ARCHIVIATE TUTTE LE DENUNCIE


Riceviamo dallo studio dell'Avvocato Mattina e trasmettiamo alla lista,
per la conoscenza di tutti:

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Il Gruppo Giustizia del Partito della Rifondazione Comunista, con l'apporto
anche di altri compagni, ha denunciato il Governo Italiano per i delitti di
cui agli artt. 422 e 287, quest'ultimo in relazione agli artt. 78 e 87 Cost..

La denuncia è stata presentata il 18/05/1999 alla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Roma (prot. deleghe n. 3863). Il Procuratore dr.
Vecchione, solo in data 01 luglio 1999, in spregio del termine di 15 gg.
fissato dall'art. 7 L. Cost. 16/01/89 n. 1, ha trasmesso la denuncia,
unitamente alla sua richiesta al Collegio per i reati ministeriali senza
darne avviso ai denuncianti, quali parti interessate, ancora una volta in
spregio dell'art. 6, 6 co legge citata.

In realtà lo sciatto provvedimento del dr. Vecchione è costituito da
una motivazione di poche righe. La prima parte per giustificare (si fa per
dire) l'omessa comunicazione ai denuncianti, l'altra destinata a spiegare (si
fa sempre per dire) che la denuncia è infondata, anche se non si conclude
con una esplicita richiesta di archiviazione.

Il Collegio per i reati ministeriali, con provvedimento in data 26/10/1999
ha archiviato la denuncia con una motivazione scorretta da un punto di vista
giuridico e contenente affermazioni storicamente non corrispondenti al vero.

Il Procuratore della Repubblica di Roma, unitamente a quella da noi
presentata, ha trasmesso al Collegio per i reati ministeriali, anche molte
altre denunce, come ho saputo invia informale e come è dato evincere
dall'epigrafe dove viene citato, oltre i reati da noi ipotizzati, anche altra
ipotesi di reato.

Non mi è stato possibile avere l'elenco degli altri documenti per il
rifiuto della Cancelleria di fornirmi tale elenco. Invio quindi questa nota,
oltre che ai compagni che mi risulta per certo aver presentato a loro volta
denuncia per la guerra contro la Repubblica Federale Jugoslava, anche a tutti
gli altri, singoli compagni ovvero organizzazioni, interessati al problema,
nonché ai quotidiani comunisti "Liberazione" ed "Il Manifesto".

Scopo della presente nota è quello di sollecitare tutti i compagni che lo
riterranno opportuno, a prendere contatto con me per fissare una riunione per
discutere delle iniziative da prendere a fronte del provvedimento del Collegio
e in genere per gli interventi del tipo di quello del Kossovo, praticati in
disdegno del diritto interno e di quello internazionale.
(...)

avv. Giuseppe Mattina

per contatti: <simmassa@...>


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Allegati: richiesta di archiviazione - P.M. Roma;
decreto di archiviazione Collegio per i reati ministeriali.

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R.G. Coll. n. 17/99
R.G. P.M. n. 9521/99

COLLEGIO PER I REATI M1NISTERIALI
presso IL TRIBUNALE DI ROMA
Via Triboniano, n. 3

Il Collegio, composto dai Sig.ri magistrati:
dott. Costantino Fucci Presidente,
dott. Fausto Basile Giudice,
dott. Massimo Di Marziantonio Giudice,
ha pronunciato il seguente

