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LA RIMOZIONE DELLA JUGOSLAVIA
di Andrea Martocchia
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Questa analisi è stata pubblicata in due parti
su L'Ernesto,
nn. 3
(maggio-giugno)
e 4 (luglio-agosto) 2003
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Il voto del Parlamento Federale jugoslavo del 4
febbraio scorso ha
rappresentato
un compimento simbolico del progetto revanscista
e sanguinario messo in
atto
ai danni di questo grande paese europeo e dei
suoi cittadini a partire
almeno
dal 1990. Con questo voto, la Federazione
jugoslava è stata
"rimossa"
persino dalle cartine geografiche; nel contempo,
è stata sancita
la
nascita di una labile "Unione di Serbia e
Montenegro" destinata a
durare
al massimo tre anni.
Paradossalmente, questo atto è tanto più gravido
di
inquietanti
implicazioni e significati per essere stato
passato sotto silenzio da
tutta
la stampa: in particolare, è mancato qualsiasi
eco o commento
"da
sinistra". Mentre infatti i commentatori
borghesi con malcelata
soddisfazione
continuano ad "infierire sul cadavere" (1), "a
sinistra" - dopo tanti
squilli
di tromba per la "caduta del regime di
Milosevic" nell'ottobre 2000 -
impera,
sulla Jugoslavia, un imbarazzato, ignobile
silenzio.
Quello che mi propongo di fare in questa sede è
una stringata
analisi
della "rimozione della Jugoslavia" intesa, detta
rimozione, tanto in
senso
stretto quanto in senso lato: cioè
politico-ideologico,
nonché
culturale, sociologico, forse persino
psicologico e psicanalitico.
Come spaccare un paese in otto parti
addossandone poi
tutta
la colpa alle vittime
La disgregazione della Repubblica Federativa
Socialista di Jugoslavia
(RFSJ)
- per tutto il secondo dopoguerra
Stato-cuscinetto tra i due blocchi,
che
godeva di ampia autonomia e prestigio nel
contesto dei rapporti
internazionali
- è stata voluta, agevolata e sancita dalle
consorterie
occidentali,
come conseguenza della loro "vittoria" al
termine della Guerra Fredda.
L'interesse strategico dei paesi imperialisti
per i Balcani risulta
evidente
già solo abbozzando una stringata cronologia del
loro ruolo nel
più
recente processo di disgregazione e
soggiogamento; e d'altronde, non
per
caso questa semplice operazione di "mettere in
fila" gli avvenimenti
viene
generalmente elusa dagli studiosi e dalla
stampa, preferendo questi
piuttosto
sbizarrirsi con interpretazioni
irrazionalistiche e lombrosiane, dal
contenuto
volutamente disinformativo.
Potremmo ad esempio partire dagli anni Ottanta e
dalle politiche
devastanti
imposte da FMI e BM alla Jugoslavia di Markovic.
Ma, per fissare una
data
precisa, consideriamo piuttosto il 29 novembre
1990, quando - mentre si
festeggia
la festa nazionale della RFSJ (2) - tutti i
giornali pubblicano le
"rivelazioni"
della CIA che "scommette" che i
l paese si sta per disintegrare. All'inizio
dello stesso mese, guarda caso, il Congresso USA
aveva approvato la
legge
101/513 per l'appoggio a tutte le leadership
liberiste, nazionaliste e
secessioniste
(3). Alla fine di giugno 1991 si hanno le prime
"dichiarazioni di
indipendenza"
di Slovenia e Croazia.
Il 15
gennaio 1992 i
paesi della Comunità Europea, nonostante
la
situazione
altamente pericolosa ed instabile sul
terreno (4), riconoscono
formalmente
le secessioni slovena e croata, sancendo
così gli effetti della
"forzatura"
di parte tedesca e vaticana.
Successivamente, la Bosnia-Erzegovina
verrà invitata a seguire
l'esempio
attraverso l'indizione di un referendum
illegittimo e largamente
boicottato
dalla popolazione. La diretta
conseguenza del riconoscimento della
"indipendenza"
della Bosnia saranno tre anni di guerra
fratricida. La secessione della
Bosnia,
centro simbolico e storico della Lotta
Popolare di Liberazione e della
"Unità
e Fratellanza" jugoslave, rappresenta il
più grave colpo inferto
al
cuore della Jugoslavia multinazionale.
La popolazione di Sarajevo,
scesa
subito in piazza il 5 e 6 aprile contro
tutti i progetti di divisione
"etnica",
viene fatta bersaglio di cecchini di
dubbia appartenenza
politico-nazionale.
È il primo episodio di una strategia
stragista (o "della
tensione")
che sarà riapplicata sovente nel corso
degli anni successivi e
servirà
ad affogare, possibilmente per sempre,
la idea jugoslavista in un lago
di
sangue e di menzogne. |
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Gli Stati Uniti d'America hanno usato prima la
Germania e poi l'intera
Comunità
Europea come battistrada, ma il loro appoggio a
livello mediatico,
diplomatico,
finanziario e militare ai secessionismi, e
specialmente al separatismo
bosniaco-musulmano,
sarà sempre più sfacciato. L'attivismo USA nei
Balcani
surclasserà
via via di gran lunga quello degli europei. Dopo
avere cinicamente
sfruttato
il risorgere di revanscismi "mitteleuropei" e
destre neonaziste
nell'Europa
"post-Ottantanove", gli USA si scatenano,
assumendo un ruolo diretto.
In
Bosnia, a livello diplomatico, gli USA sono i
veri responsabili del
fallimento
dei piani di pace, a partire dal piano Cutileiro
(5). Via via, gli USA
riusciranno
a screditare e far fallire ogni intervento
attuato sotto l'egida delle
Nazioni
Unite, imponendo la progressiva sostituzione
delle missioni ONU con
missioni
più direttamente gestite dall'Alleanza
Atlantica.
È il periodo delle grandi "stragi a mezzo
stampa" (6), delle
rimozioni
dei vari Morillon, MacKenzie, Akashi, eccetera,
e delle prime
operazioni
di guerra "tradizionale" della NATO in Europa.
Nel settembre 1995, USA
ed
UE scatenano ai danni dei serbi della Bosnia la
prima grande campagna
di
bombardamenti sul suolo europeo dai tempi della
II Guerra Mondiale. I
serbi
vengono prima diffamati e poi colpiti perché,
tra gli jugoslavi,
sia
per ragioni storiche sia perché vivono in quasi
tutte le
repubbliche
ex-federate, sono quelli che meno di tutti hanno
interesse alla
frantumazione
del loro paese.
Nell'autunno 1995, la firma degli accordi di
Dayton consente, tra
l'altro,
lo stanziamento "sine die" di truppe della NATO
sul territorio,
interamente
ridotto ormai a protettorato internazionale. (7)
Il paese è già stato spaccato in cinque parti,
ma
evidentemente
non basta. Nella primavera del 1999, dopo anni
di strumentalizzazione
del
movimento separatista pan-albanese (8), USA ed
europei bombardano la
Repubblica
Federale di Jugoslavia - ciò che resta della
RFSJ dopo le
secessioni,
e cioè Serbia e Montenegro. Da chilometri di
altezza sono
colpite
infrastrutture civili e militari, causando
centinaia di morti civili.
Gli
jugoslavi hanno estratto i cadaveri di
concittadini, amici e parenti
nelle
piazze dei mercati, dalle lamiere dei treni
sventrati, dai resti dei
convogli
di profughi, dagli ospedali, dalle abitazioni.
La NATO ha colpito per
mettere
in ginocchio tutto il paese, devastandolo. Hanno
infatti bombardato
obiettivi
situati a molte centinaia di chilometri di
distanza dal Kosovo-Metohija
che
dicevano di dover "salvare". In Kosovo-Metohija
hanno bombardato con
l'uranio
impoverito. Hanno bombardato il petrolchimico di
Pancevo, a pochi
chilometri
da Belgrado, intenzionalmente per causare la
fuoriuscita di gas
altamente
venefici. Attraverso l'effetto di lunga durata
degli agenti
cancerogeni,
la NATO sta uccidendo ancora oggi (9): cosi la
Jugoslavia è
stata
costretta alla resa.
Nel Kosovo-Metohija regna oggi un regime del
terrore: sotto gli occhi
disattenti
ovvero complici di decine di migliaia di soldati
NATO è stata
oggi
pressoché completata la epurazione delle
nazionalità
non-albanesi
e degli albanesi non-secessionisti, e prosegue
la distruzione delle
vestigia
della cultura tardo-bizantina (10). I
"desaparecidos" sono migliaia,
gli
attentati a sfondo razzista continuano. La zona
è in mano agli
ex-guerriglieri dell'UCK, sostenuti
economicamente dai traffici di
droga,
armi e prostituzione. Le grandissime risorse
della provincia,
specialmente
minerarie, sono state espropriate allo Stato
jugoslavo in vista
dell'acquisizione
da parte delle multinazionali, ed ogni
produzione è bloccata. Le
poche
possibilità di lavoro "onesto" per i giovani
kosovaro-albanesi
vengono
dalle truppe straniere di occupazione: ad
esempio nell'immensa base
militare
USA di Camp Bondsteel, presso Urosevac
, il più grande insediamento
militare USA all'estero dai tempi del Vietnam
(11).
La "democratizzazione"
Due piccioni con una fava, come suol dirsi. I
bombardamenti della
primavera
1999 da una parte aggravano in maniera
irrimediabile la questione del
Kosovo-Metohija,
gettando le basi per la sua annessione a quella
Grande Albania che
Michel
Collon ha significativamente definito "una nuova
Israele in Europa";
dall'altra
essi creano nella Repubblica Federale di
Jugoslavia una situazione di
fatto
non più gestibile da parte delle forze di
governo. Nel 1999-2000
si
verificano nel paese una serie di attentati ed
assassinii politici non
rivendicati.
Nell'ottobre 2000 - mentre, nonostante tutto, è
in atto un
grande,
eroico sforzo per la ricostruzione del paese, ad
esempio alla Zastava
di
Kragujevac - in occasione delle elezioni,
politiche e presidenziali, le
pressioni
occidentali raggiungono un nuovo apice.
L'apparato mediatico
antigovernativo
è mobilitato, in Jugoslavia ed all'estero; le
navi da guerra
pattugliano
l'Adriatico; le diplomazie minacciano ulteriore
isolamento e
l'inasprimento
di un embargo ingiusto che dura ormai da sette
anni. Si vuole impedire
ad ogni costo lo svolgimento del secondo turno
elettorale, che pure
sancirebbe
l'avvicendamento alla Presidenza federale con la
vittoria del
nazionalista
filooccidentale Vojslav Kostunica: perciò si
plaude all'assalto
del
Parlamento - dove la coalizione di governo ha
nuovamente conquistato la
maggioranza
- ed alla devastazione dell'ufficio elettorale,
con relativa
distruzione
delle schede. Nei giorni successivi verranno
attaccate le sedi dei
partiti della sinistra e
dei sindacati, e molti militanti verranno fatti
oggetto di vigliacche
aggressioni.
(12)
Il nuovo regime delle destre si regge sulle
ibride alleanze che
costituiscono
la DOS (ovvero "Opposizione Democratica della
Serbia") ed in
particolare
sull'ambiguo equilibrio tra due personaggi: da
una parte Kostunica,
che,
pur essendo il nuovo Presidente e godendo di una
discreta
popolarità
per le sue posizioni comunque improntate
all'orgoglio nazionale, non
gode
in effetti di alcun potere reale; dall'altra
Zoran Djindjic, il primo
ministro
della Serbia, che è fortemente impopolare ma
gode di appoggi ad
altissimo
livello in sede internazionale e, nel paese, si
avvale del sostegno dei
settori
doppiogiochisti dei servizi segreti, della mafia
e di nascenti poteri
occulti,
nonché del "club" di tecnocrati ultraliberisti
legati a FMI e
BM,
riuniti attorno al cosiddetto "Gruppo 17".
Sono questi ultimi a governare di fatto, ancora
oggi dopo il
misterioso
omicidio di Djindjic, avvenuto lo scorso 12
marzo, e la "rimozione",
oltreché
della "Jugoslavia", anche del suo ormai
superfluo presidente
Kostunica...
Sono loro i "Barberini" della Serbia: quod
Bombardieri non fecerunt,
fecerunt
Barberini. In circa due anni e mezzo
costoro sono riusciti a
ridurre la
popolazione in condizioni misere, interrompendo
tutti gli sforzi di
ricostruzione
del paese ed offrendone in svendita agli
stranieri le ricchezze,
adeguandosi
ai diktat delle istituzioni finanziarie
internazionali.
La disoccupazione in Serbia ha raggiunto livelli
record ed è in
continua
crescita (oltre un milione di persone,
ufficialmente). Il maggior polo
industriale
- la "Zastava" di Kragujevac già smembrata in
vista della
spartizione
- è stato offerto su di un piatto d'argento ad
un piccolo
imprenditore
statunitense, Briklin, il quale tuttavia non ha
nemmeno dato seguito ai
suoi
progetti ed ha evidentemente ormai rinunciato
alla acquisizione.
