma nucleare e sui primi attriti nei rapporti fra Mosca e Pechino. All'inizio degli anni '60 le spese dell'intelligence a stelle e strisce in Tibet ammontavano a 1,7 milioni di dollari all'anno, di cui $ 500.000 erano per il mantenimento di 2100 ribelli (fra cui 800 guerriglieri armati), con base principalmente in Nepal, e $ 180.000 «per le necessità personali del Dalai Lama». Successivamente, quando i rapporti fra Washington e Pechino migliorarono, l'attività dei servizi segreti in Tibet fu temporaneamente sospesa. Alla popolazione tibetana questa avventura della CIA costò complessivamente 87.000 morti fra moti di piazza repressi e scontri armati…[13]
 
Si presti attenzione al fatto che in quegli anni il ruolo della Cina e dell'economia cinese[14] negli affari mondiali non era ancora così chiaramente espresso come oggi. Ciò nondimeno Washington non ha mai smesso di esercitare un'interferenza attiva negli affari interni della RPC e, nella fattispecie, in uno fra i suoi più «difficili» territori di confine. Ciò è ancor più emblematico al giorno d'oggi, quando la lotta per l'influenza nel mondo e per le sue risorse è divenuta ancor più aspra. Al posto del Dalai Lama, quando avrà compiuto la sua missione, verranno altre persone le quali, appoggiandosi all'aiuto esterno, cercheranno di minacciare l'unità statuale e territoriale della Cina. Oltre al Tibet si troveranno altri punti di «applicazione della forza»: lo Xinjiang, o Regione autonoma uighura, piuttosto che la Mongolia interna... Complicazioni con l'estero inoltre non si faranno attendere molto. Si può concludere che l'attuale situazione si ripercuoterà sui rapporti fra Cina e India[15], quest'ultima oggetto da parte di Washington di un forte tentativo di attrazione nella propria orbita[16], e non solo.
 
I disordini in Tibet possono aver un'imprevedibile eco in Russia, particolarmente in regioni con una presenza significativa di fedeli buddisti. Manifestazioni di solidarietà per i dimostranti tibetani[17] potrebbero aver luogo in regioni russe come la Kalmykia, Burjatija e Tyva. Choj-Dorzhi Budaev[18], presidente della comunità buddista «Lamrim» (Burjatija) e dell'Autorità spirituale centrale buddista, ha già espresso il proprio auspicio che i fatti in Tibet portino a mutamenti democratici nella società cinese. A suo dire, la democrazia prese piede in Russia soltanto in seguito ai famosi fatti degli anni '90 che tanta eco internazionale suscitarono. Ha detto Budaev: “Voglio credere che anche i fatti allarmanti in Tibet a cui noi oggi siamo testimoni, in ultima analisi portino alla democratizzazione della società cinese”[19].
 
Tali tentativi di forze esterne di proporre in Cina scenari di «democratizzazione» alla maniera di Gorbachev e El'cyn, portano direttamente quanto accade in Tibet nella sfera della politica interna ed estera russa.
 
Per la scrittura di questo lavoro sono stati impiegati frammenti dell'articolo di Melinda Liu “CIA: una guerra segreta sul tetto del mondo” (CIA: a secret war on the roof of the world” (Newsweek, 16 agosto 1999 [20]).
 
Traduzione dal russo per www.resistenze.org di Paolo Selmi
 
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[1]    L'Autore rimanda a un lungo articolo apparso sullo stesso sito in due puntate: “La Cina nel 2007-2008: bilanci,problemi, prospettive” (Китай в 2007-2008 годах: итоги, проблемы, перспективы (I-II) http://fondsk.ru/article.php?id=1287 e http://www.fondsk.ru/article.php?id=1290), sfortunatamente non ancora disponibile né in inglese né in italiano, che riprende e commenta i lavori dell'ultima sessione dell'ANP. L'ANP, in cinese Quánguó Rénmín Dàibiǎo Dàhuì (全国人民代表大会), corrisponde al nostro Parlamento. Per un approfondimento sul suo funzionamento, cfr. “Le istituzioni "parlamentari" della Repubblica Popolare Cinese” di Alessandra Lavagnino, in http://www.tuttocina.it/mondo_cinese/106/106_lava.htm ; il sito ufficiale dell'ANP è http://www.npc.gov.cn/npc/xinwen/index.htm con un ampia sezione in inglese comprendente fra l'altro la traduzione dei lavori svolti durante l'ultima sessione (marzo 2008).
[2]    La Repubblica Popolare Cinese, in cinese Zhōnghuá Rénmín Gònghéguó (中华人民共和国), ha una suddivisione amministrativa che utilizza termini presenti anche nella nostra classificazione, assegnando loro tuttavia significati diversi: in pratica il territorio è ripartito a un primo livello (che noi definiremmo “regionale”) in 33 suddivisioni di diversa denominazione secondo lo status politico e il grado di capacità amministrativa riconosciuto loro dal governo centrale. Per questo 22 suddivisioni si chiamano “province” (省 shěng), 5 “regioni autonome” (自治区 zìzhìqū), 4 “municipalità” (直辖市 zhíxiáshì) e 2 “regioni amministrative speciali” (特别行政区 tèbié xíngzhèngqū). Per un ulteriore approfondimento cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Suddivisione_amministrativa_della_Cina , che comprende anche una buona carta regionale della Cina.
[3]    Amdo (in cinese Ānduō, 安多) è una “provincia culturale” (wénhuà dìqū文化地区), ovvero storicamente mai stata un'entità amministrativa a sé stante, che si colloca fra la regione autonoma del Tibet e le provincie di Qinghai e Sichuan. Per una breve scheda cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Amdo
[4]    Nota dell'Autore che riporta una frase dal sito http://savetibet.ru/2008/03/16/people_killed_in_tibet.html, in cui si scrive di otto cadaveri di tibetani portati entro le mura del monastero di Ngaba Kirti. 
[5]    La fonte è ripresa da un articolo di savetibet.ru (http://savetibet.ru/2008/03/16/dalai_lama_about_protests.html) che rimanda però a un collegamento dell'originale in inglese ormai scaduto.
[6]    Cfr. dello stesso Autore, “USA e RPC nel continente africano: due strategie a confronto” (США и КНР на Африканском континенте: две стратегии) in http://www.fondsk.ru/article.php?id=173
[7]    Cfr. di Andrej Volodin, “Myanmar: il contesto geopolitico della «rivoluzione zafferano»” (Мьянма: геополитический контекст «шафрановой революции») in http://www.fondsk.ru/article.php?id=1157
[8]    L'Autore in nota cita di К. Simonov, “La guerra energetica globale (Глобальная энергетическая война), Mosca, Algoritm, 2007. pp. 130 e segg.
[9]    L'Autore nota come “fra l'altro, non molto tempo fa, anche Levon Ter-Petrosian promosse un appello per una commissione d'inchiesta internazionale sui tragici fatti in Armenia del 1 e 2 marzo, fra l'altro provocati dai suoi stessi sostenitori. La stessa tipologia di questi eventi, come la tattica adottata in entrambi i casi di affidare le azioni a “dimostranti pacifici”, permette di individuare una similarità di mezzi con l'aiuto dei quali si cerca di creare un “caos controllato” in regioni così diverse come il Caucaso meridionale (ovvero l'area occupata da Georgia, Armenia e Azerbaijan, N.d.T.) e l'Asia orientale”. Quindi cita articoli correlati a questo tema apparsi sullo stesso sito, fra cui il già tradotto in italiano da Resistenze “L'Armenia dopo i moti di piazza” (Армения после мятежа), in http://www.resistenze.org/sito/te/po/am/poam8c18-002824.htm. Per gli altri articoli al momento esiste solo la versione in inglese (“An orange revolution scenario in Armenia: final countdown” in http://en.fondsk.ru/article.php?id=1254 e “Ter-Petrosyan’s Objective: International Inquiry into the March 1 Events in Armenia” in http://en.fondsk.ru/article.php?id=1266 )
[10] Cfr. la campagna di propaganda di seguito alla distruzione delle sculture buddiste da parte dei talebani in Afghanistan nel 2001, propedeutica all'azione NATO in quel Paese.
[11] In pratica la provincia culturale di Kham (in cinese 康, Kāng, una delle tre province culturali tibetane) rientrava nella sua parte occidentale nel territorio della Regione Autonoma del Tibet (che si componeva quindi del suo territorio e di quello della provincia culturale dello Ü-Tsang, in cinese 衛藏 Wèizàng), mentre nella parte orientale si collocava nelle diverse province cinesi a esso confinanti. Per questo l'Autore differenzia sullo stato amministrativo del Tibet, Regione Autonoma e parte contraente l' “Accordo in 17 punti” (十七条协议, Shíqìtiào Xiéyì) siglato a Pechino del 1951 e che prevedeva una gradualità nell'applicazione delle politiche rivoluzionarie, e delle due province culturali di Kham e Amdo, a tutti gli effetti parte di province cinesi e sottoposte quindi all'amministrazione ordinaria, a partire dall'immediata socializzazione dei mezzi di produzione. Per un approfondimento sulle tre province culturali cinesi, oltre alla pagina sull'Amdo già citata, cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Kham e http://en.wikipedia.org/wiki/Amdo , (N.d.T.)
[12] Città in Virginia, sede della CIA (N.d.T.)
[13] Per una cronaca dettagliata di quanto avvenne in quei tragici anni cfr. il paragrafo “Putting Down the Armed Rebellion” in “The Historical Status of China's Tibet”, ed. China Intercontinental Press, testo molto accurato e storicamente valido, gratuitamente consultabile e scaricabile all'indirizzo http://www.tibetinfor.com/english/services/library/serialise/h_status/menu.htm (N.d.T.)
[14] L'Autore cita l'articolo pubblicato sullo stesso sito “Dal “Washington consensus” al “Beijing consensus”: cambiamento di rotta nell'economia mondiale” (Пекинский консенсус – смена вех в мировой экономике, http://www.fondsk.ru/article.php?id=721) purtroppo non disponibile né in italiano né in inglese.
[15] L'Autore rimanda a un articolo pubblicato sullo stesso sito e di cui esiste la versione in inglese: “China - India - Russia: “forgotten tune” of world politics” (http://www.fondsk.ru/article.php?id=1273)
[16] L'Autore cita un interessante articolo sullo stesso sito, purtroppo non ancora tradotto né in italiano né in inglese, dal titolo “Il fattore India nella geopolitica USA” (Индийский фактор в геополитике США)
[17] Sempre l'Autore rimanda all'interessante articolo pubblicato sullo stesso sito e dal titolo “Lo spettro del pan-mongolismo a Est degli Urali” (Призрак панмонголизма к востоку от Урала, http://www.fondsk.ru/article.php?id=1286 ), purtroppo ancora solo accessibile nell'originale russo.
[18] Per un'intervista a Choj-Dorzhi Budaev (Чой-Доржи Будаев), ma soprattutto per la foto che lo ritrae insieme al Dalai Lama e per la riflessione che suggerisce sull'immensa ricchezza di etnie che popolano lo sterminato territorio russo, cfr. http://baikal-media.com/2006/09/04/choi-dorzhi-budaev-buryatskii-narod-nedoumevaet
[19] Frase pronunciata in un'intervista concessa al sito savetibet.ru http://savetibet.ru/2008/03/16/buryatia_and_tibet.html
[20] L'originale si trova in http://www.newsweek.com/id/89265 e nelle 4 pp. successive (N.d.T.)




