(francais / english / italiano)

Dissidenza intellettuale in Occidente: il caso Handke

1) Austrian writer Peter Handke in Kosovo
HANDKE IN KOSOVO, TESTIMONE DELL'APARTHEID INSTAURATO DALLA N.A.T.O.

2) Peter Handke est interdit de Comédie-Française
LE OPERE DI HANDKE SOTTOPOSTE A CENSURA IN FRANCIA

3) FLASHBACK: PETER HANDKE SULLA DISTRUZIONE DELLA JUGOSLAVIA E GLI
"INTELLETTUALI DI SERVIZIO" (1997)


=== 1 ===

http://www.blic.co.yu/danas/broj/E-Index.htm#9

Blic (Serbia and Montenegro) - April 28, 2006

Austrian writer Peter Handke in Kosovo
"This is a universe of pain"

Standing on the side of justice, as he said, and
always with the victims, Austrian writer Peter Handke
visited Kosovo several days ago.
Standing at burnt homes of the Nikolices, Kostices,
Bozanices and Bandices in the villages of Retimlje and
Opterusa near Orahovac, Handke said: 'These are
universes of pain. I do not have the right to speak. I
shall keep silent, I have to keep silent. Thank you
for making it possible for me to see this horror
personally. This is not the 21st century'.
Together with a group of domestic and foreign writers,
Handke visited the most jeopardized locations in
Kosovo under patronage of the Coordination Center.
'He was speechless but he promised to tell in his way
the horror that Kosovo Serbs are exposed to', the
organizer of the visit Ranko Djinovic said.
'Feeling terrible that a mother cannot find her son's
grave in a destroyed cemetery in Retimlje, Hendke
defended a Serb woman who at that moment was verbally
attacked by Albanians.
'He managed to get from Austrian KFOR commander a
helicopter escort in continuation of the visit but was
astonished to witness the stoning of the convoy in
downtown Decani in spite of an escort and a minute
later while approaching the Monastery of Visoki
Decani', Djinovic said.
Handke left yesterday but promised to return soon with
a far larger number of writers having world reputation
in spite of the threats he received 'in order to awake
the world that has fallen asleep'.


=== 2 ===

Peter Handke est interdit de Comédie-Française

http://www.lemonde.fr/web/article/
0,1-0@2-3246,36-765951@51-765912,0.html

Peter Handke ne sera pas joué à la Comédie-Française. Sa pièce Voyage
au pays sonore ou l'art de la question, qui devait être créée du 17
janvier au 24 février 2007 au Théâtre du Vieux-Colombier, dans une
mise en scène de Bruno Bayen, a été retirée de la programmation à
quelques jours de l'annonce de la saison 2005-2006, prévue le 4 mai.

C'est Marcel Bozonnet, l'administrateur général de la Maison, qui a
pris la décision, après avoir lu dans Le Nouvel Observateur du 6
avril un article faisant état de la visite de l'écrivain autrichien
en Serbie. Le 18 mars, Handke a assisté à l'enterrement de Slobodan
Milosevic, l'ex-président de la Serbie, mort le 11 mars au cours de
son procès pour génocide et crimes de guerre devant le Tribunal pénal
international de La Haye.

"Je suis heureux d'être près de Slobodan Milosevic, qui a défendu son
peuple", aurait déclaré Peter Handke selon Le Nouvel Observateur, qui
précise que l'écrivain a réitéré ses prises de position pro-serbes,
et est apparu "brandissant le drapeau serbe, se pressant pour toucher
le corbillard et y déposer une rose rouge".

"UN OUTRAGE AUX VICTIMES"

"C'est vrai que mon sang n'a fait qu'un tour quand j'ai lu cet
article", déclare Marcel Bozonnet. "J'ai décidé d'en discuter avec le
comité d'administration de la Comédie-Française et les comédiens qui
devaient jouer la pièce de Handke. Le théâtre est une tribune, son
effet est plus large que l'audience de la seule représentation. Même
si la pièce de Handke ne fait pas œuvre de propagande, elle offre à
l'auteur une visibilité publique. Je n'avais pas envie de la lui
donner."

Marcel Bozonnet, qui précise que certains défendaient le maintien de
la pièce à l'affiche, ajoute qu'il a pris sa décision parce que "la
présence de Peter Handke aux obsèques de Milosevic est un outrage aux
victimes". Reste que les positions pro-serbes de Peter Handke sont
connues depuis longtemps. Pourquoi donc retirer maintenant une pièce
jugée "très belle", et annuler une production prévue de longue date ?
A cela, l'administrateur général de la Comédie-Française répond : "Je
comprends la position de ceux qui distinguent l'œuvre de son auteur.
Mais pour l'instant, je n'arrive pas à m'y résoudre."

Brigitte Salino

SOURCE : http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages
Liste gérée par des membres du Comité de Surveillance OTAN.


=== 3 ===

INTERVISTA A PETER HANDKE

effettuata dal giornalista televisivo tedesco Martin Lettmayer nel
gennaio 1997 e trascritta in inglese sul sito del Congresso
dell'Unità Serba. Le note tra parentesi quadre sono del traduttore J.
Peter Maher, a meno di altra indicazione.


Oggi, molte settimane dopo l'apparizione del suo libro, come si sente?

Come mi sento? Bene, sono contento di averlo scritto. Naturalmente
sono grato al mio editore che lo ha pubblicato, dopo che ha riscosso
tanta attenzione sui quotidiani.



E' stato pubblicato per questo o nonostante questo?

No, si era già deciso che questa storia sulla Serbia sarebbe uscita
un paio di settimane dopo il pezzo sulla Suddeutsche Zeitung.



L'idea di scrivere un libro e' nata insieme alla sua decisione di
intraprendere il viaggio?

Il viaggio volevo farlo comunque. Durante il viaggio, come ho
sottolineato altrove, non ho preso appunti su quanto vedevo in
Serbia. E' stato durante il viaggio di ritorno, lasciata la Serbia,
mentre guidavo attraverso l'Ungheria verso Ovest, attraverso
l'Austria e la Germania, che gradualmente mi sono reso conto del
contrasto tra i vari paesi, ed ho sentito che bisognava scrivere
qualcosa sulla Serbia. In questi anni non mi era mai accaduto. Cosi',
l'idea del libro mi e' venuta durante il viaggio di ritorno.



Qual e' stato il fattore decisivo?

