Noi le "fake news" le chiamiamo "disinformazione strategica"

1) Una commissione sulle Fake News? Cominciamo da quelle che hanno provocato guerre (SibiaLiria)
2) Intervista a Michel Collon: Guerra e disinformazione, “così i governi hanno manipolato gli attentati”


Una sintesi sull'impiego delle "fake news" come arma di guerra nel caso jugoslavo è l'articolo
GUERRA E DISINFORMAZIONE STRATEGICA di Andrea Martocchia
(Intervento al convegno TARGET, Vicenza 21/3/2009)


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Una commissione sulle Fake News? Cominciamo da quelle che hanno provocato guerre


Sulla scia di quanto accade negli USA, impazza anche in Italia la paranoia su fake news, diffuse da orde di “trolls di Putin” per avvelenare la Democrazia e inquinare le campagne elettorali ed è di questi giorni la proposta di Emanuele Fiano, responsabile sicurezza del Pd, di istituire una Commissione parlamentare dedicata allo studio di questa presunta “minaccia”. Continua invece la negligenza nei confronti delle fake news che causano guerre:

Alla proposta di Fiano ha risposto Vito Petrocelli, (Movimento Cinque Stelle) presidente della Commissione Affari Esteri del Senato:

Il Pd vuole una commissione d’inchiesta sulle fake news? Bene. Anzi benissimo, ma partiamo da tutte quelle informazioni false che hanno permesso, avallato e giustificato le tante guerre neo-coloniali degli ultimi anni. Mi viene da sorridere a pensare che a chiedere quest'inchiesta siano gli stessi partiti che hanno preso per vere le bufale storiche come le armi di distruzione di massa in Iraq o il viagra che Gheddafi avrebbe dato alle sue truppe per violentare le bambine. Queste fake news, tra le centinaia che si potrebbero citare e per decine di paesi, sono state usate per giustificare invasioni criminali e distruzione di interi popoli che hanno causato milioni tra morti e profughi. Ben venga l’introduzione della commissione d'inchiesta parlamentare se questa inizierà i suoi lavori indagando sul nefasto ruolo giocato dai media nelle ultime guerre. È un dovere storico, etico e politico nei confronti di popoli amici e fraterni con cui abbiamo un debito morale da ripagare.”

Sibialiria, nata proprio per contrastare la montagna di menzogne guerrafondaie  cercando un po’ di verità si augura che alle parole seguano fatti. E poiché ha studiato approfonditamente molti casi, è a disposizione dei parlamentari della futura Commissione.

 

La Redazione di Sibialiria


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Guerra e disinformazione, “così i governi hanno manipolato gli attentati”


di Stefano Mauro, 2 giugno 2018

Intervista a Michel Collon. “Una guerra di aggressione non può che fondarsi sulle menzogne (Iraq, Siria, ndr) di conseguenza il principale obiettivo dei governi è creare disinformazione per ottenere quel consenso che altrimenti non ci sarebbe tra l’opinione pubblica” così afferma a il manifesto  Michel Collon, attivista, scrittore e giornalista belga, autore del libro Je suis ou je ne suis pas Charlie? tradotto in italiano con il titolo Effetto boomerang, Zambon editoreFondatore del collettivo Investig Action, Collon è specializzato nell’analisi della “disinformazione mediatica” su argomenti quali il fenomeno jihadista in Francia e Belgio o sull’analisi dei conflitti di questi anni dal Medio Oriente all’Africa.

Cosa pensa della libertà di informazione in Europa o in Francia oggi, c’è stato un cambiamento dopo l’attacco a Charlie Hebdo nel 2015?

Per quello che conosco bene, la Francia ed il Belgio, penso che gli attentati di gennaio (Charlie) e novembre 2015 (Bataclan) siano stati manipolati dai governi. Avrebbero dovuto promuovere un dibattito per comprendere meglio le cause, analizzare le responsabilità degli USA, della Francia e dei loro alleati come  ho fatto nel libro Je suis ou je ne suis pas Charlie?. Al contrario governo e stampa mainstream hanno preferito nascondere le loro responsabilità, terrorizzando la popolazione, disinformando sul loro sostegno per le guerre in Libia e Siria, vietando dibattiti in televisione, richiedendo ai musulmani di “rinnegare” gli attentati come se fossero stati loro i responsabili, e non Washington e Parigi.

Cosa intende nel suo libro per due pesi e due misure nella lotta contro lo jihadismo visto che da una parte lo si combatte e dall’altra l’Europa fa accordi con Arabia Saudita e Qatar, principali sponsor dei gruppi jihadisti?

Questo meriterebbe, in effetti, il premio Nobel dell’ipocrisia. Non solo perché Arabia Saudita e Qatar sono i finanziatori locali, ma perché tutta l’operazione sull’“eurojihadismo“ è stata voluta da Obama ed Hillary Clinton. Il governo americano aveva paura, dopo i disastri di Bush in Iraq e Afganistan, di impegnare altre truppe USA in Libia o in Siria con ulteriori perdite. Washington così  ha siglato un’alleanza con un ramo di Al Qaida in Libia ed in Siria, affermazioni validate grazie  alle fonti citate nel libro (Ammiraglio Stavridis comandante NATO in Libia e agenti dei servizi segreti francesi, ndr). La stessa CIA ha addestrato e fornito armi a questi “ribelli” nei campi di addestramento in Giordania. In Siria, come fece Zbigniew Brzezinski (CIA, ndr)  in Afganistan nel 1979, Washington ha reclutato e addestrato una milizia con persone provenienti da 40 differenti paesi con l’obiettivo di rovesciare il governo di Assad. Una simile modalità è stata utilizzata in Bosnia, Kosovo ed altre aree per evitare un intervento diretto. Questo terrorismo non mi sembra “made in Islam”, ma soprattutto “made in USA”.