Le Dalai-Lama champion de la non-violence?

Domenico Losurdo

La campagne antichinoise en cours de nos jours présente, et célèbre, le Dalaï Lama comme le champion de la non-violence, véritable héritier de Gandhi. On notera cependant à ce propos que l’Occident libéral s’est montré pendant longtemps tout autre que sympathique à l’égard de Gandhi.
 
29 août 2008 - http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2008-08-30%2014:03:54&log=invites

C’est avec un souverain mépris que Churchill parle de ce « fakir séditieux », de ce « misérable petit vieux, qui est notre ennemi depuis toujours », de ce « vieux va nu pieds »(1) , qui prétend mettre la main sur « ce qui nous appartient » et « veut l’expulsion de l’Angleterre hors de l’Inde »(2) .

L’incontournable arrogance impériale se charge parfois aussi de tons racistes, comme on le voit en particulier dans une prise de position de 1931 :
« Il est alarmant et nauséabond aussi de voir Gandhi, un avocat subversif du Middle Temple, maintenant dans cette attitude de faquir selon un modèle bien connu en Orient, gravir, à grands pas et à moitié nu, les escaliers du palais du vice-roi pour aller parler d’égal à égal avec le représentant du roi-empereur alors qu’il s’emploie encore à organiser et conduire une campagne provocatrice de désobéissance civile »(3) .

En tout cas, contre le mouvement indépendantiste, qu’il soit violent ou non-violent, on sait recourir à tous les moyens, et Churchill en 1932 salue le lancement en Inde de mesures « plus drastiques que toutes celles qui s’étaient avérées nécessaires depuis l’époque de la Mutiny de 1857 »(4) c’est-à-dire depuis la révolte des Sepoys et de la sanglante répression qui avait en son temps suscité l’indignation de Marx.

De nos jours encore, les accents chers à Churchill sont loin d’avoir disparu. Un journaliste historien qui, dans les colonnes d’organes de presse étasuniens et occidentaux généralement les plus autorisés, s’emploie à célébrer le retour du colonialisme (Colonialism’s Back-and Not a Moment Too Soon), s’exprime ainsi en parlant de Gandhi : il « avait une année de plus que Lénine, avec qui il avait en commun une approche de type quasiment religieux de la politique, mais son « excentricité le rapprochait aussi de Hitler, de vingt ans son cadet »(5) . Comparé à Lénine, le leader du mouvement indépendantiste indien subit le sort réservé au bolchevisme qui, du point de vue des historiens et journalistes de cour, n’est que le frère jumeau du nazisme.

La tendance principale de l’idéologie dominante est cependant aujourd’hui bien différente. Dès les premières années de la guerre froide, une fois abandonnés la haine et le mépris nourris en particulier par Churchill envers le « subversif » et « oriental » ennemi de l’Empire britannique et de la civilisation occidentale, Gandhi est promu au rôle d’apôtre de la non-violence : non-violence qu’on va opposer à ces mouvements révolutionnaires d’émancipation des peuples coloniaux qui se développent en Asie et dans le monde entier ; c’est ainsi que Gandhi devient inopinément l’antithèse de Mao, de Ho Chi Minh, Castro et Arafat. Viendra ensuite une manoeuvre de réal-politique ultérieure et décisif : une campagne multimédiatique martelant que l’hérédité de Gandhi en tant que champion de la non-violence serait aujourd’hui assumée par le Dalaï Lama, comme par hasard désigné en 1989 Prix Nobel de la paix.

Et pourtant la réalité n’est pas difficile à vérifier. Elle est révélée clairement dans deux livres qui ont pour auteur unique, ou co-auteurs, deux fonctionnaires (de niveau plus ou moins élevé) de la Cia.

Le premier, qui a collaboré pendant des décennies avec le Dalaï Lama et exprime son admiration et sa dévotion envers le « leader bouddhiste qui s’est voué à la non-violence », rapporte en ces termes le point de vue exprimé par son héros : « S’il n’y a pas d’alternative à la violence, la violence est autorisée ». D’autant plus qu’il faut savoir distinguer entre « méthode » et « motivation » : « Dans la résistance tibétaine contre la Chine la méthode était l’assassinat, mais la motivation était la compassion, et cela justifiait le recours à la violence ».