Come ho detto, tutte le storie che ho letto riguardanti la guerra
sono state scritte come di fronte ad uno specchio. Io volevo arrivare
al di la' dello specchio. Non si e' mai scritto niente sulla Serbia
in quanto paese [durante la guerra]. Un'unica volta ho trovato
qualche cosa su Belgrado, ma sempre frammista ad una marea di cliché:
"e' tutto grigio, nessuno vuole parlare, l'opposizione e' debole, i
feriti di guerra non hanno modo di ritornare a casa", ecc. ecc. Ogni
reportage era lo stesso, e sempre Belgrado...Pensai che mi sarebbe
piaciuto andare in Serbia, ma fuori, in campagna. Volevo farlo,
dovevo andare nella Bosnia martoriata dalla guerra, ma non come la
gran parte dei giornalisti. Loro arrivavano sempre da Ovest. Io
volevo arrivare in Bosnia dalla parte opposta, dall'Est, attraverso
la Serbia e passando la Drina, il fiume che segna il confine con la
Bosnia. Ecco il mio piano di viaggio. Nessuno lo aveva fatto in tutti
e cinque Gli anni di guerra.



Si sentiva adirato... per questi reportage dei media?

Si. All'inizio credevo ai reportage, ma sentivo che non c'era
equilibrio. Continuavo a sentire lo stesso giro di frasi, la stessa
contorsione grammaticale e nella scelta dei vocaboli... Sentivo che o
non poteva essere, oppure, se e', allora ognuno - che sia giornalista
o scrittore - almeno ha il dovere di considerare l'altra parte senza
fare un processo.



Una volta un giornalista ha scritto: "se osservi dalla torre
d'avorio, allora e' tutto uguale".

Beh, per me non e' tutto uguale, perche' io da sempre mi sento vicino
alla Jugoslavia, e' stato cosi' per tutta la mia vita, a cominciare
dai miei avi, che erano slavi, della Slovenia, o meglio della
minoranza slovena che si trova in Carinzia, da parte di mia madre. In
secondo luogo, per me la Jugoslavia era l'Europa. Io ci andavo, anche
a piedi, non solo in autobus o in macchina o in aereoplano. La
Jugoslavia, per quanto frammentata sia potuta essere, era il modello
per l'Europa del futuro. Non l'Europa come e' adesso, la nostra
Europa in un certo senso artificiale, con le sue zone di libero
scambio, ma un posto in cui nazionalita' diverse vivono mischiate
l'una con l'altra, specialmente come facevano i giovani in
Jugoslavia, anche dopo la morte di Tito. Ecco, penso che quella sia
l'Europa, per come io la vorrei. Percio', in me l'immagine
dell'Europa e' stata distrutta con la distruzione della Jugoslavia.



Questa immagine dell'Europa... multiculturale, multietnica... [confuso]?

Si, certo, cosi'. Ma non sopporto piu' la parola "multi-culturale".
E' stata una scusa disonesta per far nascere dal nulla uno stato
musulmano in Bosnia. Non posso accettarla, se la parola e' applicata
a Sarajevo. Se invece ci si riferisce alla vecchia Jugoslavia, dove
le nazionalita' vivevano insieme, l'una con l'altra, eppur
autonomamente, allora posso accettare le parole "multi-etnica" e
"multi-culturale" - non, tuttavia, se ci si riferisce alla Bosnia.
Per me creare uno Stato da quella che era una regione, una pura
unita' amministrativa - e questa era la Bosnia nella vecchia
Jugoslavia - e' stata una infamia. La Bosnia non aveva mai costituito
uno Stato sovrano. Per me, creare Stati autonomi in Slovenia, Croazia
e Bosnia-Erzegovina e' stato proprio come fabbricare delle menzogne
storiche. All'inizio credevo anch'io a tutto il discorso sulla
liberta' ed i suoi paladini, in lotta contro il "panzer"-comunismo
per la multietnicita'... All'inizio ci credevo. Ma adesso non credo
piu' ad una sola parola di tutto cio'.



Come spiega che gli sloveni ed i croati abbiano improvvisamente
voluto i loro Stati nazionali?

Era un momento opportuno. Io non sono un commentatore politico e non
lo saro' mai. Era un momento favorevole, dopo la morte di Tito, un
momento in cui ognuno ha potuto scapicollarsi ad afferrare quanto
piu' poteva per se' stesso.

E' stato scritto troppo poco su quello che ha fatto Hitler, insieme
con la Chiesa Cattolica, nei Balcani. Anche la Chiesa Cattolica e'
stata terribilmente dannosa in Croazia, a tutti gli effetti
fondamentalista e distruttiva - forse in misura solo un po' minore in
Slovenia. E sui crimini commessi in Croazia durante la Seconda Guerra
Mondiale dalla Chiesa Cattolica e dal nazismo, dal nazionalismo...
C'era il campo di concentramento di Jasenovac, dove sono stati
eliminati tra i seicentomila e gli ottocentomila serbi, ebrei, ed
anche musulmani. Questo ha portato alla rivalsa degli uomini di Tito
per i crimini del regime degli ustascia in Croazia e dei domobranci
in Slovenia. Ci sono state deportazioni, spesso ingiustificate, dalla
Croazia e dalla Slovenia verso tutta l'Europa, in Argentina, ed anche
in America.

Il terreno di coltura in cui si sono poste le basi per la distruzione
della Jugoslavia e' la Croazia, con la sua ignota storia nazi-
cattolica della Seconda Guerra Mondiale, ed anche prima. Noi europei,
e tutto il mondo attorno, sappiamo troppo poco di tutto questo. E
proprio mentre la storia degli ebrei prima e durante la Seconda
Guerra Mondiale viene esaminata e chiarita, come ho detto nel mio
libro, adesso e' necessario portare alla luce tutto quello che ha
fatto il fascismo durante la Seconda Guerra mondiale in Jugoslavia,
ed il suo Olocausto degli ebrei.



A piu' riprese sentiamo pronunciare la parola "Jasenovac". Questo per
i serbi e' un trauma. La guerra attuale, nonostante il lungo
intervallo di tempo intercorso, e' in fondo una continuazione di
quella di 40 anni fa?

Si, e' una metamorfosi, anzi: una metastasi, come si dice per il
cancro. E' una continuazione della Seconda Guerra Mondiale. E'
significativo che, mentre i Croati conquistavano l'area di Jasenovac
[di nuovo il primo maggio 1995, dopo le distruzioni del 1991;
n.d.crj], abbiano distrutto ogni monumento a chi li' fu ucciso. Il
campo di Jasenovac - in quanto monumento - e' stato distrutto di
nuovo quest'anno [1996]. E' significativo. Ecco che cosa mi ha
portato a scrivere.



Il suo libro non e' proprio politico, oppure si?

Che vuol dire "politico"? Il mio libro tratta dei problemi. Racconta
dei problemi, i problemi che ha un lettore di quotidiani a capire.
Parla dei problemi di un lettore di storia. Parla dei problemi di
visuale di uno che osserva una foto, i problemi di uno spettatore
televisivo. Parla inoltre dei problemi di come un lettore distante,
come me, come quasi tutti noi, come veda, come legga i reportage di
guerra. La critica e' rivolta alle strutture. Uno critica le forme
estetiche della tecnica di ripresa, della grammatica, dell'arte
dell'inviato di guerra. Al mio libro vengono rivolte critiche di
cecita' estetica. La politica e la poetica si fondono nel mio libro.



