(pagine in costruzione)


SLOBODAN MILOŠEVIĆ (1941-2006):
UN LEADER JUGOSLAVO


COMMENTI, ANALISI ED ALTRI TESTI
SUL "TRIBUNALE AD HOC"
E LA FIGURA DI CARLA DEL PONTE


I LINK



J. Cadima: Milosevic e l'attualità. La via della guerra è un enorme pericolo (2016)

Le Tribunal Pénal International pour l’ex-Yougoslavie: essai de bilan
par Robert Charvin, 2 Mai 2016 (Source: Investig’Action)
1. La confusion juridique originaire du TPY / 2. Le T.P.I.Y, un allié stratégique d’une partie belligérante / 3. L’autonomie relative du T.P.Y vis-à-vis de l’OTAN et de l’ONU / 4. Un humanisme sélectif

Radovan Karadzic condannato a 40 anni di carcere
di Pacifico Scamardella (CIVG, 3 aprile 2016 – anche su JUGOINFO)

Diritto e ... rovescio internazionale nel caso jugoslavo
di Andrea Martocchia, segretario Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS (su Marx21 n.1/2015)
Flashback / Diritto, adieu / La notizia più recente / Il Kosovo e la missione EULEX / Altri aspetti dello stato di illegalità in Kosovo / Il caso Jelisić / La magistratura come prosecuzione della guerra con altri mezzi

Milosevic's death: political assassination blamed on victim       
By Sara Flounders (Co-Director, International Action Center, NYC, 16/3/2006)

The Milosevic Case
John Catalinotto Interviews Sara Flounders (Swans - March 27, 2006)  


ARCHIVIO DOCUMENTAZIONE ICDSM-ITALIA
contenente le cronache dal "Tribunale ad hoc" censurate dai media
e le prove che la morte di Milošević è stata perseguita lucidamente dalla "Corte" per anni


LE RISORGIVE CARSICHE DI PETER HANDKE
Considerazioni sui pensieri di Handke in merito al suo incontro con Milosevic nella galera dell'Aia
di Italo Slavo - luglio 2005

SREBRENICA: PREMIATO ALL'AIA IL RESPONSABILE DEI MORTI SERBI
Pieni voti per il criminale di guerra Nasir Oric (JUGOINFO 4 luglio 2008)

GRAVEYARD HUMOR IN BELGRADE
with an important section on Vojislav Seselj' "trial" and the ICTY
By Diana Johnstone - Counterpunch / Global Research, May 23, 2012
  - also on JUGOINFO

INTRODUZIONE del prof. Aldo Bernardini
al volume: Srebrenica. Come sono andate veramente le cose (ed. Zambon, 2012)
con importanti considerazioni sulla farsa delle nuove "Norimberga"


IL "PROCESSO" A MILOSEVIC E LA VERA NATURA DEL "TRIBUNALE AD HOC" DELL'AIA: I LIBRI ED ALTRI LINK


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PsyOp anti-Milošević nei paesi NATO, primavera 1999



INDICE


Processo Milosevic: un "processo alle intenzioni"

Elementi per un profilo di Carla Del Ponte

La morte di Milosevic e il sistema di propaganda dei media

"Giano" e la Jugoslavia

Russia to insist on closing International Tribunal for Yugoslavia / The Hague: A Lethally Dangerous Place / Moscow demands abolition of Hague Tribunal
 (2006-2010)


Tentato assassinio di Radislav Krstic nella prigione di Wakefield / Voices of Concern for the Treatment of International Political Prisoners

International Criminal Law - From Justice to Oppression - by Christopher Black (17 July 2011)

MILOSEVIC, SADDAM, GHEDDAFI: GIUSTIZIA DEL LINCIAGGIO E GEOPOLITICA - di Hannes Hofbauer (27.10.2011)

Giustizia selettiva / Selective Justice - by David Harland (NYT, December 7, 2012)

Goran Jelisic, imputato del Tribunale Speciale - di A. Martocchia, giugno 2014

 



Il saggio seguente è apparso nel volume In difesa della Jugoslavia” (Zambon 2005)



Processo Milosevic: un "processo alle intenzioni"


a cura di ICDSM-Italia (Sezione Italiana del Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic)



Con il discorso che in questo libro riproduciamo, il 31 agosto 2004 ha avuto inizio la fase detta della "difesa" nel "processo" intentato contro Slobodan Milosevic (1) presso il "Tribunale ad hoc per i crimini commessi sul territorio della ex Jugoslavia" dell'Aia, in Olanda - abbreviato: TPIJ. (2)

Al Presidente Milosevic sono stati concessi solo 150 giorni "netti" per la presentazione della sua difesa: solo la metà del tempo usato dalla "accusa" per i tre "capi di imputazione" - per le guerre in Croazia, in Bosnia ed in Kosovo. Mentre scriviamo, il "processo di difesa" è in pieno svolgimento; la sua conclusione è all'incirca prevista per la primavera 2006; il "verdetto" dovrebbe seguire di alcuni mesi.
Già nel corso della fase "della accusa", comunque, è risultato evidente come, il "processo", non riuscendo di fatto a dimostrare la colpevolezza dell'ex presidente, sia un clamoroso fallimento e dunque motivo di estremo imbarazzo e preoccupazione per gli sponsor del TPIJ. Contro Milosevic il "tribunale" ha infatti usato ogni mezzo di pressione politica, mediatica e fisica (a causa del suo stato di salute e di cure inappropriate): malgrado tutto ciò, gli accusatori ed i giudici non sono riusciti spezzare la difesa di Milosevic.

La natura del "Tribunale ad hoc"

Il caso del TPIJ chiarisce molto bene la collateralità di certe neonate istituzioni penali internazionali ai progetti egemonici dei paesi imperialisti. Il TPIJ è stato fondato nel 1993 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per l'insistenza di Madeleine Albright (3). Il normale canale per creare un Tribunale come questo, come a suo tempo ha puntualizzato lo stesso Segretario Generale dell'ONU, avrebbe dovuto essere "un Trattato Internazionale stabilito ed approvato dagli Stati Membri che avrebbero permesso al Tribunale di esercitare in pieno nell'ambito della loro sovranità". (4) Tuttavia, Washington ha imposto un'interpretazione arbitraria del Cap.VII della Carta delle Nazioni Unite, che consente al Consiglio di Sicurezza di prendere "misure speciali" per restaurare la pace in sede internazionale. Perciò il "Tribunale ad hoc" è una struttura illegittima e para-legale.

Esso è finanziato dai paesi della NATO, e soprattutto dagli USA (5), in maniera diretta oltreché attraverso l'ONU, ma anche da altri paesi non proprio neutrali nella problematica jugoslava, come l'Arabia Saudita, nonché da enti "non-governativi" e personaggi "privati", come George Soros. Per farsi una idea di quali forze muovano questa istituzione para-legale da dietro le quinte, è forse sufficiente guardare ai curricola di alcuni dei protagonisti. L'attuale presidente del "Tribunale ad hoc", Theodor Meron, già ambasciatore di Israele in Canada (sic), era stato nient'altro che l'inviato di Bill Clinton alla Conferenza di Roma per la istituzione del Tribunale Penale Internazionale (TPI), nel 1998: fu cioè il principale responsabile del sabotaggio, da parte USA, della istituzione di un TPI che fosse realmente super partes ed avesse competenze generali - non solo "ad hoc" per la Jugoslavia o per il Ruanda... La "procuratrice" Carla Del Ponte, dal canto suo, è da tempo al centro di polemiche in Svizzera per lo strano modo con cui ha condotto importanti inchieste, ad esempio quella sul narcotrafficante Escobar junior; si veda anche la clamorosa intervista rilasciata a Jürgen Elsässer dal testimone-chiave nella vicenda Mabetex/Pacolli, Felipe Turover, che ha accusato la Del Ponte di avere insabbiato l'inchiesta e di aver messo a repentaglio la vita dei testimoni. (6)

Il sostegno della NATO al TPIJ è particolarmente indicativo delle vere finalità di questa struttura para-giudiziaria. Secondo Jamie Shea, portavoce della NATO durante la aggressione di questa contro la Repubblica Federale di Jugoslavia (RFJ) nel 1999, "la NATO è amica del Tribunale, è la NATO che detiene per conto del Tribunale i criminali di guerra sotto accusa... Sono i paesi della NATO che hanno procurato i fondi per istituire il Tribunale, noi siamo tra i più grandi finanziatori." (7) Oltre ad attestare il sostegno finanziario e la "amicizia" della NATO - proprio mentre questa bombardava i convogli di profughi ed il petrolchimico di Pancevo - Jamie Shea rivendica dunque ad essa il ruolo di "polizia giudiziaria". La quale, come s'è visto in decine di occasioni, specialmente in Bosnia ma anche nel caso di Milosevic, opera attraverso colpi di mano e rapimenti, nel corso dei quali alcuni "sospetti" sono stati persino uccisi - mentre diversi serbi-bosniaci detenuti all'Aja sono deceduti per presunti infarti e suicidi.
Il "Tribunale ad hoc" dell'Aja ha sistematicamente dichiarato il non luogo a procedere per le documentate accuse di crimini di guerra mosse da varie parti alla NATO.

La sproporzione tra le incriminazioni nei confronti di esponenti serbi rispetto a quelle di croati, kosovari albanesi e bosniaci musulmani, responsabili di gravi crimini, è resa evidente dai numeri. (8) Ancor più evidente è il fatto che dei tanti "imputati", gli unici con responsabilità eminentemente politiche siano appartenenti alla parte serba - Milosevic, Milutinovic, Karadzic - mentre i leader delle fazioni secessioniste sono stati tutti indistintamente "risparmiati" nonostante (ad esempio) i loro torbidissimi trascorsi. (9)

La "giustizia" del "Tribunale ad hoc" è dunque quella di una parte in causa contro l'altra: il contrario esatto del super partes. Il TPIJ, analogamente al famigerato Tribunale Speciale dell'Italia fascista, è uno strumento politico totalmente sotto controllo dei vincitori, cioè degli aggressori, devastatori ed invasori della Jugoslavia.

Noti giuristi e commentatori hanno spiegato come, nel suo funzionamento, il TPIJ violi tutti i principi del diritto internazionale. In sostanza, esso non rispetta la separazione dei poteri, né la parità fra accusa e difesa, né tantomeno la presunzione di innocenza finché non si giunge ad una condanna: la regola 92 del TPIJ stabilisce che le confessioni siano ritenute credibili, a meno che l'accusato possa provare il contrario, mentre in qualsiasi altra parte del mondo l'accusato è ritenuto innocente fino a quando non sia provata la sua colpevolezza. Il TPIJ formula i propri regolamenti e li modifica su ordine del Presidente o del Procuratore, assegnando ad essi carattere retroattivo: attraverso una procedura totalmente ridicola, il Presidente può apportare variazioni di sua propria iniziativa e ratificarle via fax ad altri giudici (regola 6). Il regolamento stesso non contempla un giudice per le indagini preliminari che investighi sulle accuse. Il "Tribunale ad hoc" utilizza testimoni anonimi, che si possono dunque sottrarre a verifiche da parte della difesa; secreta le fonti testimoniali, che possono essere anche servizi segreti di paesi coinvolti nei fatti. Esso usa la segretezza anche sui procedimenti aperti (regola 53); ricusa o rifiuta a proprio arbitrio di ascoltare gli avvocati della difesa (regola 46), allo stesso modo dei tribunali dell'Inquisizione; può rifiutare agli avvocati di consultare documentazione probatoria (regola 66); può detenere sospetti per novanta giorni prima di formulare imputazioni, con l'evidente scopo di estorcere confessioni. Dulcis in fundo, i giudici si arrogano persino il diritto, d'accordo con la "pubblica accusa", di revisionare la trascrizione del dibattimento, censurandola allo scopo di impedire la divulgazione di quegli interventi di Milosevic considerati "ad uso esterno" e dunque irrilevanti o inopportuni per gli Atti del "processo".

L'imputazione contro l'allora Presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia Slobodan Milosevic veniva resa pubblica dall'allora "procuratrice" Arbour su pressione di Madeleine Albright, proprio durante i bombardamenti della NATO nella primavera del 1999, nell'ambito della campagna mediatica di demonizzazione della Jugoslavia e dei suoi dirigenti che ha accompagnato la aggressione militare. Un tassello, insomma, della più ampia operazione di disinformazione strategica e guerra psicologica. (10)
Per la effettiva cattura di Milosevic, però, dovevano maturare le condizioni politiche in Jugoslavia.

Questo cambiamento è avvenuto solo nell'autunno del 2000, quando a Belgrado si è instaurato il regime-fantoccio filo-occidentale. Tra gli Allegati di questo libro riproduciamo il discorso tenuto dall'allora presidente jugoslavo in vista del turno di ballottaggio alle elezioni presidenziali, tre giorni prima del colpo di Stato che, il 5 ottobre del 2000, portò al potere le destre filo-occidentali. Il ballottaggio non si potè svolgere, visto che, tra l'altro, le schede elettorali del primo turno vennero "opportunamente" distrutte nell'assalto e nell'incendio dei locali del Parlamento da parte di alcune decine di teppisti. Nei giorni successivi furono attaccate le sedi dei partiti della sinistra e dei sindacati, e molti militanti verranno fatti oggetto di vigliacche aggressioni. (11) Nel discorso che riproduciamo nell'Allegato 2, Milosevic pronosticava, nel caso di un passaggio dei poteri alla coalizione liberista DOS, gravi conseguenze per il paese sia dal punto di vista politico-istituzionale, sia da quello economico sociale. Ad anni di distanza, tutte le previsioni di Milosevic risultano purtroppo verificate: lo Stato jugoslavo non esiste più, essendo stato trasformato in una precaria "Unione di Serbia e Montenegro" destinata ad ulteriormente disgregarsi, e l'economia versa tuttora in una crisi profonda, poichè l'apertura al capitale straniero non ha portato alcun beneficio alla produzione bensí solo dismissioni e decomposizione. La disoccupazione e la povertà in Serbia e Montenegro sono oggi generalizzate.

Il rapimento di Milosevic

La rocambolesca cattura di Milosevic è avvenuta mesi dopo il golpe, il 31 marzo 2001: in cambio, al nuovo governo sono stati accordati 50 milioni di dollari dagli USA. I dirigenti belgradesi, per ottemperare ai ricatti militari ed economici degli USA, della Nato e del Tribunale dell'Aja, hanno commesso una serie di macroscopiche illegalità. Milosevic è stato detenuto per tre mesi senza che nessuno delle centinaia di testimoni ascoltati avesse fornito prove a sostegno della pretestuosa imputazione di "abuso di potere" (diversa da quella di "crimini di guerra" usata all'Aia). Al termine delle due proroghe della detenzione preventiva, Milosevic avrebbe dovuto essere scarcerato; invece, un ulteriore scandalo è stata la modalità della sua "estradizione" da Belgrado in Olanda, tramite una operazione-lampo illegale ed anticostituzionale curata dai settori più filo-americani del governo di Zoran Djindjic (12). Il sequestro ed il trasporto all'Aia su velivoli della RAF inglese avveniva in base a un decreto del solo premier e del ministro degli interni, con un governo dimezzato dal ritiro dei ministri montenegrini; un decreto che violava, insieme alle Costituzioni jugoslava e serba (13), la posizione del Parlamento Federale nonché l'orientamento dei partner di maggioranza e dello stesso presidente jugoslavo Kostunica. Il giorno dopo il trasferimento di Milosevic, i governanti jugoslavi ottenevano il loro ulteriore premio: la promessa (sic) di 1.360 milioni di dollari, stanziati dalla "Conferenza dei donatori" alla condizione della totale privatizzazione dell'economia nazionale.

All'Aia, Milosevic ha da subito tenuto un atteggiamento fermo ed inequivocabile: si dichiara prigioniero politico, non riconosce legittimità al "Tribunale ad hoc" (14) e rifiuta di essere assistito da avvocati, compresi quelli designati "d'ufficio" dal "Tribunale" stesso (15). Le prime udienze - tra luglio 2001 e gennaio 2002 - sono state dedicate a problemi procedurali, ma Milosevic non ha mancato di dire la sua ogni volta che gli è stato concesso di parlare, e fintantoché il microfono non gli è stato spento in malo modo.
Il 29 ottobre 2001, ad esempio, dopo la lettura della "imputazione sulla Croazia" ha detto testualmente:

"È assurdo accusare la Serbia ed i serbi per la secessione armata della Croazia, che ha causato una guerra civile, conflitti e sofferenze per la popolazione civile."
Il giorno dopo, commentando "l'imputazione sul Kosovo", egli ha fatto notare che essa "riguarda solamente fatti avvenuti dal 24 marzo alla fine della prima settimana di giugno [1999], laddove (...) tutto il pianeta sa che è proprio dal 24 marzo fino alla prima settimana di giugno compresa che la Nato ha commesso la sua criminale aggressione contro la Jugoslavia. (...) Se la corte non vuole prendere in considerazione questi fatti, allora è ovvio che questa non è una corte ma solamente una parte del meccanismo atto ad eseguire crimini contro il mio paese e la mia gente. Se quest'ultimo è il caso (...) e dunque se la corte è parte dell'ingranaggio, allora per piacere, date lettura ai verdetti che vi è stato detto di formulare e smettetela di annoiarmi."

Dopo la lettura del "capo d'imputazione" sulla Bosnia-Erzegovina, Milosevic dichiarava invece: "Questo testo miserabile che abbiamo qui ascoltato è l'apice dell'assurdità. Devono darmi credito per la pace in Bosnia, e non per la guerra. La responsabilità per la guerra in Bosnia è delle potenze che hanno distrutto la Jugoslavia e dei loro satrapi in Jugoslavia, e non della Serbia, né del suo popolo, né della sua politica. Questo è un tentativo..." Qui il microfono veniva spento.

Ancora, in dicembre, Milosevic si richiamava a fatti di estrema attualità:

"Per me è assolutamente chiaro il motivo per cui questo falso pubblico ministero insiste sulla unificazione [dei tre "capi d'accusa"]. La causa di questo è l'11 Settembre. Loro vogliono mettere in secondo piano le accuse contro di me sul Kosovo perché queste inevitabilmente aprono la questione della collaborazione della amministrazione Clinton con i terroristi nel Kosovo, compresa la organizzazione di Bin Laden. (...) Quello che si può trovare sotto la superficie di questi "capi d'imputazione" non sono altro che i detriti ed il fango di dieci anni di guerra mediatica, condotta con l'obiettivo di demonizzare sia la Serbia, sia il popolo serbo e la sua dirigenza, ed anche me personalmente, e addirittura la mia famiglia. Perché la guerra mediatica ha preceduto quella reale, ed ha avuto come obiettivo quello di convincere l'opinione pubblica occidentale che siamo delinquenti, anche se non abbiamo mai dato argomenti per avvalorare questo. Voi oggi avete letto qui che il 6 Aprile 1992 l'Unione Europea riconobbe la Bosnia-Erzegovina. Questo è stato fatto sotto l'influenza dell'allora Ministro degli Esteri tedesco Hans Dietrich Genscher, perchè il 6 Aprile era il giorno in cui nel 1941 Hitler attaccò la Jugoslavia bombardando Belgrado. C'era un desiderio di simboleggiare, in questo modo, il capovolgimento degli esiti della II Guerra Mondiale."

Il 30 gennaio 2002, Slobodan Milosevic aveva nuovamente l'occasione di parlare dinanzi alla "corte" dell'Aia:

"In realtà c'era un piano evidente contro quello Stato di allora che era, direi, un modello per il futuro federalismo europeo. Quello Stato era la Jugoslavia, dove più nazionalità erano comprese in un sistema federativo che realizzava la possibilità di vivere con pari diritti, con successo, con la possibilità di prosperare, svilupparsi e, direi, di essere d'esempio al mondo intero di come si può vivere insieme. Per tutto il tempo abbiamo lottato per la Jugoslavia, per conservare la Jugoslavia. In fondo, tutti i fatti comprovano soltanto quello che sto dicendo. E soltanto la Repubblica Federale di Jugoslavia tuttora esistente ha conservato la sua struttura dal punto di vista delle nazionalità.
(...) Con ciò che sta avvenendo li' [in Kosovo] si sta in pratica riabilitando la politica del periodo nazista, di Hitler e Mussolini. Questo grande parlare di "Grande Serbia", di questa presunta idea che non è mai esistita, non serve altro che a mascherare la creazione di una "Grande Albania" - quella stessa che crearono Hitler e Mussolini durante la Seconda Guerra Mondiale. Guardate soltanto quello schema, e guardate che cosa si sta facendo adesso, quello che vogliono sottrarre alla Serbia, al Montenegro ed alla Macedonia - e un domani forse anche alla Grecia del Nord, quando le relazioni greco-turche saranno messe alla prova di nuovo per ordine del comune padrone, ed anche quella sarà per loro una questione da risolvere."

Milosevic, uomo politico di orientamento socialista riformatore, parla qui chiaramente della Jugoslavia di Tito... e la difende! Parla di un paese nel quale si rifuggiva sia da uno jugoslavismo sovranazionale "artificiale", sia dal nazionalismo separatista, a favore di una cultura di sintesi, pluralista, propriamente jugoslava, in grado di riunire le preesistenti culture in una nuova, dinamica identità, adatta ad uno Stato fondato sui diritti di cittadinanza e non - come è purtroppo oggi - sulle identità etniche o religiose. (16)

Il dibattimento e la sua "rimozione" mediatica

Dopo alcune incertezze legate alla intenzione della "procuratrice" Del Ponte di unificare i tre procedimenti sul Kosovo, sulla Croazia e sulla Bosnia, il "processo" a Milosevic è stato effettivamente unificato ed è iniziato il 12 febbraio 2002. Da allora i mass-media, dopo le prime giornate-shock, hanno abbassato il sipario - gradualmente, ma completamente. In Jugoslavia, le autorità hanno dapprima impedito il proseguimento della diretta televisiva, poi hanno operato per isolare Milosevic in ogni maniera.

Di fatto, l'ondata repressiva scatenata con lo "stato d'emergenza" ("Operazione Sciabola") proclamato in Serbia dopo il misterioso omicidio Djindjic (primavera 2003, nel pieno della "fase della accusa" nel TPIJ) è servita anche ad impedire l'opera dei collaboratori di Milosevic, vicini alla Associazione Sloboda (17) che lo assiste; e per questo molti osservatori ritengono che lo "stato d'emergenza" sia stato deciso di comune accordo con il governo DOS da chi "muove i fili" all'Aia.
Per tutto il tempo, inoltre, in Serbia è proseguito un vero e proprio linciaggio mediatico ai danni di Milosevic e della sua famiglia, da parte dei mezzi di informazione, oramai tutti in mano al capitale straniero (anglosassone-sorosiano, ma anche e soprattutto tedesco: ad esempio il maggiore quotidiano, Politika, è adesso in mano alla cordata Westdeutsche Allgemeine Zeitung di Bodo Hombach). La campagna diffamatoria è basata su accuse, pettegolezzi ed allusioni di tutti i tipi; i famigliari di Milosevic, temendo il peggio (in Serbia dal 2000 si susseguono gli omicidi politici), sono stati costretti ad abbandonare il paese. (18)

In aula, nella "fase della accusa" l'atmosfera era surreale. Nel confronto con i testimoni dell‘“accusa“, Milosevic agevolmente rovesciava le imputazioni, spesso mettendo i testimoni stessi in contraddizione: tanto che qualcuno di questi ritrattava, qualcun altro rinunciava a deporre, qualcuno si sentiva male, qualcuno si rendeva conto che la sua deposizione in fase istruttoria era stata falsificata... In tutti questi mesi ed anni di dibattimento, giorno dopo giorno, battuta dopo battuta, la "triplice accusa" a Milosevic - pomposamente riassunta nella formula: "impresa criminale congiunta" (joint criminal enterprise) - si è dimostrata essere un vero e proprio "processo alle intenzioni", come recita una felice locuzione della lingua italiana: nient'altro che un teorema, cioè, basato su ipotesi iniziali non dimostrate, frutto di falsificazioni macroscopiche e/o di elucubrazioni su di una presunta "catena di comando" con Milosevic al vertice.

Ribaltando completamente il "tavolo da gioco", Milosevic ha però messo la stessa NATO sul banco degli imputati come prima responsabile non solo dei bombardamenti, ma proprio dell'infame squartamento della RFS di Jugoslavia, ripercorrendo gli atti diplomatici, politici e militari a vari livelli compiuti dai paesi dell'Alleanza. I fatti in proposito citati da Milosevic nel corso del dibattimento, e rielencati in forma organica nel testo centrale di questo libro, sono tutti fatti storici, ormai, benché vengano sostanzialmente ignorati o minimizzati dai commentatori occidentali e filo-occidentali. Sono fatti incontrovertibili, e Milosevic, mentre ripercorre pagine e pagine di storia balcanica e mondiale, dinanzi alla "Corte" ne scrive a tutti gli effetti una nuova, con grande dignità, pur nel completo isolamento, con troppi avversari e solo pochi amici attorno, e nella astiosa disattenzione dei "balcanologi" di ogni sorta.