De façon analogue le Dalaï Lama, cité et admiré par le fonctionnaire de la Cia, justifie et même célèbre la participation des Usa à la seconde guerre mondiale et à la guerre de Corée, puisqu’il s’agissait de « protéger la démocratie et la liberté ». Ces nobles idéaux allaient continuer à inspirer Washington à l’occasion de la guerre du Vietnam, même si, dans ce cas-là, les résultats ne furent malheureusement pas à la hauteur des intentions(6) . On comprend que, sur de telles bases, la syntonie se révèle parfaite avec le fonctionnaire de la Cia, qui tient à se faire photographier avec le Dalaï Lama dans une posture amicale et affectueuse. Il tient même à déclarer que lui aussi, exactement comme son vénérable maître bouddhiste, n’aime pas les « armes à feu » mais qu’il se résigne à en approuver et promouvoir l’emploi seulement quand cela s’avère inévitable .

Ainsi donc, réinterprétée à la lumière des enseignements du prix Nobel pour la paix, la non-violence semble être devenue la doctrine inspiratrice de la Cia !

Ce sont justement les fonctionnaires de cette agence redoutée dans le monde entier qui finissent par faire un portrait désacralisant du Dalai Lama. En 1959, il s’enfuit de Lhassa : c’est la réalisation d’un « objectif de la politique américaine depuis au moins une décennie ». Au moment de son passage de la frontière entre la Chine (Tibet) et l’Inde, le Dalaï Lama nomme général un des tibétains qui l’avaient assisté dans sa fuite, tandis que deux autres, sans perdre de temps, avec la radio qui leur avait été fournie par la Cia, transmettent à cette dernière un message urgent : « Envoyez-nous par voie aérienne des armes pour 30.000 hommes »(8) . Malgré l’équipement sophistiqué fourni aux guérilleros, la mise à leur disposition d’un « inexorable arsenal dans le ciel » (les armes parachutées par les avions étasuniens) et la possibilité de bénéficier d’arrières sûrs au-delà de la frontière chinoise, et en particulier dans les bases du Mustang (au Népal), la révolte tibétaine, préparée dès 1959 par le lancement d’armes et équipements militaires dans les zones les plus inaccessibles du Tibet(9) , échoue.

Les commandos infiltrés depuis l’Inde accusent des résultats « généralement décevants » ; « ils ne trouvent qu’un rare appui dans la population locale ». En résumé : la tentative d’ « alimenter une guérilla sur une vaste échelle par voie aérienne s’est révélée un échec lamentable » ; « en 1968, les forces de la guérilla au Mustang vieillissaient » sans être capables de « recruter de nouveaux éléments ». Les USA sont obligés d’abandonner l’affaire, provoquant alors une grande désillusion chez le Dalai Lama : «il observa avec amertume qu’en 1974 Washington avait effacé son soutien du programme politique et paramilitaire »(10) .

Il est donc assez difficile de voir dans le Dalai Lama l’héritier de Gandhi ! La seule vague analogie est avec le Gandhi de la première guerre mondiale, qui s’emploie à recruter des soldats indiens pour l’armée britannique et espère ainsi gagner la reconnaissance de Londres. De la Grande-Bretagne, l’Inde hérite l’aspiration à détacher, d’une manière ou d’une autre, le Tibet de la Chine : encadrés dans un corps spécial (Special Frontier Force), les guérilleros tibétains combattent sous commandement de l’armée de New Delhi au cours de la brève guerre de frontière sino-indienne de 1962, puis au cours de la guerre indopakistanaise de 1971. C’est dans ce contexte que s’insère l’appui fourni par le Dalai Lama à la politique indienne d’armement nucléaire.


La collaboration avec les USA va jouer un rôle plus important encore : s’ajoutant au terrible embargo imposé par Washington et aux opérations persistantes de sabotage ou de terrorisme promues à partir de Taiwan, la révolte tibétaine était destinée, dans les plans de la Cia, à « contraindre Mao à éparpiller ses ressources déjà minces » et à provoquer l’étranglement de la République populaire chinoise. Il est vrai que l’objectif principal ne sera pas poursuivi.

Mais dans tous les cas, outre le fait qu’ils affaiblissent le grand pays asiatique, les Etats-Unis « tirent bénéfice des renseignements recueillis par les forces de la résistance » tibétaines. De plus, la Cia et l’armée étasunienne peuvent expérimenter « de nouveaux types d’équipement, par exemple des avions et des parachutes » et « de nouvelles techniques de communication », et accumuler de précieuses expériences ; « les leçons apprises au Tibet » trouvent leur application « dans des lieux comme le Laos et le Vietnam »(11) .

Comme on peut voir, la non-violence du Dalaï Lama n’est qu’un mythe ; sur deux photos de 1972, on peut même le voir, avec le général indien Sujan Singh Uban, passer en revue et haranguer la Special Frontier Force, pour qui il avait donné son « consensus » afin qu’elle soit employée dans la guerre contre le Pakistan, quelques mois auparavant(12) .

Mais comment expliquer le mythe ? Une fois de plus celui qui va nous aider à donner une réponse est le fonctionnaire de la Cia qui a maintenu des contacts pendant des décennies avec le leader indépendantiste tibétain. En 1950, quand la guerre de Corée éclate, l’agence reçoit des instructions pour que soient conduites contre la Chine non seulement des « opérations paramilitaires » mais aussi une « guerre psychologique »(13) . Le projet verra des perfectionnements ultérieurs à la suite de la révolte de 1959 ; le « groupe de stratégie psychologique » invite l’administration Eisenhower à « alimenter la rébellion le plus longtemps possible et à lui donner la plus grande emphase dans les moyens d’information » ; « la Cia paye une société de public-relations pour aider les Tibétains à rendre publique leur cause »(14) . L’orientation de fond de cette guerre psychologique avait déjà été définie dans les premières années de la guerre froide : il s’agissait d’ « appeler au rassemblement les bouddhistes d’Asie contre l’expansion des communistes chinois »(15) . Au communisme synonyme de violence il fallait opposer le bouddhisme synonyme de non-violence. On ne s’étonnera pas alors que l’ « écran » (screen) de la non-violence commence à auréoler la figure du Dalaï Lama(16) .

Ce ne sera pas seulement une personnalité singulière qui connaîtra une aveuglante transfiguration mais aussi le monde dont elle est l’expression : le Tibet pré-moderne et pré-révolutionnaire va devenir un lieu d’enchantement, d’où se sont évanouis l’esclavage, le servage, la violence de la classe dominante, et même la violence en tant que telle. En réalité, bien loin de cette idylle, la Lhassa de ce bon vieux temps ressemblait à la « Florence des Borgia »(17) . Mais la guerre psychologique, les sociétés de public-relations et Hollywood (qui avait déjà joué un rôle central dans la Guerre froide) savent faire des miracles : le Dalaï Lama et le bouddhisme tibétain deviennent l’incarnation de la non-violence.

Se réclamant de Gandhi et du Dalaï Lama, des cercles qui se disent de gauche et même des radicaux – qu’on pense pour ce qui concerne l’Italie au « Partito radicale transnazionale », dirigé par Marco Pannella- non seulement stigmatisent comme sanguinaires les mouvements de libération nationale ( comme par exemple la résistance palestinienne), mais vont plus loin encore.

Ignorants des leçons de la non-violence et en proie à des pulsions d’homicide et totalitaires, les soit-disant « radicaux », en opposition à ces mouvements de libération nationale, appuient régulièrement les guerres lancées par Washington pour l’exportation de la «démocratie » et , avec une emphase toute particulière, les guerres déclenchées par Israël contre ses voisins arabes , en tout premier lieu, contre le peuple palestinien. Le soutien aux guerres israélo-étasuniennes est-il en contradiction avec le principe de non-violence ? Les « radicaux » n ‘ont aucune difficulté à se référer au Gandhi qui, pendant la première guerre mondiale, soutenait l’effort de guerre de l’Empire britannique et faisait taire ses adversaires, en les accusant d’être lâches et même « efféminés ».

En ce point, la « non-violence » s’est transformée en une idéologie de la guerre (pour le moment froide).


Traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio

(1) Ferguson 2004, p. 276 et Chada 2000, p. 387 et 390.
(2) Chada 2000, p. 384 et 300.
(3) Chada 2000, p. 298.
(4) Chada 2000, p. 319
(5) Johnson 1989, p. 521 ; dans Paul Johnson cf. Losurdo 2006, chap. III § 9
(6) Knaus 1999, p. X et 313.
(7) Knaus 0999, p. X et 274.
(8) Knaus 1999, p. 178 ; Conboy, Morrison 2002, p.93.
(9) Knaus 1999, p. 225 et 154-155.
(10) Knaus 1999, p. 281, 235, 292 et 293.
(11) Knaus 1999, p. 215 et 316 ; Conboy, Morrison 2002, p.IX.
(12) Conboy, Morrison 2002, p. 247-48.
(13) Knaus 1999, p. 63.
(14) Knaus 1999, p. 204 et 181.
(15) Knaus 199, p. 88.
(16) Knaus 1999, p.236.
(17) Knaus 1999, p. 24..

Références bibliographiques

Yogesh Chada 2000
Rediscovering Gandhi (1997), tr. it., di Mario Prayer, Gandhi. Il rivoluzionario disarmato (1998), Mondadori, Milano

Kennet Conboy, James Morrison 2002
The CIA’s Secret War in Tibet, University Press of Kansas, Lawrence

Niall Ferguson 2004
Empire. The Rise and the Demise of the British World Order and the Lessons for Global Power (2002), Basic Books, New York

Paul Johnson 1989
A History of the Modern World from 1917 to the 1980s; (1983); tr. it., di Elisabetta Cornara Filocamo, Storia del mondo moderno (1917-1980), Mondadori, Milano

John Kenneth Knaus 1999
Orphans of the Cold War. America and the Tibetan Struggle for Survival, PublicAffairs, New York

Domenico Losurdo 2006
Le révisionnisme en histoire. Problèmes et mythes, Albin Michel, Paris





http://www.lernesto.it
 
DAL TIBET ALLO XINJIANG, IL COPIONE ANTICINESE NON CAMBIA
 
di Roberto Sidoli, Sergio Ricaldone e Massimo Leoni
14 Luglio 2009

 
Circa un anno dopo la provocazione sanguinosa scatenata a Lhasa nel marzo del 2008, lo schema ben preparato del pogrom anti-han (l’etnia maggioritaria in Cina) è stato replicato il 5 luglio del 2009 nella regione dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina ed in una zona abitata per circa il 44% dagli uiguri, una popolazione turcofona prevalentemente di religione musulmana: come tutte le minoranze etniche della Cina , essa ha il pieno diritto di poter avere tutti i figli che vuole, oltre ad usufruire di massicci finanziamenti da parte del governo centrale di Pechino.

Come avvenne nel Tibet del 2008, le forze indipendentiste dello Xinjiang hanno infatti scatenato una rivolta armata e violenta contro il governo cinese e gli abitanti han dell’area, che ha provocato tra la popolazione civile circa 150 morti e ha portato alla distruzione su larga scala di edifici pubblici, negozi e supermercati, autobus ed auto.

Come a Lhasa nel 2008, si è trattato di una vera e propria caccia all’uomo, (specialmente una caccia al cinese di etnia han per la precisione), che fa venire alla mente i linciaggi degli afroamericani compiuti nel sud degli USA fino al 1940.

Come nel Tibet del 2008, i provocatori hanno agito ad Urumqi seguendo indicazioni precise fornite dai loro nuclei dirigenti all’estero, nel caso in oggetto il “Congresso Mondiale degli Uiguri” (CMU) guidato da Rebiya Kadeer: forze separatiste ed anticomuniste che a loro volta, come nel caso del Dalai Lama e dei suoi accoliti, sono spalleggiate e protette dall’imperialismo statunitense e dalle altre potenze occidentali.

Identici risultano anche gli obbiettivi centrali e prioritari degli autori dei due pogrom, quello del 2008 in Tibet e l’attuale: indebolire la credibilità internazionale del partito comunista e del governo cinese, in vista di importanti scadenze politiche (le elezioni a Taiwan e le Olimpiadi nel 2008, il summit G-8 italiano ed il 60° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 2009), allo stesso tempo cercando di creare un clima di tensione crescente ed ostilità reciproca tra le diverse etnie che compongono il mosaico della popolazione cinese, e di provocare una spirale di vendette/controvendette.

Come nel 2008, è subito partita una campagna condotta sia dai mass-media che da gran parte delle forze politiche occidentali, anche di sinistra, tesa in genere a presentare i “dittatori di Pechino” come leader che reprimono nel sangue dei “poveri manifestanti disarmati”, “desiderosi solo di libertà”.

Tutti i fatti, tutti gli osservatori indipendenti ed i testimoni, tutte le immagini televisive, provano invece senza alcun dubbio che i manifestanti di Urumqi erano sicuramente armati, anche se in modo rudimentale (bastoni, spranghe, molotov, ecc), oltre che desiderosi fin dall’inizio…. di uccidere inermi donne e uomini cinesi, di distruggere edifici e negozi, di bruciare veicoli di ogni tipo di attaccare la polizia: colpendo e ferendo anche molti lavoratori e cittadini di etnia Uiguri, per dimostrare la “violenza della polizia” contro gli Uiguri.

Come è stato riportato dal Quotidiano del Popolo del 7 luglio, nell’isola Houquan di Urumqi durante la tragica notte del 5 luglio venne bruciato un supermercato e cinque autobus, un autista dei quali è scomparso tra le fiamme.1

Una lavoratrice di etnia uiguri, Atigul Turdi, ricoverata in ospedale per le ferite causatele in un precedente scontro etnico nel Guandong, ha affermato che i vandali “hanno usato le nostre ferite come una scusa per la loro stessa violenza. Perché”, ha continuato la giovane Atigul Turdi, “i violenti hanno distrutto il nostro bellissimo e pacifico Xinjiang in modo così crudele?”.2

Persino le televisioni occidentali sono state costrette a mandare in onda una serie di immagini inequivocabili che mostravano decine di separatisti rovesciare un autobus, altri picchiavano ferocemente un uomo già caduto a terra,foto di edifici e supermercati bruciati, donne insanguinate e piangenti abbracciate tra loro:senza avere quasi mai l’onestà di dichiarare che tali scene da incubo non erano certo dovute all’intervento dell’autorità di polizia , ma alla violenza dei separatisti uiguri.

Il sopra citato “Congresso Mondiale degli Uiguri”, che riunisce tutte le forze anticomuniste ed indipendentiste della regione, ha avuto la spudoratezza di affermare su Internet che il pogrom è nato da un’”organizzata pulizia etnica”, ma ….contro gli uiguri e preparato dal partito comunista cinese: evidentemente voglioso di auto danneggiare la propria immagine internazionale e di creare tensioni pericolose tra le diverse nazionalità della Cina, oltre che tanto stupido da compiere questo capolavoro di masochismo proprio una settimana prima del G8 italiano, in cui – a latere – i dirigenti comunisti cinesi volevano discutere sul processo di creazione di una diversa moneta di riserva internazionale, parallela/alternativa nel medio periodo al dollaro.3

Peccato, inoltre, che la polizia cinese abbia intercettato e registrato una telefonata di fine giugno effettuata dalla sopra citata Rebiya Kadeer, nella quale essa diceva al fratello domiciliato a Urumqi, pochi giorni prima del pogrom anticinese, che “noi” (il Congresso Mondiale degli Uiguri) ”sappiamo che molte cose stanno accadendo”.4

Ovviamente il CMU ha descritto le proteste come “pacifiche”, represse con la violenza dal governo cinese: ma qual è il programma e gli alleati di questa organizzazione politica?