E' perche' lei afferma che tanto il politico quanto il poetico sono
presenti nella sua storia sulla Serbia.

Non c'e' contraddizione.



C'e' una frase nel suo libro: "Wilhelm, non farti instupidire dal tuo
afflato poetico verso il mondo".

Io ci ho messo tanto prima che il mio sentimento per il mondo
divenisse sentimento poetico, un sentimento delle piccole cose, un
sentire i "pars pro toto". Io credo che nei piccoli fenomeni si possa
intravedere un grande affresco. E' un metodo induttivo (...). Mi
piace partire dal fenomeno piccolo e vedere dove riesco ad arrivare.
Naturalmente voglio andare il piu' lontano possibile. Questo e' il
processo induttivo, o poetico.



Anche Peter Handke può essere tratto in inganno talvolta dal suo
senso poetico per il mondo? A questo ha pensato qualche volta, o no?

No, non posso esserlo. Se e' inganno allora e', come si dice, un
metodo del tipo 'prova e sbaglia': uno impara dai propri errori. Ecco
il mio atteggiamento di base quando scrivo delle cose del mondo.
Sbagliando mi rendo conto di cosa non andava. Non posso affermare in
anticipo che quello che scrivo e' la verita', ma facendo un errore
capisco come puo' essere la verita'. E' tutto qui il mio lavoro di
narratore.



C'e' un'altra frase: "Se solo la dimensione poetica e quella politica
potessero essere una ed una sola..." In questo libro lo sono solo
parzialmente?

Io penso che non siamo molto lontani da una sintesi ideale tra la
dimensione storica, quella politica e quella poetica, proprio come
tre percorsi separati che si riuniscono formando una specie di radura
dentro ad un bosco, il bosco della storia. Non sono molto lontano da
questo.



Cito ancora: "Quella sarebbe la fine della nostalgia, e la fine del
mondo". E lei ha detto da qualche parte di non sapere, dopo la
pubblicazione del libro, se non tornerà mai a scrivere qualcosa.

E' assurdo. Questo e' quello che hanno scritto di me solo come per
reagire al mio libro sulla Serbia. In primo luogo, vogliono reagire
proprio contro la mia impudenza per aver scritto questa storia. (...)
[Qui inizia un lungo scambio di battute di argomento letterario che
poco hanno a che vedere con il problema della Serbia]



Lei ha affermato che l'osservazione vale di piu' dell'immaginazione
quando si scrive.

Per quanto riguarda i libri, in altre parole la letteratura - in una
parola, la scrittura - io non sono un amante del fantastico. A questo
riguardo uno scrittore svizzero, Ludwig Hohl, ha detto che la
fantasia e' una evocazione degli oggetti che ti sono di fronte, come
un tavolo, una pietra, l'occhio di un'altra persona. Tutto questo
acquista significato e senso improvvisamente. (...)



Immagino che il suo libro ha provocato una tale opposizione in
Germania ed in Austria soprattutto perche' mette in discussione due
dogmi assolutamente essenziali della politica occidentale. Il primo
e' la questione dell'aggressore: esiste un aggressore?

Non per come e' stato rappresentato. Ecco ripresentarsi il problema
dell'autorita'. La "Repubblica di Croazia" [come ex-unita'
amministrativa della SFRJ] diventa uno Stato. Di essa e' stato
arbitrariamente fatto uno Stato sovrano con poteri costituzionali, ma
questo su di un territorio abitato da 600mila persone di un'altra
nazionalita'. Prima della Seconda Guerra Mondiale, prima del regime
ustasha di Pavelic', li' abitavano un milione di serbi. Persino
adesso [all'inizio della guerra] in Croazia vivevano circa 400mila
serbi. Almeno un quinto della popolazione apparteneva ad un'altra
nazione. Sotto la costituzione croata questi sono diventati cittadini
di seconda classe, una minoranza. Si era ritenuto che questi fossero
d'accordo ad essere trattati come cittadini di seconda classe. Ecco
la questione che ho sollevato nel mio libro: come si puo' creare uno
Stato laddove esiste una minoranza cosi' forte, considerevole,
appartenente ad un'altra nazionalita'? Non si puo' considerare
un'aggressione questa? Non puo' uno difendere la sua nazione di
fronte a cio'? Non c'e' modo di confutare il fatto che questa e'
un'aggressione contro l'altra nazionalita' [da parte del nuovo Stato].



Ma tutto questo non e' un po' troppo in bianco-e-nero, come i bambini
che strillano "hai cominciato tu, hai cominciato tu!"?

Questo e' proprio quanto affermo nel mio libro. Posso difendere me
stesso in base a quanto ho scritto. Naturalmente io ho le mie
opinioni e le mie convinzioni, ma quello che ho scritto non ha niente
a che fare con esse: ha a che fare esclusivamente con questioni
basilari. La mia espressione migliore per questo e' la seguente: si
tratta di raccontare una storia, per come essa e', come ho fatto
sempre nella mia letteratura sin da quando cominciai a scrivere. Non
ho mai lasciato trapelare le mie opinioni. Ecco perche' trovo
incredibile questa esplosione di odio ed astio contro il mio
libricino, soprattutto in Germania.



Lei sarebbe disposto ad "allungare il collo" tanto da affermare che
gli aggressori non si sa chi siano, ma certamente non sono i serbi?

Non sono loro gli aggressori. E' precisamente cosi'. Le cose possono
e devono essere viste diversamente. E' quello che chiedo nel mio libro.



Il secondo dogma: lei riflette su Srebrenica e si pone degli
interrogativi su questo [seconda cassetta] (...)

