Fonte: L’Antifascista (periodico dell'ANPPIA), anno LXX - n° 5 - 6 Maggio - Giugno 2023
 
DIANA JOHNSTONE, UNA VOCE FUORI DAL CORO
 
Diana Johnstone ha attraversato la seconda metà del Novecento, schierandosi sempre al fianco delle vittime dell’imperialismo americano. La sua esperienza di scrittrice, giornalista e pacifista, tra Europa e Stati Uniti, ne fa un’attenta testimone della Guerra fredda e degli “anni di piombo”, con una personale prospettiva di ammirazione per la traiettoria del Partito comunista italiano: secondo lei, il compromesso storico fu impedito dalle trame segrete americane per imporre un controllo politico sull’Italia del “boom”. Diana fu una fiera oppositrice della guerra in Vietnam. Era trentenne, nel 1965, quando gli afro-americani conquistarono il diritto di voto, e aveva 34 anni durante il Sessantotto. Ha quindi assistito al cambiamento della politica americana fino ai nostri giorni. Tra il 1998 e il 2004, Diana ha attraversato da protagonista il ciclo di lotte pacifiste e anti globalizzazione, una temperie che ha allevato una generazione a diffidare dai proclami di “esportazione della democrazia”, cavallo di battaglia di George W. Bush, e dei suoi alleati in Europa, come Blair e Berlusconi, per la “war on terror”.

Fedele al suo ruolo di “voce fuori dal coro”, ruolo che la accomuna al suo amico Noam Chomsky, Diana, nel corso degli anni, si è assunta la responsabilità di esternare anche opinioni più che controverse.
 

Intervista a Diana Johnstone

di Boris BELLONE

 
D: Lei è stata una attivista contro la guerra in Vietnam. Ritiene che le nuove guerre degli Americani e dei loro alleati europei (Iraq, Jugoslavia, di nuovo Iraq, Afghanistan, Libia, Siria) siano simili o diverse dalla guerra In Vietnam? Anche le proteste sono state diverse, talvolta inesistenti. Per quali motivi secondo lei?

