(english / slovenščina / italiano)
 
Incessante pressione italiana sul confine orientale
 
0) Altri link e brevi
1) Dannunzianesimo
– D'Annunzio così com'era (V. Cerceo e S. Mauri)
– How Rijeka became the world's first facist state (J. Bousfield)
– Reški župan proti spomeniku D’Annunziu (Primorski Dnevnik)
2) Il famedio nell’atrio della Questura ed i poliziotti caduti mentre combattevano per il Reich e non per l’Italia (di Claudia Cernigoi)
 
 
=== 0: LINK E BREVI ===
 
13.7.2019: 99° ROGO NARODNI DOM / 99. POŽIGA NARODNEGA DOMA
Intervento del prof.. Raoul Pupo (IT):
AUDIO: https://drive.google.com/file/d/17swIQ4L6J1EGGSf0XawwnUZmgawHpxgk/view
[Traduzione in sloveno dell'intervento del prof. R. Pupo]
»Tukaj smo vsi skupaj, ker smo antifašisti«. Slavnostni govornik na spominski svečanosti ob 99-letnici požiga Narodnega doma je bil Raoul Pupo - Slovenski prevod in italijanski izvirnik celotnega besedila
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LA NARRAZIONE INTORNO ALLE ‘FOIBE’: RIFLESSIONI SU UN’AMBIGUA VERITÀ DI STATO
Registrazione della conferenza del 10 aprile 2019 (Teatro dei Fabbri - Trieste) sulla questione delle foibe e sull'uso politico di queste. Interventi di Angelo d'Orsi, Claudia Cernigoi, Alessandra Kersevan, Claudio Venza e Piero Purini Purich.
Parte 1:
Interventi di Luca Paciucci, Claudia Cernigoi [3'50''], Angelo d'Orsi [21'30'']
Parte 2:
Intervento di Angelo d'Orsi
Parte 3:
Interventi di Angelo d'Orsi, Alessandra Kersevan [9'05''], Piero Purini Purich [17'05''], Claudio Venza [31'40'']
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=_4zD_4kHpuw
Parte 4:
Interventi di Claudio Venza, Peter Behrens [11'30''], Samo Pahor [14'25''], Marta Ivasic [21'20'']
 
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FESTA DELLA REPUBBLICA ITALIANA "ESTESA" ANCHE AD ISTRIA, DALMAZIA E CORSICA (3/6/2019 16:27:18 | Radio Capodistria)

Come rilevato dal quotidiano sloveno di Trieste, il Primorski Dnevnik, l'assessore comunale di Trieste, Lorenzo Giorgi (in quota Forza Italia), ieri, in occasione della Festa della Repubblica italiana, sul proprio profilo Facebook ha pubblicato l'immagine del tricolore italiano sormontato dalla carta geografica dell'Italia comprensiva però anche dell'Istria, della Dalmazia e della Corsica. Il post è corredato dalle parole "Nulla può ritenersi concluso finché non è concluso con giustizia; Viva l'Italia redenta". 
Tale pubblicazione riprende in parte quanto detto qualche mese fa dal Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che in occasione della cerimonia per il Giorno della Memoria, presso la Foiba di Basovizza esclamò "Viva l'Istria e la Dalmazia italiane" scatenando polemiche in Slovenia e Croazia. (red)

 

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D'ANNUNZIO COSÌ COM'ERA (Flacons 2.1_, 17 lug 2019)
Vincenzo Cerceo e Sergio Mauri ragionano sulla decisione di posizionare la statua di Gabriele D'Annunzio, opera di Alessandro Verdi, in Piazza della Borsa a Trieste. Sono corretti i toni esclusivamente elogiativi con cui si parla di Gabriele D'Annunzio? Come letterato e uomo di cultura fu davvero grande? Può essere indicato in termini positivi come cittadino? Come uomo politico che giudizio darne? Come giudicare l'impresa di Fiume? Che rapporti ebbe col fascismo?
 