Come per Srebrenica, dove il massacro e' stato commesso subito prima
della fine, nel giugno-luglio 1995, io mi chiedo: "perche' [sarebbe
successo]?". Per fini argomentativi, diciamo ch'io non mettero' in
dubbio i fatti nemmeno per un attimo. Non sono competente per dare
giudizi... Ma gli altri dovrebbero avere dei dubbi sui fatti, visto
che la storia del massacro e' stata rivenduta per cinque volte su
tutta la stampa mondiale. Finora nessuno ha provato che siano state
ammazzate tra le tre e le ottomila persone. Non e' stato provato. -
Pero', chiedo io, se dopo tre anni di spargimento di sangue e' potuta
accadere una cosa del genere, perche'. Come si e' potuto verificare
li' un massacro di 3-8mila uomini musulmani. Perche' questo? E
perche' si leggono di nuovo e di nuovo interventi su quel fatto? Dal
giugno 1995 la storia del massacro e' stata riciclata quattro o
cinque o sei volte nella stampa mondiale. Nell'autunno ci sono state
delle copertine sul Time, sul Nouvel Observateur, sullo Spiegel e
cosi' via. Di nuovo e di nuovo, in primavera, in autunno... Vengono
mostrate fotografie aeree di zone dove, si dice, sarebbero situate
delle fosse comuni. Da una fotografia satellitare ricavano che un
bulldozer avrebbe dilaniato i cadaveri. Ma anche assumendo, a soli
fini argomentativi, che tutto questo sia accaduto, perche', chiedo
io, dopo tre anni, mentre tutti erano cosi' stanchi di ammazzare,
sarebbe dovuta o potuta accadere una cosa del genere? Io mi chiedo
perche' il generale Mladic' avrebbe potuto far saltare in aria tutta
quella gente. Ecco cosa mi chiedo. Sarebbe bene che uno storico, od
un giornalista, sollevasse questa questione - perche'?



Qui ho ascoltato due cose, il "perche'?" e ...

Quel "perche'" sta nel mio libro. Io chiedo "perche'?".



Ha una risposta?...

Alcuni serbi della regione mi hanno detto - ed io non so se questo
corrisponde a verita', mi limito a riferire quanto mi hanno detto -
mi hanno detto che i villaggi attorno a Srebrenica furono attaccati
dai musulmani. Srebrenica e' una cittadina piccola, di modeste
dimensioni, abitata da musulmani. I villaggi rurali che la circondano
sono serbi. Laggiu', da tempo immemorabile, le citta' sono musulmane
ed i villaggi di campagna sono serbi. All'inizio della guerra,
contadini serbi furono fatti a pezzi da musulmani. La guerra e' stata
una guerra delle citta' contro la campagna. Il comandante musulmano
di Srebrenica era particolarmente portato a distruggere. Prima della
caduta dell'enclave questo comandante di Srebrenica, uno dei pochi
musulmani sospettati di crimini di guerra, [Nasir] Oric, fu
trasferito a Tuzla dal Comando Generale bosniaco-musulmano una
settimana prima della caduta della citta'. Nel frattempo costui ha
aperto una discoteca a Tuzla. Bisogna chiedersi se questo tizio non
sia uno dei profittatori di guerra.

Personalmente non ho informazioni dirette di prima mano, ma i miei
amici serbi mi dicono che il massacro, se ha avuto luogo, e' stato
per rivalsa per tutti i villaggi serbi attorno a Srebrenica,
distrutti [dai musulmani] in tre anni di guerra. E' stata una rivalsa
per le distruzioni e gli annientamenti, e sicuramente per i massacri
attuati a danno dei serbi attorno a Sarajevo. Questo e' cio' che mi
e' stato raccontato.



E non la preoccupa il fatto ... [incomprensibile]

Per lo meno quella e' una spiegazione, una spiegazione che non ho mai
visto dare sulla stampa occidentale. Ho anche sentito che molti
soldati musulmani che scappavano da Srebrenica non cercavano rifugio
ad ovest, nella loro Bosnia musulmana, ma nel paese del nemico, al di
la' della Drina, all'est... Cercavano la loro salvezza nella
madrepatria dei serbi. Hanno attraversato la Drina su zattere e
simili. Hanno attraversato la Drina verso est e tanti di loro li'
sono stati internati in campi di concentramento, dove certamente non
venivano trattati bene, eppure sono sopravvissuti. Ora, bisogna che
si chiarisca a quanti dei soldati musulmani in ritirata e' stata
garantita la liberta' di transito. Pare chiaro che qualcuno ha
attraversato la Drina per andare in Serbia e qualcun altro ha cercato
di muoversi a nord-est di Srebrenica, per raggiungere il cuore della
Bosnia musulmana. Io vorrei sapere quanti sono stati e che cosa e'
realmente successo loro.



E la disturbano le speculazioni su questa sofferenza?

Mi preoccupano molto.



E la preoccupa la manipolazione...

Inizialmente non la vedevo in questa maniera. Come molti altri
ritenevo che l'esercito dei serbi di Bosnia fosse un manipolo di meri
assassini. Questo pensavo. Stazionando sulle alture strategiche
attorno a Sarajevo, pensavo, questi potevano proprio giocare con la
citta' di Sarajevo. Era tremendo. Di nuovo e di nuovo un bambino
colpito a morte sulla strada. Vedevi le foto, e sembrava giustificato
il paragone con i peggiori crimini di questo secolo. Nel frattempo ho
cambiato opinione.

Hans Koschnick, amministratore della citta' di Mostar, ha detto bene
quando ha affermato che la creazione di una Bosnia-Erzegovina
dominata dai musulmani e dalla quale i serbi erano esclusi comportava
un terribile vuoto di potere. Perche' la Bosnia e' un paese
montagnoso, fatto di villaggi isolati che si susseguono. Qualcuno
come Karadzic, o persino uno come il generale Mladic, non potrebbe
assolutamente esercitare il potere dappertutto. Percio' abbiamo
creato a tutti gli effetti un sistema di bande, proprio secondo il
vecchio stereotipo balcanico, che non e' completamente errato. Ma
questa idea del vuoto di potere, laddove la forza bruta riempie il
vuoto, e' solo una spiegazione. Tutti noi cerchiamo spiegazioni - e
questa non mi sembra del tutto errata.



Nel suo libro si legge: "Quasi tutti ritengono che la Jugoslavia non
risorgera' per i prossimi cento anni." Risorgera' o no?

Credo che non possa essere altrimenti. Risorgera'. E' l'unica cosa
sensata. Guardiamo l'economia, la geografia - i fiumi, le catene
montuose. La storia comune dopo il 1918 non e' stata poi cosi'
malvagia. C'e' stato il Regno di Jugoslavia, c'e' stata la Jugoslavia
comunista dei partigiani di Tito.

Con il 1980 il comunismo finisce. Per me quello e' stato un fatto dal
sapore quasi religioso. A differenza di molti Stati europei, la
Jugoslavia era un modello per tutta l'Europa. Essa non puo' restare
spezzettata, a dispetto di questi poteri occulti, come la Chiesa
Cattolica. La Chiesa Cattolica ha un potere incredibile - io stesso
sono cattolico e tale voglio restare per tutta la vita. - Ma nei
Balcani la Chiesa Cattolica pratica le conversioni. Questa e'
l'essenza della Chiesa Cattolica, il proselitismo: qualcosa che la
Chiesa serbo-ortodossa non ha mai fatto. A parte le uccisioni a danno
dei serbi, durante la seconda Guerra mondiale ci sono state
ripetutamente conversioni forzate, violente di Serbi da parte dei
cattolici. In molte epoche della storia la Chiesa e' stata accusata
di questo. Cosi', finché ci sara' il nazionalismo ed una chiesa
militante, non si potra' far rinascere la Jugoslavia.