DECRETO

nei confronti di D'Alema Massimo, nato a Roma, il 20.4.1949, indagato dei
reati di cui agli artt. 283, 287, 422 c.p., nella sua qualità di
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il procedimento penale trae origine da una serie di denunzie sporte presso
diverse Procure della Repubblica da singoli cittadini o da gruppi (o enti),
trasmesse poi alla Procura della Repubblica di Roma per competenza.
Tali scritti - variamente articolati nel contenuto, nell' indicazione di
fattispecie penalmente rilevanti e dei pretesi autori dei reati (di volta in
volta individuati nel Presidente del Consiglio dei Ministri, in quest'ultimo
in concorso con il Presidente della Repubblica, in alcuni dei Ministri, nella
totalità dei componenti del Governo ) - muovono dall'assunto
dell'illegittimità costituzionale della scelta del Governo della
Repubblica di partecipare ai ripetuti attacchi aerei organizzati da alcuni
Paesi della NATO ai danni della Repubblica Federale di Iugoslavia, nella
primavera del 1999.
L'illegittimità dell'operato governativo si pone, secondo i denunzianti,
innanzi tutto in relazione all'art. 11, 1° e 2° comma, Cost..
Invero, gli attacchi aerei (tanto quelli intrapresi direttamente da velivoli
italiani, quanto quelli intrapresi dai velivoli di altri Paesi della NATO, ma
comunque attribuibili in concorso al Governo italiano per la comune
preordinazione e per l'imprescindibile partecipazione, consistita nella messa
a disposizione delle basi di terra e degli spazi aerei nazionali)
concretano atti di guerra offensiva, pur se motivati con il preteso intento
di indurre il Governo iugoslavo al rispetto dei diritti civili e politici
della popolazione di etnia albanese della provincia del Kosovo.
L'operazione bellica, pertanto, non è giustificata dal trattato NATO,
anzi è stata compiuta in diretta violazione dello stesso, che prevede
l'obbligo degli Stati aderenti di muovere guerra soltanto in caso di
aggressione ad opera di un Paese terzo ai danni di un Paese aderente.
Per di più, pur essendo necessaria l'unanime deliberazione dei Paesi
alleati, nel caso di specie le operazioni militari sono state intraprese
a seguito della decisione congiunta di alcuni soltanto di essi.
Inoltre, i denuncianti sostengono che sussiste l'illegittimità
costituzionale dell'operato governativo sotto il profilo della violazione
degli artt. 78 e 87 della Costituzione.
In base al combinato disposto di tali norme, lo stato di guerra deve essere
dichiarato dal Presidente della Repubblica, previa deliberazione delle Camere,
le quali conferiscono al Governo i poteri necessari.
Nella fattispecie concreta, invece, il Governo ha assunto illegittimamente
l'iniziativa bellica in assenza dei necessari presupposti.
Alla stregua di quanto esposto, i denuncianti chiedono che l'Autorità
giudiziaria proceda a carico dei responsabili per i reati di attentato alla
costituzione dello Stato, di usurpazione di potere politico e di strage.
Con atto del 1°luglio 1999 (pervenuto alla Cancelleria di questo Collegio
il successivo giorno 3) il Procuratore della Repubblica di Roma, senza
compiere alcuna indagine, ha chiesto l'archiviazione del procedimento
n. 9521/1999 del R.G.P. (al quale è stato riunito il (I procedimento
n. 2279/1999 dello stesso registro) nei confronti del D'Alema, per i reati a
lui attribuiti nella veste di Presidente del Consiglio dei Ministri.
In data 3 agosto 1999 sono pervenuti in Cancelleria gli atti del procedimento
iscritto nel R.G.N.R. n. 3767, sempre a carico del D'Alema, per i reati
indicati in epigrafe, in forza di varie denunzie raccolte da diverse Procure
della Repubblica e trasmesse "per competenza" alla locale Procura della
Repubblica.
Gli atti sono stati inviati a questo Collegio dal Procuratore "per unione"
a quelli del procedimento penale n. 9521/1 999 R.
Altre denunce di analogo contenuto sono state trasmesse a questo ufficio,
sempre "per unione" a quest'ultimo procedimento, in data 14.10.1999.
La richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero poggia sulla
considerazione che le denunce sono manifestamente infondate non soltanto in
fatto, ma anche in punto di giurisdizione.
Osserva il Collegio - conformemente alla richiesta di archiviazione, da
intendersi riferita a tutti gli esposti e le denunce riuniti nel presente
procedimento - che a carico del D'Alema non si ravvisano gli estremi dei
reati a lui contestati, previsti dagli artt. 283 (attentato contro la
costituzione dello Stato), 287 (usurpazione di un potere politico o militare)
e 422 c.p. (strage).