Intanto,
le famiglie dei lavoratori patiscono la fame:
l'aiuto che arriva dall'
Italia,
grazie al movimento delle "adozioni a distanza",
è per loro
adesso
più indispensabile che mai. (13)
Tutti i settori strategici sono in via di
dismissione: liquidate le
principali
banche dello Stato (gennaio 2002), svenduti i
potenzialmente assai
redditizi
cementifici (primavera 2002), il complesso
siderurgico di Smederevo
"Sartid"
preso a prezzo stracciato dalla US Steel
Corporation (è notizia
di
questi giorni), e cosi via. L'Esercito sta
subendo devastanti
"riforme",
consistenti in tagli e purghe, in vista della
inclusione nella Partnership
for Peace della NATO. Il sistema
giudiziario è stato
fatto
oggetto
di attacchi feroci da parte del governo, tali da
far impallidire il
peggior
Berlusconi... La guerra contro la magistratura,
a causa delle inchieste
in
corso che coinvolgono esponenti del governo
(innanzitutto lo stesso
Djindjic)
in episodi di corruzione e rapporti con la
mafia, ha avuto una brusca
accelerazione
dopo l'omicidio, in seguito al quale la facente
funzione di
Presidentessa
della Serbia Natasa Micic (14) ha immediatamente
- ed
anticostituzionalmente,
ma questo ormai in Serbia non fa più notizia -
dichiarato lo stato
d'emergenza.
Ufficialmente, il responsabile dell'omicidio di
Djindjic sarebbe un
ufficiale
dei corpi speciali denominati "Berretti rossi",
"reo confesso", che
avrebbe
agito su mandato del "clan di Zemun"; clan i cui
due boss, pero', sono
stati
uccisi durante il tentativo di arresto per "aver
fatto resistenza". In
realtà,
questa versione dei fatti puzza molto di
bruciato. Lo stato
d'emergenza
in Serbia non è stato imposto a causa
dell'uccisione del primo
ministro:
viceversa, è la morte di Djindjic ad essere
stata presa a
pretesto
per imporre lo stato d'emergenza e promuovere
una svolta autoritaria
"risolutiva".
Invece di dimettersi, il ministro federale di
polizia, Zoran Zivkovic,
è
diventato il nuovo primo ministro della Serbia.
Il ministro
repubblicano,
Dusan Mihajlovic, soprannominato dalla gente
"Dule Cia", ha dichiarato
sfacciatamente
che lo stato d'emergenza è servito alle autorità
serbe
per
regolare i conti con una serie di oppositori
politici: non solamente i
sostenitori
di Milosevic, ma anche i radicali di
Seselj e persino gli
ambienti
di Vojslav Kostunica, "scomodo" ex-presidente.
Fintantochè
è
stato in carica, Kostunica non solo si è
opposto, almeno
verbalmente,
ad una serie di scelte (dalla collaborazione con
il "Tribunale" dell
'Aia
alla nuova ultraliberista Legge sul Lavoro), ma
è stato anche
testimone
di una serie di fatti imbarazzanti riguardanti i
legami di Djindjic con
la
mafia. Un "caso" riguardante intercettazioni ai
danni di Kostunica
è
scoppiato mesi fa, essenzialmente allo scopo di
spaccare i servizi
segreti
dell'Esercito. Nell'ambito delle "misure di
emergenza" il capo di
questi
servizi, il generale Aco Tomic, è stato
arrestato, ed i servizi
sono
stati messi sotto il controllo diretto del
governo DOS, cioè
sotto
il controllo americano. È stato arrestato anche
il consigliere
di
Kostunica, Rade Bulatovic, nonché il generale
Pavkovic,
protagonista
della difesa del paese nel 1999 e recentemente
candidato alla
Presidenza
della Serbia.
Il risultato delle purghe nella magistratura è
il licenziamento
di
almeno 35 giudici, di cui 7 della Corte Suprema
compreso il presidente,
ed
il licenziamento e in qualche caso l'arresto di
una serie di Pubblici
Ministeri.
Sono state poi frettolosamente promulgate una
serie di leggi, tra cui
una,
vergognosa, sulla carcerazione preventiva, ed
un'altra sui media, che
dovrebbe
far molto riflettere i nostrani sostenitori dei
"media indipendenti" e
delle
"radio b52" di turno... I quali invece oggi,
ermeticamente, tacciono.
In tutto, un mese di "stato d'emergenza" ha
significato almeno 10mila
tra
arresti e fermi di polizia (in base alle cifre
dello stesso governo),
ed
in prigione si trovano tuttora circa 4500
persone, il che significa che
migliaia
di persone sono state private dalla loro libertà
illegalmente.
Si
parla inoltre di casi di maltrattamento e
tortura in carcere. Tra gli
arrestati
ci sono alcuni giornalisti: molti sono stati
rilasciati, ma sono state
chiuse
le redazioni dei due unici giornali che non
erano sotto il controllo
diretto
del governo (15) e molte altre redazioni sono
state sottoposte ad
intimidazioni
di vario genere. Ci sono state persino delle
sparizioni, come quella di
Predrag
Polic, chimico a capo della sua Facoltà
all'Università di
Belgrado,
di orientamento filo-Kostunica, noto in Italia
per una serie di
conferenze
sui letali effetti dei bombardamenti della NATO,
ritrovato cadavere
dopo
alcune settimane di sparizione.
Per quanto riguarda le reali ragioni e dinamiche
dell'attentato a
Djindjic,
è il caso innanzitutto di sottolineare il
delicato momento in
cui
esso è avvenuto: vale a dire alla vigilia della
aggressione
contro
l'Iraq - pressoché coincidente con il quarto
anniversario dei
bombardamenti
sulla Jugoslavia -, mentre gli USA cercavano di
estorcere agli
staterelli
balcanici un appoggio anche logistico alla loro
nuova impresa militare
-
con scarso successo, poiché le locali
leadership, Djindjic
compreso,
si sono dimostrate piuttosto schierate sulla
linea "tedesca" -, ed in
una
fase di profondissimo malcontento sociale. Con
la sua uccisione, il
despota
Djindjic dai media è stato trasformato in un
martire. Il vero
grande
sospettato per l'omicidio, Milorad Lukovic
"Legija", ex volontario
nella Legione Straniera e poi doppiogiochista
dei servizi deviati in
Serbia,
non è stato catturato e l'attenzione si è invece
spostata
sugli
avversari politici, esplicitamente additati come
"mandanti".
D'altronde,
uomini come Legija potrebbero rendere
testimonianze poco opportune
sulle
loro frequentazioni, passate e presenti, con gli
ambienti della DOS e
sui
servizi resi per il "golpe" dell'ottobre 2000.
Vista la scarsissima popolarità della DOS, c'era
in effetti
bisogno
di un espediente per distruggere la dissidenza
politica. Lo dimostrano
gli
arresti e gli interrogatori dei leader di
opposizione. Senza nessuna
ragione
sono stati arrestati il presidente
dell'Associazione "Sloboda" e
presidente
del Comitato per Slobodan Milosevic, Bogoljub
Bjelica, il membro della
stessa
Associazione e capo redattore del settimanale
"Smisao" (la rivista
teorica
del Partito Socialista) Uros Suvakovic, ed il
funzionario della JUL e
stretto
collaboratore di Mira Markovic, Goran Matic. La
stessa Markovic, in
Russia
da febbraio per motivi personali, non può più
rientrare
perché
rischia perlomeno l'arresto in seguito ad una
pretestuosa accusa di
essere
la mandante della sparizione di Ivan Stambolic,
avvenuta nel 2000.
È
stato poi sottoposto ad interrogatorio Vladimir
Krsljanin, membro di
"Sloboda"
e consigliere di Milosevic. Per non parlare
delle tante perquisizioni,
e
di quanto hanno subito gli esponenti dei partiti
dell'opposizione
conservatrice
(Kostunica, Seselj, eccetera).
La battaglia dell'Aia
L'Associazione "Sloboda" assiste nella
preparazione della difesa di
Milosevic
all'Aia. In quel "Tribunale ad hoc" si sta
svolgendo in questo periodo
la
fase centrale del "processo" a Milosevic: dopo
la presentazione delle
"accuse"
e delle "prove" per i tre "capi di imputazione"
(per le guerre in
Croazia,
in Bosnia ed in Kosovo), si sta passando adesso
alla fase della
autodifesa
dell'imputato. Per gli accusatori di Milosevic
il "processo", non
riuscendo
di fatto a dimostrare la colpevolezza dell'ex
presidente, è un
fallimento
ed è motivo di estremo imbarazzo e
preoccupazione. Contro
Milosevic
il "Tribunale" ha usato ogni mezzo di pressione
politica, mediatica e
fisica
(a causa del suo stato di salute e di cure
inappropriate).
Malgrado tutto ciò non sono riusciti spezzare la
difesa di
Milosevic.
Di fatto, lo "stato d'emergenza" è servito anche
ad impedire
l'opera
dei collaboratori di Milosevic, e per questo
molti osservatori
ritengono
che esso sia stato deciso di comune accordo con
il governo DOS da chi
"muove
i fili" all'Aia.
Il caso del "Tribunale ad hoc per i crimini
commessi sul territorio
della
ex Jugoslavia" (16) chiarisce molto bene la
collateralità di
certe
neonate istituzioni penali internazionali ai
progetti egemonici dei
paesi
imperialisti. Esso è stato fondato nel 1993 dal
Consiglio di
Sicurezza
delle Nazioni Unite per l'insistenza del
Senatore Albright (17). Il
normale
canale per creare un Tribunale come questo, come
a suo tempo ha
puntualizzato
lo stesso Segretario Generale, avrebbe dovuto
essere "un Trattato
Internazionale
stabilito ed approvato dagli Stati Membri che
avrebbero permesso al
Tribunale
di esercitare in pieno nell'ambito della loro
sovranità"
(Rapporto
No X S/25704, sezione 18). Tuttavia,
Washington ha imposto
un'interpretazione
arbitraria del Cap.VII della Carta delle Nazioni
Unite, che consente al
Consiglio
di Sicurezza di prendere "misure speciali" per
restaurare la pace in
sede
internazionale. Perciò il "Tribunale ad hoc" è
una
struttura
illegittima e para-legale. Esso è finanziato dai
paesi della
NATO,
e soprattutto dagli USA (18), in maniera diretta
oltreché
attraverso
l'ONU, ma anche da altri paesi non proprio
neutrali nella problematica
jugoslava,
come l'Arabia Saudita, nonché da enti e
personaggi privati, come
George
Soros.
Il sostegno della NATO al "Tribunale ad hoc" è
particolarmente
indicativo
delle vere finalità di questa struttura
para-giudiziaria.
Secondo
l'ex portavoce della NATO Jamie Shea "la NATO è
amica del
Tribunale,
è la NATO che detiene per conto del Tribunale i
criminali di
guerra
sotto accusa... Sono i paesi della NATO che
hanno procurato i fondi per
istituire
il Tribunale, noi siamo tra i più grandi
finanziatori." (19)
Oltre
ad attestare il sostegno finanziario e la
"amicizia" della NATO -
proprio
mentre questa bombardava i convogli di profughi
ed il petrolchimico di
Pancevo
- Jamie Shea rivendica dunque ad essa il ruolo
di "polizia
giudiziaria".
La quale, come s'è visto in decine di occasioni,
specialmente in
Bosnia
ma anche nel caso di Milosevic, opera attraverso
colpi di mano e
rapimenti,
nel corso dei quali alcuni "sospetti" sono stati
persino uccisi -
mentre
diversi serbi-bosniaci detenuti all'Aja sono
deceduti per presunti
infarti
e suicidi.
Il Tribunale dell'Aja ha sistematicamente
dichiarato il non luogo a
procedere
per le documentate accuse di crimini di guerra
mosse da varie parti
alla
NATO. La sproporzione tra le incriminazioni nei
confronti di esponenti
serbi
rispetto a quelle di croati, kosovari albanesi e
bosniaci musulmani,
responsabili
di gravi crimini, è resa evidente dai numeri
(20). Ancor
più
evidente è il fatto che dei tanti "imputati",
gli unici con
responsabilità
eminentemente politiche siano appartenenti alla
parte serba (Milosevic,
Milutinovic,
Karadzic) mentre i leader delle fazioni
secessioniste sono stati tutti
indistintamente
"risparmiati" nonostante (ad esempio) i loro
torbidissimi trascorsi.
(21)
La "giustizia" del Tribunale dell'Aja è dunque
quella di una
parte
in causa contro l'altra, il contrario esatto del
"super partes". Il
"Tribunale
ad hoc", analogamente al nostro famigerato
Tribunale Speciale nel
Ventennio,
lavora come uno strumento politico, totalmente
sotto controllo dei
vincitori,
cioè degli aggressori, devastatori ed invasori
della
Jugoslavia.
Noti giuristi e commentatori hanno spiegato
come, nel suo
funzionamento,
il Tribunale dell'Aja violi tutti i principi del
diritto
internazionale.