L'obiettivo degli sponsor del "Tribunale ad hoc" - cioè fare di Milosevic il capro espiatorio esclusivo e "conclusivo" per le tragedie jugoslave a cavallo dei due millenni - può essere conseguito solamente nella misura in cui le opinioni pubbliche restino ignare di ciò che viene effettivamente detto nell'aula dell'Aia. L'operazione di "scaricamento" delle responsabilità in toto sulla figura di Milosevic, attraverso l'intera costruzione del processo-farsa, rappresenta di per se stessa un enorme tentativo di rimozione: essa vuole offrire ai veri responsabili del magnum crimen (la distruzione della Jugoslavia e la guerra) l‘opportunità di risciacquarsi la coscienza, autoassolversi, financo sottrarsi al pagamento dei danni dei bombardamenti. Ma tale abnorme, disonesta operazione può avere successo solamente se, a sua volta, sul dibattimento dell‘Aia sia fatto sostanzialmente calare il sipario, non ne sia data cioè alcuna cronaca, cosicchè tanto ostentato sforzo di ricerca "della verità sui crimini della guerra in Jugoslavia", tanto materiale accumulato, rimanga inutilizzato da giornalisti, commentatori, studiosi, storici... È una rimozione dentro l'altra, in un gioco di scatole cinesi: come la cancellazione della Jugoslavia dalle cartine geografiche, ed analogamente all‘oblio imposto sui bombardamenti NATO e su tanti altri episodi-chiave, così pure i momenti salienti del "processo" a Milosevic vengono ignorati dai media. Questo silenzio giornalistico, in quanto ulteriore momento della campagna strategica di disinformazione che ha accompagnato la guerra di squartamento della Jugoslavia, è il peggiore nemico di questo paese e delle popolazioni che la abitano, ed è, con tutta evidenza, l'arma più micidiale adoperata in questa triste fase storica contro di esse.

Perciò nessuno ha riportato i dettagli del confronto in aula tra Milosevic e Stipe Mesic, attuale presidente croato ed ex uomo di Tudjman, né quelli del confronto con l'ex presidente della Slovenia Milan Kucan, benché riguardassero i momenti cruciali e drammatici dello scoppio della guerra fratricida nel 1991. Nessuna cronaca è stata fatta della testimonianza di Zoran Lilic, probabilmente la più importante nel “processo“ visto che Lilic fu addirittura presidente della RF di Jugoslavia mentre Milosevic era presidente della Serbia; non si è parlato della deposizione di un uomo dei servizi, Rade Markovic, chiamato come testimone dell'accusa ma che poi, in aula, ha dato ragione a Milosevic ed ha dichiarato di essere stato sottoposto a pesanti pressioni dal governo serbo attuale affinché dichiarasse il falso; nessuno ha commentato nemmeno il confronto con il “nonviolento kosovaro“ (19) Ibrahim Rugova; per non parlare poi degli interventi in aula di diplomatici e politici occidentali, o dei ridicoli spettacoli offerti da falsi esperti di storia, facilmente sbugiardati da Milosevic nel corso di tutta la "fase dell'accusa".

Negli ultimi mesi, dedicati alla replica dell'accusato, si sono svolte numerose importantissime sedute: come ci aspettavamo, purtroppo, i nostri media non ne hanno riportato neanche l'eco.

La fase della "autodifesa"

Il 5 luglio 2004, l'ex Segretario di Stato USA Madeleine Albright faceva visita al "Tribunale". Da quel momento, la dirigenza della politica estera USA dava inizio in modo pesante ad una campagna mediatica mirata ad imporre restrizioni al diritto del Presidente Milosevic all'autodifesa personale.

Il 31 agosto ed il 1 settembre 2004, il Presidente Milosevic ha presentato la sua dichiarazione in apertura del "processo di difesa" - che qui riproduciamo per la prima volta in lingua italiana.
In seguito, prima che il Presidente Milosevic fosse in grado di produrre il suo primo testimone (di circa 1600 da lui citati), il 2 settembre 2004 la "Corte" prendeva una decisione senza precedenti sottraendo al Presidente Milosevic il diritto a difendersi in prima persona ed imponendogli un "avvocato difensore" contro la sua volontà. I britannici ex "amici curiae" (collaboratori del Tribunale), Stephen Kay e Gillian Higgins, venivano "imposti d'ufficio" dalla "Corte" come difensori del Presidente Milosevic, (20) in modo da tenere sotto controllo la conduzione del "processo di difesa", a partire dalle deposizioni dei testimoni. La partecipazione del Presidente Milosevic al suo stesso "processo" veniva ridotta alla possibilità di presentare ai testimoni domande "addizionali", dopo la loro deposizione e solo dopo avere ricevuto il permesso dai "giudici". (21)

Il 29 settembre 2004, Kay ed Higgins – solo dopo aver affrontato l'opposizione più energica possibile da parte del Presidente Milosevic – presentavano appello davanti alla "Corte d'Appello" del Tribunale contro il loro essere stati imposti, fingendo dunque di condividere la posizione del Presidente Milosevic. Ma il loro comportamento concreto rendeva evidente il contrario: tanto che essi prendevano contatto, di propria iniziativa, con le persone indicate come testimoni nell'elenco predisposto da Milosevic. Contemporaneamente, più di un centinaio di questi possibili testimoni dichiaravano di non essere disposti a testimoniare, a meno che non venisse ripristinato il diritto del Presidente Milosevic all'autodifesa personale. Il 18 ottobre 2004, l'avvocato Kay dichiarava alla "corte" che più di 90 dei testimoni che egli aveva cercato di contattare, avevano rifiutato di testimoniare, date le attuali circostanze. Inoltre, Kay aggiungeva che era stato fatto ogni sforzo per convincere i testimoni a venire in "Tribunale", e non obiettava nulla al "Giudice Presidente" Robinson che notificava l'ordine di comparizione davanti alla Corte ai testimoni "reticenti": si dimostrava così una volta di più che Kay ed Higgins sono completamente dalla parte del Tribunale, e che il loro atteggiamento è del tutto ostile a Milosevic.

Tra i tanti testimoni che hanno boicottato questa "corte" illegale, va ricordata la posizione netta di Peter Handke - uno dei più grandi scrittori tedeschi contemporanei, che conosce benissimo la situazione jugoslava tanto da avere scritto numerosi testi in proposito negli ultimi anni. Handke ha rinunciato a comparire come testimone perchè non riconosce la legittimità di quello che egli chiama il "Grande Tribunale":

<<La Giustizia è la Giustizia, è stata la dichiarazione di uno degli attuali, episodici, fittizi detentori del potere in Serbia, dichiarazione con la quale egli ha salutato il Tribunale Internazionale e lo ha sostenuto. No, la Giustizia non è la Giustizia. Ed "un testimone è un testimone?" No, un testimone non è un testimone. Al limite, io mi considero un testimone di passaggio. Ed uno così - forse non è il niente, ma certo è niente per il Tribunale. (...) La mia "intima convinzione" mi porta non solo a ritenere che Slobodan Milosevic sia di fronte alla corte sbagliata, ma anche che egli sia - "innocente" proprio no (questa, come ho già detto, non è cosa che mi riguardi), ma sicuramente: "non colpevole nel senso dell'accusa", e neanche nel senso dell'organizzazione del processo.>> (22)

Probabilmente a causa di questa eclatante forma di boicottaggio dei testimoni, e per la intransigenza del Presidente Milosevic, il 1 novembre 2004 la "Corte di Appello" emetteva una sentenza in base alla quale bisognava modificare le modalità di conduzione del "processo di difesa". Milosevic avrebbe potuto condurre da solo la propria difesa, ma "la presenza di un Collegio di Difesa Assegnato consentirebbe al processo di continuare anche nel caso in cui Milosevic si trovasse temporaneamente non in grado di parteciparvi." Ad un più attento esame, questa sentenza della "Corte di Appello", che a prima vista sembra una quasi-vittoria per Milosevic, consente in effetti una violazione ancora peggiore dei diritti dell'"imputato", in quanto pone le fondamenta del dibattimento in absentia (il processo può cioè continuare anche in assenza dell'imputato).

Prima che venisse ripristinato il diritto del Presidente Milosevic a condurre direttamente la sua difesa, il "Collegio di Difesa Assegnato" (cioè la coppia Kay-Higgins) aveva già condotto in aula cinque testimoni tra quelli dell'elenco: Smilja Avramov, ex docente di giurisprudenza; James Jatras, ex consigliere della Commissione Repubblicana per la Politica Estera del Senato USA; Roland Keith, già comandante Canadese dell'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) in Kosovo; il giornalista tedesco Franz Josef Hutsch; ed infine Liana Kanelli, una parlamentare greca.

In seguito alla decisione della "Corte d'Appello" del 1 novembre 2004, il Presidente Milosevic ha incominciato ad ascoltare direttamente i suoi testimoni. Fino alla pausa estiva (2005), e dunque fino alla pubblicazione di questo libro, dinanzi al Presidente Milosevic sono stati convocati una cinquantina di teste: intellettuali di chiara fama, storici e studiosi, politici di rango elevato, dalla Jugoslavia e dall'estero, hanno prodotto le loro testimonianze sulla posizione storica, politica e legale della Serbia, informando sul contesto della crisi jugoslava, completamente ignorato dall'"atto di accusa", come pure sulle prese di posizione e sulle azioni personali del Presidente Milosevic durante il disfacimento della Jugoslavia, che sono sempre state orientate a prevenire un bagno di sangue.

I giudici hanno costantemente interferito con la conduzione degli interrogatori, rimproverando a Milosevic di porre ai testimoni domande "presumibilmente concordate", di presentare prove ritenute non pertinenti con le specifiche accuse, di introdurre documenti in maniera non opportuna, ed altri pretesti di natura tecnica. Di fatto, i giudici non avevano mai applicato tali restrizioni durante la fase processuale precedente. La "Corte" e l'"Accusa", adesso, fanno a gara a porre obiezioni di tipo puramente "tecnico", con l'ovvio intento di sprecare il più possibile dei 150 giorni messi a disposizione per la presentazione del "processo di difesa".

Durante l'interrogatorio incrociato dei testi a difesa da parte dell'"accusa", il presidente Milosevic ha spesso dovuto far notare come le traduzioni di documenti in serbocroato e di altro materiale fossero scorrette e tendenziose. Ad esempio, Milosevic ha dimostrato, con la conferma degli interpreti del "tribunale", che in un documentario della BBC il "Pubblico Accusatore" , avvocato Nice, deliberatamente traduceva in modo errato alcune frasi pronunciate in serbocroato.
I "giudici" – in particolar modo Ian Bonomy, che ha sostituito Richard May, malato, proprio alla fine del "processo d'accusa", nel 2004, senza avere però avuto il tempo di aggiornarsi sul dibattimento precedente – usano trattare i testimoni a difesa senza il dovuto rispetto. Il "Pubblico Accusatore" durante i suoi controinterrogatori si rivolge a loro con toni veramente aggressivi, senza tener conto della loro età, della loro posizione o dei meriti professionali – contrariamente al Presidente Milosevic, che aveva trattato tutti i testimoni dell'accusa in un modo rispettoso.

Dalla fine di gennaio 2005, le testimonianze a difesa hanno riguardato il Kosovo.
Una delle più importanti testimonianze è stata prodotta da Dietmar Hartwig, capo della Missione di Osservatori in Kosovo dell'Unione Europea (la controparte europea di William Walker). Secondo Hartwig, le forze serbe di polizia non commisero alcuna aggressione contro i civili, ma risposero solo alle provocazioni dell'UCK (la guerriglia dei secessionisti pan-albanesi, appoggiati dalla NATO) in una maniera "disciplinata". L'UCK è stato descritto come una "organizzazione terroristica", e Hartwig ha dato rilievo alla netta discrepanza tra i rapporti che lui inviava ai governi occidentali e la versione pubblica che questi governi davano sugli avvenimenti in Kosovo.

Una parte importante della autodifesa del Presidente Milosevic è stata dedicata a ristabilire la verità intorno al tristemente famoso incidente di Racak del 15 gennaio 1999, che fu dipinto all'epoca come un massacro effettuato a sangue freddo dalla polizia serba su civili albanesi disarmati. Il presunto massacro servì da pretesto per l'aggressione NATO; questo è peraltro il solo incidente, menzionato nel "procedimento formale di accusa" relativo al Kosovo, che risalga a prima dell'aggressione NATO.
Milosevic ha convocato importanti testimoni, quali: il perito medico legale Slavisa Dobricanin (che aveva eseguito le autopsie sui cadaveri trovati a Racak, ed ha confermato che molti di questi avevano tracce di polvere da sparo sulle mani); l'investigatore di polizia Dragan Jasovic (che ha presentato prove che 30 delle persone ammazzate a Racak erano note come membri dell'UCK); Danica Marinkovic (Giudice Istruttore dell'inchiesta sull'incidente, che ha testimoniato che il capo della missione OSCE, William Walker, subito dopo i fatti cercò di impedirle di visitare il teatro degli avvenimenti, e che i suoi collaboratori per due giorni furono sottoposti al fuoco dell'UCK quando cercavano di avvicinarsi ai luoghi, mentre all'OSCE era consentito di farlo); nonché il giornalista tedesco Bo Adam (che aveva condotto per proprio conto un'inchiesta sul terreno).

Il 19 aprile 2005, lo stato precario di salute di Milosevic non gli consentiva di presenziare al "dibattimento processuale". Il "giudice" Robinson ordinava allora che il processo dovesse continuare in assenza del Presidente Milosevic, malgrado tutte le Convenzioni Internazionali (financo lo stesso Statuto del "Tribunale ad hoc") proibiscano procedimenti in absentia. Robinson ha ovviamente basato la sua decisione sulla Sentenza della "Corte d'Appello" del 1 novembre 2004. Il testimone del momento, il serbo profugo dal Kosovo Kosta Bulatovic, veniva a questo punto citato per essere controinterrogato dalla "Pubblica Accusa". Bulatovic si rifiutava di rispondere a qualsiasi domanda in assenza del Presidente Milosevic. La "Corte" allora stabiliva di ascoltarlo il giorno dopo, e contestualmente lo accusava di "oltraggio alla Corte". Il 20 aprile, il "Tribunale" sottoponeva a giudizio Bulatovic per "oltraggio alla Corte"; il 13 maggio 2005, la "Camera Penale" dichiarava Bulatovic "colpevole di oltraggio alla Corte", ed emetteva una sentenza di condanna a quattro mesi di carcere - con la sospensione di due anni, dato il suo stato precario di salute.
Questa "sentenza" vergognosa contro un anziano, che si è opposto alla violazione di un diritto civile fondamentale di Slobodan Milosevic - il diritto ad essere presente al proprio processo - esemplifica il carattere arbitrario e fuori-legge di questo "tribunale", e tradisce la volontà della "Corte" di intimidire tutti gli altri testimoni "a difesa". È solo una questione di tempo: la "Corte" creerà ancora situazioni analoghe - dichiarando che Milosevic "non è in condizioni fisiche tali da poter essere presente in Aula" - ed altri testimoni saranno costretti a deporre in absentia dell'imputato!

Subito dopo la pausa estiva, il dibattimento sarà dedicato a controbattere alla "accusa" per i fatti della Croazia.

La campagna di solidarietà

La preparazione del "processo di difesa" è uno dei compiti per i quali il lavoro degli assistenti legali di Milosevic (da non confondere con gli "avvocati d'ufficio", di fatto imposti dall'accusa) e dell'ICDSM è assolutamente indispensabile. Si tratta di raccogliere una enorme mole di documentazione e di prendere contatto con tutti i potenziali testimoni ed altre persone eventualmente a conoscenza di fatti o in possesso di materiali importanti. Senza mezzi finanziari, logicamente, questo tipo di attività, e dunque anche la autodifesa di Milosevic dinanzi al "Tribunale ad hoc", non hanno alcuna chance.

Il "Tribunale" garantisce solamente le spese essenziali per il viaggio dei "testimoni" in occasione delle udienze; ma tutte le altre spese di viaggio, di documentazione e di comunicazione vanno autofinanziate. Si valuta che sia indispensabile raccogliere almeno 10mila euro al mese per far fronte a tutte le necessità. Le sottoscrizioni più regolari e consistenti finora sono arrivate dalla Germania, per un ammontare mensile di poche centinaia di euro in tutto.

Si badi bene: non esistono altre fonti di finanziamento. Una legge passata dal Parlamento serbo nella primavera 2004 - che in linea di principio avrebbe garantito una parziale copertura delle spese - è stata subito "congelata" in seguito alle minacce occidentali. Una qualsivoglia campagna di finanziamento su basi volontarie a Belgrado è praticamente irrealizzabile. A causa delle scelte estremistiche, in senso neoliberista, del regime instaurato il 5 ottobre 2000, la situazione sociale è disastrosa, la disoccupazione dilaga, i salari sono da fame, chi ha i soldi per mangiare li tiene ben stretti e solo in pochi casi è disposto a rischiare la galera (o peggio: vedi le torture in carcere nella primavera 2003, durante la cosiddetta "Operazione Sciabola") in attività politiche o di solidarietà a favore di Milosevic: il quale viene tuttora demonizzato dai media locali esattamente come da noi. A tutti deve essere inoltre chiaro - se ancora ci fosse bisogno di ripeterlo - che, al di là delle menzognegiornalistiche, non esiste alcun "tesoro nascosto" di Milosevic, e che l'impegno di simpatizzanti e sostenitori per la sua difesa è insostituibile ed indispensabile.

Ecco perchè, il 20 luglio 2005, la polizia fiscale tedesca è entrata in casa del tesoriere dell'ICDSM, Peter Betscher, sottraendogli il computer e tutto quanto ritenuto utile per "investigare sulle modalità della campagna di finanziamento della difesa di Milosevic". Inoltre, con un atto gravissimo, che lede i diritti fondamentali della persona, la polizia tedesca ha bloccato il conto bancario personale di Betscher.

Altri conti, aperti appositamente per la campagna di autofinanziamento dell'ICDSM, erano stati bloccati un anno e mezzo prima, nell'ambito di una analoga operazione mirata a "bloccare ogni forma di finanziamento a Milosevic ed ai suoi famigliari" in base a quanto previsto da certe persecutorie disposizioni UE; tuttavia, la magistratura tedesca aveva quasi subito decretato l'illegittimità di simili provvedimenti, che ledono tra l'altro il diritto inalienabile alla difesa legale, disponendo lo sblocco di tutti i conti bloccati.
Adesso, invece, nel pieno della fase della "autodifesa" di Milosevic - che sta causando pesantissimo imbarazzo in Occidente e che viene dunque sottoposta a rigido silenzio-stampa -, i servizi segreti tedeschi ripartono all'attacco del comitato di solidarietà a Milosevic, nel tentativo di intimorirlo, di scoraggiare i donatori, di isolare Milosevic nella galera dell'Aia.

Noi dell'ICDSM non ci faremo intimorire e continueremo fino in fondo la battaglia per la verità e la giustizia, e per il perseguimento dei veri responsabili della distruzione della Jugoslavia; una battaglia che vede, nella pubblicazione e nella ampia diffusione di questo libro, uno dei suoi momenti principali. Terminiamo dunque rivolgendo a tutti, con vigore, un appello a contribuire ed a far contribuire anche finanziariamente a questa battaglia:

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC



NOTE:

(1) Slobodan Milosevic è stato prima presidente della Serbia, dal 1989 al 1997, poi presidente della "terza" Jugoslavia (la federazione di Serbia e Montenegro) fino al colpo di mano dell'ottobre 2001. Come uomo di partito, nel 1987 è stato eletto presidente della Lega dei Comunisti della Serbia, ed ha diretto la trasformazione di questa in Partito Socialista della Serbia (SPS) nel 1990.

(2) Questo "Tribunale ad hoc" non va confuso con la preesistente Corte Internazionale atta a dirimere le controversie tra gli Stati, che ha sempre sede all'Aia ma è organismo ben più legittimato.

(3) La ex presidentessa del Tribunale, Gabrielle Kirk McDonald, il 5 aprile 1999 veniva insignita di una onoreficenza dalla Corte Suprema degli USA. In quella occasione essa spiegava senza alcun imbarazzo:
<<Abbiamo beneficiato del forte sostegno dei governi interessati e degli individui che si sono adoperati, come il Segretario Albright. [Si noti che i bombardamenti sulla Jugoslavia erano iniziati da pochi giorni] Come rappresentante permanente alle Nazioni Unite, essa ha lavorato incessantemente per creare il Tribunale. In effetti, noi spesso ci riferiamo a lei come alla "madre del Tribunale".>>
Dunque la "mamma" del Tribunale dell'Aia non è Emma Bonino!

(4) Rapporto ONU n. X S/25704, sez. 18.

(5) In un comunicato stampa diramato all'Aia il 19 aprile 1999 (JL/PIU/397-E) si legge: <<Per conto del Tribunale PenaleInternazionale per la ex Jugoslavia la ex presidentessa del Tribunale, giudice Gabrielle Kirk McDonald, ha espresso il suo grande apprezzamento al governo degli Stati Uniti per la sua concessione di 500mila dollari USA destinati al Progetto Outreach del Tribunale. Harold Koh, Vice segretario di Stato USA per la democrazia, i diritti umani ed il lavoro, ha annunciato la donazione in una conferenza stampa presso il Tribunale venerdì 16 aprile 1999. Questa generosa contribuzione, che ammonta a più di un terzo del budget complessivo di Outreach, "consentirà al Tribunale" - come nota lo stesso Vice Segretario di Stato Harold Koh - "di portare il suo messaggio di giustizia imparziale non solamente ai governi ed ai rappresentanti legali dell'ex Jugoslavia, ma, soprattutto, alle famiglie delle vittime".>> Una dichiarazione tanto nobile da far venire le lacrime agli occhi, soprattutto se si pensa che questo signore mentre parlava rappresentava uno Stato - gli USA - che proprio in quei giorni stava causando dolori enormi e disgrazie a quelle stesse famiglie tramite i bombardamenti.

(6) L'intervista a Turover è apparsa su KONKRET, dicembre 2002 (in italiano su:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2137 ). Per quanto riguarda il caso Escobar junior, vedi: Fausto Cattaneo, Deckname Tato (Nome in codice: Tato), Zurigo 2001. A pag. 197: "Il conflitto con Carla Del Ponte è inevitabile. Lei non vuole assolutamente veder Escobar Junior (noto narcotrafficante, NdT) in un carcere svizzero." E, a pagina 366, aggiunge: "La nomina di Carla Del Ponte a Pubblico Ministero presso il Tribunale dell'Aia nell'agosto 1999 rappresentò il coronamento di una carriera che si è sempre realizzata nel segno della politica."

(7) Conferenza stampa tenuta il 17 maggio 1999.

(8) Le recenti incriminazioni ed arresti contro alcuni esponenti minori della "manovalanza" UCK non mutano questo quadro complessivo; lo stesso vale per l'arresto di Nasir Oric, musulmano della Bosnia responsabile di micidiali "sortite" delle sue truppe dalla "enclave protetta" di Srebrenica a danno dei serbi dei villaggi circostanti nel 1992-1993 - e dunque ben prima dei fatti del 1995 sui quali la stampa internazionale ha tanto insistito, benché la loro vera dinamica ed entità sia tuttora da chiarire. Nel caso dei croati, mentre nessun leader politico è stato "incriminato" dall'Aia, lo Stato croato ha finora negato ogni tipo di collaborazione anche per i militari responsabili della eliminazione fisica degli abitanti serbi della Slavonia e delle Krajine.

(9) Franjo Tudjman, oggi defunto, è stato l'autore di testi revisionisti sul genocidio nazista; Alija Izetbegovic, autore della "Dichiarazione Islamica" e legato all'Arabia Saudita, all'Iran, al Pakistan ed a Bin Laden, fu a capo dei filonazisti "Giovani Musulmani" durante la II Guerra Mondiale; i leader dell'UCK, anche macedone, sono personaggi ricercati dalle polizie di mezzo mondo per le loro frequentazioni criminali. Tutti costoro subirono condanne e spesso scontarono pene nella RFSJ per reati quale l'"istigazione all'odio tra le nazionalità".

(10) La "necessità" di una indagine contro Milosevic veniva annunciata alla conferenza stampa congiunta tenuta dalla "madre del Tribunale ad hoc", Albright, e dall'ex-procuratore Louise Arbour (successivamente sostituita dalla Del Ponte) a Washington D.C. il 30 aprile del 1999: si veda il documento ufficiale dell'ufficio del portavoce del Dipartimento di Stato USA:
http://secretary.state.gov/www/statements/1999/990430a.html .

(11) Notiamo, per inciso, che tutte le forze politiche italiane festeggiarono quegli avvenimenti, stravolgendone completamente il significato grazie all'opera disinformatrice dei media. Negli anni successivi gli eventi politici di Serbia e Montenegro sono stati messi in sordina da giornali e TV occidentali, impedendo la conoscenza della situazione reale, soprattutto nei suoi risvolti sociali, da parte della nostra opinione pubblica.