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Vogliono fare di Trieste la capitale del revisionismo storico
Mostra su D’Annunzio e statua al «vate» per Fiume a settembre, decisa dalla giunta Lega-Fi (per 382 mila euro). E oggi l’estrema destra «rivendica» l’incendio del Narodni Dom
 
di Angelo d'Orsi, su Il Manifesto del 13.07.2019
 

Nel proliferare di segni di ideologie e pratiche che un po’ all’ingrosso possiamo etichettare come «fascismo», quanto sta accadendo sul «fronte orientale», in particolare nella sua capitale, Trieste, ha assunto in quest’anno, centenario della fondazione dei Fasci di Combattimento, caratteri inquietanti.

Il «giorno del ricordo» del febbraio scorso, con le grottesche dichiarazioni a Basovizza di Tajani, allora presidente del Parlamento Europeo, concluse con l’invocazione di Istria e Dalmazia «italiane» (arrivando al limite dell’incidente diplomatico con Slovenia e Croazia), e il fuoco di fila della destra, locale e nazionale, nell’imbarazzato silenzio della storiografia e della cultura triestina, con poche lodevolissime eccezioni. La destra giunta recentemente al governo di città e regione, ha cominciato da allora ad accelerare in un percorso di sfacciato revisionismo, che nelle ultime settimane sta giungendo a forme estreme, di autentico «rovescismo».

IL PUNTO d’arrivo è l’inaugurazione, avvenuta ieri, di una mostra su D’Annunzio e Fiume, con un intervento cabarettistico spacciato come «lectio magistralis» del curatore, Giordano Bruno Guerri, accreditato come storico (ovviamente revisionista) oltre che opinionista su media amici; tutte credenziali che lo hanno portato alla presidenza della Fondazione Il Vittoriale di Gardone Riviera, la sontuosa e mortifera villa in cui D’Annunzio soggiornò per quasi un ventennio, mantenuto da Mussolini. Il Vittoriale promuove la mostra, la quale fin dal titolo («Disobbedisco. La rivoluzione di D’Annunzio a Fiume»), che è lo stesso del libro di Guerri su D’Annunzio, dà una precisa interpretazione del «poeta-vate» qualificato come (assai improbabile) «disobbediente» all’insegna di una tentata separazione, e contrapposizione tra D’Annunzio e il fascismo, mentre l’occupazione di Fiume è spacciata come «rivoluzione».

LE BISLACCHE «tesi» di Guerri sono state rilanciate dall’Amministrazione comunale (Lega/Forza Italia). Ecco che cosa dichiara il sindaco Di Piazza: l’episodio di Fiume «merita di ritrovare la giusta collocazione attraverso un racconto corretto, chiaro e libero da fantasmi propagandistici che ne hanno alterato il contenuto e la portata». Oltre alla mostra, ad abundantiam, si è deliberata la realizzazione di un monumento al «Vate», che dovrebbe essere inaugurato per la ricorrenza del centenario dell’impresa fiumana, il 12 settembre. Il tutto per la modica cifra di 382 mila euro.

Le proteste di associazioni democratiche e antifasciste locali (il Circolo Modotti e il gruppo Resistenza Storica, in testa) e il loro appello con numerose firme di studiosi, non sono valse a fermare la decisione, su cui ci sono stati equivoci, nei quali, per esempio, è caduto anche un triestino eccellente, Claudio Magris, che sul Corriere, sbagliando obiettivo, ha difeso la statua, ritenendo che la mobilitazione contraria abbia colpito un letterato: e invece no, qui non si intende celebrare l’autore del Piacere o del Trionfo della morte, bensì un attore politico, che dopo essere stato il più sguaiato promotore delle campagne nazionaliste e imperialiste (la Libia, la Grande guerra, la «Vittoria mutilata»…), e aver fatto da sponda a Benito Mussolini, fu protagonista, con complicità militari, della «gesta», l’occupazione di Fiume, e la creazione di un effimero Stato.

DA ANNI una corrente mediatico-storiografica presenta Fiume come un luogo di libertà, che anticipò addirittura i movimenti degli anni Sessanta. Fiume fu invece la prova generale della Marcia su Roma, specie nel momento in cui la componente nazionalista ebbe il sopravvento su quelle anarco-libertarie presenti inizialmente. Lo ribadisce il sindaco di Rijeka (Fiume), Vojko Obersnel, che annuncia passi ufficiali con le autorità italiane, scrivendo tra l’altro: «Le iniziative che festeggiano l’occupazione delle terre degli altri, sono in opposizione con la politica europea, che, come una delle proprie basi, ha l’antifascismo».