Quali sono le cose che l'hanno colpita in particolare?

Ho chiesto qualcosa sulla leggenda del Memorandum dell'Accademia
Serba delle Scienze del 1986, come racconto nel mio libro. Si dice
che nel libro si sostiene che ovunque nel mondo abiti un serbo, li'
c'e' uno Stato serbo. Questo diventa poco a poco un mito del "back
stab" [pugnalata alla schiena] [come la "teoria della pugnalata"
relativa alla sconfitta tedesca nella seconda Guerra Mondiale, ndt].
Ma personalmente ritengo che questo Memorandum non sia nulla in
confronto con le molteplici attivita' dei desperados e degli agit-
prop croati, e forse anche rispetto a quelli della "diaspora" - in
Germania, America, Argentina, Italia, qualcuno di meno in Francia,
eppure anche li' -, forse anche in buona fede. E' un fenomeno molto
piu' massiccio e con caratteri di militanza. C'e' stato un vero
movimento per la Grande Croazia. Il Memorandum dell'Accademia Serba
delle Scienze del 1986, consistente di pochi paragrafi neanche ben
articolati, e' stato usato come un coltello affilato contro la gente
serba. Contemporaneamente io ho smesso di credere alle storielle
sulla "Grande Serbia". Eppure c'e' molta piu' evidenza dell'esistenza
di una ideologia della Grande Croazia che di quella della "Grande
Serbia". L'ideologia della Grande Croazia era e rimane un fatto.



Le persone generalmente hanno percezione del mondo attraverso i media
- televisione, giornali...

Anche io.



E cosi' tutti quelli che non vanno in loco

Ma anche se uno va in loco, ci va con gli interpreti, per cui io non
credo necessariamente nell'evidenza che uno trae solo dall'essere
stato in un posto. Molti giornalisti possono rimediare a questo
quando usano gli interpreti, ma e' molto raro che ci riescano. La
maggior parte dei giornalisti occidentali prendono un interprete che
parli inglese o tedesco. Dove lo prendono? Cosa gli racconta poi
quell'interprete? Dove li porta? Prima di tutto, i giornalisti di
solito non capiscono l'idioma locale. Non sanno leggere l'alfabeto
cirillico e non hanno la minima idea, per tacere poi di conoscenze
reali, su cosa fosse la Jugoslavia prima dello scoppio della guerra.
Vengono sempre portati dove sono le vittime o in base ad accordi, o
in base a notizie giornalistiche. Tutti sono stati a Sarajevo. Questo
ha sempre destato dei sospetti in me, a parte tutto.



Sente che sarebbe stato strumentalizzato, depistato, ingannato?

Molti giornalisti, della cui bravura non ho dubbi, sono stati
"nuetzliche Idioten" ["useful idiots", nelle parole di Lenin] nelle
mani dei due regimi che si sono dichiarati prime vittime, cioe'
quello croato e quello dei musulmani di Bosnia.



Lei personalmente che esperienza ha avuto dei serbi? Sono un popolo
intollerante, privo di interesse per le altre culture?

Questa e' una delle bugie peggiori e piu' mostruose. Quasi degna di
Goebbels. Cio' che si dice sul conto dei serbi e' falso. Io credo che
non si tratti solo della mia esperienza personale, ma di chiunque
abbia avuto a che fare con la cultura serba e con la gente serba. Se
c'e' un popolo nei Balcani aperto sia all'Est che all'Ovest, al Sud o
semplicemente che ha una qualche sensibilita' nei confronti del resto
del mondo, questo e' in Serbia, non certo in Croazia ne' in Slovenia.
Dov'e' che si possono trovare libri provenienti dal mondo intero,
oggi come ieri, pubblicati e tradotti? In Serbia. Molto di meno in
Croazia, ed ancor meno in Slovenia. La Serbia posso raccomandarla
entusiasticamente a chiunque si interroghi su come puo' essere un
paese. Un paese di fiumi, che altro puo' essere un paese situato
lontano dal mare? Naturalmente, la Serbia e' svantaggiata nella
visuale dei media se la confrontiamo con la Croazia - Dubrovnik,
Spalato, Zara... Ma a parte queste citta' incantevoli sull'Adriatico,
la Croazia e' un paese che si estende interamente all'interno, quasi
sconosciuto al viaggiatore o al turista... Ma la Serbia, direi, e' un
paese caldo... Nella sua storia la Serbia e' stata sempre tollerante.
Nella seconda Guerra Mondiale se c'era un paese che accettava gli
ebrei, che li proteggeva, che li ospitava nelle sue case, questo non
era la Croazia, ne' la Slovenia, ma la Serbia. La Serbia fu l'unico
paese filosemita nei Balcani, insieme alla Grecia - benche' la
Grecia, a voler essere precisi, non e' Balcani... Quello che e' stato
fatto al popolo serbo ed alle sue terre negli ultimi cinque anni e'
una enorme ingiustizia. E' una ingiustizia da urlare fino al cielo il
fatto che si sia paragonata la Serbia alla Germania nazista. Ma qual
era lo slogan durante la guerra civile spagnola? - no pasaran!, non
passeranno. Ecco, non potranno continuare cosi' per sempre.



Cosa pensa delle illazioni sugli interventi militari occidentali
contro i serbi?

Le trovo oscene. Disgraziatamente, il governo francese e quello
britannico, che inizialmente mostravano scetticismo sulla propaganda
anti-serba, sono sprofondati in tutto questo agitar di braccia e
questa violenta propaganda anti-serba. La Francia e la Gran Bretagna
hanno preso parte a questo terribile affare della NATO contro Pale,
con giustificazioni da santarellini. Percio' non mi sarei sorpreso se
alla fine, per costringere alla pace, avessero bombardato Belgrado
per la terza volta in questo secolo. Prima furono i nazisti, poi gli
inglesi e gli americani, a distruggere Belgrado di nuovo nel gennaio
del 1944. Ed anche stavolta probabilmente a Belgrado ci sono andati
vicino.



...Kinkel affermo' che gli aggressori serbi dovevano essere messi in
ginocchio. Questa per lei e' arroganza ed infamia. Cosa si sente di
dire?

Se uno come Klaus Kinkel dice una cosa del genere, beh secondo me si
tratta di una persona che e' priva di ginocchia, che non sa cosa
siano le ginocchia, che ha soltanto trampoli o forse una baionetta al
posto della gamba. Nessuno dovrebbe parlare in quella maniera, eppure
stanno succedendo un sacco di cose nella politica e nella pubblica
opinione tedesca... Io credo che il mio libro abbia portato un soffio
d'aria fresca.



