(english / italiano)

 
Venezuela: oro giallo e oro nero
 
1) “L’oro del Venezuela resta qui!”: il ruolo di Bank of England e Deutsche Bank nel golpe in atto a Caracas (A. Ramaccioni, 29/1/2019)
2) Venezuela, golpe dello Stato profondo (M. Dinucci, 29/1/2019)
 
 
Altri link:
Una telefonata dagli USA avrebbe innescato il piano per la presa del potere in Venezuela (Sputnik, 27 gennaio 2019)
ORIG.: Un coup de fil des USA aurait déclenché un plan secret de prise du pouvoir au Venezuela (26.01.2019)
Intervista a Maduro (Ignacio Ramonet, Granma 18 gennaio 2019)
Granma International riproduce estratti dall’intervista di Ignacio Ramonet al Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro
http://aurorasito.altervista.org/?p=4911
ORIG.: Granma International reproduces excerpts from Ignacio Ramonet’s interview with the President of the Bolivarian Republic of Venezuela, Nicolás Maduro (Ignacio Ramonet, january 18, 2019)
Bank of England refuses to hand over Venezuela's gold – report (9 Nov, 2018)
Sanzioni statunitensi contro l’oro venezuelano: portata e obiettivi (Mision Verdad 6 novembre 2018)
 
 
=== 1 ===
 
 
“L’oro del Venezuela resta qui!”: il ruolo di Bank of England e Deutsche Bank nel golpe in atto a Caracas
di Alessio Ramaccioni, 29 gennaio 2019
 

Dietro la scomparsa dell’oro venezuelano, c’è la regia degli Stati Uniti. Leggendo una notizia del genere potrebbe sembrare di esser finiti in una spy story, o in una vecchia storia d’avventura di un paio di secoli fa. Stiamo invece parlando di cronaca, di politica, di quello che sta avvenendo in Venezuela. E come sempre quando si segue la pista dei soldi – in questo caso dell’oro – poi le dinamiche in atto iniziano a diventare chiare.

Sono tre le notizie interessanti, da questo punto di vista, che circolano da ieri, citate e proposte da Corriere della Sera e da Sole 24 Ore (media che non possiamo certo annoverare tra quelli pro-Maduro, che di fatto da queste parti non esistono).

La prima arriva dall’agenzia Bloomberg: la Banca d’Inghilterra ha bloccato una richiesta del governo venezuelano di ritirare oltre un miliardo di dollari in lingotti d’oro in possesso della stessa banca. Si tratta di parte della riserva aurea all’estero della banca centrale venezuelana, quindi teoricamente nelle sue disponibilità.

La seconda notizia la riporta la Reuters: l’autoproclamato – e quindi golpista – presidente Guaidò ha scritto a Teresa May, chiedendo formalmente di non restituire l’oro perchè “sarebbe usato per la repressione” da parte di Maduro.

La terza notizia arriva dal Sole 24 Ore, ed è quella che forse “pesa” di più. Sono due, in realtà, le news contenute nell’articolo di Alessandro Plateroti, che suggeriamo di leggere (https://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2019-01-26/-l-oro-caracas-londra-congelato-usa-deutsche-bank-saga-193032.shtml?uuid=AEFrBQLH).

Il primo spunto è in apertura di articolo: dietro il mancato rimpatrio a Caracas nel settembre scorso di 550 milioni di dollari di lingotti d’oro depositati a Londra, non c’erano infatti «problemi procedurali» come hanno sostenuto finora la banca centrale e lo stesso governo inglese, ma una vera operazione di esproprio internazionale organizzata segretamente dalla Casa Bianca”. 

Più chiaro di così si muore. Nello specifico, l’autore fa riferimento ad un precedente diniego da parte dell’autorità britannica che era stato attribuito a questioni di procedura.

Il secondo arriva qualche riga dopo, ed è ancora più clamoroso, forse.

Secondo alcune fonti, la quantità di oro venezuelano in possesso della Bank of England sarebbe praticamente raddoppiato. Da 14 tonnellate presenti nel mese di novembre 2018 alle 31 tonnellate attualmente custodite.

Ma come, a settembre Londra blocca il rimpatrio di 500 milioni di oro e il governo venezuelano gliene affida altre diciassette tonnellate? Sono matti? No. Perchè l’oro non arriva dal Venezuela, ma dalla Germania. Più precisamente dalla Deutsche Bank, che lo aveva avuto come garanzia da parte di Caracas per un prestito concesso quattro anni fa. 

Bloccare l’accesso alle riserve auree al governo di Maduro è una operazione che può avere conseguenze gravi ed immediate. L’oro è usato infatti da anni come valuta di scambio per l’acquisto di beni di consumo anche fondamentali, come cibo e farmaci. Un modo – spiega il Sole 24 Ore – per superare gli ostacoli del lungo embargo a cui il Venezuela è sottoposto da anni da parte degli Usa.