NON È FINITA. In aggiunta a mostra e monumento, oggi si tiene a Trieste un’altra preoccupante iniziativa che ricorda i fatti del 13 luglio 1920, quando i nazionalfascisti italiani assaltarono e distrussero l’Hotel Balkan, sede del Narodni Dom, la «Casa nazionale» degli slavi (con biblioteca, teatro, sale di incontro…). Fu il primo atto organizzato dello squadrismo in grande stile, dopo l’assalto all’Avanti! a Milano del 15 aprile 1919, con identica conclusione: le fiamme, gli omicidi, l’impunità straordinariamente raccontate dallo sloveno-italiano Boris Pahor. Ebbene, gruppi revanscisti hanno organizzato una “conferenza” che nel testo d’invito è un esempio spudorato di rovesciamento della verità storica. In esso si additano “gli jugoslavisti” come responsabili dell’incendio e delle morti. E proprio oggi il presidente sloveno Borut Pahor sarà a Trieste a commemorare l’eccidio del Narodni Dom del 13 luglio 1920 per mano dei fascisti. Erano anni che il rovescismo non toccava questi abissi. La Trieste (e l’Italia) intellettuale, democratica e multietnica, lo può tollerare?

 
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Fonte: pagina FB di V. Vetoni
 
Come #Fiume è diventato il primo stato fascista al mondo
"D'Annunzio in particolare fece a pezzi il tessuto cosmopolita della città, mettendo gli italiani e i croati l'uno contro l'altro e gettando le basi per ulteriori rotture nella seconda guerra mondiale. (...) I croati locali hanno subito continue intimidazioni. I seguaci di D'Annunzio proclamarono la pena di morte per chiunque non fosse fedele alla "causa di Fiume", causando la partenza dei più importanti croati. Gli uffici del quotidiano croato Primorske Novine furono fatti a pezzi. La società croata si raggruppò nel sobborgo di Sušak, appena a sud del centro: il fiume Riječina divenne un nuovo confine, tagliando la città in due. Per D'Annunzio, i croati erano semplicemente un popolo culturalmente inferiore a cui mancava la storia, e quindi non avevano alcun diritto reale di governare sulle rive orientali dell'Adriatico."
 
 
How Rijeka became the world's first facist state
Jonathan Bousfield looks at how Italian poet Gabriele D’Annunzio turned Rijeka into his own political stage.

By Jonathan Bousfield
 
Rijeka’s most prominent anniversary of 2019 is also one of the most difficult to handle. September 12 will see the centenary of the entry into the city of Gabriele D’Annunzio, the Italian poet, aviator and nationalist ideologue whose 17-month reign over the city provided Italian Fascism with much of its inspiration.

Present-day Rijeka’s reputation as the most open and tolerant of Croatia’s cities is a tradition sustained, to a certain extent, by memories of the human tragedies that have rent the city in the past. D’Annunzio’s escapade in particular tore the city’s cosmopolitan fabric apart, setting Italians and Croats against each other and laying the foundations for further ruptures in World War II. Given such a traumatic twentieth century, it’s not surprising that the anti-fascist spirit of today’s Rijeka is regarded a something to be celebrated.

D’Annunzio himself was more famous as an aesthete and playboy until World War I turned him into a man of action. He campaigned vigorously for Italy’s entry into the conflict on the side of the Entente (France, great Britain and Russia), and found something of a new vocation as the tub-thumping nationalist orator who could hypnotize a willing crowd.  Having volunteered for the services at the age of 52 and taken part in several daring airborne and naval missions, D’Annunzio became a talismanic figure for nationalist Italians once the war ended.

Even though the city of Rijeka, or Fiume in Italian, had never been promised to Italy in the secret treaties signed with the Entente powers, the city became a tantalizing symbol of unfulfilled national destiny for an Italian public exhausted by over three years of war.
 