R: All'epoca della guerra del Vietnam esistevano ancora tre cose che da allora sono in gran parte scomparse. Una era rappresentata dai media relativamente indipendenti. Un'altra era costituita da gruppi di tradizione marxista che sapevano organizzare le proteste. Un terzo era la coscrizione universale. Questi fattori hanno favorito la crescita delle proteste contro la guerra negli Stati Uniti. Inoltre, i vietnamiti erano essenzialmente l'avanguardia della lotta di liberazione nazionale contro il colonialismo e l'imperialismo, che era la causa principale dell'epoca, ampiamente sostenuta in tutto il mondo.
Per tutta la durata della Guerra Fredda, la lotta alla "minaccia comunista" è stata l'unico obiettivo primario della politica estera statunitense. Essa motivava i responsabili politici, dominava la copertura mediatica degli affari mondiali e serviva a ottenere il sostegno pubblico per gli interventi militari all'estero.
Il crollo dell'Unione Sovietica ha portato al crollo della "minaccia comunista" come motivazione ideologica dominante delle relazioni degli Stati Uniti con il mondo. La politica estera americana è stata privatizzata, essendo progettata in gran parte da "think tank" finanziati da privati, collegati ai mass media e alle università, tutti dediti alla perpetuazione del complesso militare-industriale che era diventato il centro solido dell'economia statunitense. Va sottolineato che per i grandi investitori capitalisti, l'industria degli armamenti rappresenta l'investimento più sicuro, perché i profitti sono garantiti dal governo statunitense, che grazie al dominio mondiale del dollaro può spendere senza freni. Una rete di intellettuali sedicenti "neoconservatori", che si sono distinti nei nascenti think tank, ha modificato l'orientamento ideologico della politica estera americana. Molti di loro erano strettamente legati a Israele e vedevano gli Stati Uniti come protettori di Israele. La loro ideologia aggressiva è stata articolata più chiaramente nel 1992 da Paul Wolfowitz, all'epoca sottosegretario alla Difesa per la politica, e nota come Dottrina Wolfowitz. Questa richiede una politica di azione militare preventiva per impedire l'ascesa di qualsiasi potenza che possa sfidare il dominio globale degli Stati Uniti. Nei tre decenni successivi, i neocons hanno assunto il controllo dell'establishment della politica estera, in particolare del Dipartimento di Stato e dei media.
Le proteste contro la guerra del Vietnam hanno assunto molte forme, non solo spettacolari ma anche seriamente educative. Il movimento contro la guerra ha utilizzato lo studio delle origini della guerra per aumentare la coscienza politica sull'imperialismo e sul Terzo Mondo. Lo sciopero studentesco di tre mesi trasformò l'Università del Minnesota, in cui insegnavo, in un grande "teach-in", non solo per istruire gli studenti sulla storia dell'Indocina, ma anche per raggiungere i cittadini della grande comunità urbana. Il movimento contro la guerra era così vasto che molti giovani sentivano di vivere l'inizio di un movimento rivoluzionario.
Oggi non c'è nulla di simile in Occidente. I giovani in cerca di cause attiviste sono più probabilmente attratti dal "salvare il pianeta" dalle emissioni di CO2 o da varie questioni legate ai diritti umani e all'identità. L'aggressione degli Stati Uniti contro i governi stranieri viene dipinta come aiuto "umanitario" alle minoranze oppresse "contro i dittatori" (Jugoslavia, Libia, Siria) o come lotta al "terrorismo" (in Medio Oriente).
Adottando un'ideologia di sinistra basata sulla politica dell'identità e sui diritti umani, i governanti statunitensi sono riusciti in larga misura a ottenere il sostegno della sinistra alle guerre della NATO, dal Kosovo alla Libia all'Ucraina. Il paradosso che ne deriva è che in molti Paesi le critiche alla NATO sono più deboli a sinistra che tra i conservatori. Lo sviluppo di un ampio movimento contro la guerra è ulteriormente ostacolato dalla forte opposizione della sinistra a qualsiasi cooperazione con i conservatori, etichettati come un'alleanza tabù "rosso-bruna". Ma molti conservatori tradizionali si oppongono alla guerra infinita.
Oggi il lavoro educativo è più che mai necessario, dal momento che i media tradizionali sono diventati portavoce della NATO e la censura delle opinioni dissidenti è in aumento. La mia impressione è che la resistenza a questa tendenza autoritaria stia crescendo più rapidamente negli Stati Uniti che in Europa.
 
D: Lei è uno dei pochi intellettuali a schierarsi contro l’aggressione della NATO alla Repubblica federativa di Jugoslavia. Le sue posizioni sulle guerre in Jugoslavia le hanno creato dei fastidi, nell’epoca del politicamente corretto. Come è stato accolto il suo libro “La crociata dei folli”? Si tratta di un libro molto lucido e chiarificatore. Del resto anche Peter Handke ha avuto molte critiche e problemi sull’argomento Jugoslavia.
 
R: Il mio libro Fools’ Crusade è stato ferocemente attaccato dai media svedesi perché andava contro la "narrazione comune", un concetto che giustifica l'accettazione acritica delle posizioni ufficiali al fine di preservare l'unità sociale. Questo concetto è sempre più applicato dai "centristi" al potere, che denigrano i loro critici come "estremisti", o addirittura "teorici della cospirazione", se si discostano dalla dottrina ufficiale. Questa dottrina viene applicata oggi più attivamente in Germania per quanto riguarda il conflitto in Ucraina.
La "narrazione comune" sulla Jugoslavia ha falsamente etichettato il presidente democraticamente eletto della Serbia, Slobodan Milosevic, come "il nuovo Hitler", creando un pretesto per la NATO per bombardare ciò che restava della Jugoslavia e staccare il Kosovo dalla Serbia. I media hanno ripreso in modo massiccio la linea della NATO. In un'atmosfera del genere, chiunque contraddica le bugie ufficiali può aspettarsi di avere problemi. Il mio unico rammarico è che le bugie ufficiali dominano ancora. La guerra del Kosovo è ancora considerata un "intervento umanitario" e pochi conoscono i complessi retroscena dei conflitti jugoslavi, in particolare l'interferenza di potenze esterne che hanno impedito una soluzione pacifica.
 