In sostanza, esso non rispetta la separazione
dei poteri, né la
parità
fra accusa e difesa, né tantomeno la presunzione
di innocenza
finché
non si giunge ad una condanna: la regola 92
stabilisce che le
confessioni
siano ritenute credibili, a meno che l'accusato
possa provare il
contrario,
mentre in qualsiasi altra parte del mondo
l'accusato è ritenuto
innocente
fino a quando non sia provata la sua
colpevolezza (22). Esso formula i
propri
regolamenti e li modifica su ordine del
Presidente o del Procuratore,
assegnando
ad essi carattere retroattivo: attraverso una
procedura totalmente
ridicola,
il Presidente può apportare variazioni di sua
propria iniziativa
o
ratificarle via fax ad altri giudici (regola 6)!
Il regolamento stesso non contempla un giudice
per le indagini
preliminari
che investighi sulle accuse. Il Tribunale ad hoc
utilizza testimoni
anonimi,
che si possono dunque sottrarre al confronto con
la difesa; secreta le
fonti
testimoniali, che possono essere anche servizi
segreti di paesi
coinvolti
nei fatti. Esso usa la segretezza anche sui
procedimenti aperti (regola
53).
Ricusa o rifiuta a proprio arbitrio di ascoltare
gli avvocati della
difesa
(regola 46), allo stesso modo dei tribunali
dell'Inquisizione;
può
rifiutare agli avvocati di consultare
documentazione probatoria (regola
66);
può detenere sospetti per novanta giorni prima
di formulare
imputazioni,
con l'evidente scopo di estorcere confessioni. Dulcis in fundo,
recentemente
il "giudice" May si è persino arrogato il
diritto, d'accordo con
la
"pubblica accusa" Nice, di revisionare la
trascrizione del
dibattimento,
censurandola allo scopo di impedire la
divulgazione di quegli
interventi
di Milosevic considerati "ad uso esterno" e
dunque irrilevanti o
inopportuni
per gli Atti del "processo".
L'imputazione contro l'allora Presidente della
Repubblica Federale di
Jugoslavia
Slobodan Milosevic veniva resa pubblica dalla
"procuratrice" Arbour su
pressione
di Madeleine Albright proprio durante la
aggressione della NATO, nella
primavera
del 1999, nell'ambito della campagna mediatica
di demonizzazione della
Jugoslavia
e dei suoi dirigenti. Un tassello, insomma,
della più ampia
operazione
di disinformazione strategica e guerra
psicologica (23). Per la
effettiva
cattura di Milosevic, però, dovevano maturare le
condizioni
politiche
in Jugoslavia. Questo cambiamento è avvenuto
solo nell'autunno
del
2000, quando a Belgrado si è instaurato il
regime-fantoccio
filooccidentale.
La rocambolesca cattura di Milosevic è avvenuta
mesi dopo, il 31
marzo
2001: in cambio al nuovo governo sono stati
accordati 50 milioni di
dollari
già promessi dagli USA. I dirigenti belgradesi,
per ottemperare
ai
ricatti militari ed economici degli USA, della
Nato e del Tribunale
dell'Aja,
hanno commesso una serie di macroscopiche
illegalità. Milosevic
è
stato detenuto per tre mesi senza che nessuno
delle centinaia di
testimoni
ascoltati avesse fornito prove a sostegno della
pretestuosa imputazione
di "abuso di potere" (diversa da quella di
"crimini di guerra" usata
all'Aia).
Al termine delle due proroghe della detenzione
preventiva, Milosevic
avrebbe
dovuto essere scarcerato; invece, un ulteriore,
grande scandalo
è
stata la modalità della sua "estradizione" da
Belgrado in
Olanda,
tramite una operazione-lampo illegale ed
anticostituzionale curata dai
settori
più filo-americani del governo di Zoran Djindjic
(24). Il
sequestro
ed il trasporto all'Aia su velivoli della RAF
inglese avveniva in base
a
un decreto del solo premier e del ministro degli
Interni, con un
governo
dimezzato dal ritiro dei ministri montenegrini;
un decreto che violava,
insieme
alle Costituzioni jugoslava e serba (25), la
posizione del Parlamento
Federale
nonché l'orientamento dei partner di maggioranza
e dello stesso
presidente
jugoslavo Kostunica. Il giorno dopo il
trasferimento di Milosevic, i
governanti
jugoslavi ottenevano il loro ulteriore premio:
la promessa di 1.360
milioni
di dollari, stanziati dalla "Conferenza dei
donatori" alla condizione
della
totale privatizzazione dell'economia nazionale.
All'Aia, Milosevic ha da subito tenuto un
atteggiamento fermo ed
inequivocabile:
si dichiara prigioniero politico, non riconosce
legittimità al
"Tribunale
ad hoc", e rifiuta di essere assistito da
avvocati, compresi quelli
designati
"d'ufficio" dal "Tribunale" stesso (26). Le
prime udienze (tra luglio
2001
e gennaio 2002) sono state dedicate a problemi
procedurali, ma
Milosevic
non ha mancato di dire la sua ogni volta che gli
è stato
concesso
di parlare, e fintantoché il microfono non gli è
stato
spento
in malo modo.
Il 29 ottobre 2001, ad esempio, dopo la lettura
della "imputazione
sulla
Croazia" ha detto che << è
assurdo accusare la Serbia ed i
serbi
per la secessione armata della Croazia, che ha
causato una guerra
civile,
conflitti e sofferenze per la popolazione
civile. >> Il
giorno dopo,
commentando "l'imputazione sul Kosovo", egli ha
fatto notare che essa
<< riguarda
solamente
fatti avvenuti dal 24 marzo alla fine della
prima settimana
di
giugno [1999], laddove (..
.) tutto il pianeta sa che è proprio dal
24 marzo fino alla prima settimana di giugno
compresa che la Nato ha
commesso
la sua criminale aggressione contro la
Jugoslavia. (...) Se la corte
non
vuole prendere in considerazione questi fatti,
allora è ovvio
che
questa non è una corte ma solamente una parte
del meccanismo
atto
ad eseguire crimini contro il mio paese e la
mia gente. Se quest'ultimo
è
il caso (...) e dunque se la corte è parte
dell'ingranaggio,
allora
per piacere, date lettura ai verdetti che vi è
stato detto di
formulare
e smettetela di annoiarmi. >>
Dopo la lettura del “capo d'imputazione” sulla
Bosnia-Erzegovina,
Milosevic
dichiarava invece: << Questo
testo miserabile che abbiamo qui ascoltato
è l'apice dell'assurdità. Devono darmi credito
per la
pace
in Bosnia, e non per la guerra. La
responsabilità per la guerra
in
Bosnia è delle potenze che hanno distrutto la
Jugoslavia e dei
loro
satrapi in Jugoslavia, e non della Serbia, né
del suo popolo,
né
della sua politica. Questo è un
tentativo... >>
Qui
il
microfono veniva spento.
Ancora, in dicembre, Milosevic si richiamava a
fatti di estrema
attualità:
<< Per
me è
assolutamente chiaro il motivo per cui questo
falso
pubblico ministero insiste sulla unificazione
[dei tre "capi
d'accusa"]. La
causa di questo
è l'11 Settembre. Loro vogliono mettere in
secondo
piano le accuse contro di me sul Kosovo perché
queste
inevitabilmente
aprono la questione della collaborazione della
amministrazione Clinton
con
i terroristi nel Kosovo, compresa la
organizzazione di Bin Laden. (...)
Quello
che si può trovare sotto la superficie di
questi “capi
d'imputazione” non sono altro che
i
detriti ed il fango di dieci anni di guerra
mediatica,
condotta con l'obiettivo di demonizzare sia la
Serbia, sia il popolo
serbo
e la sua dirigenza, ed anche me personalmente,
e addirittura la mia
famiglia.
Perché la guerra mediatica ha preceduto quella
reale, ed ha
avuto
come obiettivo quello di convincere l'opinione
pubblica occidentale che
siamo
delinquenti, anche se non abbiamo mai dato
argomenti per avvalorare
questo.
Voi oggi avete
letto qui
che il 6 Aprile 1992 l'Unione Europea
riconobbe
la Bosnia-Erzegovina. Questo è stato fatto
sotto l'influenza
dell'allora
Ministro degli Esteri tedesco Hans Dietrich
Genscher, perchè il
6
Aprile era il giorno in cui nel 1941 Hitler
attaccò la
Jugoslavia
bombardando
Belgrado. C'era un desiderio di simboleggiare,
in questo modo, il
capovolgimento
degli esiti della II Guerra Mondiale. >>
La Jugoslavia unitaria, modello per i
l federalismo europeo
Il 30 gennaio 2002, Slobodan Milosevic aveva
nuovamente l'occasione di
parlare
dinanzi alla "corte" dell'Aia:
<< In
realtà c'era un
piano evidente contro quello Stato di
allora
che era, direi, un modello per il futuro
federalismo europeo. Quello
Stato
era la Jugoslavia, dove più nazionalità erano
comprese in
un
sistema federativo che realizzava la
possibilità di vivere con
pari
diritti, con successo, con la possibilità di
prosperare,
svilupparsi
e, direi, di essere d'esempio al mondo intero
di come si può
vivere
insieme. Per tutto il tempo abbiamo lottato
per la Jugoslavia, per
conservare
la Jugoslavia. In fondo, tutti i fatti
comprovano soltanto quello che
sto
dicendo. E soltanto la Repubblica Federale di
Jugoslavia tuttora
esistente
ha conservato la sua struttura dal punto di
vista delle
nazionalità.
(...)
Con ciò che
sta
avvenendo lì [in Kosovo]
si sta in pratica
riabilitando
la politica del periodo nazista, di Hitler e
Mussolini. Questo gran
parlare
di "Grande Serbia", di questa presunta idea
che non è mai
esistita,
non serve altro che a mascherare la creazione
di una "Grande Albania" -
quella
stessa che crearono Hitler e Mussolini durante
la Seconda Guerra
Mondiale.
Guardate soltanto quello schema, e guardate
che cosa si sta facendo
adesso,
quello che vogliono sottrarre alla Serbia, al
Montenegro ed alla
Macedonia
- e un domani forse anche alla Grecia del
Nord, quando le relazioni
greco-turche
saranno messe alla prova di nuovo per ordine
del comune padrone, ed
anche
quella sarà per loro una questione da
risolvere. >>
Milosevic - un uomo politico socialdemocratico,
di tradizioni
antifasciste
benchè orientato verso la riforma dello Stato
socialista in
senso
"occidentale" - parla qui chiaramente della
Jugoslavia di Tito, e la
difende.
Parla di un paese nel quale si rifuggiva sia da
uno jugoslavismo
sovranazionale
"artificiale", sia dal nazionalismo separatista,
in favore di una
cultura
"di sintesi", jugoslava, in grado di riunire le
preesistenti culture in
una
nuova, adatta ad uno Stato fondato sui diritti
di cittadinanza e non -
come
è purtroppo oggi - su "identità" etniche o
religiose. Lo
spiega
Neil Clark recensendo un ottimo libro (27) su
questo tema dello
"jugoslavismo",
un tema a sua volta incredibilmente "rimosso"
dal dibattito sui
Balcani:
<< Negli
anni Sessanta questi
tentativi di formare una comune identità
jugoslava parevano aver avuto successo. I
matrimoni misti indicavano
che
un numero sempre maggiore di cittadini si
facevano registrare nei
censimenti
come jugoslavi. (...) La distruzione di una
nazione militarmente forte
e
non allineata, sostituita da una serie di
protettorati deboli della
NATO
e del FMI, conviene perfettamente a chi
governa il nuovo mondo. La
verità,
come lo stesso Djilas riconosce, è che fin
quando è
esistita
l'Unione Sovietica, la Jugoslavia aveva una
funzione rispetto
all'Occidente,
ma una volta abbattuto il muro di Berlino,
essa era solo d'impaccio.
(...)
La Jugoslavia, secondo Djilas, "rimane la più
pratica e
ragionevole,
la più anti-distruttiva risposta alla
questione nazionale degli
Slavi
del Sud". Essa è, come affermato da Slobodan
Jovanovic all'epoca
dell'attacco
delle potenze dell'Asse nel '41, il modo
migliore in cui il popolo
balcanico
può garantirsi l'indipendenza e proteggersi
dal dominio
straniero. >>
Dopo alcune incertezze legate alla intenzione
della "procuratrice" Del
Ponte
(28) di unificare i tre procedimenti sul Kosovo,
sulla Croazia e sulla
Bosnia,
il "processo" a Milosevic è stato effettivamente
unificato ed
è
iniziato il 12 febbraio 2002. Da allora i
mass-media, dopo le prime
giornate-shock,
hanno abbassato il sipario - gradualmente, ma
completamente. In
Jugoslavia,
le autorità hanno dapprima impedito il
proseguimento della
diretta
televisiva, poi hanno operato per isolare
Milosevic in ogni maniera.
Così,
oggi soltanto chi è presente in aula può
assistere ad uno
spettacolo
veramente surreale (29). Nel confronto con i
testimoni dell‘“accusa“,
Milosevic
agevolmente rovescia le imputazioni, spesso
mettendo i testimoni stessi
in
contraddizione: tanto che qualcuno di questi
ritratta, qualcun altro
deve
rinunciare a deporre, qualcuno si sente male,
qualcuno si rende conto
che
la sua deposizione in fase istruttoria è stata
falsificata...