(12) A sottolineare il vero e proprio affronto operato da questi agenti della NATO nel governo serbo, ai danni del paese e della sua stessa dignità e memoria storica, basti guardare al giorno in cui il sequestro è avvenuto: 28 giugno, una data altamente simbolica per la nazione serba. Quel giorno, nel 1389 si concludeva la nota battaglia contro i Turchi; nel 1914 avveniva l'attentato di Sarajevo; nel 1989 Milosevic teneva il famoso discorso a Kosovo Polje (riprodotto in questo libro, vedi Allegati). Non è perciò un caso se alcune manifestazioni internazionali contro il "Tribunale" dell'Aia siano state convocate dall'ICDSM il 28 giugno, ripetutamente dal 2003 ad oggi.

(13) La opinione contraria della Corte Costituzionale è stata formalizzata il 6 novembre 2001; il testo è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della RF di Jugoslavia N.70/01 il 28 dicembre 2001.

(14) ''Considero questo tribunale falso, così come le accuse a mio carico. Questo tribunale è illegale in quanto non è stato designato dall'Assemblea Generale della Nazioni Unite, quindi non ho alcuna necessità di nominare un avvocato di fronte
ad un organo illegale''. Queste le parole di Milosevic nel corso dell'udienza del 3 luglio 2001. Si veda anche la dettagliata memoria scritta di Milosevic, datata 30 agosto 2001: http://www.icdsm.org/more/aug30.htm .

(15) I cosiddetti "Amici curiae", la cui scarsa serietà è dimostrata dal fatto che dopo pochi mesi uno di loro ha rilasciato alla stampa una intervista dicendosi convinto che Milosevic sarà condannato, e per questo è stato sostituito nell'incarico in seguito alle proteste di Milosevic.

(16) Di questa straordinaria identità jugoslava, non a caso largamente rimossa dal dibattito nostrano sui Balcani, ha parlato ad esempio Neil Clark recensendo a sua volta un libro sul tema dello jugoslavismo:
"Negli anni Sessanta questi tentativi di formare una comune identità jugoslava parevano aver avuto successo. I matrimoni misti indicavano che un numero sempre maggiore di cittadini si facevano registrare nei censimenti come jugoslavi. (...) Nel capitolo conclusivo, un'"orazione funebre" personale per la Jugoslavia, Aleksa Djilas afferma che se l'Occidente potesse tornare indietro all'inizio degli anni Novanta, le cose andrebbero diversamente. Io non ne sono certo. La distruzione di una nazione militarmente forte e non allineata, sostituita da una serie di protettorati deboli della NATO e del FMI, conviene perfettamente a chi governa il nuovo mondo. La verità, come lo stesso Djilas riconosce, è che fin quando è esistita l'Unione Sovietica, la Jugoslavia aveva una funzione rispetto all'Occidente, ma una volta abbattuto il muro di Berlino, essa era solo d'impaccio. (...) La Jugoslavia, secondo Djilas, "rimane la più pratica e sensibile, la più anti-distruttiva risposta alla questione nazionale degli Slavi del Sud". Essa è, come affermato da Slobodan Jovanovic all'epoca dell'attacco delle potenze dell'Asse nel '41, il modo migliore in cui il popolo balcanico può garantirsi l'indipendenza e proteggersi dal dominio straniero."
(Neil Clark sul "New Statesman" del 28 aprile 2003, a proposito del libro: "Yugoslavism: histories of a failed idea (1918-1992)" di Dejan Djokic (editor), Hurst & co., 369 pagine, ISBN 1850656630)

(17) Sloboda vuol dire "Libertà", ma anche "Slobo-si": attualmente questa associazione non è altro che la sezione centrale, belgradese, dell'ICDSM (Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic).

(18) Una "autodifesa" di Milosevic da alcune di queste accuse è la Lettera Aperta che in questo libro riportiamo (Allegato 3). Segnaliamo anche, sul caso "Telekom Serbia", la presa di posizione di ICDSM-Italia datata 5 ottobre 2003 (e 4 marzo 2004: http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/ )

(19) ''Hussein e Milosevic ... in quanto dittatori si assomigliano. Il problema che si pone il mondo civile è quello di annullare le potenzialità dei dittatori, per andare sempre più verso la democrazia (...) Noi kosovari dobbiamo ringraziare Dio per l'intervento della Nato che è servito a salvare un popolo e una civiltà'' (ANSA 13/02/2003).

(20) In precedenza, la Cancelleria del Tribunale aveva richiesto a diversi uomini di legge la loro disponibilità ad assumere questo ruolo, fin dall'inizio dell'agosto 2004. Fra questi avvocati vi era l'ex amicus curiae Branislav Tapuskovic, che però aveva dichiarato in un'intervista al quotidiano Serbo "Blic" del 7 agosto 2004 che si rifiutava di agire come difensore di ufficio contro la volontà del Presidente Milosevic. In una lettera alla Cancelleria dell'ICTY, Mr. Tapuskovic ribadiva: "Secondo l'Articolo 21 (4)(d) dello Statuto del Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia, viene garantito all'accusato il diritto AD ESSERE PROCESSATO IN SUA PRESENZA E DI DIFENDERSI DA SOLO PERSONALMENTE." Viceversa, i signori Kay ed Higgins hanno immediatamente espresso la loro disponibilità ad assumere l'incarico, fin dall'inizio.

(21) La giustificazione addotta dal "Tribunale" (come pure dalla "Pubblica Accusa") era che nella conduzione della propria difesa lo stato di salute di Milosevic avrebbe potuto ulteriormente deteriorarsi. (Non è necessario sottolineare che questa era la prima volta che si interessavano per la sua salute). In realtà, l'"Accusa" già da molto tempo aveva richiesto l'imposizione di un avvocato difensore d'ufficio, la prima volta nell'agosto del 2001.

(22) Il testo "Le Tablas di Daimiel - relazione di un testimone di passaggio sul processo contro Slobodan Milosevic", risale al gennaio 2005, ed è apparso nel fascicolo estivo 2005 del bimestrale tedesco "Literaturen".





Elementi per un profilo di Carla Del Ponte



Inchiesta del giornalista indipendente svizzero Sidney Rotalinti sull'ex-giudice dell'Aja Carla Del Ponte (2003)
(anche sul nostro sito)

Kosovo, Dick Marty all'attacco di Carla del Ponte
di Maria Delfina Bonada, su Il Manifesto del 18/08/2006:

<< (...) Durante il recente festival cinematografico di Locarno Carla del Ponte ha tenuto banco. Prima con una conferenza stampa, poi con la proiezione dell'interessante documentario «La lista di Carla» (una reminescenza di Schindler's list?) e infine con un affollatissimo dibattito sul tema «lotta contro l'impunità. Le sfide nei Balcani». Oltre a Carla di Ponte c'erano tra gli altri un procuratore bosniaco, uno croato e il procuratore svizzero Dick Marty. E lì non sono mancate le critiche.
E' stato proprio l'intervento del liberale Dick Marty, lo stesso incaricato dalla Ue di indagare sui voli segreti della Cia nei cieli d'Europa a rimettere le cose in una giusta ottica.

Alle affermazioni della del Ponte che «è la convenienza politica a convincere i responsabili a consegnare i criminali di guerra, poiché non esiste il senso della giustizia», Marty ha replicato che è pericoloso mischiare giustizia e politica quando la giustizia è quella dei vincitori». «Non va dimenticato, pur avendo grande stima per l'operato del tribunale internazionale, che è stato concepito e voluto dalla comunità internazionale per lavarsi la coscienza per i bombardamenti illegali sulla Serbia», ha proseguito Marty riferendosi poi alla Nato, «che gestisce e proibisce le visite nelle carceri del Kosovo ai comitati contro la tortura, dove si ignora chi vi è detenuto. Una cosa inaccettabile in Europa». La requisitoria di Marty è stata implacabile, pur nel disagio degli altri conferenzieri: «Quando si vuole imporre la giustizia agli altri, bisogna essere disposti ad applicarla a se stessi. Invece ad esempio gli Stati uniti si sono ben guardati dal ratificare la creazione della Corte penale internazionale. Anzi, hanno fatto accordi bilaterali con altri paesi affinché non consegnassero alla giustizia internazionali cittadini Usa».

Quanto alla discussione sul futuro del Kosovo, Dick Marty non ha dubbi: «Per parlare di uno stato indipendente, ci vuole una società civile. Che non esiste in Kosovo. Quello è un centro di criminalità organizzata, dove la minoranza serba vive in condizioni spaventose. Sono questi i problemi da risolvere prima di parlare di indipendenza».

Inevitabile il riferimento al Libano: «Ormai si bombarda facilmente. La Jugoslavia, l'Iraq, il Libano, e non si pensa al dopo. In Iraq siamo alla guerra civile, nei Balcani non si sa che fare con il Kosovo, in Libano non si sa cosa accadrà domani. Una cosa è certa: ogni bomba sul Libano creerà 10 nuovi terroristi». >>


Carla Del Ponte indagata per corruzione di testimoni (2010):

<< A Vojislav Dabic promettevano un lavoro ben pagato negli Stati Uniti in cambio della sua testimonianza. Aleksandr Stefanovic è stato convinto a testimoniare a sfavore di Voijslav Seselj, accusato di crimini di guerra nell'ex Jugoslavia, per eliminarlo dalla scena politica serba. Milan Babic, un altro imputato del Tribunale internazionale de L'Aja, si sarebbe suicidato a causa delle pressioni subite dall'accusa. Non solo: i testimoni denunciano di aver subito "privazione del sonno durante gli interrogatori, pressione psicologica, ricatti, minacce e offerte illecite di denaro".
L'atto del Tribunale de L'Aja, IT-03-67-T, di 12 pagine, pubblicato in esclusiva da Il Caffè, descrive nei dettagli le pesanti accuse nei confronti dell'ex procuratore capo Carla Del Ponte. (...)
Lo stesso Seselj ha presentato la "mozione" contro Del Ponte ed i procuratori Hildegard Ürtz-Retzlaff e Daniel Saxon. L'apertura di un'inchiesta è stata chiesta dal magistrato Jean-Claude Antonetti, che presiede il processo a Seselj.
Nebojša Stojanović, uno dei testimoni, "ha dichiarato di aver subito una tremenda pressione, assieme alla sua famiglia, da parte della pubblica accusa". A tal punto che non riconobbe le sue parole nella testimonianza agli atti contro Seselj.
Il caso di Aleksander Stefanovic, se fosse provato, è ancora più grave. Il testimone ha confessato di essere stato "incoraggiato" dall'ex premier serbo Zoran Djindjić (poi ucciso da un cecchino, nda) dal ministro della Giustizia, Vladan Batic e da Carla Del Ponte a recarsi a L'Aja nel 2003 per rilasciare una dichiarazione con l'obiettivo di eliminare l'accusato (Seselj, nda) dalla scena politica" di Belgrado. In cambio il testimone non avrebbe subito alcuna incriminazione. Stefanovic firmò la dichiarazione, neppure tradotta in serbo, senza leggerla.
Nel documento del Tribunale firmato il 29 giugno, il magistrato de l'Aja riporta la grave accusa nei confronti della procura di "essere responsabile del suicidio di Milan Babic che non era più in grado di sostenere le pressioni esercitate contro di lui". L'ex leader dei serbi di Croazia si è impiccato in cella.
Una settimana dopo morì dietro le sbarre, per infarto, Slobodan Milošević... >>

 
Carla Del Ponte investigated over illegal evidence.
Former war crimes prosecutor accused of allowing bullying and bribing of witnesses in trial of alleged Serbian warlord Vojislav Seselj
(2010)
(also on JUGOINFO)



(The following essay in the original english version:

Milosevic’s Death In The Propaganda System  -  By Edward S. Herman and David Peterson

http://www.electricpolitics.com/2006/05/milosevics_death_in_the_propag.html )


La morte di Milosevic e il sistema di propaganda dei media


di Edward S. Herman e David Peterson


Pubblicato in Z Magazine nel maggio 2006


(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)


Il ventre dal quale è uscita la bestia immonda è ancora fecondo!”  Bertolt Brecht


La morte dell’ex Presidente della Jugoslavia Slobodan Milosevic, avvenuta l’11 marzo 2006 nella sua cella della prigione all’Aja, veniva salutata allo stesso modo dai circoli politici Occidentali e dal sistema dei media, con una profusione di cattiveria che rifletteva il ruolo di demonio che gli era stato assegnato dalla fabbrica del mito (in questo caso, negativo; n.d.tr.) negli ultimi 15 anni.  Milosevic era un “mostro,” un “sociopatico,” e un “criminale di guerra che aveva mandato in rovina l’Europa sud-orientale durante l’ultimo periodo del ventesimo secolo”.

L’ex Ambasciatore USA alle Nazioni Unite e uno degli artefici determinanti della politica dell’era Clinton per l’area Balcanica, Richard Holbrooke, inviava di prima mattina il seguente cablogramma a “News Network”: “Milosevic ha scatenato quattro guerre. Le ha perse tutte. La più grande di queste è stata quella di Bosnia, dove sono morte più di 300.000 persone, ed ha prodotto due milioni e mezzo di senza tetto. E noi lo abbiamo bombardato solo nell’agosto e nel settembre del 1995. Avremmo dovuto farlo molto prima.”[1]

Durante quel giorno, e nei dieci giorni successivi la sua morte, venivano usati termini come “Macellaio dei Balcani” e “Macellaio di Belgrado” per dozzine e forse per centinaia di volte, per parlare solo dei media USA ( ma con uso diffuso anche all’estero).[2]

Milosevic era il demonio inserito fra due cicli di demonizzazione di Saddam Hussein (1990-1991 e 2002-2006). Allora, il “Macellaio dei Balcani” veniva elevato allo stesso pantheon dei mostri designati ufficialmente, come il “Macellaio di Baghdad”, mentre un altro soggetto come Ariel Sharon, anche se la sua invasione del Libano del 1982 e le conseguenti stragi di Sabra e Shatila da lui dirette venivano citate dal Tribunale Internazionale per i Crimini nella ex Jugoslavia (ICTY, o Tribunale per la Jugoslavia) come esempio emblematico di “genocidio”, [3] rimane un uomo di stato onorato, un “uomo di pace”, e certamente non verrà mai definito come il “Macellaio di Tel Aviv.”

Il fondamento politico di questi epiteti assume maggior chiarezza in quanto Milosevic era stato il partner di Richard Holbrooke per il conseguimento degli accordi di  Pace di  Dayton  del 1995, con i leaders Serbo-Bosniaci Ratko Mladic e Radovan Karadzic, in seguito considerati suoi compagni di scellerataggini, ed inoltre imputati dall’ICTY come criminali di guerra.

La gente continua a chiedersi se Milosevic si stia adoperando positivamente per un accordo di pace,” così dichiarava Holbrooke a Dayton. È impossibile rispondere adesso a questa domanda. Tutti noi sappiamo come lui si sia ben adoperato su tutto... negli ultimi quattro mesi.” [4]

Parimenti, Saddam Hussein era stato un partner degli Stati Uniti e della Gran Bretagna per tutti gli anni ’80, ricevendo appoggio economico, aiuti militari e sostegno diplomatico da parte di questa coalizione Anglo-Americana. Allora non vi erano state designazioni di “macellaio”, sebbene proprio in questo periodo il comportamento di Saddam risultasse dei più implacabili e usasse realmente allora “armi di distruzione di massa”, comunque sempre con il sostegno dell’Occidente. Il suo risultare esente dal linguaggio offensivo e diffamatorio, così come da sanzioni, bombardamenti, processi presso corti internazionali di giustizia, derivava dall’offerta dei suoi servigi considerata positivamente, e naturalmente le stesse esenzioni venivano attribuite alla potenza che era in grado di guidare e/o di usare questi leaders subalterni![5]

Per quel che concerne Milosevic, inizialmente le sue imputazioni per crimini di guerra da parte dell’ ICTY, il 22 maggio 1999, non riguardavano per nulla la questione Bosniaca – si fondavano solamente su una sua supposta “autorità superiore” e sulla responsabilità di 344 morti in Kosovo, ma 299 di queste erano avvenute dopo che la NATO aveva dato inizio alla sua guerra di bombardamenti contro la Jugoslavia, il 24 marzo 1999. [6]

La Croazia e la Bosnia sono state tirate in ballo dalla Pubblica Accusa dell’ICTY solo diversi mesi dopo il rapimento di Milosevic del 28 giugno 2001 e il suo trasferimento all’Aja,  probabilmente per il fatto che il numero dei corpi trovati in Kosovo dopo la fine della guerra di bombardamenti era deludentemente piccolo e certamente non sufficiente a sostenere un’accusa di “genocidio” [7]

Ecco dunque la Croazia e specialmente la Bosnia, anche se questo faceva sorgere un potenziale numero di problemi, e si presentava l’imbarazzo di aver aspettato sei anni per affibbiare a Milosevic la nomea di anima nera per questi casi, e per giunta veniva sollevato il problema del suo ruolo costruttivo a Dayton e dei suoi precedenti sforzi per la pace (descritti più avanti).

Comunque, il Tribunale può contare sul sistema mediatico che non crea attenzione su questi scomodi argomenti, e di questi argomenti voi non troverete traccia sul New York Times nei numerosi articoli di Marlise Simons sul processo a Milosevic. [8]

Rispetto ai numerosi problemi, l’atteggiamento troppo favorevole a resoconti demonizzanti da parte del sistema dei media avveniva ad alto livello.                                              

Per il Kosovo, i Dipartimenti della Difesa e di Stato degli USA a varie riprese avevano dichiarato durante la guerra di bombardamenti che 100.000, 225.000 e in una conferenza stampa addirittura 500.000 Albanesi Kosovari erano stati uccisi dall’esercito Jugoslavo.[9] Alla fine il numero si riduceva a 11.000, sebbene dopo una ricerca eccezionalmente intensiva venivano trovati solo circa 4.000 corpi, compresi un numero imprecisato di corpi di combattenti e di vittime delle azioni della NATO e dell’UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo); e fino ai primi di marzo 2006 solo 2.398 persone delle liste della Croce Rossa risultavano ancora scomparse.[10]

Mai vi è stato qualche cenno di criticismo nel sistema dei media sui numeri gonfiati forniti ufficialmente dagli USA, non vi è stato mai alcun dubbio espresso sull’esattezza della cifra di 11.000 morti, sebbene questa cifra fosse fornita da fonti di provata inaffidabilità e fosse del 70% più alta della cifra ufficiale dei corpi, comprendente anche quelli dell’elenco degli scomparsi, complessivamente una cifra pari a 6.398.

Sul New York Times, Michael Ignatieff spiegava che se il numero dei corpi trovati era stato inferiore agli 11.000, allora la causa era dovuta al fatto che i Serbi avevano rimosso i cadaveri.[11] Costui non ha spiegato mai che il numero dei corpi e degli scomparsi complessivamente era crollato ben sotto agli 11.000, ma non aveva nulla da preoccuparsi: quando si ha a che fare con un nemico da demonizzare, tutto va bene.

Nel gennaio 1993, ufficiali Bosniaco-Musulmani andavano asserendo che 200.000 o, qualche volta, un numero più alto di Musulmani di Bosnia erano stati massacrati dai Serbi, [12] e malgrado le cifre fossero non verificate ed emesse da una fonte prevenuta, questi numeri venivano immediatamente accettati e resi ufficiali dal sistema mediatico e da quei giornalisti che conducevano la campagna in favore della guerra, come David Rieff, Ignatieff, Christopher Hitchens, Ed Vulliamy.

Le valutazioni al ribasso, sotto i 100.000, dell’ex funzionario del Dipartimento di Stato George Kenney e di altri che avevano accesso ai dati di intelligence, venivano semplicemente ignorate. Comunque, nel 2003, uno studio di Ewa Tabeau e Jakub Bijak, ricercatori per conto dell’Unità  Demografica dell’Ufficio della Pubblica Accusa dell’ICTY, e una successiva ricerca di Mirsad Tokaca, del Centro Documentazioni e Ricerche di base a Sarajevo e finanziato dai governi della Bosnia e della Norvegia, entrambi concordavano su una stima complessiva di morti Bosniaci dell’ordine dei 100.000.[13] Secondo lo studio di Tabeau-Bijak, solo 55.000 fra questi erano di civili, compresi più di 16.000 Serbi.

Certamente si tratta di numeri non trascurabili, ma molto meno dei 200.000 (o più) Musulmani di Bosnia soddisfacenti ad appagare la smania di montare un caso sul fatto che quelli fossero stati vittime di “genocidio” e per giustificare l’intensa concentrazione di attenzione su questa area di uccisioni in confronto ad altre, alcune delle quali vedevano implicati numeri di vittime a sette cifre.[14]

Si dovrebbe sottolineare che allora vi era stata come una sfida a rivendicare il numero degli ammazzamenti avvenuti durante il massacro di Srebrenica, che dagli eventi del luglio 1995 era rimasto costante sugli 8.000. In questo caso, come in Kosovo, il numero dei corpi trovati nei dintorni precipitava ben al disotto del numero complessivo inizialmente reclamato ( e a lungo sostenuto) – solamente circa 2.600, compreso un numero imprecisato di vittime che potevano essere state uccise in azione o prima del luglio 1995.

Altre prove in appoggio alla cifra di 8.000 sono state insignificanti, e malgrado la dichiarazione di Madeleine Albright dell’agosto 1995 che “noi vi osserveremo” via satellite, nessuna prova satellitare di rimozione o riseppellimento di corpi mai è stata fornita all’opinione pubblica. Vi è un buon motivo che questo non sia stato possibile farlo, che vi siano state certamente centinaia di esecuzioni e forse un migliaio o più, la cifra di 8.000 resta un costrutto politico ed eminentemente criticabile.[15]

Ma dubitare sui resoconti su Srebrenica è pericoloso e anche approvare il lavoro di chi ha sollevato una qualsivoglia questione in merito può scatenare aggressioni.  Questo ha avuto drammatica evidenza in un’intervista a Noam Chomsky da parte di Emma Brockes, pubblicata nel Guardian di Londra il 31 ottobre 2005, dove il titolo dell’intestazione dell’intervista recitava: [16] "The Greatest Intellectual? (Il più grande fra gli intellettuali?)"

Domanda: Lei si è pentito di sostenere coloro i quali affermano che il massacro di Srebrenica è ingigantito? 

Risposta: Il mio solo rammarico è quello di non averlo fatto con una più opportuna energia.

Le virgolette venivano utilizzate dalla Brockes e dal The Guardian nell’affermazione aggiuntiva della Brockes, che Chomsky avesse dichiarato che “durante la guerra di Bosnia il ‘massacro’ di Srebrenica era stato probabilmente ingigantito,” dopo di che lei sogghigna con un uso puerile di virgolette, utilizzato fuori dell’intero contesto dell’intervista – le virgolette non vengono usate nelle interviste verbali – nelle presunte osservazioni di Chomsky sulle enfatizzazioni del massacro. Chomsky aveva fatto le lodi del libro di Diana Johnstone Fools' Crusade – La crociata dei folli, e aveva sottoscritto una lettera che stigmatizzava la decisione Svedese di non pubblicarlo. La  Brockes andava dicendo che la Johnstone aveva affermato che il numero dei giustiziati a Srebrenica era stato “gonfiato esageratamente”, ma la Johnstone non aveva mai fatto uso di questi termini, mai aveva negato le esecuzioni, e aveva speso molto del suo argomentare su Srebrenica rispetto al suo contesto e sull’uso strumentale delle rivendicazioni del massacro presentate. Comunque, è illuminante considerare come ogni accenno al fatto che la cifra di 8.000 sia stata gonfiata non sia cosa lecita e sia da condannare, senza ulteriori discussioni.

Le false affermazioni della Brockes erano risultate sufficientemente palesi e numerose, tanto che The Guardian pubblicava un serie di commenti dal titolo “Correzioni e chiarimenti” e rimuoveva l’intervista dal suo sito web.[17] Per contro, questo provocava una risposta furibonda da parte di quella che possiamo definire come la “Lobby del Genocidio Bosniaco”, un insieme ben organizzato di istituzioni ed individui che fanno riferimento a George Soros, ai governi Occidentali e ad altri, che attaccano qualsiasi argomentazione sfidi il resoconto degli avvenimenti stabilito ufficialmente. Una delle più importanti reazioni alle “correzioni” era stata una lettera sottofirmata da 25 scrittori ed analisti politici, un gruppo di affiliati alle organizzazioni della Lobby -  il Balkan Investigative Reporting Network (che pubblica Balkan Insight), il Bosnian Institute, e l’Institute for War and Peace Reporting – e giornalisti come David Rieff, David Rohde, e Ed Vulliamy; tutti insieme contestavano le “correzioni” e pretendevano il loro ritiro da parte del The Guardian.[18]

Forse la più evidente caratteristica di questa lettera era l’uso delle parole “revisionismo” e “negazionismo” con riferimento ad ogni interrogativo sul numero stabilito, e il considerare ogni accento di dubbio come intollerabile. L’“autorità” su questo argomento, se vi fosse stato “genocidio”, era l’ICTY , “un tribunale internazionale insediato dalle Nazioni Unite” – quindi presumibilmente un organismo indipendente ed autorevole, malgrado le tante prove che evidenziavano il contrario ( vedi più avanti). Particolare interessante, lo stesso ICTY indicava che la cifra di 8.000 esecuzioni poteva essere stata gonfiata, dato che i suoi giudici avevano dichiarato che le prove “suggerivano” solo che la maggior parte dei 7.000-8.000 classificati come “scomparsi” potevano essere stati giustiziati o altresì morti in combattimento, e che la cifra possibile di giustiziati poteva aggirarsi solo sui 3.600-4.100, e così i giudici andavano ad appartenere alle categorie del “revisionismo” e del “negazionismo”.[19]

Naturalmente, anche i documenti relativi allo studio Tabeau-Bijak e la ricerca di Tokaca coordinata dal Centro Documentazioni e Ricerche costituivano casi nitidi di “revisionismo” e di “negazionismo”, secondo l’uso peculiare della Lobby di questi termini. Ma, dato il fatto che il lavoro dei primi aveva avuto il sostegno dello stesso ICTY e i secondi quello dei governi di Bosnia e Norvegia, l’analogo ricorso della Lobby a questo tipo di accuse non poteva essere messo in atto.   In questo caso la strada scelta è stato il silenzio, una strada presa anche dal sistema dei mezzi di informazione e dai funzionari Statunitensi.[20]

Per i media di tutto il mondo, una ricerca base di dati Nexis per i primi undici giorni a partire dalla morte di Milosevic [21] svela che il prezzo delle morti riportato nelle guerre in Bosnia-Erzegovina, o complessivamente nella ex Jugoslavia, veniva dichiarato essere di 200.000, o più, in almeno 202 differenti articoli, ( ad esempio, notiziari, necrologi, editoriali), e di 100.000 solo in 13 articoli.  Anzi, in almeno 99 differenti articoli, il prezzo delle morti veniva valutato essere di 250.000; e di 300.000 in non meno di 27 differenti documenti. Per i soli mezzi di informazione USA il rapporto era di 76 a 2. Sebbene la conclusione dei ricercatori dell’ICTY, come pure di quelli del Governo della Bosnia, fosse che una cifra sull’intorno delle 100.000 vittime era una stima più accurata per le morti della guerra in Bosnia, questa cifra quasi mai veniva citata in documenti e commenti sulla guerra.

