(deutsch / italiano)
 
PSYOPs 
 
1) Psyop: operazione Siria (Manlio Dinucci su il manifesto del 27.9.2016)
2) I “giornalisti comprati” in Europa (Thomas S. Harrington, 10.8.2016)
3) Europa, il bavaglio delle multinazionali sul giornalismo d'inchiesta (Fabio Sebastiani, 25/04/2016)
4) Repubblica e le menzogne di guerra (Francesco Santoianni, 21.1.2016)
5) Obama, da messia a spia (Sputnik News, 12.01.2016) – In un documento intitolato "Disposizioni in materia di diritto militare", il Pentagono ha dichiarato che tutti i giornalisti in futuro dovranno essere catalogati come "combattenti di basso livello" ...
6) Informationskrieg. Die "strategische Kommunikation" der NATO (GFP 28.10.2015)
 
 
Sui meccanismi della disinformazione strategica nel caso jugoslavo si vedano: 
l'intervento di A. Martocchia al convegno TARGET (Vicenza 2009): https://www.cnj.it/24MARZO99/2009/TARGET/ATTI/dvd_target/docs/Martocchia.pdf
l'intervento di Jean T.M. Visconti (Bruxelles 2006): https://www.cnj.it/documentazione/jtmv06.htm
la pagina dedicata sul vecchio sito del CRJ: http://digilander.iol.it/lajugoslaviavivra/CRJ/DOCS/desinf.html
 
 
=== 1 ===
 
Sulla bufala di “Caesar” si veda anche: La bufala di “Caesar” in mostra al Senato? (di Francesco Santoianni, 14.3.2016)
 
L'editoriale che segue è disponibile anche in versione VIDEOhttps://www.youtube.com/watch?v=KZ_AseSmnaY
 
 
L’arte della guerra
Psyop: operazione Siria
 
Manlio Dinucci

Le «Psyops» (Operazioni psicologiche), cui sono addette speciali unità delle forze armate e dei servizi segreti Usa, sono definite dal Pentagono «operazioni pianificate per influenzare attraverso determinate informazioni le emozioni e motivazioni e quindi il comportamento dell’opinione pubblica, di organizzazioni e governi stranieri, così da indurre o rafforzare atteggiamenti favorevoli agli obiettivi prefissi». 

Esattamente lo scopo della colossale psyop politico-mediatica lanciata sulla Siria. Dopo che per cinque anni si è cercato di demolire lo Stato siriano, scardinandolo all’interno con gruppi terroristi armati e infiltrati dall’esterno e provocando oltre 250mila morti, ora che l’operazione militare sta fallendo si lancia quella psicologica per far apparire come aggressori il governo e tutti quei siriani che resistono all’aggressione. 

Punta di lancia della psyop è la demonizzazione del presidente Assad (come già fatto con Milosevic e Gheddafi), presentato come un sadico dittatore che gode a bombardare ospedali e sterminare bambini, con l’aiuto dell’amico Putin (dipinto come neo-zar del rinato impero russo). 

A tal fine sarà presentata a Roma agli inizi di ottobre, per iniziativa di varie organizzazioni «umanitarie», una mostra fotografica finanziata dalla monarchia assoluta del Qatar e già esposta all’Onu e al Museo dell’olocausto a Washington per iniziativa di Usa, Arabia Saudita e Turchia: essa contiene parte delle 55mila foto che un misterioso disertore siriano, nome in codice Caesar, dice di aver scattato per incarico del governo di Damasco allo scopo di documentare le torture e le uccisioni dei prigioneri, ossia i propri crimini (sull’attendibilità delle foto vedi il report di Sibialiria e l’Antidiplomatico). 

Occorre a questo punto un’altra mostra, per esporre tutte le documentazioni che demoliscono le «informazioni» della psyop sulla Siria. Ad esempio, il documento ufficiale dell’Agenzia di intelligence del Pentagono, datato 12 agosto 2012 (desecretato il 18 maggio 2015 per iniziativa di «Judicial Watch»): esso riporta che «i paesi occidentali, gli stati del Golfo e la Turchia sostengono in Siria le forze di opposizione per stabilire un principato salafita nella Siria orientale, cosa voluta dalle potenze che sostengono l’opposizione allo scopo di isolare il regime siriano». 