Milosevic
mette la NATO sul banco degli imputati come
prima responsabile non solo
dei
bombardamenti, ma proprio dell'infame
squartamento della RFS di
Jugoslavia,
ripercorrendo gli atti diplomatici, politici e
militari a vari livelli
compiuti
dai paesi dell'Alleanza. I fatti citati da
Milosevic sono fatti
storici,
ormai, benché sostanzialmente ignorati o
trascurati dai
commentatori
occidentali e filo-occidentali. Sono fatti
incontrovertibili, e
Milosevic,
mentre ripercorre pagine e pagine di storia
balcanica e mondiale ne
scrive
a tutti gli effetti una nuova, con grande
dignità, pur nel
completo
isolamento, con troppi avversari e solo pochi
amici (nemmeno
tutti
affidabili) attorno, e nella disattenzione di
giornalisti e
"balcanologi"
d'ogni sorta.
D'altronde, l'obiettivo degli sponsor del
"Tribunale ad hoc" -
cioè
fare di Milosevic il capro espiatorio esclusivo
e "conclusivo" per le
tragedie
di questi anni - può essere realizzato solamente
nella misura in
cui
le opinioni pubbliche restino ignare di ciò che
viene
effettivamente
detto nell'aula dell'Aia. L'operazione di
"scaricamento" delle
responsabilità in toto sulla
figura di Milosevic, attraverso l'intera
costruzione del
processo-farsa,
rappresenta di per se stessa un enorme tentativo
di "rimozione": essa
vuole
offrire ai veri responsabili del "magnum crimen"
l‘opportunità
di
risciacquarsi la coscienza, autoassolversi,
financo sottrarsi al
pagamento
dei danni dei bombardamenti. Ma tale abnorme,
disonesta operazione
può
avere successo solamente se, a sua volta, sul
dibattimento dell‘Aia sia
fatto
calare il sipario, e non ne sia data alcuna
cronaca, cosicchè
tanto
apparente sforzo nella ricerca della "verità sui
crimini della
guerra
in Jugoslavia", tanto materiale accumulato,
restino inutilizzati per
giornalisti,
commentatori, studiosi, storici... È una
rimozione dentro
l'altra,
in un gioco di scatole cinesi: come la
cancellazione della Jugoslavia
dalle
cartine geografiche, ed analogamente all‘oblio
imposto sui
bombardamenti
NATO e tanti altri episodi-chiave, così pure i
momenti salienti
del
"processo" a Milosevic vengono ignorati dai
media. Questo silenzio
giornalistico,
in quanto ulteriore momento della campagna
strategica di
disinformazione
che ha accompagnato la guerra, è il peggiore
nemico della
Jugoslavia
e delle popolazioni che la abitano, l'arma più
micidiale
adoperata
contro di esse.
Nessuno ha riportato i dettagli del confronto in
aula tra Milosevic e
Stipe
Mesic, attuale presidente croato ed ex uomo di
Tudjman, né
quelli del
confronto
con l'ex presidente della Slovenia Milan Kucan,
benché
riguardassero i momenti
cruciali e drammatici dello scoppio della guerra
fratricida nel 1991.
Nessuna
cronaca è stata fatta della testimonianza di
Zoran Lilic,
probabilmente
la più importante nel “processo“ visto che Lilic
fu addirittura
presidente
della RF di Jugoslavia mentre Milosevic era
presidente della Serbia;
non
si è parlato della deposizione di un uomo dei
servizi, Rade
Markovic,
chiamato come testimone dell'accusa ma che poi,
in aula, ha dato
ragione
a Milosevic ed ha dichiarato di essere stato
sottoposto a pesanti
pressioni
dal governo serbo attuale affinché dichiarasse
il falso; nessuno
ha
commentato nemmeno il confronto con il
“nonviolento kosovaro“ (30)
Ibrahim
Rugova; per non parlare poi degli interventi in
aula di diplomatici e
politici
occidentali, o dei ridicoli spettacoli offerti
da falsi esperti di
storia,
facilmente sbugiardati da Milosevic. Nei
prossimi mesi, dedicati alla
replica
dell'accusato, dovrebbero svolgersi molte sedute
che vedranno come
protagonisti
personaggi di spicco dei paesi NATO, chiamati da
Milosevic a
testimoniare:
i nostri giornali ne riporteranno qualche eco?
Un mosaico di protettorati ed un groviglio
di corridoi
In Europa, per adesso, sono gli jugoslavi a
dover pagare il prezzo
più
caro di una ristrutturazione geopolitica decisa
a loro insaputa e
contro
di loro. A partire dal riconoscimento
diplomatico delle Repubbliche
secessioniste,
l'Occidente ha fatto il "doppio gioco" con il
loro paese, proclamandosi
pompiere
mentre gettava benzina sui focolai di crisi. Un
"doppio gioco" che ha
causato
indicibili tragedie, ridisegnando i Balcani
secondo protettorati
coloniali
come ai tempi dell'occupazione nazifascista,
trasformandone i territori
in
servitù militari occidentali e bacini di
sfruttamento delle
risorse
e della forza-lavoro, devastando le basi della
convivenza civile e
della
cultura comune di quelle genti. Nessun “gruppo
nazionale
“ ci ha guadagnato
niente, dalla disgregazione, visto che tutti
indistintamente si trovano
oggi
a dover vivere sparpagliati tra tanti piccoli
Stati; i quali a loro
volta
non hanno alcuna forza "contrattuale" né voce in
capitolo
rispetto
al proprio stesso futuro. Di rado qualcuno di
questi staterelli, tra
pressioni
e ricatti di ogni genere, viene accolto nei
"salotti buoni": è
il
caso della Slovenia, che alla fine di marzo è
entrata nella NATO
e
nella UE con un referendum pro-forma che ha
mostrato ancora una volta
lo
scarso entusiasmo della popolazione (risicata la
maggioranza per la
NATO,
ben più ampia quella per la UE). La situazione
attuale nei
Balcani,
non solo in Serbia, è la dimostrazione clamorosa
della ipocrisia
delle
grandi potenze. In particolare, le "ragioni
umanitarie" sempre addotte
dagli
USA e dai loro alleati per far scoppiare le
guerre hanno coperto uno
spietato
progetto di ricolonizzazione. Hanno fatto leva
sulle "differenze
etniche"
ma non era altro che la applicazione del
classico "divide et impera".
Per
sfasciare, hanno impiegato tutti gli strumenti
possibili ed
immaginabili,
compresi i più inediti o "postmoderni": dalla
disinformazione
strutturata,
che si giova oggi delle moderne tecniche di
manipolazione del consenso,
fino
alla penetrazione tramite iniziative “culturali“
ed organizzazioni
“non-governative“,
versione attualizzata dei missionari di un
tempo. Altre volte si
è
usato il più "tradizionale" appoggio a settori
politici
reazionari,
fascisti, o direttamente criminali; si sono
usati i bombardamenti, le
occupazioni
militari, la strategia della tensione... Ma la
filosofia complessiva
è
stata sempre quella, colonialista,
dell'"arancia": per meglio mangiarla
bisogna
suddividerla spicchio per spicchio; talvolta
qualche spicchio si rompe,
e
bisogna sporcarsi le mani - di sangue.
Eternamente presi in trappola
nei
deleteri tira-e-molla tra le grandi potenze, gli
abitanti dei Balcani
si
trovano adesso a dover fare i conti con gli
interessi contrapposti di
europei
e statunitensi, non potendo però giovarsi né
degli uni
né
degli
altri: nella impossibilità di trovare un
equilibrio, essi sono
costretti
da una parte a sottostare a tutti i ricatti USA,
dall'altra a subire la
debolezza
politica europea. Di fatto, né dall‘Europa né
dall'America traggono
vantaggi
o prospettive per il futuro.
Il voto del Parlamento Federale jugoslavo del 4
febbraio scorso ha
rappresentato
un compimento simbolico di questo piano per lo
squartamento della
Jugoslavia,
realizzato su procura delle consorterie
occidentali da indegni
rappresentanti
politici locali - i rappresentanti cioè di quei
ceti sociali
reazionari
da sempre ostili all'ideale di pace e di
progresso denominato
"Jugoslavia"
(31). Essi hanno cancellato la “Jugoslavia“
dalle carte geografiche
dando
vita ad una "Unione di Serbia e Montenegro“ che
è a sua volta
precaria:
lo status dovrà infatti essere ridiscusso tra
tre anni, ed il
nuovo
Presidente del Montenegro, Filip Vujanovic -
ultraliberista
rappresentante
della cricca di mafiosi e contrabbandieri al
potere in Montenegro dal
1996
- promette il referendum per l'indipendenza
(32). Persino all‘interno
del
governo dell‘Unione c‘è un‘ala, guidata dal
“Ministro per le
relazioni
economiche internazionali“ Lukovac, favorevole
alla separazione tra le
due
Repubbliche. Certamente anche per questo motivo
il voto del Parlamento
Federale
è stato accolto con giubilo dal più grande
"sponsor" di
questa
operazione, Xavier Solana, già ben noto alle
popolazioni locali
per
avere
comandato la aggressione militare del 1999.
Analogo giubilo e sostegno
è
stato accordato alla classe dirigente serba in
occasione della
instaurazione
dello "stato d'emergenza" lo scorso marzo:
addirittura, con una mossa
sorprendente
la nuova effimera "Unione" è stata
repentinamente accolta nel
Consiglio
d'Europa, proprio nei giorni in cui svariate
migliaia di persone erano
sbattute
in galera ed i giornali di opposizione venivano
chiusi. Il 30 marzo, in
piena
guerra all'Iraq, il Segretario di Stato USA
Colin Powell ha effettuato
una
di per se eloquente visita a Belgrado,
esprimendo entusiasmo per la
svolta
repressiva, e dunque incoraggiamento e
sostegno al regime
"latinoamericano"
che oggi opprime la Serbia; il premier serbo
Zivkovic ha ricambiato a
fine
luglio, con una lunga visita negli USA; negli
stessi giorni, il suo
Ministro
della Difesa sottoscriveva un accordo di
cooperazione militare con
Israele.
Dunque, nella cosiddetta “comunità
internazionale“ c‘è
chi
sta operando affinché il processo di
disgregazione dell'area
prosegua,
a partire dalla secessione del Kosovo-Metohija.
Nella provincia, dove
le
strade principali sono state rinominate in onore
di Bill Clinton, i
sopravvissuti
delle etnie “sbagliate“ vivono come in un enorme
"lager", dovendo
contare
migliaia di desaparecidos ed uno stillicidio di
morti ammazzati. A
ferragosto
la strage più recente: un gruppo di adolescenti
serbi, che si
riparavano
dal caldo in riva ad un fiume, sono stati fatti
oggetto del
tiro-a-segno
di vigliacchi nascosti fra i cespugli; in
giugno, una famiglia di
tre
persone era stata fatta a pezzi, in senso
letterale, per essersi
rifiutata
di abbandonare la propria casa ad Obilic e
scappare, come altri 300mila
serbi
sono già stati costretti a fare. I regolamenti
di conti tra
bande
politico-mafiose pan-albanesi rivali causano poi
altrettanti morti.
Questo
Kosovo insanguinato ospita importanti basi
militari straniere, come le
statunitensi
Camp Monteith presso Gnjilane e Camp Bondsteel
presso Urosevac. Mentre
i
rappresentanti delle locali “istituzioni”
monoetniche proclamano in
ogni
occasione che l’“indipendenza“ è vicina, i
governatori
occidentali
del protettorato fanno eco garantendo che esso
"non farà mai
più parte
della Serbia", spalleggiati con arroganza dalla
lobby
albano-statunitense
di Biden, Dioguardi, Gillman, Santos, Bob Dole,
Richard Holbrooke e...
George
Soros (33), tutti dichiaratamente favorevoli
alla secessione non solo
del
Kosovo, ma anche del Montenegro.
In Serbia acquista peso ogni giorno di più anche
il separatismo
ungherese
in Vojvodina, alleato della DOS. Lo stesso vale
per il Sangiaccato,
lungo
il confine amministrativo tra Serbia e
Montenegro, trait
d'union tra Kosovo
e Bosnia con una forte presenza di slavi
musulmani e dunque “naturale“
completamento
della balcanica "trasversale verde" (cioè
musulmana) sognata da
Izetbegovic.
Ma, dopo l'11 Settembre, l‘ideale
islamista cui si ispira
Izetbegovic,
autore di una inquietante “Dichiarazione
Islamica“, appare arduo da
realizzare
financo nella “sua“ Bosnia-Erzegovina, ridotta
anch'essa a protettorato
NATO.
D'altronde, impossibile appare lì il
raggiungimento di un
qualsivoglia
status di unità e sovranità. Umiliate le sue
“fondamenta“
jugoslaviste,
la Bosnia-Erzegovina è oggi il fantasma di se
stessa, e l‘unica
prospettiva
nel breve e medio periodo è il cronicizzarsi
della dis-unione,
ovvero
della paralisi - sociale, economica, politica,
ideale - generata dalla
guerra
fratricida prima, e dal regime di servitù
occidentale poi.