In ordine alle prime due ipotesi di reato, va rilevato quanto segue.

Risulta dal tenore di alcune delle denunce depositate e dai documenti ad esse
allegati che il Presidente del Consiglio pro tempore ha sottoposto al
preventivo controllo del Parlamento (a mezzo di pubblico dibattito, concluso
con rituali dichiarazioni di voto) la deliberazione dell'intervento in Kosovo.
L'intervento - sia pure ideato e qualificato, alla stregua della esposizione
svolta dal Presidente del Consiglio dinanzi alle Assemblee, come volto alla
realizzazione dello scopo umanitario della preservazione dell'incolumità
e delle fondamentali libertà civili e politiche della popolazione di etnia
albanese del Kosovo - non poteva non comportare l'ingresso di forze militari
alleate (nell'ambito dell'organizzazione NATO) nel territorio della predetta
regione e, cioè, nello spazio di sovranità della Repubblica Federale
Iugoslava ed altresì l'impiego delle Forze Armate della Repubblica (anche
eventualmente delle sole strutture logistiche) in una prospettiva di guerra
offensiva.
L'intervento, del resto, tanto in corso di esecuzione quanto una volta
concluso, non è stato mai censurato dalle Camere nelle sue concrete e
storiche modalità di attuazione. Sicché, al di là della mancata
autorizzazione formale dello stato di guerra da parte del Parlamento, la
ratio della norma dell'art. 78 della Costituzione (secondo la quale "le
Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri
necessari") è stata sostanzialmente rispettata.
Invero, è stata realizzata la finalità di fare interloquire il
Parlamento, con pronunzia evidentemente vincolante, nel procedimento attivato
dall'iniziativa del Governo di intraprendere operazioni militari contro uno
Stato estero.
Quanto al mancato esercizio da parte del Capo dello Stato del potere di
dichiarare lo stato di guerra deliberato dalle Camere - ai sensi dell'art. 87,
nono comma, della Costituzione -, tale omissione non comporta alcun
sovvertimento o radicale deroga all'equilibrio dei poteri di governo delineati
dalla Carta fondamentale sul punto relativo alla giusta vigenza dello stato
bellico.
Da quanto precede, discende che nella condotta del Governo non si ravvisa
alcun vulnus alla forma di governo delineata dalla Costituzione.
Irrilevante è, inoltre, la questione della pretesa violazione dell'art. 11.
della Costituzione e delle fonti di diritto internazionale da tale norma
richiamate, la quale potrebbe in ipotesi dare luogo soltanto ad una
responsabilità politica del Governo e dello Stato italiano nell'ambito
dell'ordinamento internazionale.
Ciò premesso, non può non ulteriormente rilevarsi l'assoluta
estraneità della fattispecie in esame alle previsioni degli artt. 283 e
287 c.p..
La prima ipotesi di reato va radicalmente esclusa, mancando fatti o atti
oggettivamente in grado di mutare la Costituzione o la forma di governo della
Repubblica ed, in ogni caso, la cosciente volontà del Presidente del
Consiglio di realizzare un tale evento.
Da ciò consegue che l'azione del medesimo non è punibile, né sotto
il profilo oggettivo, né sotto quello soggettivo.
La ricorrenza della seconda fattispecie è da escludersi spettando al
Governo, a termini di Costituzione, il potere di impulso e di iniziativa
circa l'inizio delle operazioni belliche, sicché nessun potere spettante
ad altro organo costituzionale è stato illecitamente esercitato.
Difetta, pertanto, nella specie l'elemento materiale del reato, costituito
dalla arbitraria invasione della sfera giuridica di altro Potere dello Stato.
Parimenti, non sussiste il reato di strage, essendo tale fattispecie non
ipotizzabile neppure in astratto data la sua incompatibilità con il
carattere bellico delle operazioni militari.
Quanto detto, vale ad escludere anche la responsabilità penale dei singoli
Ministri in ordine ai fatti di cui è processo.
Va, infine, affermata l'assoluta infondatezza delle prospettate ipotesi di
reato previste dall'ordinamento internazionale, in quanto non sono stati
allegati comportamenti, penalmente rilevanti, direttamente attribuibili al
Presidente del Consiglio ed ai Ministri.