Ciò spiega l’incontro nel maggio 2013 (documentato fotograficamente) tra il senatore Usa John McCain, in Siria per conto della Casa Bianca, e Ibrahim al-Badri, il  «califfo» a capo dell’Isis. Spiega anche perché il presidente Obama autorizza segretamente nel 2013 l’operazione «Timber Sycamore», condotta dalla Cia e finanziata da Riyad con milioni di dollari, per armare e addestrare i «ribelli» da infiltrare in Siria (v. il New York Times del 24 gennaio 2016). 

Altra documentazione si trova nella mail di Hillary Clinton (declassificata come 
«case number F-2014-20439, Doc No. C05794498»), nella quale, in veste di segretaria di stato, scrive nel dicembre 2012 che, data la «relazione strategica» Iran-Siria, «il rovesciamento di Assad costituirebbe un immenso beneficio per di Israele, e farebbe anche diminuire il comprensibile timore israeliano di perdere il monopolio nucleare». 

Per demolire 
le «informazioni» della psyop, ci vuole anche una retrospettiva storica di come gli Usa hanno strumentalizzato i curdi fin dalla prima guerra del Golfo nel 1991. Allora per «balcanizzare» l’Iraq, oggi per disgregare la Siria. Le basi aeree installate oggi dagli Usa nell’area curda in Siria servono alla strategia del «divide et impera», che mira non alla liberazione ma all’asservimento dei popoli, compreso quello curdo.
 
(il manifesto,  27 settembre 2016)
 
 
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Sulla denuncia del giornalista tedesco Udo Ulfkotte si vedano anche i nostri post precedenti:
 
 
ORIG.: Europe’s “Bought Journalists”  
 