Questo rende testimonianza dell’inveterato pregiudizio dei media, e che il prezzo di morte fornito da fonti dell’establishment abbastanza erudite non è stato in grado di scalzare le vecchie cifre più elevate, dichiarate in precedenza dai funzionari Musulmani di Bosnia, notoriamente privi di scrupoli.[23]

I giornalisti odiano abbandonare i numeri che tanto bene hanno consentito ad alimentare i loro pregiudizi!


L’ICTY come braccio politico della NATO

Prima di prendere in esame le accuse che Milosevic ha dovuto affrontare nel suo processo, consentiteci di esaminare più attentamente l’organismo che ha mosso queste accuse, questa “corte internazionale istituita dalle Nazioni Unite”. Naturalmente risulta un fatto interessante, che gli Stati Uniti, leaders nell’organizzare e nel sostenere l’ICTY, hanno rifiutato di avere qualsiasi rapporto con la Corte Criminale Internazionale, ICC, di recente istituzione, presumibilmente per il fatto che questo tribunale rappresenta una minaccia di “politicizzazione”. [24] Commentatori obiettivi potrebbero chiedersi se il problema con l’ICC possa essere individuato nel fatto che l’ICC è meno soggetto al controllo Statunitense dell’ICTY, e se il merito dell’ICTY dal punto di vista degli USA possa essere stato quello di essere dominato dagli stessi Stati Uniti, e quindi la politicizzazione avviene in una conveniente direzione. Questo problema non si pone per i fautori dell’ICTY, come i 25 firmatari della lettera al The Guardian  pro Brockes, o a Marlise Simons et al., in buona sostanza perché l’influenza dominante degli USA è considerata da loro come naturale, appropriata, e sicuramente usata per fini giusti. Il termine “politicizzazione” in questi casi di profondo pregiudizio interiorizzato non viene usato, più dei termini come “aggressione” o “terrorismo”.

Di fatto, la politicizzazione dell’ICTY è stata totale attraverso l’iniziale organizzazione, la fornitura del personale, i finanziamenti, e il controllo minuzioso del personale ai vertici attraverso alti funzionari della NATO, [25] con le potenze della NATO che forniscono ( o nascondono [26]) informazioni e servono come braccio poliziesco dell’ICTY, e, più essenzialmente, attraverso le azioni dell’ICTY strettamente conformate con le richieste della NATO.

Il ruolo politico dell’ICTY è stato perfino apertamente ammesso dall’ex giurista del Dipartimento di Stato Michael Scharf, che dichiarava nel 1999 che l’organizzazione era considerata dal governo come “poco più di uno strumento di pubbliche relazioni”, utile perfino “per isolare diplomaticamente i leaders da colpevolizzare” e per “rafforzare la volontà politica internazionale ad applicare sanzioni economiche o l’uso della forza.” [27] Il Professore di Diritto all’Università di York Michael Mandel ha esposto in modo persuasivo il caso nel suo How America Gets Away With Murder - (Come l’America la fa sempre franca), che l’ICTY era stato insediato “come uno strumento di opposizione al processo di pace e per giustificare la soluzione militare a cui loro, i dirigenti USA, accordavano la preferenza.”[28]  Il giurista puntualizzava come il funzionario del Dipartimento di Stato Lawrence Eagleburger aveva definito i leaders al vertice della Serbia come criminali di guerra già nel dicembre 1992, poco prima che l’ICTY venisse creato nel 1993, e che funzionari USA già utilizzavano la supposta criminalità Serba per sovvertire i piani di pace che erano sotto considerazione nel 1992 e nel 1993. L’argomentazione era che “la giustizia” non poteva dare strada alla convenienza politica e al raggiungimento di obiettivi, come quello di portare a termine un conflitto senza più combattere. “In altre parole, il progetto per un tribunale per crimini di guerra veniva usato dagli Americani per giustificare la loro intenzione di entrare in guerra, con i conseguenti danni collaterali e tutto il resto, stigmatizzando come Nazisti i nemici che si erano prefigurati.”[29]

L’evidenza delle accuse di Mandel sta nell’evidenza della storia.

Gli Stati Uniti e Izetbegovic hanno fatto naufragare l’importante accordo di pace di Lisbona del febbraio 1992, ed hanno contribuito ad ostacolare la pace che si voleva realizzare attraverso i piani Vance-Owen ed Owen-Stoltenberg, come descritto nella memoria di David Owen, Balkan Odyssey.[30] Questo programma di prevenzione della pace ha permesso la continuazione delle guerre Bosniache per quasi quattro anni, con la conclusione degli accordi di  Dayton che hanno ridotto la Bosnia ad una provincia coloniale della NATO.

Durante la rincorsa verso la guerra in Kosovo, il lavoro dell’ICTY si adattava veramente in modo stretto al piano di guerra della NATO (e in buona sostanza degli USA). Quando la NATO dette inizio alla pianificazione della guerra nel giugno 1998, l’ICTY scatenava una campagna parallela di accuse ben pubblicizzate e di inchieste sulle azioni dei Serbi in Kosovo e di denunce del comportamento dei Serbi.[31] In relazione ad uno degli avvenimenti cardine di preparazione alla guerra, le uccisioni a Racak del 15 gennaio 1999, il procuratore capo dell’ICTY Louise Arbour, immediatamente il giorno successivo, si precipitava sulla scena per cercare confessioni, dichiarando all’istante che si trattava di un “crimine di guerra”, solo sulla base di una comunicazione con il rappresentante USA e OSCE William Walker.[32] Due mesi più tardi, il 31 marzo 1999, proprio una settimana dopo l’inizio della guerra di bombardamenti, la Arbour teneva una conferenza stampa per rendere pubblica la messa in stato di accusa in precedenza stabilita di Zeljko Raznatovic ("Arkan"), un procedimento giudiziario preparato ben prima del settembre 1997, ma reso pubblico in tempo giusto, quando serviva necessariamente alla propaganda delle potenze della NATO. [33]

La messa in stato di accusa di Milosevic e di altri quattro dirigenti il 22 maggio 1999 ( sebbene non resa pubblica fino al 27 maggio),[34] costituiva un punto alto nei servizi di pubbliche relazioni dell’ICTY resi alla NATO, e chiaramente era stata fatta in collaborazione con funzionari NATO.[35] Avveniva nel bel mezzo della guerra di 78 giorni di bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia, e più in particolare nel periodo in cui la NATO aveva dato inizio ai bombardamenti contro impianti ed infrastrutture civili della Serbia. Questa ultima fase aveva provocato inquietudine e dure critiche anche nei paesi NATO, e dunque l’atto di accusa serviva nell’ambito delle pubbliche relazioni a distrarre l’attenzione dalla nuova tornata di bombardamenti NATO, e a direzionarla verso l’infamia dei dirigenti della nazione presa di mira.  Clinton, Madeleine Albright e James Rubin immediatamente richiamavano l’attenzione su questa implicazione, e la Albright dichiarava che gli atti di accusa “facevano chiarezza al mondo e all’opinione pubblica nei nostri paesi che questa politica della NATO è giustificata, dati i crimini commessi, ed inoltre penso che questo ci consentirà di portare a termine tutti questi processi [traduzione: bombardamenti]” [36]

La messa in stato di accusa veniva imbastita in modo affrettato, basata su informazioni fornite alla pubblica accusa dell’ICTY dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, entrambi parti interessate, informazioni per ammissione dello stesso Tribunale non verificate (malgrado la dichiarazione del procuratore Arbour del 20 aprile 1999 che “Noi siamo soggetti a regole probatorie estremamente stringenti con riguardo alla ammissibilità e alla credibilità di quello che noi andremo a produrre in aula; sicuramente non sarà promosso alcun caso contro qualsiasi persona sulla base di accuse non provate, prive di sostanza, non verificabili, non avvalorate.[37]). La sua natura politica era ulteriormente indicata dalle affermazioni della Arbour al momento in cui emetteva l’atto di accusa dato che “le prove per cui questo atto formale di accusa è stato confermato sollevano seri problemi sulla adeguatezza degli accusati ad essere considerati degni di fiducia persino in un qualsiasi affare commerciale, figurarsi poi in un accordo di pace.” Naturalmente, Milosevic e i suoi colleghi accusati non erano ancora stati processati e condannati, ma sebbene la Arbour ammettesse che gli accusati “avevano il diritto alla presunzione di innocenza fino a quando non fossero stati condannati,” le “prove” in questo caso (non verificate dall’ICTY) esigevano che questa norma  fosse messa da parte! [38]

Ancora prima, nel luglio 1995, l’ ICTY aveva messo in stato di accusa Mladic e Karadzic per il loro ruolo durante la guerra in Bosnia-Erzegovina, compresa l’accusa di “genocidio” per il comportamento dei loro subordinati nelle varie strutture di detenzione con riferimento al 1992. Quattro mesi più tardi, a metà novembre, l’ICTY estendeva questo procedimento a coprire un secondo capo di accusa di “genocidio” per Srebrenica, ben prima che i fatti relativi alle accuse fossero stati raccolti e verificati dall’ICTY, e questo era funzionale all’esclusione di questi due ufficiali Serbo-Bosniaci dal processo di pace di Dayton .[39]

Da sottolineare come l’atto formale di accusa “segnasse un passaggio fondamentale”, visto che l’allora Presidente dell’ICTY  Antonio Cassese esplicitava chiaramente il suo obiettivo politico in un’intervista ad un quotidiano Italiano, L'Unità. “La messa in stato di accusa comporta che questi gentiluomini non saranno in grado di partecipare ai negoziati di pace,” così Cassese metteva in rilievo. “Vogliamo proprio vedere chi si siederà ora al tavolo dei negoziati con degli uomini accusati di genocidio.”[40]

Come Scharf aveva fatto notare nel 1999, uno degli scopi della creazione dell’ICTY era stato “di isolare diplomaticamente i leaders nemici”, un obiettivo politico, non uno scopo giudiziale.[41]

Mentre la Arbour era estremamente allerta rispetto al crimine di guerra di Racak non comprovato, offrendo subito i suoi servizi il giorno successivo, quando Michael Mandel le aveva presentato un dossier di tre volumi sui crimini di guerra della NATO, questo portava via a lei e alla sua succeditrice Carla del Ponte un anno intero per considerare il caso, con alla fine la del Ponte dichiarare che una verifica preliminare aveva riscontrato che questa serie di accuse non aveva ancora fornito una base per aprire una inchiesta!

Un documento interno aveva dichiarato che con solo 495 vittime “semplicemente non esiste in questo caso prova del fondamento di un crimine essenziale per accuse di genocidio o di crimini contro l’umanità,” sebbene appena 45 morti di Racak avessero indotto la  Arbour ad una mozione aggressiva, e la messa in stato di accusa di Milosevic del 22 maggio 1999 presentasse una lista di sole 344 vittime, non verificate dall’ICTY.[42]

L’ “indipendenza” dell’ICTY veniva ulteriormente messa in luce dal fatto che il principale esperto della del Ponte nello sviluppo del caso sulla mancata inchiesta indicava che lui aveva fatto assegnamento sulle rassegne stampa dei paesi della NATO come fonti di informazione, considerandole “generalmente affidabili e che fornivano delucidazioni in modo onesto.” [43]

Siamo costretti a ricordarvi le assicurazioni della pubblica accusatrice Arbour, citate in precedenza, che il suo ufficio applicava solo “regole probatorie estremamente stringenti”, che escludevano “accuse prive di sostanza, non verificabili, non avvalorate”, però con la netta esclusione delle accuse contro i suoi (e della del Ponte) datori di lavoro della NATO.

Queste prove evidenti della subordinazione politica dell’ICTY, come pure le induzioni ai crimini di guerra – i bombardamenti di impianti civili della Serbia venivano accentuati immediatamente in seguito alla messa in stato di accusa di Milosevic alla fine di maggio 1999 – e la sua ridicola impostazione per non investigare anche sui crimini di guerra della NATO, avrebbero dovuto gettare il discredito sull’ICTY come istituzione supposta giudiziale, se noi non avessimo a che fare con una macchina propagandistica ben lubrificata che può far ingoiare ogni cosa in nome del portare “giustizia” contro un nemico demonizzato. E la demonizzazione è facile avendo a che fare con una guerra civile, dove vi sono molte vittime di ingiustizie e/o di scuri politiche da brandire. Il trucco è quello di scegliere le vittime giuste, passarle in rassegna in gran numero e con ricchezza di emozioni, permettere un uso illimitato di prove per sentito dire, [44] attribuire le loro sofferenze allo scellerato demonio, stracciare il contesto e riscrivere la storia, e ne risulterà in maniera lampante che la “giustizia” deve richiedere la testa del demonio.


Le accuse contro Milosevic

Nella demonizzazione di Milosevic, alcune delle più importanti affermazioni sostenenti il suo status demoniaco venivano formulate attraverso le accuse spiegate dettagliatamente nei diversi procedimenti processuali, [45] insieme alle prove prodotte in appoggio a queste accuse. Tutte queste erano state o divenivano le premesse del sistema di informazioni e dei membri della Lobby.

Torniamo a queste accuse e analizziamo come oggi si sostengono, avendo l’accusa alla fine di febbraio 2004 portato a termine i suoi argomenti processuali, e avendo Milosevic impostato la sua difesa dalla fine di agosto 2004, bloccata poi dalla sua morte.[46]

1. Autore di quattro guerre ed orchestratore di queste guerre.

Centrale nel processo dell’ICTY, e di fatto reiterata in tutti gli articoli sulla sua morte, è l’affermazione che Milosevic non era solamente responsabile personalmente per le guerre dei Balcani degli anni Novanta, ma che forse era per queste l’unico responsabile. Infatti i processi a Milosevic sono pieni  zeppi di accuse che lui aveva partecipato ad “una associazione a delinquere come co-esecutore materiale,” e che, in relazione al territorio in discussione (Kosovo, Croazia, o Bosnia), lo “scopo” di ognuna di queste imprese criminali era la “espulsione di una porzione sostanziale delle,” o la “rimozione violenta della maggioranza delle,” o la “rimozione forzata e permanente della maggioranza delle,” popolazioni di etnia non-Serba da ciascun territorio, o di “assicurare un continuo controllo Serbo,” o di creare un “nuovo stato dominato dai Serbi” – la cosiddetta “Grande Serbia”, cosa che ha mandato in estasi i commentatori Occidentali.[47] Milosevic “portava la responsabilità della disgregazione della Jugoslavia... e delle conseguenti guerre,” questo sosteneva costantemente Misha Glenny in tutta una serie di necrologi su Milosevic.[48] Anche Richard Holbrooke riassumeva il concetto di demonio in una rubrica giornalistica, la morte di Milosevic in una cella della sua prigione, “sapendo che non avrebbe mai più visto la libertà”, era una “giusta fine per uno che aveva scatenato quattro guerre (perdendole tutte), causando 300.000 morti, lasciando senza casa più di due milioni di persone, e mandando in pezzi i Balcani.” [49] Dopo la morte di Milosevic, sentimenti di questo tipo costituivano un refrain quasi costante nei mezzi di informazione Occidentali. Gli altri nazionalismi che erano venuti a galla in queste guerre erano stati presumibilmente una reazione; solo quello di Milosevic e dei Serbi era stato la causa scatenante.

Questa interpretazione da diabolico scellerato nella storia recente dei Balcani non è semplicemente sciocca, ma viene contraddetta da un gran numero di testimonianze.

Per prima cosa, falsifica il ruolo degli altri nazionalismi nei Balcani – il nazionalismo Croato era forte e i suoi fautori come il Presidente Franjo Tudjman bramavano e progettavano la secessione ben prima dell’andata al potere di Milosevic [50]; e la spinta del Presidente Musulmano di Bosnia Alija Izetbegovic's verso la dominazione Musulmana in Bosnia datava da tanto tempo prima, dalla sua Dichiarazione Islamica del 1970.[51]

Secondariamente, viene esagerato il nazionalismo di Milosevic, questo sì risposta alle minacce percepite verso gli interessi Serbi e ai sentimenti nazionalisti scaturiti dalle altre componenti; e i famosi discorsi di Milosevic ultra-nazionalisti del 1987 e del 1989 non sono stati assolutamente ultra-nazionalisti. In vari passaggi di questi discorsi, veniva sottolineata l’importanza della “fratellanza e dell’unità” per la sopravvivenza della Jugoslavia; Milosevic metteva in guardia contro tutte le forme di “separatismo e di nazionalismo” come anti-moderne e contorivoluzionarie; ed invocava una mutua tolleranza e “la completa uguaglianza fra tutte le nazioni” all’interno di una Jugoslavia multinazionale, usando un linguaggio accuratamente censurato negli articoli di informazione su questi discorsi.[52] Fra i miti costruiti per spiegare la dissoluzione della Jugoslavia e la sua incorporazione nell’assetto dell’ Occidente, sicuramente quello che accusa Milosevic di aver usato questi due discorsi per attizzare i fuochi del nazionalismo che avrebbero accompagnato il crollo della Jugoslavia si classifica come il più resistente.

Terzo, questo punto di vista sottovaluta grossolanamente il ruolo della Germania, degli Stati Uniti e delle altre potenze straniere nel provocare e nel sottoscrivere le guerre. La Germania ha aperto la strada incoraggiando la Slovenia e la Croazia alla secessione dalla Jugoslavia, in violazione degli accordi di Helsinki e della Costituzione Jugoslava. Ogni azione dell’esercito Jugoslavo ad impedire questa secessione illegale e per proteggere l’integrità dello stato comune di Jugoslavia doveva essere considerata come una “reazione”, e la Germania e i leaders dei paesi secessionisti dovevano essere visti come “artefici” delle guerre successive.

Quarto, le grandi potenze erano inoltre pesantemente responsabili per queste guerre a causa del loro rifiuto a permettere ai “popoli” all’interno di queste repubbliche nate artificialmente e secessioniste di trasferirsi e di rimanere con la Jugoslavia o di essere incorporate pacificamente nella Serbia o nella Croazia. La Commissione Badinter (1991-1992) promossa dalla Unione Europea si era dichiarata contraria a tale separazione, sebbene considerasse plausibile il diritto alla secessione, e quindi la secessione delle repubbliche veniva per lo meno giustificata da questa Commissione. Questa dichiarazione imposta dall’esterno risultava gravemente responsabile per le lotte e le pulizie etniche che ne seguirono.

Quinto, Milosevic, alla fine di giugno 1991, al tempo della secessione della Slovenia, era Presidente della Serbia, ma non della Jugoslavia, e non aveva avuto nulla a che vedere con la reazione dell’esercito Jugoslavo.[53] Questa reazione era stata disordinata ed estremamente modesta, con scaramucce che erano durate solo una decina di giorni. Ma che “guerra”! E per la responsabilità di Milosevic per la guerra in Kosovo, ora è chiaro che gli Stati Uniti e i loro alleati, e fra questi anche l’ICTY, stavano preparandosi alla guerra già dall’aprile 1998, [54] con gli Stati Uniti che alla fine porgevano aiuto all’UCK (KLA-Esercito di Liberazione del Kosovo) e fornivano a costoro ragione di pensare che la NATO alla fine sarebbe arrivata in loro aiuto con un intervento militare diretto. Inoltre, risulta ben fondato che la conferenza di pace di Rambouillet del 1999 era una frode, con la “sbarra” deliberatamente sollevata per assicurare l’emarginazione e il rifiuto della Jugoslavia e per giustificare un’aggressione militare.[55] Milosevic non aveva dato inizio a questa guerra, erano stati gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO a farlo, e avevano fatto questo in evidente violazione della Carta delle Nazioni Unite.

2. Il piano per creare una “Grande Serbia”

Nella serie di accuse dell’ICTY a  Milosevic, l’affermazione che egli aveva messo in atto tutti gli sforzi per dare luogo alla “Grande Serbia” si impone fortemente come giustificazione delle guerre Jugoslave.  Sei anni fa, Tim Judah scriveva che era una “crudele ironia” che tutto fosse cominciato con la parola d’ordine “Tutti i Serbi in un Solo Stato”; e in un necrologio sul Washington Post dello scorso marzo si leggeva ancora che “l’impegno di Milosevic di unificare tutti i Serbi in un unico Stato si era rivelato come una ironica promessa.” [56] Ma in verità questa non è stata ne’ una “crudele” ne’ un altro tipo di ironia. E tanto meno è una valida spiegazione. Piuttosto, vi è una grossa mistificazione delle dinamiche, sia di questi conflitti crudeli, sia del linguaggio e delle politiche di Milosevic.

Il 25 agosto 2005, durante una delle fasi più rimarchevoli del processo a Milosevic, dopo che l’ex deputato a Primo Ministro della Serbia Vojislav Seselj aveva reso una testimonianza convincente che questa nozione di “associazione a delinquere” e il ruolo di Milosevic nella presunta ricerca di una “Grande Serbia” erano incompatibili con l’intero svolgimento degli avvenimenti, l’avvocato dell’accusa Geoffrey Nice portava a conoscenza della corte che Milosevic mai aveva sostenuto una “Grande Serbia”, ma piuttosto che egli desiderava che tutti i Serbi potessero rimanere a vivere in un unico Stato.[57] Di questo si trattava, Nice ammetteva che le intenzioni di Milosevic erano difensive, che egli desiderava prevenire lo smantellamento della Jugoslavia, ma come una seconda linea di difesa egli cercava di aiutare le minoranze Serbe in difficoltà nelle repubbliche secessioniste, a stare tutti insieme. Tanto per dire, questo aveva fatto Abraham Lincoln dopo la secessione degli Stati del Sud mentre si scatenava la Guerra Civile, presumibilmente aveva cercato di creare la “Grande America”! Questa spettacolare ammissione da parte di Nice, che metteva in confusione i giudici, avrebbe dovuto eliminare o rendere inoffensiva l’accusa principale dell’ICTY.

Ma non è proprio vero che Milosevic si battesse costantemente per mantenere tutti i Serbi in un unico Stato. Invece aveva appoggiato o concordato tutta una serie di risoluzioni, come quelle di Brioni (luglio 1991), Lisbona (febbraio 1992), Vance-Owen (gennaio 1993), Owen-Stoltenberg (agosto1993), il Piano di Azione Europeo (gennaio 1994), il Piano del Gruppo di Contatto (luglio 1994), e ultimamente gli Accordi di Dayton (novembre 1995) – nessuno dei quali prevedeva tutti i Serbi in un unico Stato. Egli aveva evitato di difendere i Serbi della Krajina, quando questi erano stati sottoposti alla pulizia etnica da parte della Croazia, dal maggio all’agosto 1995.  Milosevic aveva convenuto per un contrazione della ex Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia in Repubblica Federale di Jugoslavia (vale a dire Serbia e Montenegro – quella che ora sta subendo la lacerazione finale), che in effetti abbandonava i Serbi della Croazia e della Bosnia al loro destino, fuori da ogni “Grande Serbia”. Il suo aiuto dato ai Serbi di Croazia e della Bosnia era stato sporadico, e i leaders di questi Serbi ritenevano che lui fosse stato un alleato opportunista e non affidabile, più interessato a rimuovere le sanzioni imposte contro la Jugoslavia che a fare sacrifici per i Serbi in difficoltà altrove.