The city was a typically mixed-up product of the Habsburg Empire (to which it had belonged ever since the fifteenth century), boasting a largely Italian-speaking city centre, Croatian-speaking suburbs, and substantial numbers of German- and Hungarian-speaking businessmen and bureaucrats.

The question of national identity was made more complex by the collapse of the Habsburg Empire in 1918, when Rijeka was earmarked for inclusion in the nascent Kingdom of Serbs, Croats and Slovenes (subsequently Yugoslavia). Rijeka’s Italian-speakers rose up in an attempt to prevent the Yugoslavs from taking control. Entente peacekeepers occupied the city, pending the deliberations of the international peace conference convened at Versailles in January 1919. Fearing that the conference would definitively award the city to the Yugoslavs, however, Italian nationalists within the city began to plan a takeover that would present the international community with a fait accompli.. They needed a figurehead, and the flamboyant D’Annunzio seemed to fit the bill.

D’Annunzio drove into the city on September 12 1919 at the head of 300 volunteers. He was greeted with jubilation by Italian sections of the populace, and a mixture of bemusement and fear by everyone else.   D’Annunzio immediately declared Rijeka’s union with Italy. The Italian government in Rome disowned such a union, fearful of the radical energies that D’Annunzio seemed to embody.

For D’Annunzio and his followers, the Rijeka enterprise was the first step in an anti-parliamentary revolution that would sweep through Italy itself. Post-war Italy was in deep crisis, troubled by left-wing strikes and right-wing calls for order. Soldiers returning from the front felt that they had risked their lives for a corrupt parliamentary elite that was incapable of addressing the country’s problems. Calls for authoritarian leadership were widespread – D’Annunzio seemed to be the personification of these desires.
 
Thousands of people flocked to Rijeka to be at his side. Most of them were war veterans or deserting soldiers (the average age was 22 and a half), keen to share the excitement of what seemed like a patriotic revolution. Others were political tourists of a rather disturbing kind.  Both Futurist poet F. T. Marinetti and Fascist leader Benito Mussolini beat a path to Rijeka in autumn 1919, eager to discover just how soon D’Annunzio planned to export his uprising to Italy proper. Both left disappointed: D’Annunzio was wary of collaborating with people whose political ideas seemed even more marginal and preposterous than his own

As we now know it was Mussolini, not D’Annunzio, who took control of Italy three years later. Indeed Mussolini ended up stealing most of D’Annunzio’ ideas. The aesthetics of Italian Fascism were taken directly from the poet’s short-lived regime in Rijeka. D’Annunzio’s love of uniforms, parades, and set-piece speeches proved that radical right-wing politics worked far better as a spectacle with audience participation than a string of manifestoes.

The idea that D’Annunzio’s Rijeka was a radical social experiment as well as a political uprising played well in the popular imagination. Futurist and war-veteran Mario Carli called D’Annunzio’s Rijeka a “work of art”, a living example of “futurist theatre”.  The city had a racy reputation; it offered free love, freedom from bourgeois constraints, and a (more legendary than real) supply of cheap cocaine.

Judging by the memoirs of Giovanni Comisso, a war veteran and writer who was also bisexual, the city was full of intellectual encounters, outlandish personalities and erotic possibilities. Together with Guido Keller, a dashing pilot who kept an eagle as a pet, Comisso established Yoga, an absurdist avant-garde movement that floated all kinds of utopian ideas.
 
“Immorality both natural and unnatural was rife” was how Rijeka resident and chronicler J. N. MacDonald described the new social climate. “Modesty compels me to draw a veil over much of the depravity which accompanied the poet’s regime”.

Subsequent historians have paid too much attention to the cult of D’Annunzio, the cocaine-snorting, bed-hopping egomaniac who never really cared much for Rjieka and simply saw it as a platform for his own fame. The freewheeling society he presided over has been over-romantically portrayed as a 17-month-long fiesta, an art performance in the tradition of the Italian avant-garde, or an anarchic exercise in anti-globalist protest, with D’Annunzio the jolly pirate giving the finger to the liberal elite..

In fact the whole escapade is a warning about the dangers of populism, and the way in which libertarians of both left and right so often end up donning a uniform and joining someone else’s parade. The D’Annunzio administration was a revolving door for ideological oddballs, kept in power by the large number of young men roaming the streets, people who could always be relied upon to cheer the loudest whenever the leader staged a rally.