Occasionalmente,
ma sempre in modo effimero, sembrano giovarsi di
questa situazione le
solite
forze irredentiste: ad esempio i croati, che
sono riusciti ad imporre
(il
22 giugno scorso) la presenza del papa a Banja
Luka, al centro
cioè
della entità serba. Un vero e proprio schiaffo
simbolico, ed
anche
un insulto alla memoria del genocidio attuato
nel 1942-1944 dagli
ustascia
ai danni della popolazione locale - genocidio
mai menzionato dal papa.
Ulteriore disgregazione è in atto nella FYROM
(34): anche in
questa
Repubblica ex-federata il micronazionalismo
(pan-albanese) è
stato
fomentato dalla NATO negli anni passati. Nel
2001 esso è stato
scatenato
in particolare ai danni dei centri a più forte
caratterizzazione
“multietnica“,
come Kumanovo, seconda città del paese,
assoggettata ad un
pesante
assedio. È stata questa la punizione inferta
alla sua
cittadinanza
mista, tollerante, lavoratrice, e specialmente
alla sua componente
serba
protagonista di vaste manifestazioni contro
l'aggressione della NATO
nel
marzo 1999.
Ogni esplosione della violenza terroristica
serve a giustificare la
ulteriore
presenza delle truppe occidentali, oggi diffuse
un po' dovunque nella
regione,
ridotta ad un patchwork
di
protettorati. Esse controllano le vie di
comunicazione,
in particolare proprio in FYROM e Kosovo, dove è
stata avviata
la
realizzazione del cosiddetto Corridoio numero 8,
sulla direttrice fra
Albania
e Bulgaria (35). All'inizio di settembre 2002,
non appena nella FYROM
le
acque si sono un po‘ placate, è ufficialmente
incominciata la
costruzione
del nuovo oleodotto tra Skopje e Pristina ad
opera della Hellenic
Petroleum
S.A. (36). Un protocollo di intesa denominato
Memorandum of
Understanding
(Mou), per la realizzazione del Corridoio, è
stato poi
sottoscritto
il 9 settembre a Bari nell'ambito della Fiera
del Levante dai Ministri
dei
Trasporti dei sei Paesi interessati (oltre ad
Italia e Grecia, Turchia,
FYROM,
Bulgaria ed Albania) e sottoposto in fretta e
furia alla Commissione
UE:
<< il
sistema comprende porti,
aeroporti, centri intermodali,
strade
e ferrovie per collegare le regioni
adriatico-ioniche con l'area
balcanica
e i Paesi del Mar Nero. (...) "Con l'intesa di
oggi - ha detto il
ministro
Lunardi - si completa finalmente il disegno
originario dei dieci
corridoi
pan-europei, iniziato nel 1991 con la
conferenza di Praga, continuato a
Creta
nel 1994 e successivamente a Helsinki nel
1997, per estendere le reti
transeuropee
di trasporto verso i Paesi dell'est europeo e
dei Balcani". Il cammino
-
ha aggiunto - è stato ''lungo e impegnativo,
anche a causa delle
crisi
esistenti in alcune aree, che in un certo
momento avevano fatto
prospettare
perfino la soppressione del corridoio''. In
quest'anno, invece -
secondo
il ministro per le Infrastrutture - sia sul
corridoio 5
[Ungheria-Slovenia-Trieste] sia sul corridoio
8
l'approccio è diventato concreto ed organico.
>>
Le risorse necessarie per l'Italia
ammonterebbero a 2.106 milioni di
euro
(37).
Ma il contrasto con gli USA viene oramai alla
luce del sole, in una
fase
in cui sta drammaticamente esplodendo la "grande
crisi" del petrolio
(38).
Nei Balcani, come dappertutto, la cordata
petrolifera anglo-americana
(BP-Amoco-ARCO,
Chevron e Texaco) si contrappone agli europei
Total-Fina-Elf, ai
quali l'italiana ENI sarebbe associata (benchè
la posizione sui
generis
dell'Italia meriti un discorso a parte). Per
questo gli anglo-americani
sono
in prima linea nell'interventismo militare e di
intelligence nei
Balcani,
dove non disdegnano di usare il terrorismo di
matrice islamista e
filoturca
per tenere in scacco tutta la penisola (39) così
come già
fanno
nel Caucaso (vedi Cecenia). Proprio per quanto
riguarda il Corridoio 8,
si
noti che dal 1996 anche il colosso energetico
anglo-americano ha creato
un
consorzio specifico, denominato AMBO,
sottoscrivendo accordi ad hoc nel
tentativo
di marginalizzare gli europei (40). Inoltre,
proprio negli stessi
giorni
di settembre 2002 gli USA hanno presenziato alla
firma di un ulteriore
protocollo
d'intesa, riguardante stavolta il cosiddetto
Corridoio 10, cioè
la
direttrice danubiana, che va da Costanza sul Mar
Nero fino ad Omisalj
presso
Rijeka/Fiume: una direttrice ancora bloccata,
dopo la aggressione alla
Serbia,
ma di estremo interesse strategico per l'Europa
centrale. Croazia,
Romania
e Serbia si sarebbero accordate per il
ripristino delle infrastrutture;
ma
sono richiesti enormi investimenti (soprattutto
in Serbia, ovviamente,
dove
il governo ha sbandierato l‘accordo a fini di
propaganda interna) i
quali
dovrebbero venire dagli USA (41). Tuttavia oggi,
dopo molti mesi,
sembrano
aver prevalso non solo la litigiosità
insuperabile tra Serbia e
Croazia,
ma soprattutto l'effettivo interesse USA ad
insabbiare per il momento
qualsivoglia
progetto di oleodotto balcanico... L'Iraq è
infatti stato
soggiogato;
inoltre, un ben più interessante (per gli USA)
progetto è
stato
avviato (guarda caso sempre nel settembre 2002!)
per un oleodotto da
Baku
attraverso la Turchia fino a Ceyhan,
direttamente cioè sul
Mediterraneo:
a tagliar fuori i Balcani, e con essi tutta
l'Europa.
Una "rimozione" specificamente italiana
In questo teatrino di "sgambetti" tra i vari
attori sul proscenio
balcanico,
l'Italia svolge un ruolo non irrilevante, per
motivi oggettivi: basti
guardare
la cartina geografica, per comprendere come
tanto il Corridoio 10 (con
la
progettata diramazione di Trieste) quanto il
Corridoio 8 (per tutti i
nostri
porti adriatici) o il 5 (sempre per Trieste)
siano tutti al centro
dell'interesse
del nostro paese, indipendentemente da quale
risulterà essere la
cordata
imperialista "vincente". Questa nostra posizione
geopolitica, se spiega
gli
enormi interessamenti ed investimenti degli
ultimi dieci anni verso i
Balcani,
rende ingiustificabile la superficialità con cui
è stata
trattata
la tragedia jugoslava nel dibattito pubblico
italiano, ed intollerabile
la
specifica "rimozione" della problematica a
sinistra e nel movimento
contro
la guerra. Peraltro, in Italia di “questioni“ in
sospeso sulla
Jugoslavia,
e dunque di motivi di riflessione, ne abbiamo da
ben prima del 1990.
Dopo
la fase "tardo-risorgimentale" (la I Guerra
Mondiale, la
italianizzazione
forzata ed il nazionalismo slavofobo ad Est),
sotto il Fascismo
l'occupazione
coloniale di vasti territori - da Lubiana a
Pristina (1941-‘43) - fu
particolarmente
violenta. Vi erano campi di concentramento
italiani in territorio
slavo,
ad esempio a Rab (Arbe), ma anche campi per
prigionieri jugoslavi in
territorio
attualmente italiano, come a Cervignano del
Friuli. Il tasso di
mortalità
in questi luoghi era molto alto; ciononostante
la storiografia italiana
su
questo è un ulteriore "buco nero". (42)
Poi, dopo la rottura tra Jugoslavia e Cominform,
nel 1948, uno
specifico
"trauma" e la sua conseguente "rimozione" hanno
interessato i comunisti
italiani.
Chi scrive è convinto che anche questo vada
considerato, se si
vuole
provare a ragionare sulle pregresse attitudini
anti-jugoslave di larga
parte
della nostra sinistra. Infatti, con quella
rottura furono in gran parte
rescissi
i naturali legami tra comunisti italiani e
comunisti jugoslavi -
compresi
gli jugoslavi di lingua italiana presenti in
Slovenia e Croazia, la cui
bandiera
è rimasta in tutti questi decenni il tricolore
bianco, rosso e
verde
con la stella rossa al centro. Ma quei legami
erano in gran parte i
gangli
nei quali scorreva la linfa dell'Italia
partigiana, dell'antifascismo
combattente:
i cimiteri, nei quali a centinaia sono sepolti i
partigiani jugoslavi
che
combatterono sulla penisola italiana
(soprattutto nel centro Italia, ad
esempio
a Visso nelle Marche) sono stati dimenticati,
come dimenticati, in una
sorta
di damnatio
memoriae (C. Del
Bello), sono pure gli episodi eroici della
lotta fianco a fianco sulle montagne dall'una
come dall'altra parte
dell'Adriatico.
Per non dire della Guerra Fredda che, dopo il
'48, si è svolta
anche
tra comunisti, tra "vidaliani" e "titini" a
Trieste (43). Una
involontaria
convergenza si determinò insomma in Italia tra
una destra
anticomunista,
dunque antijugoslava, ed una sinistra comunista
di scelta
cominformista,
dunque essa pure antijugoslava, a determinare un
clima di
ostilità
generalizzata, potenziato da vari fattori
sfavorevoli: i vecchi
sentimenti
nazionalistici, la Guerra Fredda, il ruolo di
ambigui personaggi
"trasversali",
il periodico, "carsico" riaffiorare dei traumi
della guerra e del
dopoguerra
- l'esodo da Istria e Dalmazia, le notizie di
crimini commessi o
presunti.
(44)
In questo clima ostile si possono cercare alcune
delle ragioni della
non-comprensione
della guerra, imperialista e fratricida,
scatenatasi nel 1991. Nelle
file
del PCI sedevano (e siedono ancora oggi nelle
file di vari gruppi
parlamentari)
quei personaggi - qualcuno persino di origine
giuliana, slovena,
istriana,
eccetera - che curarono i rapporti
internazionali del partito e dunque
ben
conoscono vicende, persone, luoghi, tendenze e
problematiche politiche
dell'area
balcanica. In questi anni, queste persone hanno
fatto completamente
mancare
il loro contributo, anzi spesso hanno giocato un
ruolo negativo: dal
sostegno
ideologico ai secessionismi fino ai vergognosi
bombardamenti della
primavera
1999. Forti delle loro conoscenze e delle loro
frequentazioni, in
Italia
ed in Jugoslavia, questi personaggi sono stati
in vario modo attivi
nelle
sedi deputate alle produzione della “pubblica
opinione“: nel sistema
accademico
o in quello dell'informazione, nella RAI come
all‘"Unita'", nelle
Fondazioni
ed in varie strutture universitarie, come anche
nelle piccole radio o
nelle
iniziative del pacifismo e
dell'associazionismo... Giovandosi del clima
di
decadenza politico-culturale particolarmente
deleterio “a sinistra"
già
dagli anni Ottanta, costoro hanno avuto gioco
facile ad avvalorare,
sulla
guerra, chiavi di lettura insufficienti o del
tutto fuorvianti (guerra
"etnica",
guerra "di aggressione serba", guerra "per la
autodeterminazione").
Sovente,
questi stessi personaggi "fanno" la diplomazia
italiana in quelle
terre,
e mediano perciò anche la riconquista
economica-coloniale,
magari
attraverso operazioni pseudo-umanitarie come la
famigerata “Missione
Arcobaleno“.
Disgraziatamente assente è stata invece la voce
dei partigiani,
che
avrebbe potuto rammentarci la eroica Guerra di
Liberazione in
Jugoslavia,
inquadrando la questione delle nazionalità in
una prospettiva
storica;
assenti pure i comunisti jugoslavi, che la
nostra "sinistra" non ha mai
interpellato
a dire la loro sullo sfascio del loro paese, in
questi anni.
Eppure rimane indispensabile, per chi oggi si
dice comunista, poter
disporre
di strumenti autonomi di analisi ed
interpretazione di questa Storia
jugoslava
a noi così vicina, nel tempo e nello spazio,
così
drammatica,
e così piena di implicazioni. All‘uopo bisogna
liberarsi da
tutte
le zavorre: oltre alle difficili, ma oramai
anacronistiche
eredità di cui
sopra, c‘è il carico di molti anni di
disinformazione, ci sono
le
interpretazioni ingenue in termini
esclusivamente di "diritti umani",
c‘è
il "buonismo" di una sinistra che si è accorta
con troppo
ritardo
che taluni attori, in questa faccenda, tutto
sono fuorché
ingenui...
Bisogna in sostanza rendersi autonomi dalla
pressione fortissima degli
interessi
in campo.