E qui si chiude il cerchio, che parte ed arriva sempre lì, negli Stati Uniti: “I sospetti che dietro questi casi ci sia la regia della Casa Bianca girano da mesi, come riportato in un’inchiesta del Sole 24 Ore il 29 novembre 2018. Una conferma arriva ora da Marshall Billingslea, Assistant Secretary for Terrorist Financing del Dipartimento al Tesoro Usa: «All’inizio di ottobre – rivela a sorpresa Billingslea – il Segretario Mnuchin ha incontrato i ministri delle Finanze d’Europa e Giappone, i governatori delle Banche Centrali e i responsabili dell’intelligence, per definire un piano di azione comune contro Maduro: l’obiettivo più importante e immediato è bloccare il commercio dell’oro sovrano venezuelano. Alcuni risultati li abbiamo già avuti in questi giorni…». Non a caso, erano proprio gli stessi giorni in cui Londra aveva deciso di bloccare il rimpatrio dei lingotti a Caracas.”

Citiamo volentieri e volutamente le ultime righe dell’articolo del Sole 24 Ore perchè, in storie come questa, la chiarezza è fondamentale.

Quello che sta avvenendo in Venezuela è qualcosa di assolutamente artificiale, eterodiretto, antidemocratico. Nasce dalla volontà di un paese terzo rispetto alle vicende venezuelane – gli Stati Uniti – che sta imponendo la sua agenda ad altri paesi terzi che vigliaccamente ne diventano complici.

La “storia dell’oro del Venezuela” è l’ennesima dimostrazione di tutto questo. E mentre Guaidò annuncia di stare prendendo il controllo dei beni all’estero del Venezuela – con l’ovvio e necessario benestare dei paesi che quei beni li ospitano -, gli Stati Uniti annunciano altre sanzioni. La prima ad essere colpita potrebbe essere la Pdvsa, la compagnia petrolifera di Stato.

 
=== 2 ===
 

 

Venezuela, golpe dello Stato profondo

di Manlio Dinucci, su il manifesto del 29.01.2019

L’annuncio del presidente Trump, che riconosce Juan Gualdó «legittimo presidente» del Venezuela è stato preparato in una cabina di regia sotterranea all’interno del Congresso e della Casa Bianca. La descrive dettagliatamente il New York Times (26 gennaio).

 

Principale operatore è il senatore repubblicano della Florida Marco Rubio, «virtuale segretario di stato per l’America Latina, che guida e articola la strategia dell’Amministrazione nella regione», collegato al vicepresidente Mike Pence e al consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. Il 22 gennaio, alla Casa Bianca, i tre hanno presentato il loro piano al presidente, che l’ha accettato. Subito dopo – riporta il New York Tmes – «Mr. Pence ha chiamato Mr. Gualdó e gli ha detto che gli Stati uniti lo avrebbero appoggiato se avesse reclamato la presidenza».

Il vicepresidente Pence ha poi diffuso in Venezuela un video messaggio in cui chiamava i dimostranti a «far sentire la vostra voce domani» e assicurava «a nome del presidente Trump e del popolo americano: estamos con ustedes, siamo con voi finché non sarà restaurata la democrazia», definendo Maduro «un dittatore che mai ha ottenuto la presidenza in libere elezioni».

L’indomani Trump ha ufficialmente incoronato Gualdó «presidente del Venezuela», pur non avendo questi partecipato alle elezioni presidenziali del maggio 2018 le quali, boicottate dall’opposizione che sapeva di perderle, hanno decretato la vittoria di Maduro, con il monitoraggio di molti osservatori internazionali.

Tale retroscena rivela che le decisioni politiche vengono prese negli Usa anzitutto nello «Stato profondo», centro sotterraneo del potere reale detenuto dalle oligarchie economiche, finanziarie e militari. Sono queste che hanno deciso di sovvertire lo Stato venezuelano. Esso possiede, oltre a grandi riserve di preziosi minerali, le maggiori riserve petrolifere del mondo, stimate in oltre 300 miliardi di barili, sei volte superiori a quelle statunitensi.

Per sottrarsi alla stretta delle sanzioni, che impediscono al Venezuela perfino di incassare i dollari ricavati dalla vendita di petrolio agli Stati uniti, Caracas ha deciso di quotare il prezzo di vendita del petrolio non più in dollari Usa ma in yuan cinesi. Mossa che mette in pericolo lo strapotere dei petrodollari. Da qui la decisione delle oligarchie statunitensi di accelerare i tempi per sovvertire lo Stato venezuelano e impadronirsi della sua ricchezza petrolifera, necessaria immediatamente non quale fonte emergetica per gli Usa, ma quale strumento strategico di controllo del mercato energetico mondiale in funzione anti-Russia e anti-Cina. A tal fine, attraverso sanzioni e sabotaggi, è stata aggravata in Venezuela la penuria di beni di prima necessità per alimentare il malcontento popolare.

È stata intensificata allo stesso tempo la penetrazione di «organizzazioni non-governative» Usa: ad esempio, la National Endowment for Democracy ha finanziato in un anno in Venezuela oltre 40 progetti sulla «difesa dei diritti umani e della democrazia», ciascuno con decine o centinaia di migliaia di dollari.

Poiché il governo continua ad avere l‘appoggio della maggioranza, è certamente in preparazione qualche grossa provocazione per scatenare all’interno la guerra civile e aprire la strada a un intervento dall’esterno. Complice l’Unione europea che, dopo aver bloccato in Belgio fondi statali venezuelani per 1,2 miliardi di dollari, lancia a Caracas l’ultimatum (concordato col governo italiano) per nuove elezioni. Le andrebbe a monitorare Federica Mogherini, la stessa che l’anno scorso ha rifiutato l’invito di Maduro di andare a monitorare le elezioni presidenziali.

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8989 ]]