December 1919 saw Rijeka’s citizens vote for a compromise solution that would have secured Rijeka’s independence as a free city and the departure of D’Annunzio and his followers at the same time. A shocked D’Annunzio annulled the vote, and organized an open-air ‘plebiscite’ of his own supporters to legitimize the continuation of his rule.

Local Croats suffered constant intimidation. D’Annunzio’s followers proclaimed the death penalty for anyone disloyal to the “cause of Fiume”, causing most prominent Croats to leave. The offices of Croatian newspaper Primorske Novine were smashed up. Croatian society regrouped in the suburb of Sušak, just south of the centre: the Riječina river became a new border, cutting the city in two.
 
For D’Annunzio, the Croats were simply a culturally inferior people who lacked history, and therefore had no real right to rule over the eastern shores of the Adriatic.  He also professed the lazy anti-Semitism of the salon radical, calling the recently-formed League of Nations an institution created to “further the interests of international banking Jews”.  The idea that Italian nationalism defined itself through disdain for others was typically D’Annunzian, and typically Fascist.

D’Annunzio’s rule over Rijeka collapsed towards the end of 1920, more as a result of internal apathy than the Italian army’s half-hearted attempt at a blockade. The Italian navy bombarded the city during the so-called Bloody Christmas of 1920, and D’Annunzio agreed to leave peacefully two weeks later. Rijeka was designated a “free city” before being swallowed by Fascist Italy in 1924. D’Annunzio himself retired to Lake Garda, half-hoping that the people of Italy would summon him to power when the time was right. The invitation never came.

However the D’Annunzio playbook never seems to go out of fashion. Marching into disputed territory on the pretense of defending the local population; using coup tactics in order to pre-empt peaceful negotiations; manipulating plebiscites to make it look as if extreme courses of action have a democratic mandate; the use of extravagant behavior to signal contempt for the “establishment”; calling out the falsehoods of liberal democracy in order to construct even bigger lies; all of these are as familiar today as they were to the Europeans of the inter-war years.

Maybe we are only now entering the truly D’Annunzian times: politicians flout notoriety and shamelessness as a way of building popular support, manipulative half-truths are applauded more heartily than complicated explanations, and the megaphone of social media makes mob orators of us all.

Rijeka will mark the centenary with a D’Annunzio-themed exhibition at the Museum of Maritime History. The display will devote specific attention to the female half of Rijeka’s population - the women who supported, opposed, or simply endured the D’Annunzio period – thereby moving the narrative away from the self-styled men of destiny who stood at D’Annunzio’s side and wrote memoirs about it afterwards. Presenting D’Annunzio’s legacy in a museum will be one way of teasing out the true nature of his short-lived regime, and discarding the myths.
 
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Reški župan proti spomeniku D’Annunziu

Vojko Obersnel podpira prizadevanja skupine Resistenza Storica

ANTIFAŠIZEM | SPLETNO UREDNIŠTVO | TRST | 13. jul. 2019 | 7:38
 
Reški župan Vojko Obersnel popolnoma podpira manifest skupine Resistenza Storica iz Trsta, Vidma in Ronk proti postavitvi spomenika Gabrieleju D’Annunziu na Borznem trgu v Trstu. To poudarja v pismu članom skupine Claudii Cernigoi, Alessandri Kersevan in Marcu Baroneju, s katerim je odgovoril na pismo, ki ga je skupina Resistenza Storica naslovila na nekatere institucije s prošnjo, naj ne priznajo postavitve spomenika in to v imenu miru med narodi, spoštovanja narodnih skupnosti ter spričo znanega D’Annunziovega protislovanstva.
Tudi sam župan Obersnel ostro nasprotuje postavitvi spomenika D’Annunziu, pri čemer omenja ravno zasedbo Reke. »On sam je bil predhodnik fašizma in je navdihnil Benita Mussolinija, ki je potem sam zelo voljno sprejel Hitlerjevo ideologijo in se je pridružil krvavim misijam v drugi svetovni vojni,« opozarja župan v pismu, kjer dodaja, da je prav po D’Annunziovi krivdi Reka »med prvimi okusila smrtno roko fašizma.« Obersnel D’Annunzia označuje za »napadalca in tirana«, postavitev spomenika, posvečenega zasedbi Reke, pa bi bila absolutno sramotna in nevarna stvar.. »Hrvaška obala in Reka sta hrvaški, branili in osvobodili so ju partizani v drugi svetovni vojni, prav tako, kot je bil osvobojen Trst. Spomeniki D’Annunziu, praznovanja in politični populizem, ki popušča najbolj nizkotnim nagonom, tega ne bodo spremenili. Če obstaja namen postavitve nekega spomenika, ga je torej treba postaviti partizanskim četam, ki so osvobodile Trst,« zelo odločno piše reški župan, ki pričakuje odziv hrvaške vlade, sam pa je napovedal, da bo obvestil hrvaški konzulat v Trstu in tržaškega župana Roberta Dipiazzo.
 