Nel frattempo, molte migliaia gli italiani in
divisa a rotazione
svolgono
servizi cosiddetti di peacekeeping
in quelle terre; ci si lamenta
occasionalmente
se qualcuno si ammala di leucemia o è vittima di
qualche
incidente;
ma volendo andare al fondo del problema bisogna
esigere, molto
semplicemente,
il ritiro di tutte le truppe italiane
all'estero, e la fine delle
politiche
di ricolonizzazione comunque mascherate.
La Jugoslavia come paradigma di rimozione
Chi, in questi anni, ha guardato alla
Jugoslavia, ha potuto vedere cose
al
di là di ogni immaginazione: dai rifornimenti
massicci di armi
attraverso
i nostri porti (45), alla beatificazione di
arcivescovi nazisti (46),
allo
stragismo operato per alzare la tensione, fino
ai bombardamenti dei
convogli
di profughi e delle fabbriche presidiate dai
lavoratori... Abbiamo
saputo
dell'addestramento delle formazioni separatiste
da parte di agenzie di
mercenari
(47) e del ruolo di mercenari nostrani, mai
processati per i loro
crimini,
come un tale Delle Fave. Tutto questo lo ha
visto chi ha voluto vedere
(48),
chi invece non voleva vedere, ovviamente, non ha
visto nulla: ha
"rimosso".
Ma il tempo passa, e mese dopo mese quello che è
successo alla
Jugoslavia
va replicandosi in tanti altri contesti, con
ritmi sempre più
rapidi
e modalità sempre più sfacciate. Come in
Jugoslavia anche
in
Iraq, ad esempio, hanno imparato bene che la
guerra si prepara e si
accompagna
con la disinformazione strategica, gestita a
livello globale da agenzie
specializzate
e corporation
del settore,
come la Hill&Knowlton,
la Ruder&Finn,
la ITN,
il Rendon
Group, gli istituti legati
ai governi occidentali ed alla
Fondazione Soros... Come in Jugoslavia, anche in
Iraq la diffamazione
delle
classi dirigenti e la promessa di "dare alla
popolazione locale un
governo
democratico" si sono rivelate un cinico
imbroglio: l'Occidente ha
portato
distruzione, insediamenti militari, miseria,
morte; porterà
nuovi
confini a dividere le genti, porterà divisione
ed odio "etnico",
e
regimi coloniali repressivi ed antipopolari.
Come in Jugoslavia, anche
in
Iraq la guerra "umanitaria" si è combattuta con
l'uranio
impoverito,
con i bombardamenti sulle infrastrutture e sugli
insediamenti civili,
con
conseguenze mortali sull‘economia, sull'ambiente
e sulla salute. Come
in
Jugoslavia, anche in Iraq gli imperialisti
si litigano le
risorse,
le materie prime, il petrolio ed il gas
naturale, e mirano a
controllare
militarmente tutte le rotte per il loro
transito.
E come in Jugoslavia ed in Iraq, anche in
Venezuela o a Cuba, in Siria
o
in Corea del Nord si presentano problemi
analoghi. Comprendere la crisi
jugoslava
è condizione necessaria per capire le dinamiche
di tutti questi
scenari
di crisi internazionale; viceversa, “rimuovere“
la Jugoslavia è
nell‘interesse
di chi non vuole che si capisca, affinchè il
crimine si possa
perpetrare.
È per questo che il movimento contro la guerra
dovrebbe avere
consapevolezza
e memoria dei fatti paradigmatici qui descritti,
e dovrebbe battersi
contro
la "rimozione" della Jugoslavia, che di tutti
gli scenari di guerra
è
a noi il più prossimo. Hanno provato a spiegarlo
anche le
sindacaliste
della Zastava, intervenute dal palco di Piazza
San Giovanni alla grande
manifestazione
del 15 febbraio scorso (49). Ma l'attenzione
prestata è scarsa,
e
la rimozione sussiste a molti livelli: la
Jugoslavia, a tutti gli
effetti,
è paradigma
di rimozione
(T. Bellone) - rimozione dalla Storia
come
dalla cronaca; rimozione che riguarda tanto la
Jugoslavia "in grande"
(RFSJ)
quanto quella "in piccolo" (Serbia e
Montenegro); rimozione geografica
e
politico-culturale; una rimozione che è stata
operata in Italia
come
all'estero, ed ovviamente, soprattutto, nella
stessa Jugoslavia, dove i
traumi
recenti sono stati violentissimi e "rimuovere" è
talvolta una
reazione
indispensabile per la propria sopravvivenza. Di
fatto, aprire il
capitolo
“Jugoslavia“ oggi significa aprire ferite non
rimarginate, e questo non
solo
per gli jugoslavi ma per tutti quelli che sono a
vario titolo coinvolti
nella
problematica, ciascuno con il proprio personale
carico di esperienze
dolorose
(50). Tuttavia, i traumi personali non si
superano se non si prende
coscienza
di che cosa veramente li ha causati, e la
politica serve sicuramente
allo
scopo poichè va oltre, riguarda relazioni tra
grandi masse che
condividono,
e sempre condivideranno, lo stesso spazio fisico
e culturale. Per
questo
motivo bisogna assolutamente superare le
barriere psicologiche
innalzate
dalla propaganda, simili a tante nuove "cortine
di ferro" poste a
dividere
popoli, ed anche famiglie, o singole coscienze,
al loro interno. In
questo
i non-jugoslavi possono essere utili quasi come
uno psicanalista, o un
semplice
amico, è d’aiuto a superare traumi e ferite
impresse nel
profondo.
Si tratta anche di valorizzare gli aspetti
positivi di una
identità,
e di preservarne i tesori (51). Come le vite dei
singoli, nemmeno la
Storia
ritorna indietro, ma è necessario che essa sia
raccontata senza
mistificazioni,
altrimenti non c‘è futuro.
È molto significativa da questo punto di vista
la tendenza, oggi
riscontrabile
in tutte le Repubbliche ex-federate come anche
nelle comunità
degli
jugoslavi all'estero, a ricostruire Jugoslavie
posticce, un po' come la
"DDR
in una stanza" del film "Good Bye Lenin":
riserve della nostalgia,
luoghi
simbolici. Sono siti internet, circoli di
militanti, o persino piccoli
appezzamenti
di terreno provocatoriamente consacrati al
tricolore con la stella
rossa.
Tutto questo ha un suo preciso significato, ma
certamente non
può
bastare. Quello che vige, in Serbia come in
Bosnia ed altrove, è
ancora
uno stato di attesa, quasi di contemplazione
della tragedia che si
è
consumata e tuttora si consuma, come quando si
veglia un
cadavere.
Passare da questa contemplazione passiva ad una
disposizione positiva
è
necessario, ma certo non è automatico: i
comunisti hanno subito
gravi
sconfitte; alle sinistre è concessa visibilità
solo
quando
si adagiano nell’opportunismo; i sindacati sono
stati frantumati, e
dove
la rabbia operaia è più forte spuntano come per
miracolo,
alternativamente,
la violenza del terrorismo "etnico" oppure
decine di sindacati
"gialli"...
Le condizioni materiali di sopravvivenza sono
poi difficilissime, e
dunque
è assurdo il moralismo di chi pretende dagli
jugoslavi quella
capacità
di organizzazione politica che nemmeno in Italia
in fondo sappiamo
esprimere,
in condizioni ben più favorevoli. I tantissimi
esuli all'estero
devono
innanzitutto pensare al lavoro, alla casa, a
rifarsi una vita, e non
potrebbe
essere diversamente. Chiediamoci piuttosto come,
alla questione, ci
possiamo
o ci dovremmo rapportare noi, comunisti
italiani.
Chi ha seguito la vicenda jugoslava al di là
della cortina
fumogena
della
disinformazione ha potuto verificare come le
guerre non nascano dalla
"pazzia"
né da "congenite attitudini criminali" di
alcuno, ma siano
piuttosto
la logica espressione di questa fase storica:
una fase storica
contrassegnata
dalla violenta espansione del capitale
monopolistico transnazionale e
dalla
ricolonizzazione ai danni non solamente dei
paesi del "Terzo Mondo", ma
anche
di paesi che sono nel cuore dell'Europa. In
essi, tuttavia, la
situazione
è altamente instabile. Dalla disgregazione
jugoslava non
può
nascere niente, nemmeno per le grandi potenze
imperialiste - e quando
esplodono
le contraddizioni tra queste ultime,
accompagnate dal logico
risentimento
popolare, il fittizio ordine vigente nei Balcani
crolla come un
precario
castello di carte. Anche per questo motivo, non
prestare attenzione a
quanto
lì avviene è un grave errore.
Note:
(1) Secondo un dispaccio "mortuario"
dell'ANSA, diramato lo scorso
febbraio
dopo il voto del Parlamento Federale, la
Jugoslavia sarebbe stata
addirittura
"una polveriera durata 74 anni".
(2) Il 29 novembre 1943 a Jajce, nel cuore
della Bosnia-Erzegovina, il
Comitato
Antifascista di Liberazione Nazionale (AVNOJ)
poneva le basi del paese
multinazionale,
fondato nella eroica lotta contro le potenze
occupatrici ed i
collaborazionisti,
rappresentati dai nazionalisti, nazisti e
monarchici.
(3) AAVV: "NATO in the Balkans", ed.
International Action Center, 1997;
una
versione italiana è uscita per Editori
Riuniti: "La NATO nei
Balcani",
1999.
(4) Persino la europea Commissione Badinter
aveva sconsigliato il
riconoscimento
della Croazia a causa degli irrisolti problemi
con la popolazione serba
autoctona,
nettamente contraria alla secessione
della Repubblica.
(5) Marzo 1992: l'ex ambasciatore USA a
Belgrado, Zimmermann, invita
musulmani
e croati a ritirare la loro firma dall'accordo
di Lisbona per la
cantonalizzazione
della Bosnia-Erzegovina.
(6) Sulle stragi "del pane" e di Markale a
Sarajevo
, e più in generale
sul carattere strategico della disinformazione
dei media, si
vedano
ad esempio i libri di Michel Collon "Poker
Menteur" e "Monopoly"
(ed.
EPO, Bruxelles).
(7) Si vedano i contributi di S. Gervasi e M.
Chossudovsk
y su "NATO in the
Balkans", op.cit.
(8) La "Lega Democratica del Kosovo" di
Ibrahim Rugova e la sua
politica
di separatismo su base etnica è stata
appoggiata sin dal 1990
non
solo da settori "pacifisti" e da militanti per
i "diritti umani", ma
anche
da note centrali della disinformazione quali
la Fondazione Soros e la
Ruder&Finn
Public Global Affairs. Su quest'ultima
agenzia di "lobbying" si
veda:
Jacques Merlino, "Les Verites yougoslaves ne
sont pas toutes bonnes a
dire"
(Paris
: Albin Michel, 1993). Per quanto invece
riguarda il ruolo dell'UCK
("Esercito di Liberazione del Kosovo"),
formazione armata "contras"
attiva
dal 1997, e l'appoggio a questa fornito da
parte della NATO, si veda ad
esempio
l'ottimo libro di Juergen Elsaesser "Menzogne
di guerra" (Napoli: La
Città
del Sole, 2002).
(9) In Italia la migliore documentazione su
questo altro "buco nero"
informativo
è stata prodotta dal comitato Scienziate/i
contro la Guerra: per
i
riferimenti ai testi pubblicati si veda il
sito
http://www.scienzaepace.it .
Da segnalare anche il video "Bombe sulle
industrie chimiche" di Sasha
Adamek,
nell'edizione italiana a cura di Alberto
Tarozzi.
(10) Due fonti "insospettabili" ne parlano: la
rivista "30GIORNI"
diretta
da Giulio Andreotti (sul n.2/2003: "A quattro
anni dalla 'guerra
umanitaria'
in Kosovo. Dopo le bombe il caos") e "La
Tribuna di Treviso" con una
intervista
a Massimo Cacciari (martedì 4/3/2003).
(11) Anche sulla questione della "pulizia
etnica" e del terrore oggi
instaurato
nel Kosovo-Metohija esiste una preziosa
documentazione video di M.
Collon
e V. Stojiljkovic. L'edizione italiana ("I
dannati del Kosovo", 80min.)
è
disponibile presso "SOS Yugoslavia" di Torino
(posta@resistenze.
org).
(12) Trovare documentazione su questo
argomento, nel buio di una
censura
di fatto, è arduo. Nondimeno segnaliamo gli
articoli di Fulvio
Grimaldi
per questa rivista, nonchè gli opuscoli di
R. Giusti, A.
Hoebel
e F. Grimaldi ("
La NATO in Jugoslavia: dalla guerra al colpo
di Stato")
e di E. Vigna ("Jugoslavia 2001"), editi da La
Città del Sole
(Napoli,
2001). La situazione jugoslava è comunque
costantemente seguita
dal
bollettino JUGOINFO su internet (si veda
:
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages/).
(13) Sulle campagne di solidarietà, ed il modo
di contribuirvi,
si
veda ad esempio:
http://www.ecn.org/coord.rsu/guerra.htm
(14) In effetti già dallo scorso autunno, in
seguito al
fallimento
delle elezioni presidenziali tanto in Serbia
quanto in Montenegro a
causa
della palese disaffezione popolare e del
non-raggiungimento dei quorum,
nel
paese si è determinata una gravissima crisi
istituzionale a
tutti
i livelli, che la trasformazione da
"Federazione" ad "Unione" lo scorso
febbraio,
e l'attuale incertissimo iter per la
riscrittura delle Costituzioni,
non
fanno altro che aggravare.