 
I “giornalisti comprati” in Europa

di Thomas S. Harrington
Pubblicato il 10 ago 2016

Non molto tempo fa per assorbire quantità industriali di dottrina religiosa si doveva andare in chiesa o in un tempio o in una moschea.
Dall’inizio del XXI secolo però, è possibile avervi accesso in grande e compiaciuta abbondanza attraverso le pagine editoriali dei quotidiani “seri” e nominalmente progressisti del continente, giornali come The Guardian, El Paìs, La Repubblica, Le Monde e Suddeutsche Zeitung.
Che tipo particolare di teologia vi si sostiene ?
L’imperialismo neoliberale, qualcosa che i dirigenti ecclesiastici della fede – persone come  Timothy Garton-Ash, Niall Ferguson. Moisés Naim, Mario Vargas Llosa, Hermann Tertsch, Antonio Caño, Joseph Joffe e quel precedentemente filosofo-clown di Bernard Henry-Levi – preferiscono descrivere in termini di “sostegno agli accordi Trans-Atlantici” e di creazione e affermazione di “Società Aperte”.
Un giorno gli storici si chiederanno come sia stato possibile che l’Europa, con un ricco sistema governativo apparentemente unito, una popolazione di 500 milioni di abitanti ed una storia sofisticata ed estremamente profonda di produzione intellettuale indigena, si sia ritrovata ad avere le sue dissertazioni pubbliche dominate dagli interessi limitati e, piuttosto frequentemente, parrocchiali delle elites di un altro paese (fino ad arrivare alla sua devozione incondizionata ad un piccolo Stato del Medio Oriente bellicoso e  con l’apartheid) situato a metà strada del globo.
E se questi storici sono svegli punteranno lo sguardo su ciò che succedeva nelle redazioni ed in altri centri di produzione mediatica in Europa (o forse in maniera più appropriata, nei consigli d’amministrazione che stabiliscono le loro politiche) durante il primo decennio del XXI secolo.
Il desiderio statunitense di diffondere il credo atlantista, che sostanzialmente sostiene che la vita per gli europei è migliore se sublimano i loro interessi economici e strategici con quelli strategici ed economici degli USA, non è una novità. A dirla tutta è stato questo lo scopo dell’attività diplomatica e dei servizi segreti sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
La carriera di Joffe, segnata da soggiorni alla Stanford’s Hoover Institution e da apparizioni nel Charlie Rose Show, luogo preminente di auto-promozione e consolidamento degli argomenti di conversazione ufficiali USA-Israele, fornisce una testimonianza eloquente sui benefici che accumulano coloro che vogliono promuovere quotidianamente il punto di vista americano sulla realtà ai loro conterranei.
Quello che cambia oggi è il peso relativo di questa ideologia, con il suo amore per le forze militari ed il bullismo fiscale da una parte e la sua volgare indifferenza ai chiari interessi a lungo termine del grosso della popolazione europea (come ad esempio instaurare vigorosi scambi commerciali e culturali con la Russia o garantire l’assistenza sanitaria di base in Grecia) dall’altra, nel panorama della creazione di opinioni nel continente.
Se in passato gli asserviti pro-USA come Joffe erano una voce tra tante, adesso costoro e le loro opinioni sono predominanti nella maggior parte dei più importanti giornali europei.
Com’è successo?
Per coloro, e ce ne sono ancora molti purtroppo, che hanno il bisogno di credere nella natura essenzialmente benevola della politica estera statunitense e nell’esistenza di un “mercato delle idee” più o meno libero e senza restrizioni la risposta è facile. Nell’invecchiare e nel diventare più ricchi gli europei sono diventati più conservatori ed hanno iniziato a pretendere la presenza di persone che riflettessero queste loro mutevoli opinioni nei maggiori organi di stampa. Per coloro che capiscono l’enorme importanza che l’establishment statunitense del dopoguerra ha dato al “management della percezione” e a come le informazioni sui conflitti fossero e sono ancora un elemento di enorme portata della nozione rumsfeldiana di “influenza a spettro completo” (Full Spectrum Dominance), questa spiegazione manca di credibilità, comunque.
Per esempio, è possibile credere  veramente che con tutte le persone intelligenti, cosmopolite disponibili in Spagna, nazione tradizionalmente pro-Palestina, la persona più adatta al ruolo di guru della politica estera nel fine settimana di El Paìs sia Moisès Naìm, un sionista ex-ministro dell’arcicorrotto governo venezuelano di Carlos Andrès Pèrez, ex direttore esecutivo della Banca Mondiale e per lungo tempo editore di Foreign Policy, la bibbia interna del pensiero corrente imperialista statunitense? Dobbiamo veramente credere che il nocciolo dei lettori socialisti desiderasse proprio quello?
 Per non far sembrare tutto troppo speculativo, suggerisco di guardare un’intervista condotta, nel 2014, con Udo Ulfkotte, un reporter veterano tedesco ed ex vice capo redattore di Frankfurter Allgemeine Zeitung, nella quale parla di come lui ed altri giornalisti erano e sono abitualmente ”comprati” da operatori americani di qualunque tipo, arrivando a descrivere il suo Paese, la Germania, come una “repubblica delle banane” ed anche “colonia degli americani” dove i giornalisti che servono gli interessi delle organizzazioni “trans-atlantiche” sono ricompensati profumatamente e dove chi non sta al gioco ne subisce le dure conseguenze.
 L’intervista ebbe luogo in occasione dell’uscita del suo libro “Gekaufte Journalisten” che mi dicono sarà tradotto in “Giornalisti Comprati” nel quale entra nei dettagli di questi argomenti. E’ interessante notare che nonostante sia velocemente salito tra i best seller in Germania quando fu pubblicato due anni fa non è ancora stato tradotto in inglese o in nessuna altra lingua europea. Si è parlato di una prossima uscita della versione in inglese del testo ma ogni volta che controllo la data di pubblicazione risulta slittata ancora di qualche mese.
Pensate che sia stata esercitata una qualche pressione su coloro che debbono portare sul mercato la versione in inglese?
 
Thomas S. Harrington è professore di Studi Iberici al Trinity College di Hartford, Connecticut ed autore del libro da poco pubblicato “Livin’ la vida Barroca: American Culture in a Time of Orthodoxies”
 
 
=== 3 ===
 
 
Europa, il bavaglio delle multinazionali sul giornalismo d'inchiesta

Fabio Sebastiani, 25/04/2016

Si chiama "Directive on the protection of undisclosed know-how and business information (trade secrets) against their unlawful acquisition, use and disclosure", in breve "Trade Secrets Protection", "direttiva per la protezione del segreto aziendale".

E' stata approvata a larghissima maggioranza (il 77% dei voti favorevoli) giovedì, dieci giorni fa dal Parlamento Europeo.

Apparentemente sembra uno strumento giuridico fornito alle imprese per proteggersi dallo spionaggio economico e industriale. In realtà è un altro ostacolo, e non di poco conto, per mettere definitivamente a tacere quei pochi giornalisti d'inchiesta che ancora rimangono nel nostro paese e in Europa.