 
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IL FAMEDIO NELL’ATRIO DELLA QUESTURA ED I POLIZIOTTI CADUTI MENTRE COMBATTEVANO PER IL REICH E NON PER L’ITALIA

di CLAUDIA CERNIGOI 
Giovedì 13 Giugno 2019
 
Nell’atrio della Questura di Trieste c’è una lapide che riporta i nomi degli agenti di PS caduti “nell’adempimento del loro dovere”. Vi sono un centinaio di nomi, dalla Guardia Regia Giovanni Giuffrida, morto nel 1920, a Eddie Walter Cosina, ucciso nell’attentato al giudice Borsellino nel 1992, fino all’ispettore Vitulli morto in una sparatoria con un pregiudicato nel 1999. Ogni 12 giugno, per “celebrare” l’abbandono di Trieste da parte delle truppe jugoslave, le autorità cittadine si recano a rendere omaggio anche a questi nominativi (nella foto sotto, tratta dalla pagina FB dell’assessore leghista Pierpaolo Roberti, un momento della cerimonia di quest’anno).
 
Nel novembre 1996, quando avevo iniziato a scrivere il mio primo libro sulle foibe triestine, mi era capitato un curioso “incidente”. Un giorno mi fermai a trascrivere i nomi sulla lapide, ed ero arrivata più o meno al settimo quando fui interrotta dal piantone, che mi disse, peraltro molto cortesemente, che non potevo copiare i nomi, e, alla mia richiesta di motivazione, dopo alcune telefonate a vari uffici, mi fu risposto che dovevo fare una richiesta scritta al questore.
Naturalmente presentai la domanda, e dopo qualche giorno fui indirizzata alla DIGOS, dove il responsabile, dottor Carocci, mi disse che avrei dovuto parlare direttamente col questore, il dottor Lorenzo Cernetig [1], che mi ha spiegato di essere anche lui appassionato di ricerche storiche, infatti quand’era questore a Como prima di venire a Trieste aveva fatto delle indagini sui posti dove poteva essersi nascosto Mussolini mentre cercava di scappare e che a Trieste invece aveva iniziato a studiare i vari libri che parlano di “infoibati” ed aveva iniziato a mettere in computer i vari nomi per fare i controlli incrociati. Poi si è informato sul tipo di ricerche che intendevo condurre io, così gli ho detto che stavo controllando gli elenchi dei deportati e scomparsi per trovare una volta per tutte quanti fossero effettivamente gli scomparsi da Trieste nel maggio ‘45 e che volevo copiare i nomi dei caduti di PS per fare degli ulteriori controlli sugli scomparsi.
A questo punto il dottor Cernetig mi ha spiegato il problema inerente alla lapide.
- Vede, il fatto è che su quella lapide ci sono anche dei nomi sbagliati. Io ho scritto al Ministero che bisogna togliere quel nome, però, lei mi capisce, questa non è casa mia e quindi io non posso cancellare un nome da quella lapide se non ho l’autorizzazione del Ministero.
Il nome da togliere, mi disse il Questore, era quello di Giovanni Codeglia. E sentiamo il racconto di Meri Merlach, arrestata durante il rastrellamento di Longera del 21/3/45 (operato dall’Ispettorato Speciale di PS, la famigerata “banda Collotti” dal nome del commissario Gaetano Collotti che ne era al comando), che ricorda che uno dei suoi aguzzini nella sede dell’Ispettorato di via Cologna, visto che dopo ore di tortura la ragazza non parlava, le si rivolse con queste parole: “Brutta puttana, la batti ma no la parla!” [2]. Si trattava proprio di Codeglia, e Meri ha aggiunto: < il suo nome era nell’elenco della Questura come morto in una foiba. Invece nel 1964 ero andata al mercato del Ponterosso per ordinare i fiori per il mio matrimonio, e me lo sono trovato davanti, aveva una baracca dove vendeva portafogli. Come l’ho visto sono svenuta; ma lui ha continuato per anni a vendere portafogli in Ponterosso > [3].