D: La politica estera degli USA è spesso identica, se sono al governo i Democratici o i Repubblicani: quale è la causa? Lei ha fatto un ritratto agghiacciante di Hillary Clinton nel suo libro: "Hillary Clinton, la regina del caos". Nel libro appena citato lei ha anticipato ciò che sarebbe successo in Ucraina. Ora che le cose sono accadute, cosa aggiungerebbe?
 
R: I neocon che controllano il Dipartimento di Stato, in particolare Victoria Nuland, hanno deliberatamente esacerbato e sfruttato gli antagonismi storici in Ucraina per tentare di indebolire, persino smantellare, la Russia come potenziale rivale dell'egemonia mondiale statunitense. Questo era assolutamente prevedibile, soprattutto se si considera l'odio viscerale nei confronti della Russia da parte degli intellettuali di origine est-europea che sono stati accettati come i maggiori esperti della regione. Soprattutto, i responsabili politici statunitensi hanno inteso porre fine allo sviluppo di relazioni cordiali e proficue tra Russia e Germania, come simboleggiato dal gasdotto NordStream. L'obiettivo degli Stati Uniti è quello di usare l'Ucraina per rovesciare Putin e innescare la disintegrazione della Federazione Russa o, se ciò non è possibile, di erigere una nuova cortina di ferro che separi durevolmente la Russia dall'Europa controllata dagli Stati Uniti. Ciò che sorprende è la misura in cui i leader europei, soprattutto in Germania, si sottomettono totalmente alla leadership statunitense, a prescindere da quanto questa sia dannosa e pericolosa per i loro Paesi. A peggiorare le cose, la guerra in Ucraina sta fornendo l'occasione per un certo revanscismo psicologico, in quanto i tedeschi identificano la Russia come storico produttore di guerre.
 
D: Lei ha vissuto molto tempo in Europa, in particolare a Parigi, dove vive tuttora. Trova che l’Europa sia cambiata in questi anni? Vivendo in Francia avrà seguito ancora più da vicino la distruzione della Libia e l’assassinio del presidente Gheddafi. In Italia un importante storico anticolonialista, Angelo del Boca, ha scritto numerosi libri sullo sviluppo della Libia sotto la guida del colonnello Gheddaffi, dandone un giudizio sostanzialmente positivo. Alcuni anni fa mi disse che il figlio di Gheddafi stava preparando una nuova costituzione per preparare il paese alla successione del padre con una forma di democrazia. L ‘Occidente non vuole che ci sia nessun progresso in Africa che deve rimanere territorio di sfruttamento? L'Angola però sta crescendo rapidamente. Verrà distrutta anche questa nazione?
 
R: Se devo scegliere il peggiore dei crimini degli Stati Uniti, sarebbe la distruzione della Libia. Il pretesto era falso, la prevenzione pacifica era facile, gli attacchi aerei della NATO sono stati vili e devastanti, l'assassinio di Gheddafi e dei suoi familiari è stato atroce e i risultati per la Libia e l'Africa sono catastrofici. Al di fuori dell'Italia, pochi sono a conoscenza di studi seri come quello di Angelo del Boca. L'astio dell'Occidente nei confronti del colonnello Gheddafi è un puro prodotto della brutale arroganza imperiale, dell'intolleranza verso le diverse culture e dell'incapacità di riconoscere che la costruzione di un Paese democratico e prospero in Libia non deve necessariamente seguire i modelli occidentali. Gli Stati Uniti continuano a causare problemi in Africa, ma la resistenza all'arroganza imperiale occidentale sta crescendo.
Se spero che le cose stiano migliorando in Africa, devo dire che i cambiamenti che ho osservato vivendo in Europa non sono stati positivi. Per molto tempo ho sperato che l'Europa ponesse un freno alle follie statunitensi, ma al contrario l'americanizzazione aumenta, e nei modi peggiori. I media e le varie istituzioni transatlantiche fanno in modo che i leader politici europei accettino tutti il dominio americano come una legge di natura.
 