Tutto ruota intorno al concetto di "interesse pubblico". La direttiva esclude che le informazioni che possano avere un qualche tipo di rilevanza per l'interesse pubblico ricadano nel campo di applicazione. Il punto è che non viene contestualmente definito che cosa sia esattamente un interesse pubblico. Una scappatoia, o se volete una gatta da pelare per i giudici, che di fatto costringerà i giornalisti ad affrontare lunghi, rischiosi ed estenuanti percorsi giudiziali. Sicuramente un fattore deterrente, a non occuparsi di questioni legate alla produzione e alla gestione delle informazioni che, quando sono in mano alle grndi multinazionali (e non alle piccole imprese come beffardamente sottolinea la direttiva), rappresentano affari miliardi e sono per forza di cose di interesse pubblico proprio per la rilevanza delle forze in campo.

"La protezione è esclusa nel caso in cui la divulgazione del segreto aziendale serva l'interesse pubblico - scrive Claudia Vago sul sito www.nonconimieisoldi.org - nella misura in cui permette di rivelare un errore professionale o altri tipi di errore o attività illegali direttamente collegati al segreto. Il problema è che la direttiva non definisce chiaramente né l'interesse pubblico né il modo in cui si manifesta la pertinenza, il collegamento tra il segreto svelato e l'errore o l'attività illegale.
Per fare un esempio, nel caso dei Panama papers molte società offshore che compaiono nei documenti pubblicati dall'inchiesta non hanno commesso illeciti. Grazie alla nuova direttiva potrebbero rivolgersi a un tribunale per mettere a tacere i media o richiedere alle fonti delle informazioni e ai giornalisti che le hanno diffuse milioni, se non miliardi, di euro di indennizzo".

A lanciare l'allarme in Francia era stata Elise Lucet giornalista d'inchiesta a capo di "Cash Investigation", equivalente alla nostra Milena Gabanelli.

Pochi mesi fa aveva lanciata una petizione indirizzata al Parlamento Europeo per denunciarne gli effetti nefasti di questa norma e chiederne il ritiro. In poco tempo aveva raccolto oltre 400,000 sottoscrizioni. Tra questi l'appoggio di tanti giornalisti d'inchiesta francesi come il noto Edwy Plenel del sito di informazione Mediapart, informatori del calibro di Hervé Falciani, europarlamentari come l'ex giudice Eva Joly e Ong come Reporters sans Frontières.

Ora i 28 Stati membri dell'Unione hanno due anni di tempo per tradurre la direttiva nella propria legislazione nazionale e, data la mancanza di chiarezza, alcuni saranno sicuramente tentati di usarla per soffocare inchieste che possono compromettere il potere economico e/o politico.

La BBC, ha intervistato il relatore della direttiva, la francese Constance Le Grip, sui rischi corsi dai giornalisti e dai whistleblower che rivelassero informazioni aziendali. Alla domanda: "Potete giurare che nessuno sarà condannato a causa di questa direttiva?", Le Grip ha risposto: "Non sono un giudice".

I veri giornalisti e i tanti cittadini che non vogliono un'informazione che si limiti al copia/incolla dei comunicati stampa delle aziende perché ritengono, come disse George Orwell che "il giornalismo consiste nel pubblicare ciò che gli altri non vorrebbero vedere pubblicato" hanno seri motivi per mobilitarsi contro questa proposta liberticida nei loro rispettivi paesi.

Contro la direttiva hanno votato contro compattamente solo i parlamentari del GUE, la sinistra europea, e dei Verdi. Si sono astenuti gli europarlamentari del M5S.
 
 
=== 4 ===
 
Celebriamo anche noi il 40° anniversario di Repubblica riproponendo le sue più clamorose menzogne di guerra...
 
 

Il Videoclip su tutte le menzogne di guerra divulgate da "Repubblica"

 
di Francesco Santoianni, 21/01/2016
 

Celebriamo anche noi i “40 anni di Repubblica” con un videoclip dedicato alle sue più clamorose menzogne finalizzate ad alimentare la guerra.  Un compito svolto da “Repubblica” sfruttando  – oltre ai soliti cliché della propaganda bellica - i valori di quel popolo di “sinistra”, “progressista”, “antifascista” e “politically correct”, suo principale target. E così già nel 1999 - per supportare la Guerra NATO-D’Alema alla Jugoslavia – Repubblica presentava i Serbi come i nazisti (si legga, a tal proposito,  questo ottimo libro (oggi integralmente on line) e i “ribelli kossovari” come ebrei destinati ai campi di sterminio.  Poi, Repubblica, per promuovere guerre e/o per additare altri “stati canaglia”,  ha sposato la salvezza di altre “categorie” care ai suoi lettori di “sinistra”rifilando bufale su donne, gay, lesbiche, animali da compagnia . Il tutto accompagnato da un sempre più marcato travisamento della realtà: basti guardare i servizi di Repubblica sulla Palestina o il suo davvero sbalorditivo servizio fotografico  che consacrava  i fascisti del battaglione Azov che baciavano le “fidanzate” (in realtà fotomodelle reclutate dall’agenzia di pubbliche relazioni Weber Shandwick, che aveva realizzato il servizio) prima di partire per le loro mattanze nel Donbass.