Lei e' austriaco, e anche l'Austria ha giocato un ruolo significativo
con gli interventi del Ministro degli Esteri Alois Mock. Egli e'
stato uno dei primi a riconoscere Slovenia e Croazia, e quindi a
demolire il paese. Ma almeno egli si e' mosso dalla sua scrivania.

Io conosco appena l'ex Ministro degli Esteri austriaco. Ma credo di
poter dire che egli e' un convinto antifascista, poiche' egli
proviene, come una volta mi disse, dalla regione del campo di
concentramento di Mathausen. Egli ha passato li un'infanzia e
un'adolescenza scioccante. Non credo che abbia fatto cio' cercando
qualche rivincita. Il regime austriaco e' piu' meritevole di biasimo.
Piu' o meno consapevolmente noi rimproveriamo ai serbi,
collettivamente, di aver fatto crollare l'impero asburgico. Il popolo
austriaco, ovviamente non tutto, ancora mantiene un grande odio per
l'assassino di Sarajevo, Gavrilo Princip. Gli austriaci sono convinti
che egli fu mandato li' dal governo serbo e dallo stato serbo. Essi
incolpano i serbi di aver ridotto l'Austria a un paese cosi' piccolo.
Per me questo e' un evidente atavismo (...). Per quanto mi concerne,
Alois Mock non e' personalmente responsabile per il riconoscimento di
Slovenia e Croazia.



Questo diritto all'autodeterminazione veniva sbandierato da tutti, ma
non l'ho mai sentito applicato ai serbi.

Questo e' il massimo dell'assurdo. La nazione serba in Croazia e il
35% dei serbi in Bosnia Erzegovina: nessuno ha riconosciuto per loro
il diritto all'autodeterminazione. Dove sta la giustizia? Ci sono un
mucchio di chiacchiere ipocrite sul diritto alla'autodeterminazione
nazionale. Ma queste nazioni, i croati e gli sloveni, credo, se ne
era gia' andate via dallo stato Jugoslavo. Specialmente nei dieci
anni dopo la morte di Tito, esse non si sono mai lamentate di
maltrattamenti o di essere svantaggiate sotto il governo federale di
Belgrado. I loro (recenti) reclami per questi motivi, sono delle
bugie provate storicamente. I croati e gli sloveni, al contrario,
hanno ricevuto trattamenti privilegiati, economicamente, per quanto
riguarda il commercio con il Mediterraneo, e per il turismo, e altro.
Il loro cattolicesimo li ha collegati di piu' all'Europa di quanto
non sia stato per gli ortodossi.



Ha notato che i serbi, per anni, hanno lasciato in pace il ponte, ma
che i croati lo hanno fatto saltare in aria?

Certo, a Mostar, e' stata una evidente pazzia.



Ha qualche spiegazione per questo fatto? se i serbi avessero ridotto
il ponte di Mostar a pezzi, allora avremmo letto articoli su questo
sui giornali, un giorno e si e un giorno no? ... Si puo' dire che i
serbi hanno piu' rispetto per la cultura e i suoi tesori, come
Dubrovnik, dei croati?

Questo puo' avere a che fare con il vuoto di potere. Io non mi
considero competente e autorizzato a dire che l'esercito croato porta
delle responsabilita' per la distruzione del ponte, ma apparentemente
non c'erano vuoti di potere, la'. Ancora: non mi piace speculare.



La Germania ha un grande interesse per il diritto
all'autodeterminazione, specialmente di Slovenia e Croazia. Sospetta
che ci sia sotto un altro motivo?

Sospetto? Che cosa potrebbe essere piu' chiaro di cosi! Temo che sia
la solita lezione amara della storia per cui accade sempre quando la
Germania si espande. Non c'e' sempre bisogno di un piano dietro a
cio'. Io credo che questo avviene attraverso il magnetismo economico.
I negoziati politici vengono fatti sempre attraverso il potere
economico. Non credo che avvenga nell'altro modo, cioe' che la
politica venga prima.



Quale puo' essere l'interesse della Germania nella dissoluzione della
Jugoslavia?

Mi chiede troppo. Non mi piace parlare di politica. Ci sono libri che
lei conosce, in cui si dice che i servizi segreti tedeschi hanno
collaborato con il governo croato (jugoslavo) e hanno
sistematicamente preparato il collasso della Jugoslavia. Anche prima
della guerra, negli anni '80, ci sono documenti che azzardano tali
sospetti. Ma come autore, io devo tenere la bocca chiusa.



Una volta, lei disse che la Germania aveva interesse ad avere dei
piccoli stati lacche' attorno ai suoi confini...

E' vero. Dopo il crollo della Jugoslavia, sono stato spesso in
Slovenia, che una volta era una delle regioni mie favorite, in parte
per via dei miei antenati, mia madre e i fratelli di mia madre, che
erano sloveni. Ci sono andato spesso, e ogni volta ho constatato...
che lo stato [indipendente] di Slovenia veniva ridisegnato o come una
provincia dell'Austria o come una fonte di manodopera per la
Germania. Anche le persone che si trovavano a capo della Repubblica
di Slovenia, quando faceva parte della Jugoslavia, avevano piu'
presenza, piu' potere, piu' carisma come uomini di Stato di quanto ne
abbiano adesso. La leadership della Slovenia e' diventata un
tirapiedi, come degli inservienti di teatro, e neanche cosi' capaci,
per servire Germania, Austria, e in qualche modo, anche l'Italia. E
questo e' qualcosa che chiunque va li' puo' notare subito.



Con Tudjman hanno fatto male i calcoli...

Ora e prima della guerra, ho apprezzato molto alcuni articoli apparsi
sul supplemento della domenica della "Frankfurter Allgemeine
Zeitung" ["FAZ" - Gazzetta Generale di Francoforte, il principale
quotidiano tedesco; n.d.crj]. Essi hanno sempre presentato la
Slovenia in un modo che a me piaceva molto; per esempio c'era una
fotografia di una chiesa barocca in un campo di grano e cosi' via. Mi
piacevano questi articoli; non c'era irredentismo, ma soltanto un
soffermarsi sul paesaggio, sulle regioni, sulla vita di villaggio.
Non si stava scrivendo la storia, la'. Ma appena la guerra e'
iniziata, tutto questo ha avuto fine. Non lo notai sul momento, ma
non sono da biasimare (...)



... Il sig. Reissmueller [editorialista della FAZ per le questioni
internazionali, n.d.crj] e' molto aggressivo...

Per me quell'uomo e' un criminale di guerra. Qualcuno dovrebbe
raccogliere con precisione tutto quello che ha scritto, esaminarlo
alla lettera. Lo farei molto rispettosamente. E' trasparente
incitamento alla guerra, come dicevano loro, un chiaro caso di odio
etnico. Non c'e' niente di piu' da dire.



