Si è tenuta a Bari il 10 giugno 2025 una commemorazione di Giacomo Matteotti organizzata da Risorgimento Socialista. Per Jugocoord è intervenuta Rosanna Rizzi con l'intervento che qui pubblichiamo.
Bari, 10 giugno 2025
alle ore 18 in piazza Battisti angolo via Nicolai
Commemorazione di Giacomo Matteotti
dirigente socialista e modello antifascista
promossa da Risorgimento socialista con deposizione di fiori su di una sua immagine.
Interventi di Gaetano Colantuono (Risorgimento socialista), Rosanna Rizzi (Jugocoord), Dana Al Sheikh (giornalista palestinese), Francesco Maresca (portavoce Le radici del sindacato - CGIL Puglia), Giovanni Capurso (studioso, direttivo provinciale ANPI).
Servizio televisivo di Antenna Sud
Il testo dell'intervento di Rosanna Rizzi per Jugocoord:
L'ombra del fascismo: la voce di Ivo Andrić e gli echi nel presente
Cari compagne e compagni,
siamo qui oggi per commemorare Giacomo Matteotti, un uomo che ha pagato con la vita la sua instancabile difesa della libertà, della verità e della democrazia. Il suo sacrificio, avvenuto esattamente centouno anni fa, quel tragico 10 giugno 1924, ci ricorda quanto sottile possa essere il confine tra la libertà e l'oppressione, e quanto sia fondamentale rimanere vigili.
In questa giornata così significativa, a nome dell’associazione Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, desidero portare alla vostra attenzione una prospettiva forse meno consueta, ma straordinariamente lucida: quella di Ivo Andrić, il grande scrittore jugoslavo, Premio Nobel nel 1961 per la Letteratura. Andrić, che fu anche diplomatico a Roma tra il 1920 e il 1921, osservò il nascente fascismo italiano con uno sguardo disincantato e profetico, ben prima che il regime rivelasse appieno la sua brutalità assassina con l'omicidio di Matteotti.
L’analisi di Andrić non rappresenta una mera curiosità bensì è di particolare interesse a causa del suo speciale punto di osservazione, almeno per due motivi: innanzitutto in quanto diplomatico di un paese straniero su territorio italiano; e poi in quanto intellettuale jugoslavo, perché in quegli anni il fascismo si sviluppò nei suoi tratti più estremi e violenti proprio al confine orientale, come fenomeno innanzitutto nazional-sciovinista e slavofobo: basti pensare all’impresa di Fiume, all’incendio del Narodni Dom, al discorso di Mussolini a Trieste in cui definì “barbara” la “razza slava”, o alle parole di Umberto Saba secondo il quale Trieste era “la città più fascista d’Italia”.
Nei suoi scritti, in particolare nei saggi raccolti in "Sul Fascismo", Andrić non si limita a una semplice critica politica. La sua è un'analisi profonda delle radici psicologiche e sociali che permisero l'affermarsi di un tale fenomeno. Per Andrić, il fascismo non era solo una questione di ideologia o di violenza squadrista. Egli percepiva una decomposizione morale, una banalizzazione della vita pubblica e un declino del pensiero critico, che serpeggiavano nella società e furono l’humus per l’affermazione del regime fascista.
“[Questa] È un’epoca desiderosa di padroni. Oggi pare che le grandi opportunità, come principesse addormentate, attendano ovunque singoli individui forti e audaci.[1]” scriveva Andrić nel 1923, quando il regime di Mussolini non aveva ancora mostrato il suo più ferale volto. Vedeva una società che, per stanchezza o indifferenza, si lasciava sedurre e che sembrava accogliere un sistema basato sulla retorica altisonante, sulla militarizzazione della vita quotidiana e sulla progressiva erosione delle libertà individuali. Senza nemmeno accorgersi di quanto stava per realizzarsi.
Andrić notava come il regime di Mussolini, in una fase iniziale, cercasse di presentarsi come forza di rinnovamento e ordine, capace di porre fine al caos e all'instabilità. C'era un'enfasi sul "fare", sull'efficienza, sulla disciplina. Tuttavia, sotto questa patina di energia e progresso, Andrić individuava già i segnali di un profondo autoritarismo. La progressiva sottomissione dell'individuo allo Stato, la costruzione del mito del capo, quasi una sacralizzazione, la propaganda onnipresente che trasformava ogni atto del regime in un trionfo, la tendenza a soffocare ogni forma di dissenso anche prima che si manifestasse apertamente con la violenza più estrema: questi erano i prodromi di ciò che sarebbe poi esploso.
Prima dell'omicidio di Matteotti, il fascismo era ancora, per molti, un esperimento politico radicale, forse eccessivo, ma che prometteva stabilità. La denuncia coraggiosa di Matteotti e il suo brutale assassinio aprirono gli occhi a molti, rivelando la vera natura violenta e antidemocratica del regime. Ma Andrić, con la sensibilità dello scrittore e l'acume dell'osservatore, aveva già colto l'amara verità: la nascita di un sistema che mirava non solo a governare i corpi, ma anche le menti e le coscienze.