Ma con questa sempre più marcata linea bellicista, Repubblica ha perso lettori? Purtroppo no. Il quotidiano di De Benedetti continua ad arpionare un target socio-economico medio-alto  (il più ambito dagli inserzionisti).  Pubblico che, comunque non si direbbe capace di indignarsi; valgano per tutti le davvero poche proteste dei suoi lettori davanti alla più sfrontata menzogna pubblicata da Repubblica: una foto satellitare - piazzata in prima pagina – che avrebbe dovuto attestare l’invasione russa dell’Ucraina e che, invece, come recitava la piccola didascalia posta sulla foto, riprendeva un territorio della Federazione russa distante cinquanta chilometri dalla frontiera.

Ma, invece di abbandonarsi a deprimenti considerazioni è forse meglio dare una occhiata ad alcune (tutto sommato, divertenti) menzogne di guerra pubblicate da “Repubblica”. Solo alcune, tra le innumerevoli. E per farvele meglio gustare ecco il videoclip.

 

Qui di seguito i link sulle “notizie” riportate nel videoclip:

Bambini legati sui carri armati di Assad e usati come “scudi umani” (12 giugno 2012)

Fosse comuni di Gheddafi (13 giugno 2011)

I Serbi uccidono mia madre e poi mi costringono a stuprarla" (22 giugno 1996)

 
 
=== 5 ===
 
 
Obama, da messia a spia
 
12.01.2016
 
I giornalisti negli Stati Uniti si lamentano per il livello di repressione a cui sono stati sottoposti dall'amministrazione di Obama negli ultimi anni.

All'inizio furono rose e fiori. Obama era stato presentato come il salvatore del mondo, quasi come un messia. Nel 2008 una folla di 200 mila persone lo salutò come un re, quando non era ancora stato eletto alla Casa Bianca. "Yes, we Can" era lo slogan della campagna elettorale che elettrizzò la folla. L'allora candidato alla presidenza degli USA venne accolto a Berlino da una folla che neanche il Papa o la nazionale tedesca dopo aver vinto i Mondiali. Obama promise di liquidare le armi nucleari, ristabilire buone relazioni con la Russia, ritirare le truppe da Iraq e Afghanistan e chiudere il carcere di Guantanamo.

Una volta eletto presidente, il primo presidente nero degli Stati Uniti, Barack Obama sarebbe dovuto diventare l'antitesi di tutto quello che era stato George Bush: un presidente le cui guerre si erano propagate nel mondo come un cancro, mentre lui dava un netto giro di vite sulle libertà basilari per i suoi cittadini. Sembrava uno scenario ideale, almeno per la stampa.

La stampa però non diceva che Obama nel suo primo mandato ha firmato più ordini di attacco con droni che Bush in tutti gli otto anni della sua presidenza. Questi attacchi hanno causato un numero senza precedent di vittime e incidenti non bellici, che gli USA hanno semplicemente e semplicisticamente archiviato come "danni collaterali".  Come il suo predecessore, Obama ha usato tutto il suo potere a sostegno dell'agricoltura OGM, non ha dato il benchè minimo seguito alle sue promesse di chiudere Guantanamo, non ha mostrato alcun interesse nel migliorare le relazioni con la Russia ed anzi ha lavorato attivamente per destabilizzare la situazione in medioriente. Nel 2009 però, da president eletto, Obama aveva dichiarato le sue intenzioni di ad un livello senza precedent la trasparenza nel governo e nell'apparato della pubblica amministrazione. L' "apertura rafforzerà la nostra democrazia", sottolineò Obama.
 