(15) Si tratta di "Nacional" e "Identitet",
mentre al montenegrino
"Dan"
viene vietata la distribuzione in Serbia. Si
tenga comunque presente
che
dopo l'ottobre 2000 insieme agli spazi di
espressione politica in
Serbia
e Montenegro sono drasticamente diminuiti gli
strumenti di
comunicazione
dei settori di opposizione anche per ragioni
immediatamente economiche.
Si
deve inoltre registrare il fenomeno di
acquisizione dei media da parte
di
società straniere: in particolare (oltre a
Soros) da parte della
Westdeutsche
Allgemeine Zeitung di Bodo Hombach, che oggi
possiede il principale
quotidiano
belgradese "Politika", un tempo prestigiosa
testata.
(16) Questo "Tribunale ad hoc" non va confuso
con la preesistente Corte
Internazionale
atta a dirimere le controversie tra gli Stati,
che ha sempre sede
all'Aia
ma è organismo ben più legittimato.
(17) La presidentessa del Tribunale, Gabrielle
Kirk McDonald, il 5
aprile
1999 veniva insignita di una onoreficenza
dalla Corte Suprema degli
USA.
In quella occasione essa spiegava senza alcun
imbarazzo: <<
Abbiamo
beneficiato del forte sostegno dei governi
interessati e degli
individui
che si sono adoperati, come il Segretario
Albright. [Si noti che i
bombardamenti
sulla Jugoslavia erano iniziati da pochi
giorni] Come rappresentante
permanente
alle Nazioni Unite, essa ha lavorato
incessantemente per creare
il
Tribunale. In effetti, noi spesso ci
riferiamo a lei come alla
"madre
del Tribunale"... >>
Dunque la "mamma" del Tribunale dell'Aia non è
Emma Bonino!
(18) In un comunicato stampa diramato all'Aia
il 19 aprile 1999
(JL/PIU/397-E)
si legge: << Per conto del Tribunale
Penale Internazionale per la
ex
Jugoslavia il Presidente del Tribunale,
giudice Gabrielle Kirk
McDonald,
ha espresso il suo grande apprezzamento al
governo degli Stati Uniti
per
la sua concessione di 500mila dollari USA
destinati al Progetto
Outreach
del Tribunale. Harold Koh, Vice segretario di
Stato USA per la
democrazia,
i diritti umani ed il lavoro, ha annunciato la
donazione in una
conferenza
stampa presso il Tribunale venerdì 16 aprile
1999. Questa
generosa
contribuzione, che ammonta a più di un terzo
del budget
complessivo
di Outreach, "consentirà al Tribunale" - come
nota lo stesso
Vice
Segretario di Stato Harold Koh - "di portare
il suo messaggio di
giustizia
imparziale non solamente ai governi ed ai
rappresentanti legali dell'ex
Jugoslavia,
ma, soprattutto, alle famiglie delle vittime".
>> Una
dichiarazione
tanto nobile da far venire le lacrime agli
occhi, soprattutto se si
pensa
che questo signore mentre parlava
rappresentava uno Stato - gli USA -
che
proprio in quei giorni stava causando dolori
enormi e disgrazie a
quelle
stesse famiglie tramite i bombardamenti.
(19) Conferenza stampa tenuta il 17 maggio
1999.
(20) Le recenti incriminazioni ed arresti
contro alcuni esponenti
minori
della "manovalanza" UCK non mutano questo
quadro complessivo; lo stesso
vale
per l'arresto di Nasir Oric, musulmano della
Bosnia responsabile di
micidiali
"sortite" delle sue truppe dalla "enclave
protetta" di Srebrenica a
danno
dei serbi dei villaggi circostanti nel
1992-1993 - e dunque ben prima
dei
fatti del 1995 sui quali la stampa
internazionale ha tanto insistito,
benché
la loro vera dinamica ed entità sia tuttora da
chiarire (si veda
in
proposito in: Juergen Elsaesser, op. cit.).
Nel caso dei croati, mentre
nessun
leader politico è stato "incriminato"
dall'Aia, lo Stato croato
ha
finora negato ogni tipo di collaborazione
anche per i militari
responsabili
della eliminazione fisica degli abitanti
serbi della Slavonia e
delle
Krajine.
(21) Franjo Tudjman, oggi defunto, è stato
l'autore di testi
revisionisti
sul nazismo; Alija Izetbegovic, autore della
"Dichiarazione Islamica" e
legato
all'Arabia Saudita, all'Iran, al Pakistan ed a
Bin Laden, è
sospettato
di avere fatto parte dei filonazisti "Giovani
Musulmani" durante la II
Guerra
Mondiale; i leader dell'UCK, anche macedone,
sono personaggi ricercati
dalle
polizie di mezzo mondo per le loro
frequentazioni criminali. Tutti
costoro
subirono condanne e spesso scontarono pene
nella RFSJ per reati quale
l'”istigazione
all'odio tra le nazionalità”.
(22) La pagina 11467 degli Atti, relativa alla
seduta del 10 ottobre
2002,
resterà leggendaria poiché in essa per la
prima volta
nella
storia un "magistrato" (Richard May) dichiara
che la Corte accetta il
"sentito
dire" come prova.
(23) La "necessità" di una indagine contro
Milosevic veniva
annunciata
alla conferenza stampa congiunta tenuta dalla
"madre del Tribunale ad
hoc",
Albright, e dall'ex-procuratore Louise Arbour
(successivamente
sostituita
dalla Del Ponte) a Washington D.C. il 30
aprile del 1999: si veda il
documento
ufficiale dell'ufficio del portavoce del
Dipartimento di Stato USA:
http://secretary.state.gov/www/statements/1999/990430a.html
.
(24) A sottolineare il vero e proprio affronto
operato da questi agenti
della
NATO nel governo serbo, ai danni del paese e
della sua stessa
dignità
e memoria storica, basti guardare al giorno in
cui il sequestro
è
avvenuto: 28 giugno, una data altamente
simbolica per la nazione serba.
Quel
giorno, nel 1389 si concludeva la nota
battaglia contro i Turchi; nel
1914
avveniva l'attentato di Sarajevo; nel 1989
Milosevic teneva il famoso
discorso
a Kosovo Polje, invocando la convivenza e la
parità tra tutte le
etnie
(per il testo si veda:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1112
).
Non è perciò un caso se una manifestazione
internazionale
contro
il "Tribunale" dell'Aia è stata convocata dal
comitato "Sloboda"
all'Aia
per il prossimo 28 giugno.
(25) La opinione contraria della Corte
Costituzionale è stata
formalizzata
il 6 novembre 2001; il testo è stato
pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale
della RF di Jugoslavia N.70/01 il 28 dicembre
2001.
(26) I cosiddetti "Amici curiae", la cui
scarsa serietà è
dimostrata
dal fatto che dopo pochi mesi uno di loro ha
rilasciato alla stampa una
intervista
dicendosi convinto che Milosevic sarà
condannato, e per questo
è
stato sostituito nell'incarico in seguito alle
proteste di Milosevic.
(27) Neil Clark sul "New Statesman" del 28
aprile di quest'a
nno a proposito
del libro: "Yugoslavism: histories of a failed
idea (1918-1992)" di
Dejan
Djokic (editor), Hurst & co. (369 pagine,
ISBN 1850656630).
(28) La strana carriera di Carla Del Ponte
risalta dalla
clamorosa
intervista di J. Elsaesser al testimone-chiave
nella vicenda
Mabetex-Pacolli,
Felipe Turover, che ha accusato la Del Ponte
di avere insabbiato
l'inchiesta
e di aver messo a repentaglio la vita dei
testimoni (KONKRET, dicembre
2002.
In italiano su:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2137
).
(29) È oggi però possibile seguire le udienze
(le cui
trascrizioni
oramai ammontano a molte migliaia di pagine)
via internet sui siti:
http://www.slobodan-milosevic.org/
http://www.domovina.net/Icty/eng/room1.ram
http://hague.bard.edu/video.html
http://tribunal.freeserbia.com
(30) ''Hussein e Milosevic ... in quanto
dittatori si assomigliano. Il
problema
che si pone il mondo civile è quello di
annullare le
potenzialità
dei dittatori, per andare sempre più verso la
democrazia ... Noi
kosovari
dobbiamo ringraziare Dio per l'intervento
della NATO che è
servito
a salvare un popolo e una civiltà''. Rugova,
testuale, dall‘ANSA
del
13/02/2003.
(31) La cancellazione della "Jugoslavia" è
stata un passaggio
coerente
nell’ambito
del programma politico della DOS, di impronta
reazionaria. Due fatti
ulteriori,
tra i tanti, possono attestare tale carattere
reazionario:
Kostunica,
nel suo primo discorso in piazza da presidente
jugoslavo, a Belgrado
durante
il golpe del 2000, con un lapsus rivelatore
salutava il pubblico
rivolgendosi
alla "Serbia libera" anziché alla "Jugoslavia
libera"; tra i
primi
atti di natura simbolica effettuati dal
governo Djindjic c’è
stata la consegna
del passaporto e della ex residenza reale (la
“Casa Bianca”) all’”erede
al
trono” della famiglia Karadjordjevic, esiliato
in Gran Bretagna sin
dalla
II Guerra Mondiale.
(32) Beta/Tanjug, 4 maggio 2003. Vujanovic è
stato eletto l'11
maggio
2003 in elezioni cui ha partecipato meno della
metà del corpo
elettorale
sia a causa del boicottaggio da parte
dell'opposizione sia per il
sentimento
generalizzato di disaffezione e disprezzo,
imperante nell'opinione
pubblica.
Nonostante vari tentativi di insabbiamento,
proseguono le inchieste
italiane
sulla mafia del contrabbando di sigarette, che
vedono implicati tra gli
altri
l'ex presidente Djukanovic (pure lui
secessionista) ed il camorrista
Francesco
Prudentino (già residente in Montenegro).
All‘inizio di luglio i
PM
della Procura della Repubblica di Napoli hanno
chiesto l‘arresto di
Djukanovic,
che è oggi Primo Ministro, per “associazione
per delinquere
finalizzata al contrabbando di tabacchi
lavorati esteri (articoli
416
e 291 quater)“ (ANSA 4/7/2003).
Questa inchiesta può
essere
anche
vista come parte di una più ampia azione
intrapresa dalla UE
contro
certe multinazionali statunitensi come la Philip Morris
e la RJ
Reynolds
che si sono giovate del contrabbando (vedi: IWPR Balkan
Crisis
Report,
No. 446). Un contrasto USA/UE dunque emerge in
questa vicenda, come
pure
nella differenza di posizioni riscontrabile a
molti livelli sul
problema
dello sfascio annunciato della “Unione“
serbomontenegrina.
(33) Il conte (sic) Nikolaus Graf Lambsdorf,
capo dell’ufficio dell‘ex
rappresentante
speciale ONU in Kosovo Michael Steiner,
dichiarava lo scorso 9 maggio
durante
una conferenza a Vienna che "il
Kosovo non farà mai più parte della
Serbia"
(Beta, 11/5/2003); la portavoce di Steiner
sottolineava: "il Kosovo non è
una provincia della Serbia" (Beta,
11/5/2003). Il magnate George
Soros –
legato al National
Endowdment for
Democracy, cioè alla CIA, e
pesantemente
influente nei Balcani grazie alla rete delle
sue organizzazioni
cosiddette
non-governative nonché grazie ai numerosissimi
media sotto il
suo
controllo,
compresa quella Radio B-92 che riecheggia nel
nome i famigerati
bombardieri
statunitensi – ha spiegato ai governi UE “che cosa bisogna
fare nei
Balcani“
(sic) con un articolo pubblicato sul Financial
Times del 23 maggio scorso,
in vista del summit di Salonicco: come primo
punto ci sono
l'"indipendenza"
del Kosovo-Metohija e la dissoluzione della
"Unione" di Serbia e
Montenegro.
Stesse identiche sono le priorità secondo
Richard Holbrooke
(intervista
a Koha Ditore, 12/7/2003).
(34) Sulla attuale situazione politica nella
Repubblica ex-Jugoslava di
Macedonia
(FYROM) si veda il precedente articolo su
questa stessa rivista
(n.5/2002).
Nulla è cambiato in questi mesi, a parte lo
"scambio di ruolo"
tra
partiti secessionisti pan-albanesi, con i
terroristi di Ahmeti oggi in
doppiopetto
al governo, ed i "democratici" di Xhaferri
invece a proclamare la
necessità
di spaccare il paese in base a criteri
"etnici".
(35) Si noti d'altronde che anche in Bulgaria,
dove pure già
vige
un regime filo-occidentale come in Macedonia,
la presenza di una
minoranza
turca costituisce per la NATO uno strumento
potenzialmente utile per
far
saltare gli equilibri del paese non appena ciò
sarà
ritenuto
necessario.
(36) La Grecia ha pure acquisito, tra grandi
polemiche, la
maggioranza
delle azioni della raffineria Okta di Skopje.