In conclusione, poiché i fatti contestati non sono previsti dalla legge
come reato e, per alcune ipotesi di reato, le accuse sono manifestamente
infondate, va emessa pronuncia di non doversi promuovere l'azione penale nei
confronti di D'Alema Massimo e, conseguentemente, va disposta l'archiviazione
del procedimento, in conformità alla richiesta del Pubblico Ministero.
P.Q.M.
Visto l'art. 8 della Legge Costituzionale del 16 gennaio 1989, n. 1,

DISPONE

l'archiviazione del procedimento nei confronti di D'Alema Massimo ed ordina
trasmettersi gli atti all'archivio.
Manda alla Cancelleria per la trasmissione di copia del presente provvedimento
al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma perché ne dia
comunicazione al Presidente della Camera competente ai sensi dell'art. 8,
comma IV della stessa legge.

Roma, 26 ottobre 1999
I Giudici
Il Presidente
Dott. Fausto Basile
Dott. Fucci Costantino
Dr. Massimo Di Marziantonio
Il dr. Di Cancelleria
Livia Salmeri
depositato in Cancelleria il 26/10/99







PROCURA DELLA REPUBBLICA

Presso il Tribunale di Roma
ooOoo
n. 9521/99R
IL PUBBLICO MINISTERO
osserva:


1. Gli esposti-denuncia si presentano oggettivamente generici e
apodittici e come tali inidonei alla attribuzione di responsabilità
personali per le affermate ipotesi - tra le altre previste - dagli artt.
283, 287, 422c.p. sia nei confronti del Presidente del Consiglio protempore,
sia nei confronti di altri componenti del Governo.

2. I fatti oggetto di doglianza presentano connotati che non possono
essere ricondotti alla giurisdizione della magistratura ordinaria: essi,
infatti, sono riferibili a interessi politici essenziali dello Stato e a
scelte di valenza squisitamente costituzionale eseguite per effetto di
impegni assunti nell'ambito di organismi internazionali (sicchè l'A.G.O.
verrebbe a compiere valutazioni sui contenuti di impegni e obblighi
conseguenti a trattati internazionali; così travalicando, paradossalmente,
addirittura il principio di sovranità).

Si ritiene, quindi, che le denunce siano manifestamente infondate non solo
in fatto ma anche in punto di giurisdizione.

00000000



Si ritiene di omettere la comunicazione di cui aIl'art. 6 cpv. L.1/89
agli esponenti, non rivestendo essi la qualità di soggetti interessati".
E' evidente, invero, che questi ultimi non possono essere individuati con i
soggetti che siano meri "esponenti" o "denunzianti" (in tal caso ogni
cittadino sarebbe portatore di siffatto "interesse"). In realtà la
categoria indicata dalla L. 1/89 cit. non può che essere ricondotta ai
concetti del diritto processuale ordinario e in particolare alla norma
dell'art. 408/2 c.p.p.; sicché il denunciante (o l'esponente) deve essere
portatore di un interesse specifico qual' è quello della "persona offesa"
e/o del soggetto passivo del reato. Qualità che nel caso in questione è
palesemente insussistente.


Roma, 1lugllio 1999


IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA

Salvatore Vecchione