In USA i giornalisti hanno paura

Ora che Obama è a capo degli USA da quasi 7 anni è chiaro che tutte queste promesse non sono state altro che parole vuote. Nessun presidente Americano dopo Richard Nixon è stato così ostile ai media, come ha sottolineato Leonard Downie, ex capo redattore del Washington Post, in un editoriale del 2013 sulla libertà dio stampa negli Stati Uniti. Secondo l'opinione di Downie, l' amministrazione Obama ha attuato una politica di disinformazione, usando spionaggio elettronico ai Danni dei giornalisti ed orchestrando una campagna di persecuzione contro diversi giornalisti d'inchiesta. Un'atmosfera di paura ha pervaso l'operato dei giornalisti e le loro inchieste sono spesso finite sotto la lente d'ingrandimento dello Stato. Nonostante le promesse dell'amministrazione presidenziale di porre fine all' "irragionevole segretezza" che caratterizzava l'era Bush, Obama di fatto ha continuato ad espanderla. Spesso interi documenti di scarsa rilevanza sono classificati come "top secret" affinchè i giornalisti non possano accedervi.
Spesso impiegati dell'amministrazione presidenziale di Obama hanno pagato le conseguenze della pubblicazione di articoli che criticano le politiche del governo. Per fermare la crescente diffusione di questi articoli, la Casa Bianca ha fatto crescentemente ricorso all' Espionage Act del 1917. Usata solo 3 volte in novant'anni, nel periodo dal 2009 al 2013 ben otto ufficiali sono finiti sul banco degli imputati con l'accusa di aver trasmesso informazioni governative ai giornalisti. Tra di loro anche Edward Snowden, che nel 2011 per primo svelò lo spionaggio sistematico condotto dalla NSA su tutta la popolazione mondiale.

Gli USA spiano come un regime totalitario? 

Obama ha messo in piedi un sistema di controllo unico e lo ha fatto in modo che la gente di tutto il mondo  non abbia idea di come le politiche di Obama siano una prosecuzione o addirittura un peggioramento di quelle di George W Bush. Fin dall'ottobre del 2011 gli impiegati governativi di ciascun settore sono stati incoraggiati a spiare i loro colleghi. Dal 2012 gli impiegati nei dipartimenti federali sono stati obbligati a riferire di tutti i loro contatti con i media e di segnalare i colleghi sospetti. Michael Hayden, ex capo della CIA ha rivelato che il programma era inteso a "bloccare ogni contatto". Persino le agenzie di stampa lontane da attività rivoluzionarie, come AP e Fox News sono finite sotto la lente d'ingrandimento dell'amministrazione Obama.
 
Uno di questi giornalisti è James Rosen di Fox News, "beccato" dal Dipartimento alla giustizia per aver usato informazioni ricevute da un ufficiale governativo altolocato. Le informazioni riguardavano l'applicazione di nuove sanzioni contro Pyongyang da parte della comunità internazionale per i nuovi test di armi nucleari da parte della Corea del Nord. Il Washington Post riferisce che l'FBI avrebbe spiato le telefonate di Rosen ed anche la sua posta elettronica privata.
 
La situazione è peggiorata gravemente nel 2015. In un documento intitolato "Disposizioni in materia di diritto militare", il Pentagono ha dichiarato che tutti i giornalisti in futuro dovranno essere catalogati come "combattenti di basso livello." Sulla base di questa dichiarazione le forze dell'ordine avranno il diritto come minimo "ad arrestare i giornalisti senza accusa e senza dover fornire prove di alcun tipo, ed ad aprire procedimenti legali contro di loro", ha detto un rappresentante del Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ). Il NYT osserva che se il Pentagono mette il giornalismo sullo stesso piano dello spionaggio,  "questo è un passo nella stessa direzione dei regimi totalitari." Non c'è da stupirsi quindi che nel World Press Freedom Index per il 2015, gli Stati Uniti sono al 49° posto — insieme ad El Salvador, Burkina Faso e Repubblica del Niger.
 