Ho sentito delle storie di stupro. Su queste storie sono state fatte
pochissime ricerche. Ma poi il parlamento tedesco ha tenuto una
sessione speciale. Mi chiedo se non sia venuta prima l'iniziativa
politica e poi gli articoli e i commenti.

No, seppure strano, non penso sia stato cosi'. Non e' venuta prima la
politica tedesca e poi la stampa. E' stata la stampa tedesca,
specialmente la stampa di destra, la "Frankfurter Allgemeine Zeitung"
e i suoi giornalisti, che hanno fortemente influenzato la politica
tedesca. E' chiaro! E' un fenomeno strano, questo immenso potere che
oggi hanno i media e la stampa. Avevo ragione a dire, forse con
durezza, che per quanto riguarda la Germania, la stampa, e in
particolare il Frankfurter Allgemeine, costituisce il "Quarto Reich".
Esattamente come Viktor Klemperer, ebreo, ha di recente studiato il
linguaggio del Terzo Reich, cosi' oggi noi possiamo caratterizzare,
in base al linguaggio, il Frankfurter Allgemeine come il linguaggio
del Quarto Reich.



... e Reissmueller e' il Goebbels del Quarto Reich.

Quello di Reissmueller e' un misto di visionario piu' Goebbels. Ma
Reissmueller non ha il gergo sportivo di Goebbels. Egli parlava
sempre come un pugile o un maratoneta. No e' piu' un misto tra un
utopista e un boia. Questa gente dovrebbe essere portata davanti a un
giudice e incriminata. [Essi richiedono] questo e quello; sarebbe
meglio fare questo, oppure... Questo e' il modo in uso nei Tribunali
del popolo nazisti [Volksgericht]. Ricordiamoci di Mr. Roland
Fleicher [avvocato nazista]. Anche se il confronto puo' sembrare un
po' forzato, ogni epoca ha i suoi demonizzatori e nuove forme di
maliziosita' e disprezzo per l'umanita' e sempre nuove tecniche di
travestimento. Al momento, le cose sono state camuffate per bene. La
cosa peggiore e' che gli affari del Quarto Reich non si fermano mai.
Andra' avanti fino alla fine del tempo. La stampa, un certo tipo di
stampa, avra' potere fino al Giudizio Universale. E a sua
disposizione ha apparenze civilizzate. Un racconto di un testimone
oculare funziona sempre. Notevole. Ho fatto una ricerca sulla
grammatica e sulla struttura di questi racconti apparentemente
obiettivi. Dallo stile grammaticale della prima frase, gia' si
capisce quale sara' la conclusione. Pochi mesi fa sul New Yorker
Magazine ho letto una storia ambientata a Tuzla. La guida dell'autore
vive la' e naturalmente parla inglese. E' andata ad una scuola
americana. Si trovavano a Tripoli, in Libia... Questo giovane uomo
che parla inglese, diventa cosi' l'eroe della storia. La prima frase
dice: "Harun - oppure Haris - subi' la pulizia etnica giocando a
carte con gli amici a Sarajevo." Questa e' la prima frase, e, io
penso, prima di tutto, che questa e' pessima letteratura. In secondo
luogo il taglio della storia diventa immediatamente trasparente.
Terzo: e' politicamente miope scrivere certe cose. E la cosa va
avanti cosi' per tutto l'articolo.

Per me il modo come sono stati trattati i serbi, come popolo intero,
e' chiaramente il primo grande passo dei media verso il Quarto Reich.



... un breve chiarimento: In Austria, attualmente, circola l'idea del
Quarto Reich come una nuova edizione, se non una continuazione, del
Terzo Reich. E' questo quello che intende? oppure lei ha in mente in
Quarto Reich come un quarto potere nello stato?

E' una metastasi del Terzo Reich. Il Quarto Reich e' proprio
altrettanto pessimo come lo fu il Terzo. La sola differenza e' che si
nasconde sotto una superficie umana. Esso scatta per aiutare le
vittime. Ma e' altrettanto pessimo. E' un altro cancro, che temo non
sia curabile. Si diffonde soltanto.



Il sig. Levy e il sig. Finkielkraut, naturalmente l'hanno attaccata...

Esatto. Ma loro non sono scrittori. Loro sono "I nuovi filosofi". Non
so perché siano stati chiamati "nuovi" o "filosofi". C'è stata
un'epoca all'inizio della guerra in cui loro hanno avuto bisogno di
me. Avevano bisogno di qualcuno che non fosse un filosofo, ma un
autore, un autore riconosciuto che, al contrario di loro, avesse una
qualche conoscenza della Jugoslavia. Dopo alcuni incontri con
Finkielkraut e Bernard Henri Levy, mi fu chiaro che loro volessero
soltanto usarmi. Ma appena presi le difese della Serbia, non mi
vollero più vedere. Questo è un gruppo veramente poco comunicativo. E
appartiene al Quarto Reich. Ci sono un sacco di soldi in ballo. E
potere. In Francia i libri e i mezzi elettronici sono completamente
controllati da una catena di gente come questa. Non si riesce più a
far arrivare nessuna notizia. La stampa francese e la TV sono
pressoché totalmente sotto il controllo di Bernard Henri Levy, così
come di Finkielkraut. Alcune persone lo ridicolizzano, ma in virtù di
tutti quegli indecenti, decorati, pessimi diari che lui [Levy]
pubblica sulla guerra in Bosnia, nessuno lo attacca più. Non un
singolo attacco. Prendono tutto come una buona letteratura. Tutto
quello che basta fare è prendere un paio di frasi nel dizionario
Robert's dei luoghi comuni. Il suo lavoro è sbagliato nei suoi punti
di vista, e pieno di errori di grammatica. Da non credere. Ma nessuno
fa niente. C'è in giro un sacco di denaro, e di potere. Tutto questo
mi fu chiaro dopo che mi incontrai un paio di volte con i "nuovi
filosofi". Decisi di non firmare nulla. E non sarei più andato ai
loro incontri. Hanno usato questo fatto contro di me, ma è meglio così.



Questi signori Finkielkraut e Levy pero' mi interessano. Potrebbero
guadagnare soldi scrivendo altro, invece il primo elogia la
democrazia di Tudjman, l'altro dice che l'Europa inizia a Sarajevo.
Chi li ha ingaggiati?