Fondata nell’aprile del 2004 a Monaco di Baviera, essa rivendica quasi apertamente il diritto del popolo uiguri alla separazione dalla Cina. Tra i suoi più stretti amici si trova –non c’è da stupirsi- il Dalai Lama, definito come “il leader spirituale del popolo tibetano”:tra gente “spirituale” è facile intendersi, anche nella valutazione delle “pacifiche manifestazioni “ del 2008 (Tibet) e del 2009 (Xinjiang) e anche nel giudizio sulla “tirannia comunista” in Cina.5

Ma gli amici spirituali del CMU non finiscono certo con il Dalai Lama: stando alla stessa organizzazione separatista, la terza assemblea generale del movimento anticomunista si è tenuta a Washington, tra il 21 ed il 25 maggio del 2009 ed in collaborazione con il National Endowment for Democracy, meglio conosciuto e combattuto dal movimento antimperialista mondiale sotto l’acronimo di NED.

Un’assemblea clandestina? Non proprio, visto che stando alla stessa CMU al suo incontro hanno partecipato anche “funzionari del governo” (USA) e “legislatori ed accademici degli Stati Uniti e di altri paesi del mondo”: tra i partecipanti esteri, il CMU riporta nomi come Barbara Haig, vicepresidente della NED e Lincoln Diaz-Balard, Fronk Wolf, Bill Delahunt e James McGovern, tutti membri del congresso USA, oltre a Sherrod Brown del senato statunitense.6

Proprio dopo questa rimpatriata tra amici, hanno iniziato a muoversi ingranaggi politici e diplomatici: l’amministrazione democratica di Barack Obama, che sta bombardando a tutto spiano la popolazione afgana, in nome della “lotta al terrorismo”, negò subito l’estradizione in Cina di alcuni separatisti uiguri catturati in precedenza in Afghanistan, detenuti da anni a Guantanamo, mandandoli invece in semicolonie USA come Palau. Tra il 4 e 5 luglio, scoppiò il pogrom di Urumqi. Coincidenze? L’imperscrutabile mano del destino? Troppe coincidenze, a nostro avviso.

La grande maggioranza dell’etnia uigura ha condannato decisamente, con un sentimento comune ben espresso dalla giovane Atigul Turdi, l’orrendo pogrom notturno del 4/5 luglio.

Non solo perché molti lavoratori e pacifici cittadini della stessa etnia uiguri sono stati feriti/uccisi in prima persona dai separatisti dello Xinjiang, ma anche perché dal 1949, quando il partito comunista cinese riprese pacificamente il controllo della regione, i lavoratori uiguri e delle altre etnie dell’area hanno visto modificarsi radicalmente le proprie condizioni di vita materiali e culturali.

Anche se questa tematica verrà affrontata meglio in un altro articolo, si può subito rilevare che:

- fin dall’ottobre del 1955 venne stabilita la regione autonoma dello Xinjiang, con un ampio margine di libertà di manovra in campo politico, economico, ed amministrativo.

- dall’ottobre del 1955 fino ai giorni nostri, una gran parte delle principali cariche politiche all’interno del partito comunista della zona e degli organi statali dello Xinjiang sono stati controllati da esponenti di etnia figura

- nel 1949 la regione dello Xinjiang costituiva una delle regioni più povere ed arretrate dell’intera Asia, seconda solo al Tibet per tasso di povertà, analfabetismo diffuso ed arretratezza tecnologico-culturale.Nel 2005, invece l’analfabetismo è quasi scomparso dalla vita quotidiana dello Xinjiang, riducendosi nel 2001 al solo 2% tra i giovani e gli adulti di mezza età

- a prezzi costanti, il prodotto nazionale lordo dello Xinjiang nel 2001 è aumentato di ben 42,9 volte rispetto al1952

- quasi inesistente nel 1949, il settore industriale e minerario contava invece nel 2001 il 42,4% del PNL complessivo della Xinjiang

- mentre nel 1949 quasi non esistevano nella regione altri strumenti di trasporto che gli animali, ora i veicoli a motore percorrono in massa le strade asfaltate e le autostrade della zona, divenute pari, alla fine del 2001, a 80900km (3361 nel 1949)

- nel 2001 lo Xinjiang aveva 11 aeroporti in funzione, contro lo zero del 1949

- la scuole elementari sono aumentate da 1335 nel 1949 a 6221 nel 2001

- sempre nel 1949, si potevano trovare nello Xinjiang solo 54 centri medici di basso livello, per un misero totale di 696 posti letto; nel 2001, invece, erano stati costruiti ben 1357 ospedali per un insieme di 71000 posti letto ospedalieri

- lo spazio abitativo pro-capite nelle zone urbane era pari 15,5 metri quadrati nel 2001, più di due volte e mezza che nel 1981

- la percentuale della spesa per il cibo rispetto al reddito medio degli abitanti dello Xinjiang, era calata dal 57,3 % del 1978 al 35,3% del 2001.7

Cifre fredde e dati aridi, ma che descrivono l’enorme salto di qualità produttivo e sociale compiuto dalla regione dopo il 1949 e fino ai nostri giorni: un progresso continuo che il partito comunista cinese vuole difendere sviluppare a livelli ancora più elevati, in primo luogo sconfiggendo sul piano politico le forze separatiste della zona impedendo loro di creare un clima di diffidenza ed ostilità costante tra gli han e gli uiguri, uno dei più perversi obbiettivi strategici del CMU e dei suoi alleati internazionali.


NOTE

1 Quotidiano del Popolo, 7 luglio 2009, “Recalling the nightmate:ejewitness accounts of Xinjiang riot”

2 Quotidiano del Popolo, “Recalling the nighmate: ejewitness accounts of Xinjiang riot”

3 Quotidiano del Popolo, 7 luglio 2009, “Police have evidence of World Uyghur Congress mastermind Xinjiang riot”

4 Quotidiano del Popolo, “Police have evidence of World Uyghur Congress mastermind Xinjiang

5 www.wiserearth.org/organization, “world Uighur Congress”

6 www.uyghurcongress.org,”Third General Assembly of the World Uyghur Congress

7 news.xinhuanet.com,”Historj and development of.Xinjiang”, maggio 2003




www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 30-03-10 - n. 312

da http://chinatibet.people.com.cn/96056/6933800.html
Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
28 marzo: pietra miliare nella storia mondiale dei diritti umani
 
29/03/2010
 
Lo scorso anno, la Cina aveva designato il 28 marzo come Giornata dell'emancipazione dalla servitù, per celebrare la data in cui nel 1959 circa un milione di servi della gleba del Tibet, più del 90% della popolazione tibetana, erano stati liberati. La decisione era stata raggiunta nel corso della 2ª sessione del nono Congresso popolare della regione autonoma del Tibet, tenutosi il 19 Gennaio 2009 in modo da rispondere alle pressanti istanze e richieste dei 2,8 milioni di persone di diverse etnie presenti in questa regione.
 
Cerimonie sono state organizzate domenica 28 marzo in tutta la Regione Autonoma del Tibet per la commemorazione del 51º anniversario e quasi 3.000 persone si sono riunite presso palazzo Potala a Lhasa per celebrare il Giorno dell'emancipazione dalla servitù, innalzando le bandiere e suonando gli inni nazionali.
 
La riforma democratica in Tibet di 51 anni fa, sotto la direzione del Partito Comunista Cinese (CPC), tesa all'emancipazione dalla servitù è nobile e giusta, ha dichiarato Padma Chöling, presidente del governo regionale del Tibet Autonomo della Cina sud-occidentale, nel corso di una manifestazione lo scorso 27 marzo.
 
Il 28 Marzo 1959, il Consiglio di Stato emise un decreto per annunciare lo scioglimento del precedente governo locale tibetano. Gli ex-servi della gleba tibetani uscirono così dall'oscurità di una vita miserabile. Con il vibrante appello per una vita democratica, il vasto territorio sull'altipiano celeste tibetano entrava in una nuova era nella quale i tibetani diventavano padroni del proprio destino. Perciò, il 28 marzo non è solo lo spartiacque di una rinnovata e migliore prospettiva di vita per i tibetani, ma una pietra miliare nella storia mondiale dei diritti umani.
 