Subito dopo il 10 giugno del 1924, Andrić però, scrisse “La crisi del fascismo è iniziata. A causa del caso Matteotti. Un caso che è allo stesso tempo incredibile e terribile, semplice e banale. Incredibile e terribile è che in Europa, nel paese che rivendica la paternità del diritto, nel centro di Roma sei mercenari possano rapire un deputato popolare inerme, segretario di un partito, portarlo fuori città e ucciderlo, poi profanare e dilaniare il suo cadavere in un modo tanto efferato”[2].
Echi del passato nel presente: vigilare sulla Democrazia
La Storia non si ripete mai identica, ma, per colpa degli stessi uomini, ha un'inquietante tendenza a riproporre gli stessi errori. Commemorare Matteotti e riflettere sulle intuizioni di Andrić ci impone di guardare anche al nostro presente, all'Italia di oggi. Senza cadere in allarmismi o in parallelismi storici forzati, è nostro dovere notare e contrastare ogni segnale che possa ricordare, anche lontanamente, la deriva che portò al ventennio.
Partendo dal nostro fermo impegno per l’Antifascismo e la memoria storica, proviamo ad osservare alcune dinamiche attuali.
Pensiamo alla censura, non solo quella esplicita e violenta del passato, ma anche quella più subdola e insidiosa che può manifestarsi oggi. Parliamo di un controllo sempre più stringente sull'informazione, di una marginalizzazione delle voci critiche, di tentativi di omologare il pensiero attraverso un uso distorto della comunicazione pubblica. Quando la pluralità delle voci viene limitata, quando il giornalismo indipendente viene attaccato o delegittimato, siamo di fronte a un campanello d'allarme che i nostri antenati avrebbero riconosciuto.
Consideriamo l'eliminazione delle libertà personali. Se è vero che oggi non siamo sotto un regime che arresta, confina e picchia gli oppositori politici dobbiamo però essere attenti a ogni restrizione che, in nome della sicurezza o dell'ordine, possa limitare la nostra capacità di esprimere liberamente il pensiero, di manifestare, di associarci. La libertà di espressione, la libertà di stampa, la libertà di riunione non sono acquisizioni eterne; richiedono una costante difesa e un'attenzione scrupolosa a ogni tentativo, anche minimo, di circoscriverle. Pensate alla recente approvazione del Decreto Sicurezza, che pone le premesse per la normalizzazione di tutto questo, ma sono anni che vengono presi provvedimenti repressivi usando strumenti impropri e vessatori, come ad esempio il foglio di via per attivisti politici e multe salatissime anche a seguito di proteste con motivazioni sindacali…
E infine, la repressione del dissenso. Il fascismo ha annientato ogni forma di opposizione con la violenza fisica e morale. Oggi, la repressione può assumere forme diverse: la delegittimazione mediatica, la polarizzazione esasperata che etichetta ogni critica come "nemica", l'indebolimento degli organismi di controllo democratico, la marginalizzazione di chi solleva obiezioni. Quando il dialogo si trasforma in monologo, quando il confronto è sostituito dall'insulto o dall'esclusione, il terreno democratico si fa più fragile.
Le parole di Andrić ci ricordano che il fascismo crebbe su un terreno di apatia, di disillusione e di desiderio di un "uomo forte" che risolvesse ogni problema. Ci insegnano che la difesa della democrazia non è mai passiva; richiede una partecipazione attiva, un impegno costante, la capacità di discernere la retorica vuota dalla sostanza, e il coraggio di Matteotti di chiamare le cose con il loro nome, anche a costo della vita.
Osservando il minaccioso interventismo degli ultimi mesi, ricordiamo Matteotti e la sua strenua opposizione alla guerra. Guardiamo con angoscia al disinteresse nei confronti di politica e diritti. Ripensiamo alle ultime parole di Giacomo, morto probabilmente per aver denunciato gli accordi tra l’Italia fascista e la società petrolifera americana Standard Oil, in cui era coinvolto il fratello del Duce. Accordi che si ripresentano oggi sotto altre forme e preludono a fenomeni di corruzione che portano ad extra-profitti per pochi. Conducono a casi di collusione con le multinazionali del petrolio, che devastano territorio a noi vicini come la Basilicata.
Commemorare Matteotti, quindi, ci impone un impegno costante per l'Antifascismo, contro ogni guerra e per la Pace. È dal suo coraggio, da quella resilienza, che dobbiamo trarre la forza per contrastare ogni forma di oppressione e per affermare la dignità e la libertà di ogni individuo, ora come allora.
Onorare Matteotti oggi significa non solo ricordare un martire, ma anche raccogliere il suo testimone: quello di una vigilanza costante e di una difesa intransigente dei valori democratici e della libertà. Che il suo sacrificio sia per noi un monito e un'ispirazione.
Grazie.
Rosanna Rizzi
[1] La rivoluzione fascista, pubblicato per la prima volta su “Jugoslavenska njiva,”, Zagreb, 1923, riportato a p. 13 della raccolta “SUL FASCISMO”, nuovadimensione, Venezia, 2011.
[2] Il caso Matteotti, pubblicato per la prima volta su “Jugoslavenska njiva,”, Zagreb, 1924, riportato a p. 31 della raccolta “SUL FASCISMO”, nuovadimensione, Venezia, 2011.