Gli intellettuali (non intendendo niente di negativo) non sono a
corto di denaro, oggigiorno. Perciò non è il denaro che li spinge. E'
il potere, il potere più del denaro. Certamente denaro e potere sono
strettamente connessi. Bernard Henri Levy, credo, non ha una
spiegazione per la sua demonologia. E' taciturno, ma ingannevole.
Taciturno e ingannevole, malizioso. E' una meraviglia speculare come
il suo diario di Bosnia ci mostri una quadro in cui esiste un secondo
potere, oltre a quello del governo, di Chirac, etc., un potere etico
e morale. Questo è quello che lui immagina. Ma questa è la
difficoltà, poiché moralmente ed eticamente, lui è una papera morta.
(Come noi diciamo in un proverbio austriaco, "sotto il cane").

Una volta vidi una scena girata, penso, dalla TV tedesca, in cui Levy
va al Centro Culturale Jugoslavo a Parigi, con un gruppo di suoi
seguaci. A questo punto la donna che dirige il centro desidera
chiudere l'edificio. Lei rifiuta di passare la chiave agli intrusi.
Levy e il suo assistente, prendono la chiave alla donna con la forza.
Per due o tre minuti questa donna, abbastanza anziana, urla, grida:
"No, non voglio darvi la chiave, non vi appartiene. Non potete
entrare qui."

Levy rimane li, proprio come il commissario comunista dei film di
seconda categoria con il suo soprabito di pelle nero, e, sorridendo,
osserva il suo amico mentre rigira e strappa la chiave dalle mani
della donna. Questa immagine dovrebbe essere trasmessa dai notiziari
della sera, per tutti i tre minuti, su ogni emittente TV del mondo
per far vedere come questo autoproclamato difensore di Sarajevo e
della Bosnia, si comporta con la gente di tutti i giorni. Mi
piacerebbe che tutto il mondo lo guardasse.



E' convinto che tutte queste persone che oggi fanno queste cose,
potranno correggersi?

No, sarebbe troppo facile. E' tragica, la storia della Jugoslavia, la
storia dell'Europa in questo secolo. Come la storia avviene e come la
storia viene scritta, sono due cose unite insieme. Questa storia va
insieme con la storia del popolo ebreo. Queste sono le due storie
tragiche. E probabilmente non saranno corrette. Pensare in questo
modo, che un giorno le cose potranno essere viste differentemente,
penso, sarebbe un falso ottimismo. Questa gente non cambia. Con il
loro linguaggio e le loro immagini hanno commesso così tanti crimini,
crimini veri, contro la Jugoslavia. Ci sono crimini che possono solo
essere perpetuati. Non c'è via di ritorno.



Quale è stata la sua peggiore esperienza dopo la pubblicazione del
libro? Ha ricevuto incoraggiamenti da qualcuno al di fuori della sua
famiglia?

Non ho avuto nessuna brutta esperienza. Ci sono stati insulti e
manifestazioni di odio verso di me nei media, specialmente nei
tedeschi, austriaci e svizzeri, e anche francesi e spagnoli. Mi hanno
colpito, ma come un personaggio di Kafka, li accetto, come se
appartenessero alla storia.



...Posso incassare tutto quello che dicono di me, senza che mi
colpiscano realmente...

La "Frankfurter Allgemeine Zeitung" (di destra) scrive del mio
"respirare l'odore di sangue, di terra, di corpi e di guerra" etc. E
la "Frankfurter Rundschau" (di sinistra) dice che io "passeggio sui
corpi", con quello che scrivo. Questo mi colpisce. Ma quando vado
indietro e passo al setaccio ogni frase che ho scritto, trovo, dopo
tutto quello che viene detto e fatto, che io non ho scritto una sola
frase che sottovaluti le vittime. Ognuna delle mie frasi, credo, è
estetica, morale e giusta.

In Francia il mio libro uscirà tra due mesi. E sono pressoché certo
che la critica dirà, come in Germania, che io ho macchiato il mio
lavoro precedente con quello che ho scritto qui. Il mio unico
traduttore in Francia, mi disse: "Non osare pubblicare quella cosa,
oppure farai kaputt da te stesso, o sarai la rovina di te stesso." Ma
sono grato alla Gallimard che mi ha pubblicato il libro.



Reissmueller la bolla come profittatore di guerra.

Non credo di esserlo. Per la prima volta in 24 anni, ho dato una
lettura pubblica del libro, in Austria e in Germania. E il piccolo
guadagno che ho fatto l'ho donato per aiutare le vittime. Il viaggio
nella Serbia l'ho pagato con i miei soldi, di tasca mia - biglietto
aereo, albergo, cibo, tutto - Mi piacerebbe sapere se i giornalisti
fanno la stessa cosa, se esiste un solo giornalista in tutto il mondo
che abbia viaggiato nelle zone di guerra a proprie spese.



I media sono i più grandi profittatori di guerra. Chi li appoggia?

Molta, molta gente che io non conosco mi scrive, molti lettori. Essi
dicono: "almeno prendiamo una boccata di aria fresca. Almeno leggo
qualcosa di diverso sulla guerra."



Nessun personaggio pubblico ha avuto la ventura di appoggiarla?

Nessuno, ma non ne ho bisogno.



Sarebbe potuto succedere che qualcuno dicesse: "Bene, ci uniremo al
movimento. Hai ragione." E' impossibile avere questa opinione in
Europa Occidentale?

E' impossibile. E' anche peggio del politically s-correct. E' come un
tabù. E' come rompere un tabù o commettere un crimine contro la
storia. E' qualcosa che non deve essere fatto, non ora, almeno. Nel
frattempo, prima del mio, sono apparsi altri libri, ma parzialmente
nascosti alla visione pubblica. Altri ancora appariranno. Il
giornalista Mira Becher, che probabilmente lei conosce, ha pubblicato
una storia dei media in tutte le guerre degli ultimi 150 anni,
cominciando con la guerra di Crimea e terminando con la guerra in
Bosnia. L'editore e' la DTV. E' un buon segno che questo libra esca
con la DTV, poiché è un grande editore. Ma rimane da vedere se questo
problema verrà discusso sul serio. Finora ci sono stati uno o due
casi di pensiero alternativo sulla guerra in Jugoslavia, ma nessuno
ha raggiunto il pubblico. Anche l'articolo di Bittermann, che avete
pubblicato. Io non credo neanche che abbia attratto un gran numero di
lettori. Il mio e' stato il primo e potrebbe essere l'ultimo libro
sulla guerra in Jugoslavia. Potrebbe anche non essere mai letto, ma
la parola è uscita, rivolta al popolo tedesco, al popolo austriaco -
semmai esiste un "popolo tedesco".

Cio' che sento per strada è: "Hai ragione". La gente dice: "I serbi
non dovrebbero essere trattati così". Una cosa, allora, è venuta
fuori: i serbi non possono essere così. E anche se il libro non
venisse letto, sarà utile quando la gente in questo paese penserà:
"No, non possiamo più accettare questa roba".



Traduzione in italiano a cura del Coordinamento Romano per la
Jugoslavia, 1997