Il Tibet è stato a lungo in una condizione di servitù feudale che univa teocrazia, dittatura di monaci, nobili, proprietari di schiavi e governi locali da loro monopolizzati, mentre le masse dei servi non avevano il benché minimo diritto politico. I proprietari di schiavi, che costituivano solo il 5% della popolazione tibetana, disponevano di tutti i terreni agricoli e della maggior parte del bestiame, mentre un milione di servi della gleba nullatenenti lottavano per sopravvivere in questo "inferno sulla terra".
 
I proprietari potevano sottoporre i loro servi a punizioni feroci, come strappare gli occhi, tagliare il naso, le mani e i piedi, oppure incatenarli e annegarli; tutte le punizioni erano disumane e sconvolgenti. Inoltre i servi potevano essere arbitrariamente venduti, trasferiti o offerti come doni, legati o vincolati allo scambio di beni o bestie da soma.
 
L'antico Tibet di più di mezzo secolo fa non era affatto lo splendido e meraviglioso "Shangri-La" [la comunità perfetta, NdT], ma era invece molto più tetro, crudele, barbaro e arretrato della servitù feudale sotto la teocrazia medievale in Europa ...
 
E' davvero un evento di grande importanza nella vita politica dei tibetani riconoscere il 28 marzo come Giornata dell'emancipazione dalla servitù. Grazie alla campagna emancipatrice e alla conseguente riforma democratica, si è avuta una grande e storica svolta nella natura del potere politico, della proprietà dei mezzi di produzione, della posizione sociale, economica e giuridica, del credo religioso, del diritto all'istruzione e in altri aspetti della società tibetana. Questo grande cambiamento ha posto termine alla storia di schiavitù dei servi tibetani, che pur costituendo il 95% della popolazione locale non godevano di alcun diritto umano, li ha pienamente emancipati e resi padroni del proprio destino. 
 
La cricca del Dalai Lama e alcune nazioni occidentali, tuttavia, hanno colto l'occasione rappresentata da questa commemorazione per insultare il governo cinese. Intanto i media americani hanno accusato, con "singolare entusiasmo", il governo centrale cinese di distruggere la cultura, la civiltà e la lingua tibetana locale e di perseguire i seguaci del Dalai Lama con misure coercitive. Ogni persona con un minimo di conoscenza storica, tuttavia, può constatare che hanno ribaltato la verità.
 
Inoltre, è noto a tutti che il servaggio feudale teocratico ha seriamente ostacolato lo sviluppo della produttività sociale. I popoli in Europa occidentale hanno liquidato proprio questo sistema già diverse centinaia di anni fa. Oggi, il popolo tibetano, grazie al processo di riforma economica e di apertura, ha accesso al progresso e al benessere sociale, ha conseguito straordinarie conquiste socio-economiche ed effettuato un cambiamento radicale nella propria vita, visibile da chiunque.
 
L'obiezione del Dalai Lama a istituzionalizzare la Giornata dell'emancipazione dalla servitù in Tibet è data proprio perché la riforma democratica ha privato lui e la sua classe della posizione dominante e, ciò nonostante, ancora oggi nutrono molte illusioni e sono sentimentalmente attaccati alla loro vecchia servitù della gleba.
 
Le forze della "indipendenza tibetana" hanno lavorato al fianco delle forze anti-cinesi d'oltremare, nel tentativo di creare caos e disordini in Tibet. Tutto il popolo cinese, compresi tutti i tibetani, nonché i compatrioti di Hong Kong, Macao e Taiwan e i compatrioti cinesi residenti in tutto il mondo, che appartengono tutti ad una unica nazione cinese, uniti con il cuore e per le mani, si assumono congiuntamente le responsabilità e la gloriosa missione di un grande rinnovamento della Cina.
 
Come parte dell'impegno per celebrare il primo anniversario della Giornata dell'emancipazione dalla servitù, il primo gruppo di cinesi d'oltremare ed europei ha programmato di raggiungere la madrepatria per un viaggio di studio a giugno o luglio di quest'anno, che consentirà loro di osservare il "Tibet da sogno", un Tibet dagli scenari meravigliosi e dove c'è gran quantità di prodotti naturali e le persone vivono in serenità.
 
"Abbiamo molto da vedere, ascoltare e sperimentare personalmente in Tibet, vogliamo serbare il ricordo di quanto raccolto durante il viaggio e una volta tornati in Europa procedere quindi alla sua divulgazione in tutto il mondo". Le persone dovrebbero veramente amare e fare tesoro della "pace e stabilità, della prosperità e dello sviluppo così faticosamente conquistati in Tibet".
 
People's Daily Online, con il contributo di un cittadino cinese residente in Europa di nome Zhang Manxin





WikiLeaks confirms it
Tiananmen Square ‘massacre’ was a myth

By Deirdre Griswold - Workers World Jun 29, 2011

How many times have we been told that the U.S. is an “open” society and the media are “free”?

Usually such claims are made when criticizing other countries for not being “open,” especially countries that don’t follow Washington’s agenda.

If you live in the United States and depend on the supposedly “free” and “open” commercial media for information, you would without a doubt believe that the Chinese government massacred “hundreds, perhaps thousands” of students in Tiananmen Square on June 4, 1989. That phrase has been repeated tens of thousands of times by the media of this country.

But it’s a myth. Furthermore, the U.S. government knows it’s a myth. And all the major media know it too. But they refuse to correct the record because of the basic hostility of the U.S. imperialist ruling class to China.

On what do we base this assertion? Several sources.

The most recent is a WikiLeaks release of cables sent from the U.S. Embassy in Beijing to the State Department in June 1989, a few days after the events in China.

Second is an assertion in November 1989 by the Beijing bureau chief of the New York Times, an assertion that has never again been referred to by that newspaper.

And third is the account of what happened by the Chinese government itself, which is corroborated by the first two.

Only one major Western newspaper has published the WikiLeaks cables. That was the Telegraph of London on June 4 of this year, exactly 22 years after the Chinese government called out the troops in Beijing.

Two cables dated July 7, 1989 — more than a month after the fighting — related the following:

“A Chilean diplomat provides an eye-witness account of the soldiers entering Tiananmen Square: He watched the military enter the square and did not observe any mass firing of weapons into the crowds, although sporadic gunfire was heard. He said that most of the troops which entered the square were actually armed only with anti-riot gear — truncheons and wooden clubs; they were backed up by armed soldiers.”

A following cable stated: “A Chilean diplomat provides an eye-witness account of the soldiers entering Tiananmen Square: Although gunfire could be heard, he said that apart from some beating of students, there was no mass firing into the crowd of students at the monument.”

It should be remembered that Chile at that time was ruled by Gen. Augusto Pinochet, who had come to power in a violent, anti-socialist, U.S.-supported right-wing coup in which thousands of leftists, including President Salvador Allende, had been killed. The “Chilean diplomat” referred to would have been no friend of China.

Not one U.S. newspaper, television or radio outlet has reported or commented on these cables released by WikiLeaks, nor on the Telegraph story about them. It is as though they fell into a bottomless chasm.

Is it because the media here don’t believe the report is credible? Hardly.

They knew the truth in 1989

The New York Times knows it’s credible. Their own Beijing bureau chief at the time, Nicholas Kristof, confirmed it in an extensive article entitled “China Update: How the Hardliners Won,” published in the Sunday Times magazine on Nov. 12, 1989, five months after the supposed massacre in the square.

At the very end of this long article, which purported to give an inside view of a debate within the Chinese Communist Party leadership, Kristof stated categorically: “Based on my observations in the streets, neither the official account nor many of the foreign versions are quite correct. There is no massacre in Tiananmen Square, for example, although there is plenty of killing elsewhere.”

Even though Kristof’s article was harshly critical of China, his statement that there was “no massacre in Tiananmen Square” immediately drew howls of protest from China bashers in the U.S., as reflected in the Times’ letters column.