Anche altre donne riconobbero in quel venditore ambulante il Giovanni Bruno Codeglia che le aveva torturate e che molti credevano fosse stato ucciso nei “quaranta giorni”, difatti il suo nome, che viene riportato come “scomparso” in vari libri [4], appariva anche sulla famosa lapide.
Leggiamo un articolo del “Lavoratore” del 18/2/47, dal titolo “Posti vacanti alla Corte Straordinaria d’Assise. Bruno Codelia (sic) agente modello fedelissimo di Collotti a Villa Triste”: < Fra i feroci criminali che non siedono sul banco degli imputati nel processo contro Gueli e i manigoldi di “Villa Triste” o perché latitanti ma in condizioni da poter essere efficacemente patrocinati dai “principi” del foro triestino e di altre città, o perché prosciolti in istruttoria, o, infine, perché “non sono emersi elementi di colpa a loro carico” figura anche Codelia (…) >.
Teste chiave contro Codeglia era la signora Roberta Susek, che abitava nello stesso stabile dell’agente e che fu arrestata il 30/10/44. Dopo averle depredato la casa, Codeglia ed altri la torturarono per estorcerle una confessione che la fece finire a Ravensbrück, dove rimase fino al maggio successivo. Era la moglie del dirigente comunista Alfredo Valdemarin, arrestato il 6 dicembre su denuncia di Codeglia, portato in Risiera ed ucciso tredici giorni dopo.
Samo Pahor ha inoltre raccolto la testimonianza di una signora che era stata torturata da Codeglia, il quale nel dopoguerra era venuto ad abitare nel suo stesso palazzo. La donna aveva preferito traslocare lei piuttosto che denunciare Codeglia, perché non voleva rivangare ricordi dolorosi.
Codeglia perse la vita nel 1984, in un incidente stradale nei pressi di Matteria, in Istria. In anni più recenti qualcuno [5]aveva scritto al Questore per far togliere il nome di Codeglia dalla lapide, visto che, a parte ogni altra considerazione, il “collottiano” non era neppure morto in servizio, ma la cosa era rimasta in sospeso finché non era arrivato a Trieste il dottor Cernetig, che aveva richiesto al Ministero l’autorizzazione a rimuovere il nome di Codeglia. All’epoca del nostro colloquio non aveva però ancora ricevuto risposta; qualche mese dopo l’autorizzazione arrivò ed il nome fu tolto, ma allora il dottor Cernetig era già stato trasferito a Venezia.
Dei nomi che appaiono sulla lapide, risultano essere stati nei ranghi dell’Ispettorato Speciale i seguenti: Binetti Corrado, Boato Argante, Bottiglieri Domenico, Braccini Augusto, Camminiti Santo, De Simone Mario, Fabaz Aurelio, Fabian Mario (l’unico “infoibato” a Basovizza, condannato a morte da un tribunale militare jugoslavo perché torturatore di civili), Giuffrida Francesco, Greco Matteo (“infoibato” nell’Abisso Plutone da criminali comuni infiltratisi nella Guardia del Popolo), Grieco Pasquale, Leban Vittorio, Milano Gaetano, Minetti Giuseppe, Nelli Lanciotto, Nolfo Aldo Antonio, Picozza Antonio (vedi la nota su Greco), Pisciotta Salvatore, Pisetta Luigi, Runce Giuseppe (sulla lapide c’è anche un Runer Giuseppe, che Luigi Papo sostiene essere un’errata trascrizione di Runce [6]), Sangiorgi Leopoldo, Santini Bruno, Santini Mario, Scimone Francesco, Scionti Giuseppe, Sfregola Cosimo Damiano, Tomicich Giorgio, Vescera Vincenzo [7]. Inoltre sulla lapide c’è anche Alessandro Nicola, che sarebbe stato ucciso a Carbonera assieme a Collotti (il cui nome, deo gratias, non compare), del quale però non abbiamo trovato riscontro nell’elenco curato dall’IFSML [8].