 
 
=== 6 ===
 
 
Informationskrieg
 
28.10.2015
BERLIN/KALKAR
 
(Eigener Bericht) - Die NATO stützt sich bei der Entwicklung neuer Propagandatechniken zunehmend auf deutsche Wissenschaftler und Journalisten. Jüngster Ausdruck dieses Vorgangs ist eine für Ende November im nordrhein-westfälischen Essen anberaumte Konferenz über "strategische Kommunikation", die ein Think-Tank des westlichen Militärbündnisses veranstaltet - unter Mitwirkung unter anderem eines Korrespondenten der ARD. Erklärtes Ziel der von führenden deutsch-europäischen Rüstungskonzernen gesponserten Tagung ist es, Methoden zu erarbeiten, mit denen sowohl "öffentliche Unterstützung" für Kriegsoperationen der NATO generiert als auch "feindliche Medienarbeit" gekontert werden kann. Deutschland gilt den Konferenzplanern in diesem Zusammenhang als "problematischer Fall". Ihrer Auffassung nach sind "pazifistische Auffassungen" weit verbreitet unter den Deutschen, die sich deshalb oftmals als besonders anfällig für antimilitaristische "Desinformationskampagnen" erweisen. Dies zeige sich insbesondere bei den öffentlichen Auseinandersetzungen über die zivilen Opfer westlicher "Luftschläge" und den Einsatz bewaffneter Drohnen.
Unterstützung generieren
Wie das im nordrhein-westfälischen Kalkar beheimatete "Joint Air Power Competence Centre" (JAPCC) der NATO mitteilt, wird es in der Zeit vom 23. bis zum 25. November eine Konferenz über "Luftkriegsführung und strategische Kommunikation" veranstalten. Die von führenden deutsch-europäischen Rüstungskonzernen wie Airbus Denfence and Space oder Rohde und Schwarz gesponserte Tagung in der Ruhrmetropole Essen richtet sich explizit an "Führungskräfte" und "Entscheider" aus Politik, Militär, Wirtschaft und Wissenschaft. Zu den vom JAPCC geladenen Referenten zählen unter anderen zwei Deutsche: der Militärhistoriker Philipp Fraund von der Universität Konstanz, der sich insbesondere mit Fragen der Kriegsberichterstattung befasst, und der "Hauptstadtkorrespondent" der öffentlich-rechtlichen ARD, Christian Thiels, der als Experte für Medien- und Militärpolitik gilt. Erklärtes Ziel der Konferenz ist es, Methoden zu erarbeiten, mit denen sowohl "öffentliche Unterstützung" für Kriegsoperationen der NATO generiert als auch "feindliche Medienarbeit" gekontert werden kann.[1]
Luftschläge und Kollateralschäden
Ausgangspunkt der Tagung des JAPCC ist die These, dass von Kampfjets und Drohnen der NATO ausgeführte "Luftschläge" zwar wesentlich für den "strategischen Erfolg" des westlichen Militärbündnisses sind, aber gleichzeitig immer wieder massive öffentliche Kritik nach sich ziehen. Insbesondere die von Aufständischen und "radikalen Gruppen" lancierten Berichte über zivile Opfer und "Kollateralschäden" trügen dazu bei, die "öffentliche Meinung" über die westliche Luftkriegsführung zu "unterminieren", heißt es. Dies könne schlimmstenfalls dazu führen, dass die NATO die für sie entscheidende "Unterstützung" durch die Bevölkerungen ihrer Mitgliedsstaaten einbüße, erklärt das JAPCC.[2] 
 
PR-Strategien
Das JAPCC hält Deutschland in diesem Zusammenhang für einen besonders "problematischen Fall". Nach dem Ende des Zweiten Weltkriegs habe sich hier eine "starke pazifistische Haltung" etabliert; auch lasse die "öffentliche Meinung" die in den USA und Großbritannien gängige Unterstützung für die eigenen Streitkräfte sträflich vermissen, heißt es: "Wann immer die NATO Gewalt anwendet, sind die Deutschen weit empfänglicher für anti-militaristische Desinformationskampagnen als alle anderen NATO-Staaten."[3] Um hier Abhilfe zu schaffen, hat das JAPCC eigens ein Forschungsprojekt initiiert, das das Ziel verfolgt, gegen die Luftkriegsführung der NATO gerichtete Anwürfe im Hinblick auf deren "Effektivität" zu analysieren. Darauf basierend sollen dann erklärtermaßen "Informationsstrategien" entwickelt werden, die die Luftkriegsführung der NATO als mit dem Völkerrecht übereinstimmend und "human" porträtieren.[4] Zu den Mitarbeitern des Projekts zählt unter anderen der an der Universität Konstanz beschäftigte Militärhistoriker Philipp Fraund, der auch als Redner der jetzt angekündigten Konferenz des JAPCC vorgesehen ist. Erst im November 2013 war Fraund bei einem medienpolitischen "Workshop" des "Zentrums für Militärgeschichte und Sozialwissenschaften" der Bundeswehr (ZMSBw) aufgetreten, wo er einen Vortrag über "Pressepolitik und Kommunikationsstrategien" der deutschen Streitkräfte hielt (german-foreign-policy.com berichtete [5]). Seine offenkundige Einbindung in militärische Strukturen entbehrt nicht einer gewissen Pikanterie: Die Konstanzer Hochschule hat sich durch eine sogenannte Zivilklausel verpflichtet, nicht mit Streitkräften und Rüstungsindustrie zu kooperieren.
 