In breve, Milosevic non si era sforzato di difendere con costanza i Serbi, quando li aveva visti in difficoltà, considerando le ostilità  e le minacce che stavano subendo negli Stati secessionisti di una Jugoslavia progressivamente smantellata; non aveva mai desiderato battersi con fermezza per preservare una Federazione Jugoslava ristretta che avrebbe dovuto accogliere tutti i Serbi in un successivo Stato comune. Definire tutto questo come una deriva verso una “Grande Serbia” è un esercizio retorico di politica Orwelliana, che trasforma una debole (e fallita) difesa in un’offesa vigorosa ed aggressiva.

3. Un leader con responsabilità di comando in una “associazione per delinquere”, con l’obiettivo di eliminare i Musulmani Bosniaci.

L’ICTY ha preteso in modo estremo di applicare a Milosevic il concetto di responsabilità di comando e in maniera eccezionalmente radicale nel dipingerlo come leader di una “associazione a delinquere”. Durante il processo, nessuno dei 296 testimoni d’accusa ha testimoniato di qualche sua istruzione a commettere azioni che si potessero configurare come crimini di guerra, o di qualche sua espressione di approvazione di azioni criminali, e non veniva prodotto nessun documento che appoggiasse il punto di vista dell’accusa su questi argomenti, (mentre piuttosto, alcuni testimoni hanno testimoniato della sua collera per i crimini di guerra e hanno anche citato casi di messa in stato di accusa di personale Jugoslavo per attività criminali di guerra). Ma tuttavia, egli avrebbe dovuto sapere, ed era allora responsabile per i suoi subordinati. Inutile dire, la stessa regola non veniva applicata dall’ICTY nei confronti dei leaders ai vertici della NATO, della Croazia e della Bosnia-Erzegovina.

La categoria “associazione per delinquere” veniva adottata dall’accusa per estendere le responsabilità penali di Milosevic alle situazioni di guerra in Croazia e in Bosnia-Erzegovina, ed in particolare per associare Milosevic con Mladic e Karadzic come partners nelle più ampie uccisioni in Bosnia.[58] Risultava imbarazzante che gli ultimi due fossero stati messi in stato di accusa già nel 1995 e non il “boss”, ma era da sottolineare come i media non avessero dato l’opportuno rilievo alla cosa.  Negli atti formali di accusa contro Milosevic emessi nel corso del 2001, il boss e i leaders  Serbi di Bosnia presumibilmente avevano un obiettivo comune: quello di eliminare i Musulmani nell’interesse della cosiddetta “Grande Serbia”. Sfortunatamente per l’ICTY, non è stato ancora scoperto alcun “piano” comune, ma i supposti partners avevano qualche volta cooperato e Musulmani erano stati ammazzati.

Esistono prove molto più solide relative ad un progetto unitario Croato-Statunitense per scacciare i Serbi dalla Krajina, efficacemente messo in atto fra il maggio e l’agosto 1995, ma questa unione non è stata mai perseguita dall’ICTY come “un’associazione a delinquere”. L’unico fatto evidente che vede implicato Milosevic mette in risalto la sua approvazione, come citato in precedenza, per tutta una serie di piani di pace dal 1991 in avanti, qualche volta in presenza della furibonda opposizione dei leaders Serbo-Bosniaci, tentativi di pace da parte di uno “scellerato” che molto chiaramente mai consideravano la eliminazione dei Musulmani.

4. Colpevole di "genocidio"

Milosevic veniva imputato di due capi di accusa per “genocidio” nel 2001, visto che in precedenza nello stesso anno il generale Serbo-Bosniaco Radislav Krstic era stato ritenuto colpevole di “genocidio”,... e Milosevic era il boss dell’“associazione per delinquere”!

Il processo Krstic era relativo agli accadimenti di Srebrenica, e si basava sulla logica giudiziaria dell’ICTY, dal momento che gli argomenti per una “associazione a delinquere” erano non solo assolutamente insostenibili, ma privi di senso.  Si può pensare di sterminare tutti i Musulmani di Bosnia se vengono risparmiate le donne e i bambini e in gran parte vengono giustiziati solo uomini abili all’esercizio delle armi fino a quel momento accampati in una di quelle “Aree di Sicurezza” supposte demilitarizzate?  La giurisprudenza della corte durante il procedimento Krstic prevedeva che le azioni costituivano genocidio se i perpetratori consideravano “di progettare la distruzione in modo opportuno, tale da annichilire un gruppo come entità distinta nell’area geografica in questione.”[59] Questo rendeva il genocidio equivalente alla pulizia etnica, e quindi vi erano stati dozzine di casi di “genocidio” in Bosnia sulla base di questo assurdo criterio, [60] compresi quelli prodotti dal comandante Musulmano di Bosnia Naser Oric nel 1992-1993 nei villaggi nei pressi di Srebrenica. L’eliminazione e le uccisioni dei Serbi della Krajina da parte dei Croati (con l’aiuto attivo degli Stati Uniti) dovrebbero apparire più chiaramente come caso di genocidio, con molta più evidenza del massacro di Srebrenica, visto che la pulizia etnica dei Croati ha implicato l’assassinio di diverse centinaia di donne e bambini e ha visto coinvolta un’area geografica ben più estesa.

La sentenza Krstic di genocidio non solo era pilotata ed usata selettivamente dall’ICTY, era una falsificazione del significato del termine e, possiamo dire, un impiego “revisionista” che minimizzava il significato delle politiche che avevano come obiettivo la cancellazione di un intero popolo (come lo stesso Elie Wiesel aveva fatto rilevare [61]).

Quello che più fa scandalo, il processo a Milosevic non ha prodotto nemmeno uno straccio di prova che Milosevic fosse a conoscenza, o approvasse, o avesse il potere di controllare gli eventi di Srebrenica, che avevano avuto le loro radici nel contesto locale ed erano avvenuti per mano delle forze Serbo-Bosniache. Inoltre, in una ricerca accademica esauriente, lo storico Olandese Cees Wiebes scrive che “ lo stato d’animo a Belgrado era di incredulità... Un’intervista con l’ufficiale minerario Serbo-Bosniaco Rajko Dukic, che si lamentava con Milosevic per la caduta dell’enclave, indica che Milosevic era anzi stupito. Milosevic aveva chiesto al gruppo di persone che comprendeva anche Dukic “chi fosse l’idiota” che aveva preso la decisione di attaccare Srebrenica."[62]


La morte, o l’omicidio, di Milosevic

La morte di Milosevic è stata di aiuto all’ICTY. La sua difesa stava procedendo bene, e aveva assestato duri colpi alle affermazioni dell’accusa su un suo supposto disegno di una “Grande Serbia”, sul massacro di Racak, sui legami stretti e sui progetti comuni con coloro i quali aveva presumibilmente commesso degli illeciti, sulla storia delle guerre per le quali era stato accusato di responsabilità, e per le politiche dell’esercito e della polizia della Jugoslavia.

Naturalmente la sua difesa veniva quasi totalmente ignorata dal sistema dei mezzi di comunicazione, ma questa difesa avrebbe creato dei problemi alla sentenza e alle decisioni conclusive dei giudici. Dato il ruolo politico dell’ICTY e i pregiudizi profondamente radicati nei giudici selezionati opportunamente, così come nei media, e più in generale negli ambienti culturali, non vi è alcun dubbio che Milosevic sarebbe stato ritenuto colpevole – un tribunale politico produce una sentenza politica. Ma la loro sentenza e la decisione finale sarebbero risultate vulnerabili agli attacchi critici, dato che una corte onesta e priva di pregiudizi non avrebbe potuto evitare accertamenti contro la messa in stato di accusa. In effetti, questo tribunale avrebbe dovuto già da tanto tempo liberarsi di questo caso!

La morte di Milosevic mette fine alla necessità di sostenere una motivazione giuridica per il necessario accertamento di colpevolezza. La sua condanna era stata decisa da tanto tempo, e il sistema dei media lo aveva già dichiarato colpevole, accusandolo ancora una volta in occasione della sua morte, coprendolo largamente di insulti e di assurde affermazioni ripetitive, come visto in precedenza.

Milosevic riteneva che lo stavano avvelenando, e l’ICTY e i media avevano alluso al fatto che fosse lui stesso ad avvelenarsi, o in un tentativo di suicidio o per peggiorare il suo stato di salute per giustificare la richiesta di un trattamento medico all’esterno. Niente di tutto questo è plausibile, ma quello che risulta veritiero è che le cure mediche prestate dall’ICTY hanno sicuramente accelerato la sua morte e hanno reso questa istituzione colpevole di qualche forma di grave negligenza criminale, forse anche di omicidio colposo.

A Milosevic era stato rifiutato il permesso di vedere i suoi famigliari per più di quattro anni, durante le sedute dibattimentali era stato trattato duramente dal Tribunale, [63] ed esplicitamente gli era stato negato il diritto di essere sottoposto a cure mediche a Mosca, cosa che aveva già richiesto dallo scorso dicembre 2005, che sia consulenti medici Russi che indipendenti avevano invocato urgentemente per la sua sopravvivenza. Per ultimo, il 23 febbraio 2006, i giudici della corte sentenziavano di “non avere sufficienti assicurazioni” che Milosevic, “una volta rilasciato, sarebbe ritornato per la continuazione del processo,” [64] malgrado l’impegno del governo della Russia per il suo ritorno e la palese determinazione di Milosevic di vedere la sua difesa arrivare a conclusione. Questo è lo stesso Tribunale che di recente ha concesso all’Albanese del Kosovo, Ramush Haradinaj, “messo in stato di accusa come criminale di guerra” di lasciare la prigione e di ritornare in Kosovo per impegnarsi in una campagna elettorale. L’ICTY ha conservato uno standard di comportamento realmente a doppia faccia, che riflette il suo ruolo politico; e nel caso del suo atteggiamento nei confronti di Milosevic, questo si è dimostrato mortifero.


Conclusione

La cattura e il processo a Milosevic hanno costituito il punto più alto nelle prestazioni dell’ICTY in favore della NATO, opportunamente per dimostrare con un processo spettacolo come fosse malvagio l’obiettivo preso di mira da lungo tempo dalla NATO in Jugoslavia e quindi la guerra della NATO era un giustificabile “intervento umanitario”. Il lavoro è andato meno bene di quello che era previsto, dato che le accuse raffazzonate erano veramente difficili da sostenere e Milosevic aveva presentato una veemente difesa.  Favorevolmente per l’accusa, il sistema dei media dava risalto alle imputazioni, alla lunga teoria delle vittime della guerra, all’atteggiamento di “sfida” e alla presunta ostinata opposizione di Milosevic, mentre ignorava in buona sostanza la sua difesa assolutamente efficace e non prestava alcuna attenzione per gli effetti disastrosi dell’“intervento umanitario” nei confronti dei supposti beneficiari di questo.

Non vi sono state parole di contesto che mettessero in luce il contrasto fra l’obiettivo di Clinton per una immaginaria “comunità tollerante, multietnica” nel Kosovo e la realtà risultante di un diffuso terrore, di intolleranza, di una effettiva pulizia etnica irreversibile, in uno stato gestito da mafiosi e terroristi.[65]

Una lezione appresa dai funzionari e dai supporters della NATO è che processi spettacolo ingiusti, anche se sostenuti dai media, possono diventare problematici quando viene prodotto uno stillicidio inevitabile di prove goffe, e quindi una efficace chiusura del processo può risultare difficile. La prematura scomparsa di uno che si difendeva come Milosevic è stata la cosa più favorevole in una situazione realmente difficoltosa. Ancora cosa migliore, e possibilmente da realizzare in modo largo in futuro, sarebbe quella di ammazzare il “losco figuro” sotto mira, ben prima di arrivare al necessario processo, lasciando ai media “degni di fiducia” di trovare la vittima assassinata colpevole in absentia. La NATO ha cercato di fare questo con Milosevic, ma ha fallito, (con un attacco missilistico che aveva preso come obiettivo la residenza di Milosevic a Belgrado, il 22 aprile 1999). Questo è stato un insuccesso che è costato caro, alla fine sfociato in un processo problematico. Date le tendenze naturali dei dirigenti della politica estera degli Stati Uniti, noi dobbiamo aspettarci per il futuro delle designazioni di obiettivi più aggressive, e andando di questo passo si arriverà a processi sullo stile di Guantanamo. 

------------ Note ------------

1. CNN Morning News, 11:00 AM EST, Trascrizione 031105CN.V28, 11 marzo 2006.

2. Ci si riferisce a ricerche su fonti mediatiche in lingua inglese, compresi i servizi via cavo (AFP, AP, DPA, Reuters, e molti altri), dell’Europa, del Canada, e di altri paesi, per le citazioni delle frasi “Macellaio dei Balcani” o “Macellaio di Belgrado”, durante il periodo 11-21 marzo 2006.

3. Prosecutor v. Radislav Krstic (IT-98-33), Giudice Almiro Rodrigues, Presidente, 2 agosto 2001, Settore G, "Genocide," paragrafi 539 - 599. Specificamente, par. 598, e nota 1306. Vedi anche Michael Mandel, How America Gets Away With Murder: Illegal Wars, Collateral Damage and Crimes Against Humanity - Come l’America la fa sempre franca: Guerre Illegali, danni collaterali e crimini contro l’umanità. (Pluto Press, 2004), pp. 152-160. 

4. Michael Dobbs, "U.S. Gains Assurances On Troops; Balkan Presidents Promise Security, - Gli USA ottengono assicurazioni per le truppe; i Presidenti dei Balcani promettono sicurezza" Washington Post, 24 novembre 1995. Sebbene sepolto sotto gli eventi delle successive guerre, il fatto che Milosevic abbia aiutato i negoziatori Americani a rafforzare gli Accordi di Dayton veniva al tempo ampiamente riportato.

5. Fra le accuse che sono state rivolte contro Saddam Hussein da parte del Tribunale Speciale Iracheno, una concerne le esecuzioni di circa 140 abitanti della cittadina Sciita di Dujail nel 1982; un’altra, di genocidio, riguarda la morte di più di 100.000 Curdi Iracheni nelle campagne alla fine degli anni ‘80.  Durante il periodo in cui si sono svolti gli eventi specifici di queste accuse, il regime  Iracheno era uno stretto alleato di Washington - e nessuna delle azioni per cui quel regime è oggi sotto accusa è stata impedita dagli Stati Uniti. Solomon Moore, "Genocide Added To Hussein Charges - Il genocidio si va a sommare alle accuse contro Hussein" Los Angeles Times, 5 aprile 2006; Edward Wong, "Hussein Charges with Genocide in 50,000 Deaths – Le accuse di genocidio contro Hussein per 50.000 morti," New York Times, 5 aprile 2006 ; Jonathan Finer e Naseer Nouri, "Court Moves To Try Hussein in Massacre of Kurds – Il Tribunale muove accuse contro Hussein di massacro dei Curdi," Washington Post, 5 aprile 2006.

6. Vedi Prosecutor Against Slobodan Milosevic et al.  - Il Procuratore dì Accusa contro Slobodan Milosevic et al.(IT-99-37-I, "Kosovo"), Louise Arbour, Procuratore d’Accusa, 22 maggio 1999. Dall’Allegato A – Allegato G, questo iniziale atto formale di accusa elenca un totale di 344 persone “note per nome, ammazzate”. Di queste 344 persone, niente meno che 299 sono state dichiarate uccise dopo il 25 marzo 1999, o più tardi.

7. Prosecutor Against Slobodan Milosevic et al. (IT-01-50-I, "Croazia"), Carla del Ponte, Procuratore d’Accusa, 8 ottobre 2001; e Prosecutor Against Slobodan Milosevic et al. (IT-01-51-I, "Bosnia ed Erzegovina"), Carla del Ponte, Procuratore d’Accusa, 22 novembre 2001.

8. In un nostra precedente indagine su come Marlise Simons conduceva i servizi giornalistici sul Tribunale per conto del New York Times, abbiamo descritto la rappresentazione del Tribunale da parte della Simons come il tipico esempio della giustizia Occidentale, e abbiamo dimostrato come i suoi servizi giornalistici sul Times, per un periodo prolungato di anni, sono stati le repliche del punto di vista dei procuratori di accusa del Tribunale, assolutamente identico a quello del blocco della NATO, e soprattutto a quello della dirigenza degli Stati Uniti. Vedere Edward S. Herman e David Peterson, The New York Times on the Yugoslavia Tribunal: A Study in Total Propaganda ServiceIl New York Times rispetto al Tribunale sulla Jugoslavia: Uno studio di un totale servizio di propaganda. ColdType, 2004. Anche Michael Barratt Brown, Edward S. Herman, e David Peterson, The Trial of Slobodan Milosevic – Il processo a Slobodan Milosevic (Spokesman, 2004).

9. Vedi James Rubin, "State Department Regular Briefing – Informativa regolare del Dipartimento di Stato," Federal News Service, 19 aprile 1999; "Gli USA sono preoccupati per la possibile morte di 500.000 uomini Albanesi Kosovari scomparsi," Agenzia France Presse, 19 aprile 1999; e Bob Holer e Anne E. Kornblut, "Più di 500.000 uomini scomparsi in Kosovo; si teme per la loro morte, documenti USA," Boston Globe, 20 aprile 1999. Anche il Dipartimento di Stato in quel periodo sosteneva al settimanale Fact Sheet: "Da 150.000 a 500.000 uomini in grado di portare le armi restano scomparsi in Kosovo." "Ethnic Cleansing in KosovoPulizia etnica in Kosovo," 22 aprile 1999.

10. "Statement to the Press by Carla del Ponte - Dichiarazione alla Stampa di Carla del Ponte" (FH/P.I.S./550-e), Carla del Ponte, ICTY, 20 dicembre 2000, par. 16; "Kosovo: ICRC deplores slow progress of working group on missing persons Kosovo: ICRC-Comitato Internazionale della Croce Rossa deplora i lenti progressi del gruppo operativo sulle persone scomparse," ICRC News, 9 marzo 2006.

11. Michael Ignatieff, "Counting Bodies in Kosovo – Conteggio dei corpi in Kosovo," New York Times, 21 novembre 1999.

12. Mentre si trovava a Ginevra per una serie di conferenze sul piano di pace Vance-Owen, e in seguito a  Washington per una visita organizzata dalla Fondazione Carnegie per la Pace Internazionale, il Presidente Musulmano di Bosnia Alija Izetbegovic insisteva sulla dichiarazione che realmente 200.000 persone erano state uccise. Vedi John A. Callcott, "I colloqui di pace sulla Bosnia-Erzegovina si interrompono per cinque giorni," UPI, 4 gennaio 1993; Barry Schweid, "Il Leader Bosniaco invoca l’appoggio USA," AP, 8 gennaio 1993; David Binder, "Il mutamento Bosniaco ai colloqui di Ginevra per protestare contro le uccisioni," New York Times, 10 gennaio 1993. Sempre nel mese di gennaio 1993 venivano attestate le affermazioni sulle donne Musulmane di Bosnia, che stavano soffrendo il "più grande stupro di massa nella storia dell’uomo" (Izetbegovic a Ginevra), a cui veniva data per la prima volta ampia diffusione.  Sull’"uso della violenza carnale," vedi Diana Johnstone, Fools' Crusade: Yugoslavia, NATO, and Western Delusions (Monthly Review Press, 2002), pp. 78-90.

13. "Le morti collegate alla guerra fra il 1992–1995 hanno scatenato i conflitti in Bosnia e nell’Erzegovina: Una critica alle stime precedenti e recenti risultati," Ewa Tabeau e Jakub Bijak, European Journal of Population, Volume 21, giugno 2005 pp. 187-215; Mirsad Tokaca del Centro Ricerche e Documentazioni con sede a Sarajevo, come citato in "La guerra di Bosnia ‘pretende 100.000 vite," Deutsche Presse-Agentur, 21 novembre 2005; in Nedim Dervisbegovic, "La ricerca dimezza il tributo di morte della guerra di Bosnia a 100.000 vittime" Reuters, 23 novembre 2005; in Vesna Peric Zimonjic, "Balcani: quanti sono stati realmente i morti nelle guerre di Bosnia?" Inter-Press Service, 6 dicembre 2005; in "ricercatore di Sarajevo researcher dichiara 99.000 uccisi nella guerra di Bosnia," BBC Worldwide Monitoring, traduzione di un documento dell’agenzia di notizie HINA (Zagabria), 17 dicembre 2005; e in "Genocide is not a matter of numbers: Emir Suljagić talks to Mirsad TokačaIl genocidio non è una questione di numeri: Emir Suljagić parla con Mirsad Tokača," Bosnia Report, dicembre-marzo 2006

14. Le “sanzioni di distruzione di massa” imposte all’Iraq dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna attraverso l’ONU in seguito alla Prima Guerra del Golfo persico sono state responsabili della morte di un milione di Iracheni, e forse più, e le guerre nella Repubblica Democratica del Congo negli ultimi anni ’90 sono state la causa di milioni di morti. Per i dati sull’Iraq vedi anche John Mueller e Karl Mueller, "Sanctions of Mass Destruction," Foreign Affairs, maggio-giugno 1999; e Joy Gordon, "Cool War: Economic sanctions as a weapon of mass destructionGuerra Fredda: le sanzioni economiche come armi di distruzione di massa," Harper's, novembre 2002. E per i dati sulla Repubblica Democratica del Congo, B. Coghlan et al., "Mortality in the Democratic Republic of Congo: a nationwide surveyMortalità nella Repubblica Democratica del Congo: una panoramica su tutto il territorio nazionale," The Lancet (367), 7 gennaio 2006, pp. 44-51. Secondo il New York Times, Il Segretario Generale dell’ONU Boutros Boutros-Ghali aveva usato la frase "guerra dei ricchi " per esprimere come "molti Africani descrivono il conflitto in Jugoslavia, argomentando che l’aspetto delle persone visto in televisione era ben florido rispetto alle vittime in Africa, il continente i cui interessi il Segretario Generale, un Egiziano, aveva dichiarato necessitare di maggior visibilità." Seth Faison, "U.N. Chief Mired in Dispute With Security Council – il Segretario dell’ONU si impantana in una disputa con il Consiglio di Sicurezza," 24 luglio 1992.

15. Vedi, ad es., Edward S. Herman, "The Politics of the Srebrenica MassacreLe politiche del Massacro di Srebrenica," ZNet, 7 luglio 2005; George Pumphrey, "Srebrenica 'Massacre': Is The Hague Hyping A Hoax?Il “massacro” di Srebrenica: l’AJA sta promovendo un imbroglio?" come messo in diffusione da The Emperor's New Clothes, 8 maggio 2000; David Peterson, "Srebrenica and the Neocolonial Community," ZNet, 17 ottobre 2004; Nebojsa Malic, "Silver City: Srebrenica 10 years LaterSilver City: Srebrenica, 10 anni più tardi" AntiWar.com, 7 luglio 2005; David Peterson, "The Srebrenica Massacre," ZNet, 10 luglio 2005; Nebojsa Malic, "Smokescreen—Using SrebrenicaCortina fumogena –usando Srebrenica," AntiWar.com, 14 luglio 2005; e Johnstone, Fools' Crusade, pp. 109-118.

16. Emma Brockes, "The Greatest Intellectual?" The Guardian, 31 ottobre 2005. In seguito eliminato dal sito web del The Guardian. Una copia può ancora essere reperita sul sito web  Chomsky.Info sotto il titolo originale, "The Greatest Intellectual?"

17. Ian Mayes, "Corrections and clarifications: The Guardian and Noam Chomsky," The Guardian, 17 novembre 2005.

18. "Srebrenica—defending the truthSrebrenica, difendendo la verità," Marko Attila Hoare et al., Bosnia Report, dicembre-marzo 2006.

19. Mandel, How America Gets Away With Murder - Come l’America la fa sempre franca, pp. 155-156.

20. Alla fine di dicembre 2005, il Governo USA aveva reso noto, noi crediamo per la prima volta, che  il "costo ufficiale delle morti " della guerra in Bosnia-Erzegovina era "inferiore alle 100.000 vittime." Vedi "Review of European Security Issues—A Look Ahead For 2006Rassegna delle questioni sulla sicurezza europea – Uno sguardo in avanti nel 2006," Dipartimento di Stato USA, 30 dicembre 2005. Ma questo stesso documento sottolineava anche che "recentemente nel novembre 2005, ufficiali USA, manifestando per il decimo anniversario della fine della guerra, affermavano che il costo di vite oscillava fra le 200.000 e le 300.000 – un’estensione che era stata diffusamente citata per un decennio nei rapporti dei funzionari del governo e nei media."

21. Il nostro universo dei media è consistito di un largo numero di fonti in lingua inglese derivanti da servizi via cavo (comprendenti AFP, AP, DPA, Reuters, e molti altri), Europei, Canadesi, della stampa USA, TV e radio, e di altre regioni (ad es. Australia).

22. Nel documentare le morti relative alla guerra nella ex Jugoslavia, la storica abitudine per tutto il 2005 è stata di associare nello specifico alla Bosnia-Erzegovina la cifra di 200.000 vittime o più (ad es., le 300.000 di Holbrooke). Quindi, nell’editoriale sul decimo anniversario degli accordi che "misero fine alla brutale guerra civile in Bosnia," il New York Times affermava che la "guerra fra Musulmani di Bosnia, Cattolici Croati, e Ortodossi Serbi aveva prodotto 200.000 morti ..." ("Bosnia, 10 anni più tardi," 25 novembre 2005). Con la morte di Milosevic, comunque, i media hanno cominciato ad usare improvvidamente queste vecchie cifre e le hanno associate qualche volta alla Bosnia-Erzegovina e qualche volta a tutte le guerre nel loro insieme. Nella documentazione, il nostro universo dei media coglie questa ambiguità.