La Hellenic
Petroleum,
che
ha una forte partecipazione russa, possiede
oggi anche la Jugopetrol montenegrina
(Tanjug 11/10/2002).
(37) Dispacci AP 7/9/2002, ANSA 9/9/2002.
(38) Sulla crisi del petrolio come chiave di
lettura delle “nuove
guerre“
si veda: A. Di Fazio, in "Contro le nuove
guerre", Odradek 2000
(http://www.scienzaepace.it );
sulla conflittualità interimperialistica nella
“corsa“
all‘accaparramento
dei combustibili fossili si vedano invece i
materiali di M.
Chossudovsky
ed altri, pubblicati su
http://www.globalresearch.ca . Negli scorsi
anni,
gli europei sono "arrivati prima" in Asia
Centrale, ad esempio in
Kazakistan,
anche grazie ad una politica di avvicinamento
alla Russia, ma nei
Balcani
essi hanno agito in maniera paradossalmente
autolesionistica: i
bombardamenti
del 1999 hanno di fatto nuociuto a causa dei
gravi danni arrecati alle
infrastrutture
dell'asse danubiano (il "Corridoio 10"). La
"guerra infinita"
proclamata
dagli USA dopo l'11 Settembre sta inoltre
ridisegnando completamente la
geopolitica
del petrolio. La recente aggressione USA-GB
contro l'Iraq ha colpito
gli
interessi petroliferi francesi e russi, e
sembra scalzare via gli
europei
anche dalle posizioni che sembravano
acquisite.
(39) Si noti la sequenza degli eventi:
all'inizio del 2000, la
Commissione
Europea aveva avviato con la Bulgaria, la
FYROM e l'Albania le
negoziazioni
per l'ingresso nella UE. Nell'aprile del 2001
la FYROM era
diventata
il primo paese dei Balcani a firmare un
"accordo di stabilizzazione e
associazione".
Ecco allora che, proprio negli stessi giorni,
il terrorismo dell'UCK,
armato
ed addestrato adesso soprattutto dagli
angloamericani, esplode in tutta
la
sua violenza, per portare viceversa il paese
alla de-stabilizzazione ed
allontanarlo
dalla UE. Il capo della missione OSCE in
Macedonia Robert Frowick
(statunitense)
ha voluto legittimare l'UCK macedone come
interlocutore e porre la
FYROM
sotto ricatto; secondo vari osservatori, tra
quell'UCK e gli europei
(specialmente
i tedeschi) i rapporti invece non sarebbero
più tanto idilliaci.
(40) Il consorzio AMBO ("Albanian, Macedonian
and Bulgarian Oil") ha
sede
legale negli USA ed è direttamente collegato
al potere
politico-militare
statunitense attraverso la famigerata
Halliburton, la società
del
vicepresidente
USA Dick Cheney già appaltatrice delle
forniture e della stessa
costruzione
della base di Camp Bondsteel (tramite
l'associata Brown & Root), ed
ora
di tutta la enorme "torta" irachena.
(41) Precisamente, gli investimenti erano
stati promessi in luglio
dalla
US Trade and Development Agency (Tanjug 22 e
23/7/2002), ed il
protocollo
tra Croazia, Romania e Serbia è stato firmato
il successivo 10
settembre.
(42) Sui crimini di guerra italiani nei
Balcani durante la II Guerra
Mondiale
va segnalato il documentario della BBC
"Fascist Legacy", che pur
essendo
stato censurato dalla RAI sta circolando in
una miriade di iniziative,
grazie
all'impegno della militanza diffusa ed in
particolare in seguito ad una
iniziativa-dibattito
organizzata dal Coordinamento Nazionale
per la Jugoslavia a
Torino.
Ma i "buchi neri" sono tanti ed a vari
livelli: dall'addestramento dei
terroristi
"ustascia" di Pavelic in Italia negli anni
Trenta, fino alla creazione
della
Grande Albania nazifascista, passando per il
trafugamento del Tesoro
della
Banca Nazionale di Jugoslavia nel 1941
(episodio del quale fu
protagonista
un giovanissimo Licio Gelli), la Storia del
ruolo italiano nei Balcani
è
stata scritta poco e male.
(43) "Vidaliani" dal nome di Vittorio Vidali,
leader del PCI triestino
e
della sua tradizione "cominformista". Subito
dopo il 1948 a Trieste la
tensione
tra comunisti di diverso orientamento - non
sempre coincidente con
l'appartenenza
nazionalitaria! - era alle stelle. La figura
di Tito a Trieste continua
ad
essere soggetta a rimozione, o all'uso
esclusivo della propaganda
delle
destre, nonostante Trieste sia stata liberata
dal IX Korpus jugoslavo.
Al
di là della rottura Tito-Stalin - che comunque
nel merito non
c'entrava
niente con la storia ed i rapporti diretti tra
comunisti italiani e
jugoslavi
- nel PCI si ritenne di poter trarre ulteriore
legittimazione nazionale
ed
istituzionale posizionandosi sulla questione
di "Trieste italiana"
(1953).
Tito e la Jugoslavia accettarono di buon grado
la mediazione di
Togliatti,
e presto abbandonarono ogni rivendicazione su
Trieste, città che
pure
avevano liberato nel 1945 e che sarebbe
altrimenti rimasta "territorio
libero"
(T.L.T.). Ma a Trieste/Trst la popolazione
slava era e resta una grande
percentuale
degli abitanti, soprattutto nei quartieri
popolari, nelle periferie
operaie
e nei sobborghi carsici, che sono tuttora di
lingua slovena.
(44) Le ragioni dell'esodo furono molteplici,
ma esso non fu dovuto ad
una
ostilità di carattere nazionalitario come
vorrebbe certa
storiografia
neofascista. Da una parte, il moto migratorio
dalle campagne alle
città
in quell'epoca era generalizzato, e comportò
ad esempio anche la
emigrazione
di triestini ed istriani verso città
industriali più
grandi,
ed anche verso l'estero; dall'altra,
interagirono fattori di carattere
politico-ideologico
(anticomunismo ovvero accuse di
collaborazionismo), tanto è vero
che
in quel periodo Trieste pullulava di esuli
sloveni, croati e serbi
legati
ai movimenti fascisti e nazisti delle loro
terre.
Per quanto riguarda le "foibe", va premesso
che durante la guerra, dopo
l'8
settembre, Trieste ed il suo entroterra
divennero parte della regione
del
Terzo Reich denominata "Adriatisches
Küstenland". In questa
regione
il collaborazionismo - di ogni "etnia" - si
rese responsabile di
crimini
facilmente immaginabili. La risposta a tutto
questo, da parte dei
partigiani,
fu quella necessaria e ben raramente sconfinò
nelle vendette
personali.
Di fatto, queste ultime - regolarmente
sottoposte a giudizio dai
Tribunali
jugoslavi nel dopoguerra - causarono assai
meno lutti nella regione
giuliana
di quanto nello stesso periodo non successe,
ad esempio, in
Piemonte o in Emilia-Romagna. Eppure, nel
clima della Guerra Fredda,
sui media
italiani
la questione delle "foibe" assunse per la
pubblica opinione italiana
connotati
abnormi, legandosi alle operazioni di guerra
psicologica dei servizi
segreti,
in quella zona imperniati attorno alla Decima
Mas ed alla Gladio.
Questa
campagna ha ripreso particolare enfasi dopo il
1991 come forma di
pressione
su Slovenia e Croazia (cfr. C. Cernigoi,
"Operazione Foibe a Trieste",
ed.
KappaVu, Udine 1997). Per inciso, mentre la
campagna sulle "foibe" -
peraltro
iniziata dalla stampa nazista
dell'Adriatisches Küstenland – si
avvale
oggi del contributo in senso revisionista di
storici di
“centrosinistra”
ed arriva a lambire persino l'insegnamento
nelle scuole dell'obbligo,
nella
stessa Italia vengono sottaciuti gli episodi
relativi ai crimini di
guerra
italiani, e raramente si ricorda cosa fu il
campo di concentramento
nazista
della Risiera di San Saba, proprio dentro la
città di Trieste.
(45) Talvolta usando persino convogli di
organizzazioni religiose
o umanitarie, quali la Croce Rossa e la "Kruh
Svetog Antuna" legata
alla
Caritas.
(46) Alojzije Stepinac, "icona" del
nazionalismo croato, è stato
beatificato
da Wojtyla il 3/10/1998. Sul clerico-nazismo
croato si veda: M.A.
Rivelli,
"L'Arcivescovo del genocidio" (Kaos Edizioni:
Milano 1999).
(47) Come la Military Professional Resources
Inc., con base in Virginia
(USA),
che ha tra l‘altro assistito la Croazia nelle
operazioni “Lampo“ e
“Tempesta“, con le quali nel 1995 le zone a
maggioranza serba sono
state
svuotate della loro popolazione autoctona,
nella criminale indifferenza
della
“comunità internazionale“.
(48) La letteratura utile a ripercorrere le
recenti fasi della
“rimozione“
della Jugoslavia è scarsa, e quasi mai
tradotta in italiano.
Oltre
ai testi già segnalati, merita grande
attenzione la analisi
cronologica
di Diana Johnstone: “Fools' Crusade:
Yugoslavia, Nato, and Western
Delusions“
(Monthly Review Press, 2003, ISBN
1-58367-084-X). Un altro testo
“compilativo“
abbastanza aggiornato è “Hidden Agenda:
U.S./NATO Takeover of
Yugoslavia“
(International Action Center, 2002, ISBN
0-9656916-7-5), che contiene i
contributi
di molti autori.
(49) Il movimento di solidarietà alla
Jugoslavia in Italia negli
anni
si è trasformato. Paradossalmente, i
bombardamenti della NATO
hanno
fatto da “volano“ per la riflessione e la
iniziativa, rendendo la
problematica
jugoslava e serba meno impopolare e più
decifrabile,
benchè
la situazione sul campo stesse drammaticamente
degenerando, fino alla
attuale
cancellazione del paese dalle cartine
geografiche. La fase che stiamo
vivendo
oggi è una fase di maturità dal punto di vista
dell‘analisi
ma anche di parziale riflusso dell‘impegno.
Ciononostante, il movimento
di
solidarietà è tuttora vivo e vegeto, e va
registrata
positivamente
la nascita continua di nuove voci ed
iniziative. Rispetto ad un
approccio
meramente moralistico o
solidaristico-emergenziale, tipico della
comune
pratica
di “volontariato“, il caso specifico jugoslavo
offre la
possibilità
di legare assieme immediatamente l‘iniziativa
umanitaria al suo
significato
politico, internazionalista ed
antimperialista, ad esempio attraverso
l‘esperienza
con i lavoratori bombardati ed i loro
problemi, oppure constatando sul
terreno
l‘esistenza di una disinformazione strategica.
La problematica
jugoslava
è però risultata finora troppo poco presente
nel
più
ampio movimento contro la guerra, per molti
motivi, tra i quali
sicuramente
anche una certa incapacità di interscambio e
coordinamento tra
le
iniziative, che ne impedisce la
valorizzazione.
(50) Psicologicamente, il meccanismo di
distruzione e “rimozione“
interiore
della Jugoslavia assomiglia forse a quello che
succede in una coppia,
quando
i due partner si infliggono reciprocamente
ferite gratuite al momento
di
lasciarsi e seppelliscono le memorie dei
momenti belli vissuti insieme
per
potere andare avanti. Oppure assomiglia alle
separazioni e alle
scissioni
interiori che seguono certe liti famigliari
tra fratelli: allo stesso
modo,
gli jugoslavi tendono ad essere profondamente
ingiusti con il proprio
passato,
a costruire di esso rappresentazioni false, e
ad infliggersi ferite
ulteriori.
(51) Si tratta dell‘energia creativa
testimoniata dalla musica
ritmica e dalla cinematografia che tanto
successo ha avuto negli ultimi
anni;
del
patrimonio artistico, architettonico e
letterario, frutto di tante
contaminazioni;
del patrimonio naturale, dello sport, dei
prodotti tipici... Di tutto
quanto
insomma va a costituire una identità vitale,
affascinante e
positiva,
da contrapporre ai miti di potenza,
identitari, nazionalitari,
reazionari
e bigotti, vomitati sull‘area balcanica dagli
Imperi avvicendatisi
nella
sua colonizzazione (tedesco-europeo, ottomano,
yankee).
Questo testo è in larga parte basato sulla
documentazione
disponibile, a cura del Coordinamento
Nazionale per la Jugoslavia
(CNJ),
sull'archivio del notiziario telematico
JUGOINFO: http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages
Il CNJ è nato nel 2001 per evitare la
dispersione delle
iniziative
in atto e per promuovere la loro conoscenza ed
interazione reciproca,
negli
ambiti politico, della solidarietà e
dell‘amicizia, della
informazione,
della cultura e della memoria. Nel corso di
questi due anni il CNJ ha
promosso
dibattiti, feste, ed incontri pubblici per la
presentazione di video e
di
libri.
Per contatti: jugocoord @ tiscali.it
- https://www.cnj.it
La riproduzione totale o parziale di questo
testo è consentita
solo
previa citazione della fonte originaria.
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