Had there been fighting in Beijing? Absolutely. But there was no massacre of unarmed students in the square. That was an invention by the West, intended to demonize the Chinese government and win public sympathy for a counter-revolution.

The turn toward a market economy under Deng Xiaoping had alienated many workers. There was also a counter-revolutionary element trying to take advantage of popular grievances to completely restore capitalism.

The imperialists were hoping the struggles in Beijing would bring down the Chinese Communist Party and destroy the planned economy — similar to what was to happen two years later in the Soviet Union. They wanted to “open up” China, not to truth, but to the looting of the people’s property by imperialist banks and corporations.

After much wavering at the top, the army was called out and the uprising crushed. China was not broken up like the Soviet Union; its economy has not imploded nor has the standard of living declined. Quite the opposite. Wages and social conditions have been improving at a time when workers elsewhere are being forced backward by a severe capitalist economic crisis.

Despite deep concessions to capitalism, foreign and domestic, China continues to have a planned economy based on a strong state-owned infrastructure.

WikiLeaks conferma
Il “massacro” di piazza Tienanmen è stato un mito

di Deirdre Griswold – Workers World, 29 giugno 2011

Quante volte ci è stato detto che gli Stati Uniti sono una società “aperta” e che i media sono “liberi”?

Di solito queste affermazioni sono fatte quando si criticano altri paesi per non essere “aperti”, in special modo per paesi che non seguono l’agenda di Washington.

Chi vive negli Stati Uniti e dipende dai mezzi d’informazione commerciale, ritenuti “liberi” e “aperti”, non c’è dubbio che creda che il governo cinese massacrò “centinaia, forse migliaia” di studenti in piazza Tienanmen il 4 giugno 1989.   Questa frase è stata ripetuta decine di migliaia di volte dai media di questo paese.

Ma si tratta di un mito.   Di più, il governo USA sa che è un mito.   Ed anche tutti i principali media lo sanno.   Ma si rifiutano di correggere il resoconto per via della fondamentale ostilità della classe dominante imperialista degli USA.

Su cosa basiamo questa affermazione? Su diverse fonti.

La più recente è un rilascio, da parte di Wikileaks, di cablo spediti dall’ambasciata USA a Pechino al Dipartimento di Stato nel giugno 1989, pochi giorni dopo gli eventi in Cina.
In secondo luogo c’è un’affermazione del novembre 1989 da parte del capo dell’ufficio del New York Times di Pechino, un’affermazione che non è mai stata riportata nuovamente da nessun giornale.

E in terzo luogo c’è il resoconto dell’accaduto da parte dello stesso governo cinese, che è avvalorato dai primi due.

Solo uno dei maggiori media occidentali ha pubblicato i cablo di Wikileaks.   E’ stato il Telegraph di Londra del 4 giugno di quest’anno, esattamente 22 anni dopo che il governo cinese mobilitò le truppe a Pechino.

Due cablo datati 7 luglio 1989 – più di un mese dopo i combattimenti – riferivano quanto segue:

“Un diplomatico cileno fornisce testimoninza oculare dei soldati che entrano in piazza Tienanmen: ha visto i militari entrare nella piazza e non ha notato alcun massiccio fuoco sulla folla, anche se si udivano sporadici spari.   Ha detto che gran parte delle truppe entrate nella piazza era in effetti armate solo con attrezzature anti-sommossa – manganelli e mazze di legno; erano sostenuti da soldati armati.”

Un successive cablo affermava: “Un diplomatico cileno fornisce testimoninza oculare dei soldati che entrano in piazza Tienanmen: anche se si udivano sporadici spari, ha detto che eccetto alcune percosse di studenti, non c’è stato alcun massiccio fuoco sulla folla di studenti presso il monumento.”

Va ricordato che il Cile all’epoca era governato dal generale Augusto Pinochet, che era giunto al potere con colpo di stato della destra, violento, anti-socialista, sostenuto dagli USA in cui centinaia di esponenti della sinistra, incluso il presidente Salvador Allende, erano stati uccisi.   Il “diplomatico cileno” citato non poteva essere considerato un amico della Cina.

Non un giornale, una televisione o una stazione radio statunitense ha riferito o commentato questi cablo rilasciati da Wikileaks, né sulla storia del Telegraph su di loro.   E’ come se fossero caduti in un abisso senza fondo.

È perché i media qui pensano che il rapporto non sia credibile? No, di certo.
Sapevano la verità nel 1989.
Il New York Times sa che è credibile.   Il loro capo ufficio dell’epoca, Nicholas Kristof, lo ha confermato in un ampio articolo intitolato “China Update: How the Hardliners Won” [1]  , pubblicato nel Magazine del Sunday Times il 12 novembre 1989, cinque mesi dopo i presunti massacri nella piazza.

Proprio alla fine di questo lungo articolo, che intendeva fornire una visione dall’interno del dibattito all’interno del gruppo dirigente del Partito Comunista cinese, Kristof affermava categoricamente: “In base alle mie osservazioni nelle strade, né la versione ufficiale né molte delle versioni straniere sono del tutto corrette.   Non c’è stato alcun massacro in piazza Tienanmen, ad esempio, anche se ci sono stati una quantità di uccisioni altrove.”

Anche se l’articolo di Kristof era aspramente critico nei riguardi della Cina, la sua affermazione che non c’era stato “alcun massacro in piazza Tienanmen” suscitò immediatamente grida di protesta da parte dei criticoni della Cina negli USA, come rispecchiato nella rubrica delle lettere del Times.

C’è stato un combattimento a Pechino? Assolutamente.   Ma non c’è stato un massacro di studenti disarmati nella piazza.   Questa è stato un’invenzione dell’occidente, intesa a demonizzare il governo cinese e a guadagnare la simpatia del pubblico per la controrivoluzione.

La svolta verso un’economia di mercato sotto Deng Xiaoping ha allontanato molti lavoratori.   C’è stato anche un elemento controrivoluzionario che ha cercato di trarre vantaggio dal malcontento popolare per restaurare completamente il capitalismo.

Gli imperialisti avevano la speranza che le battaglie a Pechino avrebbero fatto cadere il Partito Comunista cinese e distrutto l’economia pianificata – analogamente a quanto sarebbe accaduto due anni dopo nell’Unione Sovietica.   Volevano che la Cina si “aprisse”, non alla verità, ma al saccheggio della proprietà popolare da parte della banche e delle corporation imperialiste.

Dopo molte esitazioni al vertice, l’esercito è stato mobilitato e la rivolta schiacciata.   La Cina non è stata smembrata come l’Unione Sovietica; la sua economia non è implosa né i livelli di vita hanno subito un declino.   Al contrario, salari e condizioni sociali sono migliorate in un momento in cui in ogni altro luogo i lavoratori hanno subito arretramenti per effetto di una grave crisi economica capitalista.

Nonostante profonde concessioni al capitalismo, all’esterno e all’interno, la Cina continua ad avere un’economia pianificata basata su forti infrastrutture di proprietà dello Stato.

[traduzione apparsa sul blog di Domenico Losurdo]



4 Marzo 2012
di Fabio Nobile, Consigliere Regionale della Federazione della Sinistra, Membro della Segreteria Nazionale PdCI | da www.oltreconfine.it

Quello che segue è l'intervento integrale del Consigliere Regionale del PdCI durante la Seduta n. 48 di Mercoledì 29 Febbraio 2012 della Regione Lazio, avente per oggetto la discussione di una risoluzione presentata dai Radicali Italiani e sostenuta da tutti i gruppi ad eccezione dei comunisti italiani.