23. Su questa mancanza di scrupoli, vedi Herman, "The Politics of the Srebrenica Massacre," ZNet, 7 luglio 2005, specialmente Sez.2, "Le menzogne in serie, prima e dopo Srebrenica."

24. Come David Scheffer, cosiddetto Ambasciatore a Disposizione di Clinton per Crimini di Guerra, metteva in evidenza nell’American Journal of International Law (Rivista Americana di Diritto Internazionale) che, senza la valvola di sicurezza del veto USA al Consiglio di Sicurezza, "vi sarebbero stati nuovi significativi rischi legali e politici in tali interventi, altamente controversi, che su questo punto erano stati per lo più protetti da accuse politicamente motivate." In breve, ogni esito che Washington controlla è libero da "accuse politicamente motivate." Quando il controllo definitivo sfugge alla stretta di Washington, ed altri stati cominciano ad esercitare una significativa influenza, intervengono fattori politici! Scheffer è citato in Mandel, How America Gets Away With Murder - Come l’America la fa sempre franca,  p. 213.

25. Mandel, How America Gets Away With Murder, pp. 130-133.

26. Gli Stati Uniti si sono rifiutati di mettere a disposizione dell’ICTY le immagini satellitari delle azioni dei Croati contro i civili Serbi della Krajina, quindi ostacolando il tentativo del Tribunale di sollevare un caso contro questo alleato USA.  Vedi Raymond Bonner, "La lista dei crimini di guerra comprende le truppe Croate “che stanno ripulendo” i Serbi," New York Times, 21 marzo1999.

27. Michael Scharf, "Accusati di crimini di guerra, e con ciò?" Washington Post, 3 ottobre 1999.

28. Mandel, How America Gets Away With Murder, p. 125.

29. Ibid., p. 126.

30. "In realtà la nuova amministrazione aveva truccato le sue intenzioni ed era intenta ad affossare il Piano di Pace [Vance-Owen]," così scrive David Owen sul periodo fra la fine del gennaio e i primi di febbraio del 1993, raccontando del suo primo incontro con il Segretario di Stato Warren Christopher, e di una serie di attacchi al Piano nei media Americani. "Loro assicuravano di presentarsi con una politica alternativa fra pochissime settimane, ma nel frattempo si mostravano intenti ad affossare un piano dettagliato che aveva ricevuto l’avallo di tutti i loro alleati ed era vicino per essere sottoscritto dalle parti. Per qualsiasi standard di diplomazia internazionale si trattava di un comportamento oltraggioso." Balkan Odyssey (New York: Harcourt Brace and Company, 1995), Cap.. 3, "Il Piano di Pace Vance-Owen," pp. 112-120.

31. Mandel, How America Gets Away With Murder, "L’ICTY alla Guerra," pp. 132-146, specialmente pp. 132-134.

32. "Statement by Justice Louise ArbourDichiarazione del giudice Louise Arbour" (CC/PIU/378-E), ICTY, 16 gennaio 1999.

33. Così allora la Arbour affermava: "Alla luce della recente documentazione di un suo presunto coinvolgimento in Kosovo, ho deciso di rendere pubblica l’esistenza di un formale atto di accusa contro Zeljko Raznjatovic, noto anche come Arkan... [Rendendo pubblica adesso la sua messa in stato di accusa], questo servirà a mettere nell’avviso coloro i quali possono essere propensi a valersi dei suoi servizi, od ad obbedire ai suoi ordini, che assolutamente saranno contaminati dall’associarsi con un criminale di guerra inquisito." "Statement by the Prosecutor-Dichiarazione del Procuratore" (CC/PIU/391-E), ICTY, 31 marzo 1999.

34. Prosecutor Against Slobodan Milosevic et al. (IT-99-37-I, "Kosovo"), Louise Arbour, Procuratore, 22 maggio 1999.

35. Mandel, How America Gets Away With Murder, p. 144.

36. CNN Live Event/Special, 1:24PM, Transcript # 99052703V54, 27 maggio 1999.

37. Arbour rispondeva al reporter della televisione Britannica Lindsay Hill, che le chiedeva come lei potesse "dare assicurazioni che il Tribunale restava indipendente ed imparziale e non divenisse parte della strategia di guerra della NATO o non fosse percepito come parte della strategia di guerra della NATO?" Vedi British Ministry of Defense Briefing, April 20, 1999Informativa del Ministro della Difesa Britannico. Insieme alla Arbour, partecipavano a questa conferenza stampa il Ministro degli Esteri Britannico Robin Cook e il Generale Sir Charles Guthrie.                   

38. "Statement by Justice Louise Arbour, Prosecutor" (JL/PIU/404-E), ICTY, 27 maggio 1999.

39. Il 24 giugno 1995, Karadzic e Mladic divennero il quinto e il sesto dei veterani di guerra ad essere messi sotto accusa.  Vedi  Prosecutor Against Radovan Karadzic and Ratko Mladic (IT-95-5-I, "Bosnia ed Erzegovina"), Richard J. Goldstone, Procuratore, 24 luglio 1995. Questo iniziale atto formale di accusa copriva gli eventi in Bosnia ed Erzegovina, eccettuati quelli associati con l’evacuazione del luglio 1995 della "Zona di Sicurezza" di Srebrenica e delle sue conseguenze – una successiva imputazione non veniva emessa fino al mese di novembre. Vedi Prosecutor Against Radovan Karadzic and Ratko Mladic (IT-95-18 "Srebrenica" ), Richard J. Goldstone, Procuratore, 14 novembre 1995.

40. L’intervista a  L'Unità veniva riportata in "Karadzic un intoccabile, così afferma il Presidente del Tribunale per i Crimini di Guerra, " ANP English News Bulletin, 27 luglio 1995.

41. Scharf, " Accusati di crimini di guerra, e con ciò?" Washington Post, 3 ottobre 1999.

42. Vedi Final Report to the Prosecutor by the Committee Established to Review the NATO Bombing Campaign Against the Federal Republic of YugoslaviaRelazione finale al Procuratore da parte della Commissione istituita per esaminare la campagna di bombardamenti della NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, Ufficio del Procuratore, ICTY, giugno 2000, par. 90. (e la relativa Press StatementDichiarazione stampa (PR/P.I.S./510-e), ICTY, 13 giugno 2000.)

43. Riportato in Mandel, How America Gets Away With Murder, pp. 189-190.

44. Kirsten Sellars riferisce che nell’ottobre 1998 Michael Scharf valutava che vi erano "più del 90 percento"delle prove, che l’accusa aveva utilizzato, derivate da fonti per sentito dire. Vedi The Rise and Rise of Human Rights – L’origine e il progressivo aumento dei Diritti Umani (Sutton Publishing, 2002), p. 187.

45. In totale, il Tribunale ha emesso in otto differenti occasioni atti formali di accusa: tre per il Kosovo (22 maggio 1999, 29 giugno 2001; 29 ottobre 2001); tre per la Croazia (8 ottobre 2001; 23 ottobre 2002; 28 luglio 2004); e due per la Bosnia-Erzegovina  (22 novembre 2001; 22 novembre 2002)

46. Per una esauriente lista online delle fonti dell’ICTY, vedi The Trial of Slobodan Milosevic: Kosovo, Croatia, and Bosnia-Herzegovina (IT-02-54); e Transcripts.

47. Fra le altre cose, vedi i primi paragrafi in ognuno dei:  Second Amended Indictment of Milosevic et al. for KosovoSecondo atto formale di accusa emendato di Milosevic et al. per la Croazia , 29 ottobre 2001;  Initial Indictment of Milosevic et al. for Croatia, 8 ottobre 2001; Initial Indictment of Milosevic et al. for Bosnia and Herzegovina, 22 novembre 2001.

48. Misha Glenny, "Just what the Balkans didn’t needProprio quello di cui i Balcani non hanno bisogno," New Statesman, 20 marzo 2006.

49. Richard Holbrooke, "Rough justice for Milosevic is as fitting as a tribunal verdictLa dura giustizia naturale per Milosevic sostituisce esattamente il verdetto del tribunale," Financial Times, 14 marzo 2006.

50. Johnstone, Fools' Crusade, pp. 23-35; pp. 152-56. vedi anche la testimonianza del January 25, 2006  del Col. Milan Kotur al processo contro Milosevic sulla progettazione della secessione e dello stato di guerra da parte del governo Croato del Presidente Franjo Tudjman ben prima che la guerra scoppiasse, comprendente un video del 1990 in cui i leaders Croati discutevano come avrebbero allontanato le popolazioni Serbe.

51. Ibid, pp. 55-68.

52. I media, e lo si può ben capire, non riportano mai nulla dei discorsi di Milosevic. Nel suo discorso del 28 giugno 1989, Milosevic affermava che "la Jugoslavia è una comunità multinazionale e può sopravvivere solo alle condizioni di totale uguaglianza fra tutti le nazioni che vivono in essa," e nulla in altre parti di questo discorso risulta in conflitto con questo sentimento (vedi "Slobodan Milosevic's 1989 Speech at Kosovo PoljeDiscorso di Slobodan Milosevic del 1989 a Kosovo Polje ," BBC Summary of World Broadcasts, 30 giugno1989, messo in diffusione dal sito web di  Emperor's New Clothes website). Francisco Gil-White ha dimostrato come sistematicamente i media Occidentali hanno distorto la documentazione nel riferire su questo discorso, e come la stessa BBC  infine abbia interpretato in modo sbagliato il linguaggio, che aveva già registrato nel 1989, in accordo con la nuova politica ("How Politicians, the Media, and Scholars Lied about Milosevic's 1989 Kosovo SpeechCome i politici, i media e gli studiosi hanno mentito rispetto al discorso di Milosevic del 1989 in Kosovo," Francisco Gil-White, Historical and Investigative Research, ultimo aggiornamento, 8 settembre 2005).

53. Sulla responsabilità Slovena per questa guerra, citando l’ambasciatore USA Warren Zimmerman, vedi Johnstone, Fools’ Crusade, pp. 137-8.

54. Mandel, How America Gets Away With Murder, pp. 132-138.

55. George Kenney riferisce che nel 1999 un funzionario del governo Statunitense gli confidava che a  Rambouillet i negoziatori USA "deliberatamente avevano alzato ostacoli in modo che i Serbi non potessero accettare." Parafrasando Kenney, i "Serbi avevano bisogno... di un piccolo bombardamento per vedere ragioni." "Rolling Thunder: the Rerun ," The Nation, 14 giugno 1999.

56. Tim Judah, "Milosevic sta progettando una nuova guerra nei Balcani?" Scotland on Sunday, 19 marzo 2000; Daniel Williams e R. Jeffrey Smith, "Il Crociato per l’onore dei Serbi è stato provocatorio fino alla fine," Washington Post, 12 marzo 2006.

57. In una sorprendente concessione alla difesa di Milosevic, e in contraddizione con tutta la sequenza di atti d’accusa contro Milosevic et al. per aver fatto parte di “una associazione a delinquere”, il cui scopo supposto era quello di creare un “nuovo stato a dominio Serbo”, la “Grande Serbia”, il Procuratore Geoffrey Nice asseriva che “Il concetto che tutti i Serbi dovevano vivere in un unico stato è differente dal concetto di Grande Serbia...” (p. 43225). Per farla breve quindi, Nice affermava che Milosevic era motivato non da qualche desiderio di creare una “Grande Serbia”, ma dal “pragmatico” obiettivo di “assicurare che a tutti i Serbi  che avevano vissuto nella ex Jugoslavia  dovesse essere permesso di vivere in un unico stato per ragione costituzionale o per altri motivi. Questo significava prima di tutto, come noi abbiamo conosciuto storicamente dal suo punto di vista, che la ex Jugoslavia non doveva essere disgregata, visto che Milosevic argomentava che se tutti volevano vivere in un unico posto questo potevano farlo nella ex Jugoslavia.” (p. 43227). Prosecutor v. Slobodan Milosevic (IT-02-54-E), August 25, 2005, pp. 43225-43227. Come abbiamo riferito meglio, questa istanza da parte dell’accusa di rinunciare ad una delle accuse centrali contro Milosevic non è stata mai riportata dagli organi di stampa in lingua Inglese.

58. Per una migliore disamina del concetto di “associazione a delinquere” delineato da una relazione di un consulente tecnico nell’interesse della difesa poco tempo prima della morte di Milosevic, vedi The 'Butcher of the Balkans'? The Crime of 'Joint Criminal Enterprise' and the Milošević Indictments at the International Criminal Tribunal at The HagueIl “Macellaio dei Balcani”?, Il crimine di “associazione a delinquere” e i procedimenti di accusa contro Milosevic presso il Tribunale Criminale Internazionale all’Aja, David Chandler, Università di Westminster, Gran Bretagna, 2006.

59. Prosecutor v. Radislav Krstic (IT-98-33), giudice Almiro Rodrigues, Presidente, 2 agosto 2001, Sez. G, "Genocide."

60. Nell’ Initial Indictment of Milosevic et al. for Bosnia and Herzegovina, 22 novembre 2001, veniva fatto l’elenco di un grande numero di centri popolati della Bosnia, compresa Srebrenica,  dove poteva essere applicato il criterio del genocidio, in accordo con gli standard usati durante il dibattimento nel processo contro Krstic.

61. Elie Wiesel, "La Questione del Genocidio," Newsweek, 12 aprile 1999.

62. Cees Wiebes, Intelligence and the War in Bosnia 1992 – 1995  - Lo spionaggio e la guerra in Bosnia 1992-1995, (London: Lit Verlag, 2003), p. 388.

63. John Laughland, che aveva visitato Milosevic nella sua cella nel novembre 2005, scrive che “quando il martedì Milosevic aveva confessato di essere troppo sofferente per continuare, il giudice Patrick Robinson, che presiedeva, semplicemente gli si era rivolto con rabbia: “Voi siete sordo? Vi intimo di chiamare il prossimo testimone.” “Il Diritto Internazionale è ridicolo”,   The Spectator, 19 novembre 2005. Inoltre, dopo aver assistito all’udienza pubblica del processo Milosevic, l’avvocato della difesa, il Canadese Edward L. Greenspan esprimeva il suo scandalo per l’atteggiamento del giudice Richard May nei confronti di Milosevic. Greenspan scriveva: "May non può sempre fingersi imparziale o, addirittura, interessato. Chiaramente sta insultando Milosevic." Greenspan era sgomentato dall’abitudine di May di interrompere l’esame incrociato dei testimoni da parte di Milosevic – una pratica che solo peggiorò durante la difesa di Milosevic, dopo la morte di May e la sua sostituzione con il giudice Patrick Robinson. Greenspan scriveva "Sembra che May abbia dimenticato che Milosevic ha diritto ad un giusto processo. I primi due minuti del processo a Milosevic mi hanno edotto su tutto quello di cui avevo bisogno di sapere. Questo è un linciaggio." Edward L. Greenspan, "Questo è un linciaggio" National Post, 13 marzo 2002.

64. Decision on Assigned Counsel Request for Provisional ReleaseDecisione sulla richiesta dell’avvocato d’ufficio di scarcerazione provvisoria (IT-02-54-T), giudice Patrick Robinson, Presidente, ICTY, 23 febbraio 2006, par. 18.

65. Per il ruolo del Kosovo e più in generale della regione dei Balcani all’interno delle reti del crimine internazionale, vedi, ad es., Barbara Limanowska, Trafficking in Human Beings in South Eastern EuropeTraffico di esseri umani nell’Europa Sud-orientale, Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, marzo 2005; World Drug Report 2005Rapporto sulle droghe nel mondo, 2005, Ufficio ONU sulle Droghe e il Crimine, giugno 2005; e Tom Walker, "Rampage of the mafia may delay Kosovo independence - Il comportamento violento della mafia può ostacolare l’indipendenza del Kosovo" Sunday Times, 9 aprile 2006.




From:   andrea martocchia
Subject: "Giano" e la Jugoslavia
Date: July 28, 2006 11:14:18 AM GMT+02:00
To:   redazione giano

Spett.le redazione di "Giano",

tramite le pagine della rivista abbiamo recentemente fruito di un ricco e variegato dibattito sulla tragedia jugoslava. È normale che i testi ed i commenti pubblicati appaiano in una certa misura tra loro difformi, visto il carattere molto controverso delle questioni trattate e stante la diversità dei punti di vista e delle linee di approfondimento possibili. Personalmente ho apprezzato ed apprezzo proprio questa pluralità delle voci presenti sulla rivista, che sta a dimostrare di una analisi sincera e tuttora in corso sulle problematiche balcaniche.
Mi preme tuttavia stigmatizzare il modo in cui, in alcuni di questi testi particolarmente dedicati alla ricerca delle "cause prime" del disfacimento del paese con noi confinante, si fa riferimento ad un certo discorso di Milosevic:
- sul numero 51, Zaira T. Lofranco scrive: << Milosevic, per esempio, in occasione dell'evento mediatico organizzato nel giugno 1989 a Gazimestan per celebrare il sesto centenario della battaglia del Kosovo, sottolineò la necessità di difendere gli interessi del popolo serbo anche con le armi e esortò i suoi all'offensiva contro la popolazione di fede islamica (albanese o bosniaca che fosse) legittimandola come la doverosa rivincita della battaglia persa dai serbi contro i turchi nel 1389. Egli dichiarò, affiancato da patriarchi ortodossi e tra i consensi della folla: "Sei secoli più tardi, oggi, ci troviamo di nuovo in battaglia e davanti alle battaglie. Queste non sono armate, anche se non si può ancora escludere l'uso delle armi" (citato da Ostojic, S. 1994, p. 257 [in LIMES n.1]) >>
- sull'ultimo numero, 53, Domenico Di Fiore parla invece (a p. 186) di un << ormai tristemente famoso discorso del giugno 1989 alla "Piana dei Merli", mitico luogo fondativo dell'identità nazionale serba, di fronte a centinaia di migliaia di persone osannanti >>, senza citare alcunchè stavolta, ma derivandone invece ipotetici "pogrom sciovinisti", un "potere sostanzialmente illimitato", "un'accumulazione miliardaria derivante dai traffici criminali" , e così via.

È certamente vero che il discorso di Milosevic è "ormai tristemente famoso", vista la quantità infinita di citazioni scorrette ed a sproposito che ad esso fanno riferimento. Visto però il carattere anche documentario e scientifico della vostra rivista, chiedo, cortesemente ma fermamente, la pubblicazione integrale del discorso "incriminato". Il testo è infatti disponibile anche in lingua italiana, e da molti anni: lo riporto di seguito, insieme all'originale serbocroato ed al link al documento audio/video di quel 28 giugno 1989.
Segnalo che il testo del discorso di Milosevic a Campo dei Merli è stato pubblicato per la prima (e, per adesso, unica) volta in lingua italiana nel libro:

IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA.
IL J'ACCUSE DI SLOBODAN MILOSEVIC DI FRONTE AL "TRIBUNALE AD HOC" DELL'AIA
Zambon Editore (Frankfurt, 2005)
240 pagine, 10 euro, ISBN 88-87826-33-1


che contiene ancora altri documenti e testi di Milosevic altrimenti irreperibili nel nostro paese. Una recensione di questo libro da parte di "Giano" sarebbe di grande utilità per facilitare l'accesso direttamente alle fonti da parte dei tantissimi che, pur interessandosi di cose jugoslave in questo quindicennio, difficilmente hanno potuto superare i limiti del "sentito dire" e della conoscenza indiretta (magari da fonte giornalistica e comunque "non disinteressata").

Ringraziando per l'attenzione, auguro ancora buon lavoro
Andrea Martocchia




http://www.interfax.com/3/163871/news.aspx

Interfax - June 8, 2006

Russia to insist on closing International Tribunal for Yugoslavia

MOSCOW - Russia will oppose extending the mandate of the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia, Russian Permanent Representative to the United Nations Vitaly Churkin said at the UN Security Council.
The tribunal should terminate its mission on time, and Russia will insist on that, the UN news service quoted Churkin.
The tribunal made a serious mistake when it denied Yugoslav ex-president Slobodan Milosevic the chance to receive medical treatment in Moscow, he said.
The Russian public was shocked with "the tactless statement" by Tribunal Chief Prosecutor Carla del Ponte, who rejected Russia's guarantees concerning the Milosevic's treatment in Moscow, Churkin said.

http://en.fondsk.ru/article.php?id=1502

Strategic Culture Foundation - July 28, 2008

The Hague: A Lethally Dangerous Place

Alexander Mezyaev *

It was announced on July 21 that one of the main suspects wanted by the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY), the former President of Republika Srpska Radovan Karadzic had been arrested in Belgrade.
The first indictment against Karadzic was issued by the ICTY prosecutor R. Goldstone in November, 1995.
The charges included 36 counts such as genocide, complicity in genocide, killings, persecutions, deportations, inhumane acts, terror against civilian population, and the taking of hostages. However, the new ICTY prosecutor Carla Del Ponte subsequently changed the indictment, leaving only 11 counts.
Interestingly, the ICTY had in fact pronounced a judgment on Karadzic already in July, 1996.
When the ICTY rules were drafted at the early phase of its existence, controversy arose over the procedure allowing for trials in absentia, that is, without the accused being physically present before the Tribunal.
A number of judges strongly objected to the option while others deemed it necessary. Rule 61, formally regarded as the procedure of reviewing charges by the Tribunal, was adopted as a compromise.
In reality, the procedure is a lot more unfair than the previously proposed trials without the accused being present, as the latter would at least provide for the participation of defense in the process.
On the contrary, Procedure 61 does not imply any involvement of defense even formally. Karadzic was indicted on July 11, 1996 on all counts in accord with Rule 611. The hearings took only 7 days, and the decision was made in just 2 (!) days.
Indicting Karadzic was a matter of enormous importance to the ICTY due to the fact that the Tribunal's interpretation of responsibility was based on the theory of “a joint criminal enterprise”.
According to it, the guilt of the accused could be assumed proven in case there allegedly existed the enterprise and the individual was involved in it.
The concept was introduced by a US judge in the beginning of the Tribunal's activity to make it possible to prove cases lacking any kind of supporting evidence.
Thus Karadzic, who was not only portrayed as a kind of demon by the mass media but also had been indicted by the Tribunal without a trial, turned into “evidence” against other accused individuals.
It may be hard to imagine, but bracketing Karadzic with “a group of criminals who acted in concert” was presented as evidence proving the guilt of Yugoslavian President Milosevic!
The allegation that over 7,000 Bosnian Muslims were killed in Srebrenica in July, 1995 by the forces of Republika Srpska which were under the command of Karadzic as the Republic's President, was the main charge against him.
Though several trials related to the events in Srebrenica have taken place at the Tribunal between 1996 and 2008 and, due to vigorous media campaigns, the very word Srebrenica became a synonym of the “Serbian atrocity”, the trials actually failed to confirm the version of the events.
Of course, the ICTY did “establish” that genocide against Muslims had been committed in Srebrenica and laid the guilt for it on the leaders of Republika Srpska, but a review of the evidence on which the conclusion was based easily reveals that the resulting sentences are unfair and rely on hypotheses, guesswork, and in some instances on downright falsifications.
Even the fact of mass killings of civilians in the form in which it has been “established” by the ICTY remains unconfirmed.
Though the notion that over 7,000 Muslim men and boys have been killed in Srebrenica is now commonly accepted, no evidence to the effect has been presented to the Tribunal.
Only 1,500 of the mythic 7,000 burials were found, but some 1,000 of the people died in combat and could not be counted as civilians.
As for the extent of responsibility of particular individuals, the situation is even obscurer.
A number of people, particularly Gen. R. Krstic and V. Blagojevic, were found guilty solely on the basis of testimony given by other individuals who initially had been tried together with them.
For example, somebody, Miroslav Deronjic, agreed to testify against others and said they planned genocide, but did so in return for dropping genocide charges against himself.
Deronjic also testified against Milosevic who was charged with genocide in Srebrenica.
The centerpiece of Deronjic's testimony was his statement that Karadzic “told to kill them all”.
That was all the evidence available, but it was deemed convincing enough to find Milosevic guilty of genocide as it was concluded earlier that Milosevic had been in the same “criminal enterprise” with Karadzic. As for Deronjic, upon having played his role he was sentenced to 10 years and died last year in jail in Holland.
The case of Drazen Erdemovic, who had personally executed over a hundred civilians, was no less absurd.
Murder charges against him were dropped as a reward for his saying that he killed people on the orders issued by the leaders of Republika Srpska.
Milosevic completely disproved Erdemovic's testimony during a cross-examination, but the Tribunal has no concerns over the truthfulness of witnesses' testimonies as it is fully aware that those are
actually false. No doubt, Erdemovic is going to be the key witness in case Karadzic is tried by the ICTY.
The defense phase of another trial related to Srebrenica – the Popovic case involving a total of 9 people – continues, but it is already equally clear that the Tribunal failed to prove the guilt of any of the accused and that they are not going to be acquitted.
The purpose of the Tribunal is not to serve justice but to legitimize the falsified version of history written with the blood of the victims of the forces which had destroyed Yugoslavia, that is, the US and
other NATO countries.
A circumstance that should not be overlooked is that Karadzic was arrested at the time when, as planned by the UN Security Council, the Tribunal is about to close.
According to the plan, all trials must be completed by the end of 2008, and all appeals must be processed by the end of 2010.
It is obvious at the moment that the schedule will not materialize.
Some of the trials are at the very early phase (for example, the trial of Serbian Radical Party's President Vojislav Seselj) and others have not even commenced nor are going to open in the nearest future.
Russia addressed the situation by suggesting not to extend the Tribunal's mandate and to transfer the currently open proceedings to national jurisdictions.
It is clear in the context that the arrest of Karadzic can benefit the ICTY.
Notably, the Tribunal is the costliest institution run by the UN.
The salaries of its judges are orders of magnitude higher than those of the presidents of Western countries.
The exact salaries of the ICTY judges and prosecutors are kept secret, but one can guess a lot from the fact that minor ICTY attorneys are paid Euro 30,000 a month.
The end of the Tribunal would be a personal drama for its employees.
Russia's suggestion to transfer incomplete cases to national courts is not a problem-free solution either.
Does Karadzic have a chance to stand fair trial in Bosnia where the case would belong as the alleged crimes were committed in its territory? No doubt, no fair trial of Karadzic can be expected in the Hague either, but there at least the process would be watched by the whole world.
In case the trial of Karadzic takes place, it is going to be a serious challenge for the ICTY.
Until recently, the Tribunal was not exactly eager to see him arrested and brought to trial.
Carla Del Ponte's recent scandalous book has overshadowed the no less interesting one written by her former press-secretary Florence Hartmann, in which she describes “strange” developments related to Karadzic’s and Mladic’s cases.
For example, she claims that Jacques Chirac has brokered a deal to never try Karadzic in return for the release of French officers.
A lot of things referred to in this book, if presented at a trial, could hurt high-ranking politicians in the US and other NATO countries.
It appears likely that the trial will either never start or never be completed. The destiny that awaits Karadzic, considering how much he knows, can be the same as that of Yugoslavian President S. Milosevic and Serbian Krajina's President M. Babic – doctors in the Hague jail are known to easily declare that the deaths of inmates have been natural.