Qual è la sua idea riguardo agli attentati in Europa, perché un gran numero di attentati  in Francia e Belgio? 

La crisi economica europea ha provocato un “eccesso” di manodopera: i giovani dei quartieri popolari, a Parigi come Bruxelles, ricevono ormai da anni un’educazione di bassa qualità, sono discriminati sul lavoro, nella vita quotidiana e dalla polizia. Il messaggio dell’economia capitalista nei loro confronti è chiaro: non ci interessa la vostra opinione su Israele o sul conflitto in Iraq, non abbiamo bisogno di voi, non siete dei veri cittadini, ma solo manodopera precaria. Questo “no future” ha creato nelle giovani generazioni una disperazione che si esprime bruciando auto, raggiungendo organizzazioni fasciste o lo stesso Daesh.

Cosa si può fare per combattere il fenomeno del jihadismo in Europa, Francia e Belgio in particolare?

Fare esattamente l’inverso della  politica governativa che ho descritto. Diminuire radicalmente il tempo di lavoro per creare maggiori opportunità occupazionali, eliminare le discriminazioni razziste ad ogni livello, mettere fine alla censura nei media  e promuovere un reale dibattito su temi sensibili: Israele, petrolio, guerre in Medio Oriente ed in  Africa. Combattere la militarizzazione e l’utilizzo di denaro per la produzione e l’acquisto di armi. Non si combatte la disperazione con i missili, ma con la  giustizia sociale.  È  tempo di smettere di sostenere in Medio Oriente  le monarchie retrograde e violente ed è ora di rispettare la sovranità dei diversi paesi per permettere loro di utilizzare le ricchezze nazionali per i loro popoli come hanno fatto Chavez, Morales e Correa in passato. È tempo di mettere fine al colonialismo d’Israele con la sua apartheid e la sua pulizia etnica, come è tempo di rispettare il diritto internazionale per scongiurare nuovi conflitti. Evidentemente le elites economiche non faranno niente di tutto ciò perché va contro i loro interessi economici e solo una mobilitazione popolare, partendo da una corretta informazione, potrebbe cambiare questo.

Dopo diversi mesi si parla poco di Daesh, le politiche di Macron sono efficaci per contrastare il fenomeno jihadista in Francia?

Daesh  è stato sconfitto non da Washington e Parigi, ma dall’alleanza Siria – Hezbollah – Russia anche se la sua minaccia è diminuita, ma è tuttora presente soprattutto in Francia.   È  stato Putin che ha contrastato  le ingerenze occidentali e cambiato radicalmente il rapporto di forze sul terreno. Questa inversione negli ultimi anni è stato un cambiamento di portata storica, l’ascesa dell’asse Pechino-Mosca  ha fatto in modo che il periodo in cui un’unica superpotenza si poteva permettere di provocare tutte le guerre che voleva è, forse, finito. La crisi economica, politica e morale, la diminuzione del dominio militare, la perdita dell’egemonia sull’informazione e tutto il sistema capitalista e globale sono in difficoltà. Le stesse forze alternative sono in crisi visto che molte formazioni  di sinistra mantengono una visione colonialista, arrogante nei confronti dei popoli del Sud e sostengono le campagne militari e l’informazione mediatica falsa.

Qual è il livello di censura nella stampa europea riguardo alla situazione attuale in Medio Oriente?

Viviamo in un periodo di «propaganda di guerra» dove l’informazione è monopolizzata dalle multinazionali e dai loro governi, qualsiasi forma di informazione differente passa sotto silenzio o viene ridicolizzata. I media indipendenti su Internet vengono spesso denigrati e censurati. Macron e l’UE preparano una legge contro le fake news, google e facebook collaborano con l’informazione mainstream e paradossalmente quelli che producono le fake news si mettono a combatterle. In Francia come in Belgio è inquietante il clima di terrore intellettuale dove si calunniano e ridicolizzano quelli che cercano la verità dei fatti e che ascoltano tutte le parti in conflitto.

Senza una mobilitazione popolare per esigere la libertà di dibattito, per proteggere e sostenere i giornalisti indipendenti andiamo verso un nuovo maccartismo: una massiccia azione di intimidazione e indottrinamento sociale e culturale. La guerra militare è sostenuta dalla guerra psicologica che le è fondamentale per supportarla e per creare consenso nell’opinione pubblica. Quando le persone conoscono le vere cause delle guerre ne chiedono anche la loro fine come è avvenuto in passato in Vietnam. Una guerra di aggressione non può che fondarsi sulle menzogne (Iraq, Siria, ndr) di conseguenza il principale obiettivo dei governi e delle multinazionali è creare disinformazione tra la popolazione,  attraverso i media mainstream, per ottenere quel consenso che altrimenti non ci sarebbe, da qui l’esigenza di creare una controinformazione indipendente e internazionalmente coordinata in Francia come in Italia. (l’intervista è stata pubblicata anche su Il manifesto di mercoledi 30 maggio)