Un particolare curioso che aveva colpito anche il dottor Cernetig, era che sulla lapide la data di morte per una novantina di nomi risulta essere sempre la stessa: 1° maggio 1945. In realtà i poliziotti arrestati, uccisi o scomparsi nel periodo di amministrazione jugoslava non sono tutti morti il 1° maggio, di molti di essi è nota un’altra data di morte (ufficiale o presunta). Ciononostante nella lapide si è scelto di usare questa data convenzionale, probabilmente derivante dalla data di “irreperibilità” che compare negli elenchi del Ministero citati in una nota precedente.
Il problema di fondo, a mio parere è però (ed a questo punto lancio un appello alle autorità competenti) che i nomi dei “collottiani” andrebbero tolti tutti dalla lapide; non tanto per il fatto che dei torturatori non dovrebbero avere diritto ad un ricordo ufficiale (non conosciamo le responsabilità singole di ciascuno), quanto perché tutti costoro avevano servito non lo Stato italiano legittimo, ma il governo fantoccio e golpista di Salò, agli ordini degli occupatori nazisti: quindi non sono caduti, come recita l’iscrizione, “nell’adempimento del loro dovere”. Questo anche considerando che nello stesso edificio c’è l’elenco dei questori che ricoprirono la carica a Trieste, ed in questo elenco mancano tutti i nomi di coloro che furono questori di Trieste tra il 16/10/44 ed il 30/4/45, indicati come “carica tenuta da funzionari politici” e dal 1/7/45 al 25/10/54 perché nominati dalla “polizia civile della Venezia Giulia alle dipendenze del Governo militare alleato”.
(adattamento da C. Cernigoi, “La Banda Collotti”, KappaVu 2013.
NOTE.
1] Colgo qui l’occasione per ringraziare il dottor Luca Carocci e per ricordare il dottor Cernetig, purtroppo prematuramente scomparso, per la disponibilità dimostratami.
[2] Intervista raccolta da Jagoda Kjuder sul “Primorski Dnevnik” del 16/10/10.
[3] Testimonianza di Meri Merlach, 2/12/10.
[4] Bartoli, La Perna, Pirina… va dato atto a Luigi Papo che nel suo “Albo d’Oro” (p. 609) lo mette come “irreperibile dal 1/5/45”, cosa effettivamente vera, in quanto Codeglia si era nascosto rendendosi irreperibile, come molti altri che, a causa di quello che avevano fatto, temevano di essere arrestati dai partigiani. In un libro curato dallo pseudoricercatore nonché mancato golpista Marco Pirina sono stati pubblicati due documenti del Ministero degli Interni (non datati) riprodotti anastaticamente: il primo elenco comprende un elenco di 58 nomi di personale di PS “infoibato ed ucciso da elementi partigiani slavocomunisti”, il secondo 317 nomi di personale di PS dichiarato “irreperibile”, per la maggior parte nel maggio ‘45 (cfr. “Adria Storia 1”, ed. Silentes loquimur, 1993 ).
[5] Primož Sancin, di Dolina.
[6] “Albo d’oro”, Trieste 1995, p. 613.
[7] L’appartenenza all’Ispettorato di questi nominativi risulta da vari elenchi conservati sia presso l’IRSMLT (busta XIII) che presso l’OZZ (NOB 24 e archivio Bubnič), sia nell’Arhiv Slovenije (AS 1584, zks, ae 418).
[8] “Caduti, dispersi e vittime civili dei comuni della regione Friuli-Venezia Giulia nella seconda guerra mondiale”, a cura dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Udine 1990, 1991 .

 

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