* Prof. Alexander B. Mezyaev is the Head of the
International Law Department at the Administration
Academy (Kazan')


http://en.rian.ru/papers/20100712/159770691.html

RosBusinessConsulting - July 12, 2010

Moscow demands abolition of Hague Tribunal


On Thursday, Moscow demanded that the international community abolish the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) as soon as possible.
Russian Foreign Ministry spokesman Andrei Nesterenko said the Hague Tribunal's decision to acquit Naser Oric, a former Bosnian Muslim military officer during the 1992-1995 war in Bosnia and Herzegovina, showed that it lacked impartiality, and that justice was being substituted by a political decision.
Analysts link Moscow's statement with its desire to establish positive relations with the new Serbian government.
On July 3, the Appeals Chamber of the ICTY acquitted Oric, who had commanded the Army of the Republic of Bosnia and Herzegovina forces in the Srebrenica enclave in Eastern Bosnia surrounded by Serb forces.
In 2009, the ICTY only found Oric guilty of not preventing war crimes committed by his subordinates and sentenced him to two years in prison. Oric was released because he had already served that term at a preliminary detention ward.
Nesterenko told journalists on Sunday that Oric was suspected of masterminding the massacre of over 3,000 Serbians who had lived in villages around Srebrenica in 1992-1995. "For unknown reasons, the ICTY has mitigated the unprecedentedly mild sentence and has completely exonerated the defendant," Nesterenko said.
The ICTY's impartiality has been repeatedly found questionable, which causes Russia's discontent. Vitaly Churkin, Russia's current Permanent Ambassador to the United Nations, made a similar statement at a June 4 meeting of the UN Security Council, which assessed the ICTY's work.
At that time, the ICTY was criticized for acquitting Ramush Haradinaj, a former guerrilla leader of the Kosovo Liberation Army (KLA) and later the prime minister of Kosovo.
Serbian political and military analyst Gostimir Popovic said Moscow's demarche with regard to the ICTY strove to expose the biased Western foreign policy and that the demand to abolish the tribunal was a friendly gesture with regard to the new Serbian government. He also believes that even pro-EU politicians had a negative opinion of the tribunal's work.
Popovic's conjecture is proved by opinion polls conducted in Serbia earlier in the week. In all, 87% of Serbians, including Bosniak Rasim Ljajic, the current Minister of Labor, Employment, and Social Affairs of Serbia and president of the National Council for Cooperation with the Hague Tribunal, doubt the ICTY's fairness and objectivity.




Sul caso del tentato assassinio di Radislav Krstic nella prigione di Wakefield (Gran Bretagna) si veda anche:
Brutal revenge [sic]: In a high-security British jail, a Serbian warlord has his throat slashed by three Muslim inmates - By DAVID WILLIAMS and STEPHEN WRIGHT
http://www.dailymail.co.uk/news/article-1274958/Brutal-revenge-In-high-security-British-jail-Serbian-warlord-throat-slashed-Muslim-inmates.html#ixzz0nLSfD7yy
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6744
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6746
Butchery at Wakefield Prison
http://original.antiwar.com/malic/2010/05/14/butchery-at-wakefield-prison/
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6759
International Defense Committee for ALL NATO/UN Political Prisoners and POWs
http://intlndefcompppows.blogspot.com/2010/05/international-committee-to-defend.html
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6759

Voci di sconcerto per il Trattamento dei Prigionieri Politici Internazionali

La feroce aggressione del 7 maggio u.s. al Generale Radislav Krstic nella Prigione di Wakefield (Regno Unito) è un drammatico esempio del fallimento delle garanzie di sicurezza per i prigionieri dei tribunali internazionali.

Il Generale Krstic, serbo nato in Bosnia, è stato condannato a 35 anni di prigione dal Tribunale Internazionale per i Crimini commessi nella ex Jugoslavia (ICTY) per complicità nei massacri di Srebrenica nel 1995, sebbene sia accertato che egli non è stato direttamente coinvolto in uccisioni criminose. Il Generale Kristic ha ripetutamente negato qualsiasi sua conoscenza di detti massacri all’epoca, e la sua sentenza è considerata eccessiva e motivata da ragioni politiche da molti osservatori informati che ritengono che il caso dovrebbe essere riaperto.

Il 7 maggio il Generale Krstic è stato fisicamente aggredito da tre reclusi indicati come "musulmani". E’ stato riportato che un ventiduenne albanese di nome Indrit Krasniqi  ha tagliato la gola del Generale Krstic, mancando di poco la giugulare.

Il ventiduenne Krasniqi è condannato all’ergastolo secondo la legge britannica per torture di gruppo e omicidio di una ragazza di 16 anni. La Prigione di Wakefield, nel nord dell’Inghilterra, è riservata a criminali condannati a lunghe pene per gravi crimini sessuali.

Riteniamo altamente irresponsabile da parte delle autorità Britanniche di aver imprigionato il Generale Kristic, essenzialmente un prigioniero di guerra, in un simile contesto. Oltre a tutto il sessantaduenne Generale Krstic è un disabile, avendo perso una gamba nella guerra di Bosnia. Vi è un ovvio rischio ad incarcerare un serbo-bosniaco accusato di gravi crimini contro i musulmani in una regione dell’Inghilterra con una popolazione musulmana particolarmente vasta. La affermazione [dei media] che l’attacco sia stato motivato da una "vendetta musulmana" serve da cortina fumogena per coprire le responsabilità delle autorità britanniche.

L’aggressione quasi fatale al generale Krstic  giunge dopo una sconvolgente serie di decessi di detenuti fatti incarcerare dai Tribunali Penali Internazionali per la ex Jugoslavia e il Rwanda.

Noi sottoscritti chiediamo:

. Un’inchiesta ufficiale sull’incidente del 7 maggio
. L’immediato trasferimento del Generale Krstic in una nazione capace di assicurare la sua sicurezza personale, ad esempio la Norvegia o la Serbia come richiesto dalle autorità di Belgrado.
. La fine dell’indifferenza dei governi, delle organizzazioni dei diritti umani e dei media sul destino dei prigionieri dei tribunali "ad hoc", personaggi spesso esageratamente stigmatizzati dai media e senza il beneficio della protezione accordata dai processi giudiziali nelle normali corti nazionali.
---

Se intendete sottoscrivere, inviate un messaggio con il vostro nome, attività professionale, città di residenza o paese di cittadinanza ed indirizzo email a:

David Peterson : davidepet@comcast.net

in cui sia specificato: << I hereby sign the petition of "Voices of Concern for the Treatment of International Political Prisoners" >> (Intendo sottoscrivere la petizione "Voci di sconcerto per il Trattamento dei Prigionieri Politici Internazionali").

Voices of Concern for the Treatment of International Political Prisoners

The vicious May 7 attack on General Radislav Krstic in Wakefield Prison (U.K.) is a dramatic illustration of the failure to ensure the safety of the prisoners of international tribunals.

A Serb native of Bosnia, General Krstic was sentenced to 35 years in prison by the International Criminal Tribunal for former Yugoslavia (ICTY) for complicity in 1995 Srebrenica massacres, although it is acknowledged that he was not directly involved in criminal executions. General Krstic repeatedly denied any knowledge of the massacres at the time, and his sentence is regarded as excessive and politically motivated by many informed observers who believe the case should be reopened.

On May 7, General Krstic was physically assaulted by three inmates identified as "Muslims." A 22-year-old ethnic Albanian named Indrit Krasniqi is reported to have slit the throat of General Krstic, narrowly missing the jugular.

Krasniqi, 22, was serving a life sentence under British law for the gang torture and murder of a 16-year-old girl. Wakefield Prison, in the north of England, is reserved especially for criminals serving long sentences for grave sex offenses.

We find it highly irresponsible of British authorities to incarcerate General Krstic, essentially a prisoner of war, in such an environment. Now 62 years old, General Krstic is disabled, having lost a leg in the Bosnian war. There is an obvious risk in imprisoning a Bosnian Serb accused of grave crimes against Muslims in a region of England with a particularly large Muslim population. The claim that the attack was motivated by "Muslim revenge" serves as a smokescreen to cover the responsibility of British authorities.

The near-fatal attack on General Krstic comes in the wake of an extraordinary series of deaths of prisoners held by the International Criminal Tribunals for former Yugoslavia and for Rwanda .

We, the undersigned, demand:

- An official inquiry into the May 7 incident.
- The immediate transfer of General Krstic to a country able to ensure his personal safety, for example to Norway, or to Serbia as requested by Belgrade authorities.
- An end to the indifference of governments, human rights organizations and the media to the fate of prisoners of ad hoc criminal tribunals, often exaggeratedly stigmatized by the media and without the benefits of the protection afforded by judicial process in normal national courts.
---

If you are willing to sign, please send a message with your name, professional identification, city where you reside or country of citizenship, and email address to:

David Peterson : davidepet @ comcast.net

Stating that:

I hereby sign the petition of "Voices of Concern for the Treatment of International Political Prisoners".




http://www.rnw.nl/international-justice/article/international-criminal-law-justice-oppression

International Criminal Law - From Justice to Oppression

Published on : 17 July 2011

The Nuremberg Trials of 1946 advanced international law in a fundamental way. For the first time in history the victims of aggressive war brought their attackers to justice and aggression was defined as the ultimate war crime from which all others flow. Today, international war crimes trials are used by the aggressor to persecute the victims of their aggression. International law has turned full circle from justice to oppression, from justice to revenge.

By Christopher Black (*)


What can better illustrate this than the one-sided justice at the ad hoc tribunals, the ICTY and ICTR, where the victims of western aggression are accused of the grossest slanders and crimes in order to obscure the real facts of those wars under a cloud of darkness and confusion. What can better illustrate this than the statement by the judges of the ICTR in the case of General Ndindiliyimana, in its judgement in the Military II case, just released, at paragraph 2191, that “The Defence submits that the indictment and arrest ‘were motivated by political reasons’. The Chamber recalls that before this Chamber, the Defence stated that the prosecution made every effort to encourage Ndindiliyimana to testify against Colonel Bagasora, but Ndindiliyimana refused. The Prosecution did not deny this. Following his initial refusal, the Prosecution produced a far-reaching indictment charging Ndindiliyimana with a number of crimes….Most of those charges were eventually dropped.”

Political reasons

As the judges of the ICTR revealed that the court’s prosecutor indicted people for political reasons, the ICTY demanded that Serbia hand over General Mladic for allegedly engaging in a “joint criminal enterprise” to kill Croats and Bosnian Moslems. General Mladic maintains that he defended Serbs from the criminal actions of the Croat and Bosnian Moslem forces attacking his peoples, for which there is abundant evidence. Yet the victim once again is the accused and the witnesses brought against him are from the party of the aggressor.

Now we have the absurdity of the International Criminal Court issuing criminal indictments against various Africans whose common connection is to be in the way of western interests in Africa. The latest indictment against Colonel Ghaddafi, made because his country resists the aggression and war crimes of the USA and its satellites in Europe and Canada shows, even to the blind, that control of the ICC has been seized by the USA, even as that country refuses to be subject to its jurisdiction.

Shocking aspect

Never in history has “criminal justice” been perverted to such criminal ends. The most shocking aspect is the complete acquiescence of the nations of the world in this charade. Members of the Security Council, apart from the United States, have the power to annul the ad hoc tribunals but they do not. They have the power to refuse to refer clearly political accusations to the ICC. But they do not. It is they who are in charge and who are responsible, just as much as the USA.

General Mladic would have good reason to tell the ICTY judges that since they are a proxy for the Security Council, he wants to be tried by the Security Council itself, and then he could see who he was really up against and why. Colonel Gaddafi would have the same right to demand to be brought face to face with his real accusers in the Security Council so he could reveal to the world their true interests. But this right to face one’s accuser, this right to honesty, will not be allowed. Instead they are faced with a theatre troop acting out a macabre play, a show for the public.

So corrupted

Indeed, the entire structure of “international justice” since 1946 has become so corrupted that it is difficult to see how it can be transformed into a vehicle to stop aggression as it was intended, instead of a propaganda tool justifying it. The rot has spread everywhere.

The nations of the world must once again stand up and demand that the principles of the United Nations Charter be adhered to. They were thought important once. They are important now. They must demand that this architecture be dismantled, that international justice be restored in the true sense of the phrase, and that the sovereignty of nations and self-determination of peoples be inviolate principles once again. But this architecture cannot be dismantled until the Security Council is abolished and the United Nations General Assembly represents the true interests of the peoples of the world in complete equality.


(*) Christopher Black, International Criminal Lawyer Toronto, Canada. The views expressed in this article do not necessarily reflect the views of Radio Netherlands Worldwide.




(To read the english version of this article:
What do the killings of Milosevic, Saddam Hussein and Gaddafi have in common?
Hannes Hofbauer - Strategic culture foundation, 27. 10. 2011
http://www.nspm.rs/nspm-in-english/what-do-the-killings-of-milosevic-saddam-hussein-and-gaddafi-have-in-common-q.html
or http://www.en.beoforum.rs/comments-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/230-who-decides-on-waging-wars.html
or http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7201
Um die deutsche Fassung dieses Artikels zu lesen:
Milosevic, Saddam, Gaddafi: Lynchjustiz und Geopolitik
von Hannes Hofbauer - veroeffentlicht in Zeit-Fragen u. COMPACT
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7233 )


MILOSEVIC, SADDAM, GHEDDAFI: GIUSTIZIA DEL LINCIAGGIO E GEOPOLITICA

di Hannes Hofbauer

 
A partire dal crollo dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia nel 1991 tre capi di Stato e di governo sgraditi all’Occidente sono stati assassinati dalle istituzioni del triumvirato globale Usa – Unione Europea – Nato o sono morti sotto la responsabilità di questi. Un tale sviluppo è inquietante. L’11 maggio 2006 l’ex Presidente jugoslavo Slobodan Milosevic venne trovato morto nella sua cella a Scheveningen, dopo che gli era stata negata dal tribunale dell’Aja  la richiesta assistenza medica. Il 30 dicembre 2006 è morto sul patibolo ad al-Kadhimija a nord-est di Baghdad il Presidente iracheno Saddam Hussein in precedenza abbattuto dalla guerra di bombardamento e dall’invasione militare. E il 20 ottobre 2011 ribelli libici hanno colpito e trascinato a morte Gheddafi. Che cosa hanno in comune questi tre capi di Stato morti? Anzitutto e visibilmente la forma brutale della loro eliminazione. Nessun serio tribunale ha mai indagato sulle loro colpe, nessuna istanza internazionale ha stabilito la loro responsabilità per eventuali crimini di guerra. Le condanne si sono avute senza eccezione ad opera dei media occidentali sulla base di corrispondenti istruzioni dei vertici di circoli politici e militari dell’ambito Nato. Al momento della loro eliminazione figuravano tutti e tre senz’altro come la personificazione del male; e come tali, nel caso di Gheddafi, di Saddam Hussein e dei figli di questo, i loro cadaveri sfigurati sono stati esposti al pubblico. I fruitori dei media dovevano essere sicuri: qui giacciono diavoli, non uomini. L’assassinio politico con connessa ostensione del nemico rimanda a un lontano passato della civiltà.

Milosevic, Saddam Hussein e Gheddafi sono stati eliminati come nemici, non come criminali. E sicuramente hanno compiuto crimini, con responsabilità per una intera serie di misfatti. Ma questi loro misfatti, dallo schiacciamento di forze di opposizione sino alla repressione di minoranze etniche, hanno rappresentato solo il pretesto per gli interventi militari dell’Occidente. Qualunque altra interpretazione resta esclusa a fronte del fatto che oppressione politica ha luogo anche altrove in forme molteplici mentre nessuna “comunità internazionale” pensa ad intervenire militarmente a tal proposito. Dall’Arabia Saudita alla Spagna-terra dei Baschi, dalla Nigeria all’Indonesia la Nato avrebbe ben da fare nel far scendere in campo per i diritti dell’uomo la sua Armada.

Solo in casi ben precisi l’Alleanza occidentale entra in azione al fine – viene asserito – di  proteggere i civili. Quando e dove ciò viene fatto? E quali motivi vi si celano?

Gli alleati occidentali hanno dato la caccia fino alla morte a Milosevic, Saddam Hussein e Gheddafi non a causa della cattiva politica di questi, ma in ragione della loro buona politica. Tutti e tre sono stati simboli di forme diverse di “dittatura dello sviluppo”. Una consistente politica sociale per la massa del popolo, cure per un equilibrio regionale e sforzi in direzione di una modernizzazione economica. Ciò li differenziava da coloro che in prima linea si consideravano e si considerano come rappresentanti di investitori stranieri o di interessi geopolitici estranei. In Jugoslavia, Iraq e Libia gli investitori stranieri avevano accesso solo limitato ai mercati nazionali, basi militari estranee erano indesiderate. Questo è stato uno dei motivi principali per cui Milosevic, Saddam Hussein e Gheddafi apparivano sospetti alla troika costituita da Nato, Usa ed Unione Europea.

Ma anche la situazione geopolitica dei loro paesi ha reso questi oggetto di cupidigia occidentale. Tutti e tre giacciono alla periferia della zona di influenza occidentale, sia storicamente che attualmente. Durante la guerra fredda Jugoslavia, Iraq e Libia sono stati paesi cerniera fra i due blocchi, che in base alla propria forza politica ed economica non ravvisavano ragione alcuna per consegnare la loro indipendenza agli accaparramenti occidentali o alle ambizioni orientali. Mosca e Washington garantivano ciascuna la metà di quell’indipendenza, ciò che ha fatto anche crescere il sentimento nazionale. Dopo la fine dell’Unione Sovietica tutto ciò è restato sospeso nell’aria e in mancanza di copertura da parte di Mosca ha condotto direttamente alla catastrofe. Sembra che i Paesi collocati fra i blocchi siano quelli che avessero ed abbiano più da soffrire davanti all’avanzata della nuova strategia imperiale. È ciò accaduto perché essi potenzialmente erano nella situazione di effettuare un’integrazione nel mercato globale diversa da quella dettata da Unione Europea, Usa e Nato? La troika imperiale si è sentita minacciata da tutto ciò?

Jugoslavia, Iraq e Libia potevano rimandare a una lunga storia di partnership con il Consiglio di Cooperazione economica, il corrispondente sovietico dell’Unione europea. Fino ai tardi anni ’80 è fiorito il commercio di beni di investimento, di consumo e di armi. Tale commercio veniva sviluppato tanto attraverso valute forti quanto anche nella forma del baratto, e cioè attraverso scambio diretto di beni: ciò che era escluso nel mondo dell’egemonia del dollaro. Triangolazioni con Stati africani o con l’India erano all’ordine del giorno. All’inizio degli anni ’90, gli Usa e l’Unione Europea hanno profittato della debolezza della dirigenza post-sovietica per imporre contro questi tre Stati di relativa potenza e operanti in spirito di indipendenza gli embarghi economici. Uno di questi colpì nell’agosto 1990 l’Iraq, le cui truppe avevano invaso in precedenza il Kuwait. Due anni dopo, nel 1992, il Consiglio di sicurezza delle NU irrogò sanzioni contro la Jugoslavia (30 maggio) e la Libia (31 maggio). Nel caso di Belgrado queste vennero motivate con la presa di posizione “sbagliata” nella guerra civile jugoslava, nel caso di Tripoli con l’asserita responsabilità per l’esplosione di un aereo Pan-Am nei cieli di Lockerbie, che era avvenuta anni prima. L’Iraq, la Jugoslavia e la Libia sono stati gli unici Paesi paralizzati da blocchi economici annosi[1]. Ciò che non colpì solo loro, ma anche i loro partner commerciali tradizionali dell’Est: Russia, Bulgaria, Romania… Questo proprio in un momento in cui le economie post-comuniste in sfacelo dovevano adottare nuovi orientamenti. Esse avrebbero avuto urgente bisogno di partner forti che potessero scambiare con loro prodotti su base diversa dal dollaro. Gli embarghi contro l’Iraq, la Jugoslavia e la Libia lo hanno impedito. All’inizio ciò irritò quadri non epurati dell’epoca sovietica di fronte alle perdite imposte: “nei primi sei mesi dall’inizio dell’embargo commerciale contro l’Iraq l’Unione Sovietica ha perduto quattro miliardi di dollari Usa”, dichiarò Igor Mordvinov, portavoce del Ministero per il Commercio estero. Oggi sappiamo che la successiva Federazione russa ha perduto molto di più: la possibilità di un’integrazione economica alternativa rispetto al mercato mondiale dominato dagli Usa.

Milosevic e Saddam Hussein erano stati già abbattuti quando la Libia di Gheddafi ravvisò una piccola occasione di sopravvivere alla grande svolta epocale senza doversi arrendere ai diktat di Washington e di Bruxelles. Dopo che Tripoli nel 2004 ebbe pagato somme di risarcimento agli eredi delle vittime di Lockerbie senza con ciò riconoscere una propria colpa, il Consiglio di sicurezza delle NU abrogò l’embargo. Sino ad allora Gheddafi era stato l’unico fra i tre paria ad esser sopravvissuto fisicamente alle sanzioni economiche. Vennero sottoscritti accordi internazionali con la Gran Bretagna, la Francia e l’Italia. Ma Gheddafi si ricordò anche delle buone relazioni tradizionali con Mosca e cominciò a riattivarle. All’ombra dei contatti con l’Occidente, Mosca e Tripoli cercarono di annodare stretti legami economici. Nel 2007 il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha visitato la Libia, poco dopo è arrivato personalmente Vladimir Putin per perfezionare il trattato relativo alla costruzione di una linea ferroviaria di 550 chilometri fra Bengasi e Sirte. Ancor più interessanti sono stati i colloqui sulla costruzione di un metanodotto che sarebbe dovuto arrivare in Europa attraverso il Mediterraneo e ciò sotto la direzione tecnica di Gazprom. Allorché anche il più potente uomo di Russia, il capo di Gazprom Alexej Miller, arrivò nell’aprile 2008 da Gheddafi, in Occidente suonò l’allarme. La sua offerta a Tripoli fu equivalente ad una bomba geopolitica. Gazprom avrebbe in futuro acquistato dalla Libia “l’intero gas naturale estratto come pure quello liquefatto ai prezzi del mercato mondiale”, secondo quanto annunciato dall’agenzia Interfax il 9 luglio 2008. L’Occidente si sentì minacciato. Se si fosse arrivati al trattato, Gazprom avrebbe ampiamente portato sotto il proprio controllo il mercato del gas dell’Europa occidentale attraverso la pipeline “North Stream” del Mar Baltico inaugurata nel novembre 2011 e quella da costruirsi nel Mediterraneo. Oggi sappiamo che le cose sono andate diversamente. Da settimane le direzioni dei monopoli occidentali del petrolio, del gas e dell’acqua fanno la caccia alla Libia per concludere accordi di sfruttamento e di estrazione con un cosiddetto “governo di transizione” nelle condizioni di uno Stato inesistente, ciò che rende la questione estremamente appetibile. Dopo una guerra di otto mesi la coalizione dei volenterosi, in prima linea i monopoli francesi, britannici e degli Usa, possono servirsi a buon prezzo. Il presidente in funzione del Consiglio di transizione, Abdel Rahim el-Kib, adempirà i suoi doveri amministrativi nei confronti degli investitori occidentali proprio senza contrasto così come i suoi colleghi Boris Tadic e Nuri al-Maliki lo fanno a Belgrado e Baghdad.