Cari colleghi,
intervengo in questo dibattito su una mozione, quella sul Tibet, che rischia di affermare senza smentita di nessuno delle verità storiche assolutamente prive di fondamento.
Mi sorprende la superficialità con cui, soprattutto a sinistra, si affronta un tema così delicato prendendo parte in una contesa senza, credo, conoscere fino in fondo la storia e l’attualità di quella realtà.
La storia del Tibet è complessa, ma semplificando ha una storia connessa strettamente con quella cinese, da vedere nel 1578 il primo Dalailama della Storia essere designato dall’imperatore mongolo della Cina e dal 1727 essere parte integrante dei territori dell’impero cinese. Da quel momento in poi il Tibet è stato governato da un sistema feudale e atrocemente autoritario in cui il Dalai Lama rappresenta il Dio-Re sempre con la tutela degli imperi cinesi.

Nel 1904 la GB mandò un contingente di forze indiane in Tibet che occupò la regione. Dopo l’occupazione gli inglesi stabilirono rapporti con l’aristocrazia schiavista e monastica. Dopo la rivoluzione cinese del 1911 che porterà la nascita della repubblica, il Dalai Lama fuggì in Inghilterra.
Nonostante i tentativi separatisti incentivati dagli inglesi, il Tibet tornò ad essere considerato parte della Cina da tutte le mappe dell’epoca, l’indipendenza del 1912 non fu riconosciuta da nessuno Stato. I Lama continuarono a governare la Cina con la legittimazione del regime reazionario del Kuomintang.
Nel 1951 i cinesi completarono con le truppe di Mao il controllo sull’intero territorio nazionale che fino a quel momento, anche per le mappe occidentali, conteneva il Tibet. Per dire di che cosa stiamo parlando a chi a sinistra ha perso la memoria l’unità di allora scriveva: “Ancora oggi dopo l’accordo del 1951, il Tibet che si estende per circa un milione di km quadrati sul più alto altopiano del mondo, è retto autoritariamente dai monaci buddisti. E’ una società feudale, organizzata rigidamente a piramide, al vertice del quale è il Dalai Lama e alla cui base sono i servi della gleba.” Nel 1951 la Cina lasciò una larga autonomia al Tibet, un’autonomia portata al punto che la casta feudale non fu toccata. Quando nel 1959 si avviò la riforma agraria nei territori tibetani, fu organizzata la rivolta armata. Ma da chi?
 
Dal 1957 in poi, secondo documenti ufficiali della CIA, nella base Usa di camp Dale furono addestrati almeno 300 tibetani che parteciparono e furono paracadutati in Tibet per dar vita alla rivolta contro il Governo Cinese.
Evidentemente la spinta degli Usa aveva come obiettivo l’indebolimento della Cina in funzione anticomunista di fronte all’ormai dispiegata guerra fredda.
Da quella rivolta organizzata dall’esterno e sostenuta da chi rappresentava il potere feudale in decadenza che nasce la cosiddetta occupazione cinese, che in realtà ebbe un ampio sostegno della popolazione locale che vedeva in chi organizzava la rivolta il passato che tornava. Questo che dico è confermato anche da quanto scritto nel libro nero del comunismo che proprio su quel periodo rimprovera la popolazione tibetana di “essersi colpevolmente collegata con il regime comunista”. Lo stesso numero dei morti denunciati dall’ attuale Dalai Lama è discutibile. Patrick French, inglese, mentre era direttore della Free Tibet Campaign si accorse quei dati avevano subito delle falsificazioni estremamente pesanti. Si dimise dal suo incarico affermando che se quelli denunciati dal Dalai Lama fossero stati numeri veri, la quasi intera popolazione del Tibet in quel periodo sarebbe dovuta essere scomparsa. E dopo quarant’anni sarebbe stato difficile veder raddoppiare la popolazione.
 
Il sistema che vigeva sotto il Dalai Lama vedeva la maggior parte della popolazione lavorare come servi della gleba per i monasteri e circa 200 famiglie nobiliari. I servi non potevano sposarsi senza il consenso del padrone. Ogni aspetto della vita era regolato da rigide forme tributarie classiche del sistema feudale. Le mutilazioni, le torture, le più atroci pratiche punitive erano riservate a chi dissentiva dal potere.
Dopo quella che viene definita occupazione fu abolita la schiavitù della servitù della gleba, furono costruiti i soli ospedali esistenti ed un nuovo sistema educativo che rompesse l’esclusività dei monasteri, su questa la laicità dei radicali dovrebbe avere almeno ascolto. Fu costruito un sistema di irrigazione e portata l’energia elettrica a Lhasa, nella capitale. Fu abolito il sistema delle flagellazioni, mutilazioni e amputazioni compiute dalle autorità religiose come strumenti punitivi.. Nelle zone della pastorizia le greggi furono affidate alle comuni povere.
 
Ma l’autonomia della regione è stata perseguita con grande forza che oggi vede il fatto che si tratta di una regione bilingue ed in cui i tibetani sono privilegiati nell’accesso ai servizi ed agli incarichi pubblici. Come ha affermato nel 1998, pur formulando critiche, Foreign Affairs, la rivista americana vicina al Dipartimento di Stato, con un articolo di Melvyn C. Goldstein ha affermato riconoscimenti importanti: nella Regione Autonoma Tibetana il 60-70% dei funzionari sono di etnia tibetana e vige la pratica del bilinguismo.
 
La crescita economica della regione è stata enorme con investimenti in infrastrutture e uno sviluppo che dalla metà degli anni ’90 ha raggiunto il 13perc ento. Bisogna anche ricordare che la speranza di vita è passata dai 35 anni dell’poca prerivoluzione ai 70 anni di oggi.
Nel 2001 la Repubblica popolare ha investito 65 miliardi di dollari in progetti che hanno portato ad un ulteriore sviluppo dell’area.
E’ lungi da me l’idea di essere avvocato difensore della Cina e anche dei grandi limiti e contraddizioni che quel Paese ha, ma non è oggi questo in discussione. Semplicemente quello che vorrei inserire nella riflessione del Consiglio sono alcuni elementi di verità.
In questo senso la presentazione ad esempio del Dalai Lama quale sorta di Papa buddista è smentito dai fatti. Dalla contestazione subita nel 1992 dalla più grande organizzazione buddista presente in Gran Bretagna e semplicemente dal fatto che esso rappresenta 1/60 del buddismo mondiale, nello specifico quella dei cosiddetti berretti gialli.
 
Ora tante sono le questioni che potrei trattare a sostegno di una tesi che in sostanza chiarisce quanto distante sia la battaglia per il Tibet da quella per i diritti umani. Il Sostegno occidentale è legato alla guerra fredda prima e agli interessi economici ( il Tibet ha molte materie prime e oltre ad essere la riserva d’acqua più importante del mondo visto che da li nascono i 7 fiumi più importanti dell’Asia) e geo strategici rappresentati dal tetto del mondo. E’ evidente che il terreno dell’indebolimento della potenza cinese resta lo scopo di tanto umanitarismo. Resta di difficile comprensione la difesa dell’approccio confessionale del Lama tibetano da parte di chi come i radicali fanno della laicità una loro battaglia. Laicità che ovviamente per quanto ci riguarda contiene il diritto a tutte le espressioni religiose.
 
Resta veramente incredibile vedere tanto unanimismo nella difesa dei lontani e santificati monaci tibetani e non riuscire a fare la stessa cosa sulla Palestina dove l’occupazione militare da parte d’Israele è talmente evidente che lo affermano risoluzioni dell’ONU e solo la menzogna sfacciata del potere la può negare. Oppure quanti bombardamenti e occupazioni militari come in Afghanistan, il Libia, in Iraq e l’elenco è lungo, vengono giustificati in nome della libertà e una questione così complessa come il Tibet viene semplificata e trattata come una lotta tra popolo oppresso e oppressore. Crediamo che le tensioni in Tibet vadano superate e aiutate a superarsi, certamente non lo si fa appendendo la bandiera di uno dei contendenti fuori dalla un istituzione importante come la Regione Lazio, questo rischia solo di approfondire i problemi. Se così si farà chiediamo sin da subito che in date precise che indicheremo sventolino le bandiere della Palestina, del Kurdistan e di tutto quei popoli dei cui destini molti di quelli che oggi sono qui si disinteressano e continueranno a farlo.




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