D: A Torino il 18 dicembre ricordiamo la strage fascista del 1922 dove vennero assassinati circa 30 sindacalisti e operai antifascisti. Una strage molto simile a quella di Odessa del primo maggio 2014 dove furono assassinati oltre 40 tra sindacalisti e operai antifascisti. Eppure in occidente anche se si parla con preoccupazione di ritorno dell’ideologia fascista, non si fa nulla per sciogliere queste organizzazioni, anzi. La NATO in Italia ha fornito
l ‘esplosivo per alcune cosiddette stragi di stato ad organizzazioni neofasciste (notizia apparsa sui quotidiani di un anno fa, senza che ci sia stata alcuna reazione da parte di partiti politici che si dichiarano democratici). Cosa si nasconde dietro questa tolleranza verso il neofascismo? Venti di guerra?
 
R: Non la vedo così. I neofascisti sono stati usati in Italia mezzo secolo fa per indebolire il PCI, ma la missione è stata compiuta. Oggi la principale tolleranza dei fascisti è in Ucraina, perché il loro odio patologico per la Russia è utile agli Stati Uniti. Ma questo non implica il sostegno ai fascisti altrove. Sono come i terroristi islamici, che possono essere usati in Siria contro il governo siriano ma osteggiati in altre circostanze. L'attuale atteggiamento ideologico dell'establishment USA/NATO è di sinistra, antirazzista, per l'"inclusione", decisamente antifascista. Ma la loro pratica è sempre più autoritaria, mettendo a tacere il dissenso - anche quello di destra - per imporre l'autoritarismo centrista.
 
D: In Italia e penso in molti paesi europei la NATO sembra essere diventata più importante, più influente, dello stesso governo statunitense. In effetti i costi di questa organizzazione che si definisce difensiva ma in realtà è di gran lunga offensiva, sono talmente elevati da impressionare chiunque. Questo flusso di denaro alimenta l’industria bellica e incentiva le guerre. I governi USA ne sono coinvolti ma anche succubi?
 
R: L'intero establishment politico statunitense lavora per l'industria bellica. Ogni distretto congressuale, ogni università, trae profitto dai contratti del Pentagono. La NATO obbliga i Paesi europei ad acquistare armi statunitensi - o a produrle, con gli investitori americani che si dividono i profitti. Il principale produttore di armi tedesco, Rheinmetall, è in gran parte di proprietà di azionisti americani, tra cui la gigantesca Blackrock, che è anche fortemente investita in banche tedesche. Da quando sono state stabilite le regole del Piano Marshall, il capitalismo statunitense ha acquisito un'influenza decisiva nell'economia dei suoi satelliti europei. 
 
D: Suo padre è stato un personaggio importante. Quali sono stati suoi insegnamenti?
 
R: Sono stata molto influenzata dallo sforzo di mio padre di capire il mondo, di essere giusto e ragionevole, qualità che ritengo debbano essere prerequisiti per le relazioni internazionali. Non ha mai pensato in termini di "nemici", come è comune a Washington, e sebbene fosse spesso solo nel suo giudizio durante la Guerra Fredda, era rispettato da coloro che non erano d'accordo con lui. Mi duole dire che negli ultimi decenni, la presa di potere dell'establishment della politica estera da parte dei Neocons ha epurato uomini con le qualità di mio padre da tutte le posizioni di responsabilità e gli uomini saggi sono emarginati.
 
D: Noam Chomsky a suo tempo l’ha difesa. Che ne pensa del suo pensiero sulla guerra in Ucraina?
 
R: Chomsky ha firmato una petizione per difendermi dagli attacchi svedesi. La petizione era stata avviata da Edward S. Herman, suo coautore di Manufacturing Consent. Per questo, Chomsky è stato successivamente attaccato dal quotidiano britannico The Guardian. La guerra del Kosovo è stato il primo grande caso di totale conformismo mediatico a sostegno di una guerra aggressiva illegale e non provocata in nome dei "diritti umani". Conosco Noam da molto tempo e non siamo sempre d'accordo su tutto (ad esempio sulla Libia), ma per quanto ne so, la nostra analisi della guerra in Ucraina è la stessa, basata sui fatti della manipolazione da parte degli Stati Uniti e della NATO dell'ultranazionalismo ucraino per minacciare e provocare la Russia.