Fonte: Zeit-Fragen, 3.1.2012 / COMPACT 12/2011 (trad. di AB, che ringraziamo)

[1] N.d.r. Non bisogna però dimenticare almeno Corea popolare e Cuba.

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Giustizia selettiva

di David Harlan   New York Times, 7 dicembre, 2012

Pessimo essere un Serbo vittima di un qualsiasi crimine nella ex Jugoslavia. I Serbi sono stati costretti a partire dalle loro case  e hanno subito una pulizia etnica dalle guerre nei Balcani molto più di qualsiasi altra comunità. E più Serbi rimangono etnicamente spostati ancora oggi. Non si è tenuto conto di quasi nessuno e sembra che non succederà. Il tribunale per i crimini di guerra delle Nazioni Unite all’Aja ha prosciolto  dall’accusa di crimini di guerra Ramush Haradinaj, ex primo ministro del Kosovo. Il mese scorso la corte dell’Aja ha scagionato due generali croati.  Prosciolti in appello, i generali che hanno guidato la Croazia alla vittoria sui Serbi. Nell’insieme, quasi tutti gli amici dell’Occidente sono stati prosciolti; quasi tutti i Serbi sono stati giudicati colpevoli. Questi risultati non riflettono l’equilibrio dei crimini commessi sul terreno. Non nutro simpatia per i Serbi che sono stati imprigionati. Al contrario. Ho vissuto l’assedio di Sarajevo. Sono stato testimone al processo per i casi dell’ex presidente Serbo, Slobodan Milošević, per il presidente dei Serbi bosniaci in tempo di guerra, Radovan Karadzić, e, più recentemente, del comandante militare Serbo bosniaco, Ratko Mladić, accusato di aver ordinato il massacro di Srebrenica. I Serbi hanno commesso molti dei peggiori crimini di guerra, ma non erano per niente i soli, e non è giusto, o utile, che ne abbiano l’unica responsabilità.

Imprigionare solo i Serbi è semplicemente senza senso in termini di giustizia, in termini di realtà, o in termini di politica. I leader Croati furono conniventi del disgregamento della Jugoslavia e hanno contribuito abbondantemente agli orrori in Bosnia-Erzegovina. Sono stato io stesso testimone della indiscriminata furia dell’assalto Croato alla bella città di Mostar. Ho vissuto in una cittadina della Bosnia dove le teste decapitate dei Musulmani catturati erano esposte nella piazza del mercato. Ho visto io stesso decine e decine di migliaia di rifugiati civili Serbi fuggire dalla Croazia all’alba dell’offensiva Croata del 1995 che terminò la guerra. Se i generali prosciolti non erano responsabili della pulizia etnica, qualcuno lo era, qualcuno che presumibilmente sarà lasciato libero. Nemmeno lo erano solo i Serbi e i Croati, anche se devono portare sulle spalle  un grosso peso del giudizio della storia. La leadership Musulmana Bosniaca ha profondi e compromettenti legami con il movimento internazionale dei Jihadisti e hanno ospitato almeno tre persone che hanno giocato ruoli chiave negli attacchi agli Stati Uniti dell’11 settembre. Sono stato testimone di attacchi di elementi stranieri dei mujaheddin contro civili Croati nella valle di Lavska. E le autorità Albanesi Kosovare meritano una speciale  menzione, per aver impiegato la pulizia etnica, nella sua forma più estrema, per potersi sbarazzare interamente delle popolazioni Serbe e Rom. Gli antichi monasteri cristiani ortodossi sono, ora, quasi il solo ricordo di una popolazione non albanese, una volta fiorente. Questi monasteri sono stati oggetto di numerosi violenti attacchi. Diversi sono stati distrutti; altri sono sotto continua minaccia. Haradinaj è stato dichiarato innocente delle accuse contro di lui, ma rimane il fatto che centinaia di migliaia di Serbi, per la maggior parte anziani, donne e bambini, furono etnicamente cacciati dal Kosovo dagli Albanesi Kosovari. Quanto è successo al tribunale è lontano dalla giustizia, e sarà interpretato dagli osservatori nei Balcani e oltre come la continuazione della guerra con mezzi legali contro gli Stati Uniti,  la Germania e le altre potenze occidentali da una parte, e i Serbi dall’altra. Questo amplificherà i peggiori istinti politici nella gente della ex Jugoslavia: il complesso di persecuzione dei Serbi; il trionfalismo dei Croati; il senso di vittimismo dei Musulmani Bosniaci; la rivendicazione dei Kosovari Albanesi per la ricerca della purezza razziale. Ognuno di questi tratti ha delle basi di verità, e ognuna è stata esagerata e manipolata dai politici di ogni parte. La mancanza di un riconoscimento legale canalizzerà una volta ancora le lagnanze nel processo politico, depositando molte munizioni per futuri round conflittuali. E’ l’opposto di quanto il tribunale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia era stato creato per ottenere.

 
(Una versione di questo articolo è apparso anche sul The International Herald Tribune dell’8 Dicembre 2012)

 
Traduzione a cura di JTMV per il Forum Belgrado Italia
SELECTIVE JUSTICE

By DAVID HARLAND

NYT, December 7, 2012

TOO bad if you were a Serb victim of any crime in the former Yugoslavia. More Serbs were displaced abd ethnically cleansed by the wars in the Balkans than any other community. And more Serbs remain ethnically displaced to this day. Almost no one has been held to account, and it appears that no one will be. The United Nations war crimes tribunal in The Hague has acquitted Ramush Haradinaj, Kosovo`s former prime minister, of war crimes. Last month, hague-court overturns convictions of 2 croatian-generals. It acquitted on appeal, the generals who led Croatia to victory over the Serbs. Altogether, almost all of the West`s friends have been acquitted; almost all of the Serbs have been found guilty. These results do not reflect the balance of crimes committed on the ground. I have no sympathy with the Serbs who have been convicted. On the contrary. I lived through the siege of Sarajevo. I served as a witness for the prosecution in the cases against the former Serbian president, Slobodan Milosevic, the wartime leader of the Bosnian Serbs, Radovan Karadzic, and, most recently, the Bosnian Serb military commander, Ratko Mladic, who is accused of ordering the massacre at Srebrenica. The Serbs committed many of the war`s worst crimes, but were not at all alone, and it is not right, or useful, for them to carry the sole responsibility. Convicting only Serbs simply doesn`t make sense in terms of justice, in terms of reality, or in terms of politics. The Croatian leaders connived in the carve-up of Yugoslavia, and contributed mightily to the horrors on Bosnia and Herzegovina. I witnessed for myself the indiscriminate fury of the Croatian assault on the beautiful city of Mostar. I lived in a town in Bosnia where the decapitated heads of captured Muslims were displayed in the marketplace. I saw for myself tens and tens of thousands of Serb civilian refugees fleeing Croatia in the wake of the 1995 Croatian offensive that ended the war. If the acquitted generals were not responsible for this ethnic cleansing, then somebody was, somebody who will presumably go free. Nor were the Serbs and Croats alone, though they must shoulder most of the judgment of history. The Bosnian Muslim leadership had deeply compromising links to the international jihadists movement, and hosted at least three people who went on to play key roles in the 9/11 attacks on the United States. I witnessed attacks by foreign mujahedeen elements against Croat civilians in the Lasva Valley. And the Kosovar Albanian authorities deserve a special mention, having taken ethnic cleansing to its most extreme form of ridding themselves almost entirely of the Serb and Roma populations. Kosovo’s ancient Christian Orthodox monasteries are now almost the only reminder of a once-flourishing non-Albanian population. These monasteries have been the object of numerous violent attacks. Several have been destroyed; others remain under threat. Haradinaj has been cleared of the charges brought against him, but the fact remains that hundreds of thousands of Serbs, mostly the elderly, women and children, were ethnically cleansed from Kosovo by the Kosovar Albanians. What has happened at the tribunal is far from justice, and will be interpreted by observers in the Balkans and beyond as the continuation of war by legal means, with the United States, Germany and other Western powers on one side, and the Serbs on the other. This will amplify the worst political instincts of the peoples of the former Yugoslavia: the persecution complex of the Serbs; the triumphalism of the Croats; the sense of victimization of the Bosnian Muslims; the vindication of the Kosovar Albanian quest for racial purity. Each of these traits has some basis in truth, and each has been exaggerated and manipulated by politicians on all sides. The lack of legal reckoning will once again channel grievances into the political process, laying up plenty of ammunition for further rounds of conflict. It is the opposite of what the war crimes tribunal for the former Yugoslavia was created to achieve.


(A version of this op-ed appeared in print on December 8, 2012, in The International Herald Tribune)




GORAN JELISIC, IMPUTATO DEL TRIBUNALE SPECIALE

Ha ragione Ugo Giannangeli, che nella sua Postfazione al nuovo libro "Uomini e non uomini" (*) scrive: «Ho letto il libro di Goran Jelisic e sono rimasto allibito». "Allibito" è la parola giusta. Giustamente nella Postfazione Giannangeli parla del carattere eminentemente politico - e perciò giuridicamente obbrobrioso - del "processo" subito da Jelisic: «Non che di aberrazioni giudiziarie non ne abbia viste, ma poco sapevo del funzionamento del Tribunale dell'Aja».

Le cronache del "Tribunale penale internazionale ad hoc per i crimini commessi sul territorio della ex Jugoslavia" (TPIJ) non possono che lasciare allibito chiunque vi si avvicini per caso e senza parzialità o preconcetti. Il problema, però, è che – tolto il libro di cui stiamo parlando – tali cronache a dir poco scarseggiano. Esistono, è vero, i servizi informativi prodotti dallo stesso "Tribunale" (1) che oltre a farsi autopropaganda pubblica le trascrizioni ufficiali e una parte dei video (su YouTube) dei dibattimenti: ma il non addetto ai lavori non sa che farsene di questa mole esorbitante di materiali. Esistono poi le sintesi informative prodotte dall'IWPR (Institute for War & Peace Reporting), agenzia di stampa creata ad hoc per occupare a priori scrivanie e computer degli organi di informazione rendendo "superfluo" – cioè in pratica impedendo – il lavoro di presa diretta, scavo e analisi indipendente che invece il giornalista sarebbe tenuto a fare. La IWPR è nata in effetti per "coprire" mediaticamente in maniera totalitaria tutta la crisi jugoslava sin dai primi anni Novanta: chi li finanzia? Ma che domande: gli stessi che finanziano il "Tribunale ad hoc"! Tra questi spiccano il National Endowment for Democracy, l'Open Society Institute e la Rockefeller Family Associates (2).

Non esistono giornalisti indipendenti che abbiano seguito i lavori del TPIJ in maniera non occasionale, ed anche alcune attività di contro-informazione avviate su internet, per ovvie ragioni, non hanno retto al passare inesorabile del tempo – chi può seguire costantemente una questione per un ventennio o più su base meramente volontaria? Tantomeno tali attività hanno retto dopo alcune pesanti sconfitte subite – la più pesante fra tutte: l'assassinio di Slobodan Milosevic proprio nel carcere dell'Aia, proprio mentre avviava la sua autodifesa. (3)

Con la morte di Milosevic è venuta meno ogni attività di analisi e di critica delle attività del "Tribunale". Guardiamo al nostro paese, l'Italia, che pur essendo un paese molto provinciale aveva visto svilupparsi sin dagli anni Novanta innumerevoli attività dedicate ai fatti jugoslavi: ebbene, sul "Tribunale ad hoc" è uscito un numero assolutamente esiguo di testi analitici. Pochi gli articoli, tutti copia-e-incolla dei dispacci d'agenzia venuti dall'estero, e pochissimi anche i libri. Tra questi ultimi, cronologicamente precedenti al libro di Jelisic, dobbiamo ricordare solamente: «Imputato Milosevic. Il processo ai vinti e l'etica della guerra», di Massimo Nava (Fazi 2002), e il "nostro" «In difesa della Jugoslavia. Il j’accuse di Slobodan Milošević di fronte al “Tribunale ad hoc” dell’Aia» (Zambon, 2005). (4)
Sarebbe a questo punto importante, a venti anni dalla creazione di tale istituzione para-legale, operare una ricognizione degli studi specifici effettuati a livello accademico, delle Testi di laurea o dottorato dedicate al "Tribunale" o che usano gli Atti del "Tribunale" come fonte di ricostruzione storica dei tragici fatti jugoslavi… Sarebbe importante, ma già viene la pelle d'oca a pensare a quali sarebbero i risultati di questa ricognizione.

Sulla vera natura del "Tribunale ad hoc" scrivevamo nel 2005 (5): «La "giustizia" del "Tribunale ad hoc" è dunque quella di una parte in causa contro l'altra: il contrario esatto del super partes. Il TPIJ, analogamente al famigerato Tribunale Speciale dell'Italia fascista, è uno strumento politico totalmente sotto controllo dei vincitori, cioè degli aggressori, devastatori ed invasori della Jugoslavia.» Ci confortava nel giudizio la sincera dichiarazione di Jamie Shea, portavoce della NATO durante i bombardamenti sulla Jugoslavia della primavera del 1999: «La NATO è amica del Tribunale, è la NATO che detiene per conto del Tribunale i criminali di guerra sotto accusa… Sono i paesi della NATO che hanno procurato i fondi per istituire il Tribunale, noi siamo tra i più grandi finanziatori.» 
Più in dettaglio, del "Tribunale ad hoc" analizzavamo i meccanismi giuridici: «Noti giuristi e commentatori hanno spiegato come, nel suo funzionamento, il TPIJ violi tutti i principi del diritto internazionale. In sostanza, esso non rispetta la separazione dei poteri, né la parità fra accusa e difesa, né tantomeno la presunzione di innocenza finché non si giunge ad una condanna: la regola 92 del TPIJ stabilisce che le confessioni siano ritenute credibili, a meno che l'accusato possa provare il contrario, mentre in qualsiasi altra parte del mondo l'accusato è ritenuto innocente fino a quando non sia provata la sua colpevolezza. Il TPIJ formula i propri regolamenti e li modifica su ordine del Presidente o del Procuratore, assegnando ad essi carattere retroattivo: attraverso una procedura totalmente ridicola, il Presidente può apportare variazioni di sua propria iniziativa e ratificarle via fax ad altri giudici (regola 6). Il regolamento stesso non contempla un giudice per le indagini preliminari che investighi sulle accuse. Il "Tribunale ad hoc" utilizza testimoni anonimi, che si possono dunque sottrarre a verifiche da parte della difesa; secreta le fonti testimoniali, che possono essere anche servizi segreti di paesi coinvolti nei fatti. Esso usa la segretezza anche sui procedimenti aperti (regola 53); ricusa o rifiuta a proprio arbitrio di ascoltare gli avvocati della difesa (regola 46), allo stesso modo dei tribunali dell'Inquisizione; può rifiutare agli avvocati di consultare documentazione probatoria (regola 66); può detenere sospetti per novanta giorni prima di formulare imputazioni, con l'evidente scopo di estorcere confessioni. Dulcis in fundo, i giudici si arrogano persino il diritto, d'accordo con la "pubblica accusa", di revisionare la trascrizione del dibattimento, censurandola.»

La gran parte di queste pratiche illegittime è puntualmente confermata nel suo libro da Goran Jelisic, il quale porta quei casi esemplari che sono le sue esperienze dirette. Esperienze drammatiche, a fronte delle quali chiunque impazzirebbe. Jelisic invece raccoglie il suo dolore, i suoi shock, e riesce a farne un libro, a rivendicare semplicemente la umanità sua e dei suoi compagni di prigione, anche quelli di diverso colore politico-etnico. Di qui il titolo, poiché «esistono solo due nazioni: gli uomini e i non uomini» (p.87). E sulla base di questo spontaneo senso di umanità in carcere si fraternizza spesso (non sempre) anche con il nemico di ieri.

Jelisic spiega ulteriori discutibili prassi adottate dal "Tribunale". Racconta casi precisi, di testimoni "imboccati" dai giudici, o del modo in cui vengono imposti gli avvocati difensori e come questi ultimi inducano l'imputato a commettere errori dei quali pagherà poi care le conseguenze. Fa alcuni esempi di materiale probatorio grossolanamente falsificato (addirittura estratti da un film di Arnold Schwarzenegger: p.223). Jelisic racconta come gli inquirenti cercarono in tutti i modi di fagli dire che a Brcko erano stati uccisi seimila musulmani: «Ero sbalordito da tale richiesta. In seguito, ogni volta che volevano spingermi a dire qualcosa, spegnevano la telecamera. Si vedeva che avevano una bella esperienza d'interrogatori nei servizi segreti o come agenti» (p.144; p.170). Jelisic spiega che di fronte a sue "ammissioni" era sempre pronto uno sconto di pena… Alcune sue presunte vittime verranno però invece ritrovate vive e vegete (p.169; p.308). 
Un altro elemento interessante che emerge dalle memorie di Jelisic è la varietà delle posizioni e degli atteggiamenti anche nel seno di ciascuna parte etnico-politica. Così, ad esempio, anche tra i serbi di Brcko: Jelisic prigioniero non sempre trova tra i suoi ex commilitoni e preposti quell'aiuto che si sarebbe aspettato. Anche per qualche suo ex superiore evidentemente poteva essere lui, Jelisic, il capro espiatorio adatto a calmare le acque su altri versanti. L'opportunismo ha trasformato in "non uomini" anche qualcuno dei "suoi". 

E' particolarmente importante l'informazione che Jelisic fornisce sulla sua vicenda "italiana". Innanzitutto, dopo la condanna egli è stato arbitrariamente assegnato ad una prigione italiana nonostante garanzie affatto diverse che gli erano state date. In Italia è passato per sei prigioni diverse, e si trova adesso a Massa, dove deve terminare di scontare una condanna a 30 anni (fino al 2028). Sebbene abbia fatto domanda per ottenere tre anni di indulto, concessi a tutti i detenuti dello Stato italiano, questi gli sono stati rifiutati con la motivazione che avrebbe commesso il crimine di genocidio, reato da cui invece è stato assolto; i suoi ricorsi non ottengono nemmeno risposta. Gli sono stati negati anche i permessi che invece, nelle carceri estere, sono stati spesso concessi ad altri condannati dell'Aia. Dal 2006, anno d'inizio del lavoro di traduzione e riscrittura delle sue memorie, la curatrice del libro non ha mai ottenuto il permesso di incontrarlo. 

Sulla morte di Milosevic, che a noi risulta essere stato ucciso tramite somministrazione a sua insaputa di dosi da cavallo di Rifampicina nei pasti mensa, Jelisic espone una sua tesi un po' diversa (p.137) ma che comunque evidenzia quantomeno arbitrii e deficit di controlli nella prigione dell'Aia ("In carcere non si può morire altro che per omicidio", ha scritto giustamente Miriam Pellegrini Ferri). Jelisic opportunamente ricorda altre persone uccise o morte nel carcere del "Tribunale" o nelle operazioni per la loro cattura. L'elenco negli anni è diventato terribilmente lungo: Djordje Djukic, Simo Drljaca, Dragan Gagovic, Janko Janjic, Slavko Dokmanovic e Milan Babic (due strani suicidi nelle celle dell'Aia), Milan Kovacevic, Dragomir Abazovic. Sarà un caso, ma in questo elenco sono tutti serbi. Certamente la disparità di trattamento tra prigionieri delle diverse parti politiche è un dato acclarato; scriviamo "politiche" e non "nazionali" poiché in realtà anche alcuni serbi legati ai servizi segreti occidentali hanno goduto di trattamenti di favore: è il caso di Milorad Ulemek "Legija", di Momčilo Perišić e della strana coppia Stanisic-Simatovic, che hanno reso in passato i loro servigi al "Tribunale ad hoc" testimoniando contro Milosevic, per poi usufruire di assoluzioni o sconti di pena. 

I proscioglimenti "eccellenti" hanno riguardato tutti i personaggi di spicco, veri responsabili politico-militari, appartenenti alle parti e ai partiti secessionisti croati, musulmani e albanesi. Ramush Haradinaj e Hasim Thaci sono oggi i veri padroni della repubblichetta del Kosovo. Nel novembre 2012 la corte dell’Aja ha scagionato persino i generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac, pianificatori della pulizia etnica delle Krajine. Il boia Nasir Oric, comandante delle milizie musulmane che a ripetizione fecero strage di serbi nei dintorni di Srebrenica tra il 1992 e il 1994, è stato completamente assolto (sic) nel 2008 quando era già libero avendo scontato solo una pena ridicola nel carcere dell'Aia.

La notizia più recente è la liberazione dell'ex presidente della autoproclamata "Repubblica croata di Erzeg-Bosnia" Dario Kordic. In custodia dal 1997 e condannato a 25 anni nel 2004, Kordic ha scontato la pena a Graz, cioè in un paese (l'Austria) che ha in tutti i modi sostenuto il separatismo e nazionalismo croato. Mandante della strage di Ahmici, un villaggio a forte componente musulmana presso Vitez, dove un centinaio di non-croati furono liquidati il 16 aprile del 1993, Kordic è dunque potuto rientrare a Zagabria tra i festeggiamenti di rappresentanti politici e della chiesa cattolica. (6)

Per alcune delle assoluzioni di cui sopra un anno fa scoppiò uno scandalo, presto silenziato, attorno alla figura di Theodor Meron, "presidente" del "Tribunale", cittadino statunitense, già consigliere giuridico del governo israeliano e ambasciatore israeliano in Canada e alle Nazioni Unite. Il giudice danese Harhoff accusò Meron di avere "effettuato pressioni sui suoi colleghi" per compiacere l'establishment militare americano e israeliano. (7)

Negli anni successivi all'assassinio di Milosevic sono stati chiusi i "processi" che erano già aperti, come questo di Jelisic, e sono stati catturati gli ultimi ricercati. Jelisic è prigioniero in Italia da più di dieci anni, e da alcuni anni sono oramai in corso i procedimenti "eccellenti" contro Karadzic e Mladic – procedimenti che nessuno segue, né in Italia né all'estero, benché gli elementi interessanti siano moltissimi sotto il profilo della ricostruzione storica, mentre gli elementi di critica giuridica sono perfettamente analoghi a quelli già palesati nei casi precedenti… Il libro di Jelisic con grande umanità espone i fatti che sono capitati all'autore (8), ma certamente non è un singolo condannato a potersi fare carico di mettere in questione i meccanismi complessivi di funzionamento e le logiche del "Tribunale". Jelisic quasi candidamente ci "colpisce allo stomaco" rimproverandoci la nostra disattenzione su questa problematica, e ridestandoci. Ha ragione: a questo punto sarebbe veramente necessario che qualcuno stilasse un corposo bilancio critico di tanti anni di attività di questa struttura para-legale, "utile" solamente ad assolvere a priori tutti i responsabili occidentali, per i quali è stato sempre dichiarato il non luogo a procedere, e a prosciogliere dalle accuse tutti quelli che tra i criminali locali sono amici o agenti dell’Occidente. 

Andrea Martocchia
(segretario, Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS - www.cnj.it)

(*) Goran Jelisic: UOMINI E NON UOMINI. La guerra in Bosnia Erzegovina nella testimonianza di un ufficiale jugoslavo
A cura di Jean Toschi Marazzani Visconti
Prefazione di Aldo Bernardini, docente di Diritto Internazionale, Università di Teramo
Postfazione dell’Avv. Ugo Giannangeli
Francoforte: Zambon 2013
Formato: 130x210 Pagg. 320 - prezzo 15,00 € - ISBN 978-88-87826-91-3
La scheda del libro

NOTE
(1) http://www.icty.org
(3) Da segnalare il grande lavoro svolto per anni da Andy Wilcoxson con il sito http://www.slobodan-milosevic.org . Il "processo" a Milosevic fu seguito bene dalle sezioni del Comitato internazionale di diversa sorte nei diversi paesi, tra cui l'Italia: http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/
(4) https://www.cnj.it/documentazione/autodifesa04.htm . Online si accede ai due materiali più preziosi pubblicati nel testo: il nostro saggio «Processo Milošević: un “processo alle intenzioni”», unica dettagliata analisi e denuncia del funzionamento del "Tribunale" che sia apparsa finora in lingua italiana, e il testo integrale del Discorso di avvio della Autodifesa di Slobodan Milošević (31 agosto-2 settembre 2004)
(5) In «Processo Milošević: un “processo alle intenzioni”», cit. (https://www.cnj.it/MILOS/testi.htm#intenzioni).
Harhoff è stato ovviamente subito silurato con un pretesto relativo al "processo" Seselj: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7756
(8) In occasione di una riedizione, raccomandiamo la stesura di un Indice dei Nomi ed un corredo critico, in modo che ad ogni circostanza o nome si possa associare una pagina delle trascrizioni degli Atti ufficiali del dibattimento.

SI VEDA ANCHE:
Diritto e ... rovescio internazionale nel caso jugoslavo: Il caso Jelisić
di Andrea Martocchia, segretario Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS (di A. Martocchia, su Marx21 n.1/2015)




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