"Russische Desinformation"
Besonderes Augenmerk widmen die Organisatoren der JAPCC-Konferenz der russischen Medienpolitik. Diese habe insbesondere zwei Stoßrichtungen, heißt es: Zum einen werde versucht, der eigenen Bevölkerung eine "xenophobe Weltsicht" zu vermitteln, der zufolge Russland das Opfer einer "permanenten westlichen Aggression" sei. Zum anderen ziele die russische Propaganda auf die "Eliten" und die politische Linke des Westens; beiden gesellschaftlichen Gruppen werde vorgemacht, dass Russland seit dem Ende der Sowjetunion Objekt "westlicher Ausbeutung" sei und dass der Westen die von ihm zu Beginn der 1990er Jahre eingegangene Verpflichtung, die NATO nicht gen Osten zu erweitern, gebrochen habe. Zwar handele es sich jeweils um "reine Desinformation", jedoch müsse auch diese gekontert werden; schließlich beabsichtige Russland, den Westen im Allgemeinen und die NATO im Besonderen zu "diskreditieren". Gleichzeitig habe Russlands Vorgehen in der Ukraine und auf der Krim gezeigt, dass "Informationskampagnen" mittlerweile integraler Bestandteil der russischen Militärstrategie seien und bei Bedarf mit "Cyberkrieg" und Operationen von "Spezialkräften" gekoppelt würden, erklärt das JAPCC. Dem JAPCC zufolge ist es daher unabdingbar, die russische Medienpolitik genauestens zu beobachten; dies ermögliche die "frühzeitige Aufdeckung potentiell aggressiver Handlungen".[6]
 
"Stumpfe Speerspitze"
An dieser Stelle dürfte der als Referent der JAPCC-Tagung vorgesehene ARD-Korrespondent Christian Thiels ins Spiel kommen, der sich erst unlängst als antirussischer Propagandist und Advokat der Bundeswehr hervorgetan hat. So monierte er in einem Beitrag, die "zur Abschreckung gegen Russland" aufgestellte "Speerspitze" der NATO ("Very High Readiness Joint Task Force"/VJTF) könne sich "im Ernstfall als ziemlich stumpf erweisen". Schuld daran ist seiner Ansicht nach die deutsche "Bürokratie", die eine schnelle Verlegung der Truppe ins Ausland unmöglich mache, weil sie unter anderem "Sondergenehmigungen für den Transport von Kriegswaffen" verlange. Zudem fehle es der Bundeswehr an "geeigneten Flugzeugen" für den Transport von Soldaten und Kriegsgerät, ließ Thiels verlauten. Zwar könnten die deutschen Streitkräfte wie beim Rückzug aus Afghanistan auf Antonow-Maschinen der Ruslan Salis GmbH zurückgreifen; nur sei an dieser Firma "pikanterweise ... auch ein russisches Unternehmen beteiligt".[7]
 
Streubomben
Unterdessen hat das JAPCC schon im Vorfeld seiner Konferenz über "strategische Kommunikation" etliche "Empfehlungen" für die "Erziehung der Öffentlichkeit" im Sinne der NATO formuliert. Danach soll das westliche Militärbündnis etwa spezielle "Medienteams" aufstellen, die bei künftigen Konflikten gezielt über "Menschenrechtsverstöße des Feindes" berichten. Umgekehrt müssten diejenigen "aggressiv" in ihre Schranken gewiesen werden, die den Einsatz von Streubomben oder illegale Tötungen durch bewaffnete Drohnen "per se als Kriegsverbrechen brandmarken". Ihnen gegenüber sei zu betonen, dass "terroristische Gruppen" und "Diktatoren" sich ohnehin nicht an das Völkerrecht hielten, während die NATO stets alle "verfügbaren Ressourcen" mobilisiere, um "zivile Opfer zu vermeiden": "Streubomben sind sehr wichtig, wenn man einen Feind bekämpft, der als konventionelle Streitmacht organisiert ist."[8]