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Da: "Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma" <comitatoantifasc_pr @ alice.it>
Data: 11 settembre 2012 12.01.33 GMT+02.00
Oggetto: un altro 11 settembre


l'11 settembre 1973 in Cile il golpe fascista sostenuto dall'amministrazione USA, dal segretario di stato Henry Kissinger, che col massacro di migliaia di cileni pose fine al Governo di sinistra, democraticamente eletto, di Unidad Popular guidato da Salvador Allende. Un'esperienza politica avanzata di democrazia e socialismo, quella di Unidad Popular, che avrebbe potuto cambiare il corso della storia del Cile, avere ripercussioni internazionali, essere d'esempio per diversi altri Paesi del mondo.  
Nel gennaio '78 il Comune di Parma ha conferito la cittadinanza onoraria a Kortensia Bussi De Allende,  vedova del Presidente Allende, Luis Corvalan Lepe, segretario del Partito Comunista Cileno, Bernardo Leighton Guzman, dirigente antifascista della Democrazia Cristiana cilena.

Inti Illimani  "Ya parte el galgo terrible" (YouTube):  http://www.youtube.com/watch?v=6m_AotV9X1M

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Ma gli 11 settembre, entrambi, sono lontani


Posted By Gennaro Carotenuto On 11 settembre 2012

A 39 anni di distanza dall’11 settembre 1973 e 11 da quello del 2011 è oramai consolidato un dannoso antagonismo tra le due ricorrenze. Il ricordo dell’11 settembre 1973, l’abominio di un colpo di stato contro il governo democratico cileno presieduto da Salvador Allende, eterodiretto dagli Stati Uniti (nella foto il sicario Pinochet stringe la mano al mandante Kissinger), è osteggiato dal complesso mediatico-industriale fino a rappresentarne la volontà di commemorarlo come una provocazione, un’offesa alle vittime dell’11 settembre ‘ufficiale’.

Il ricordo del più grande singolo atto terroristico della Storia, quello di New York, continua intanto a essere rappresentato come il più straordinario esempio di “uso pubblico della Storia”. Appare sempre più chiaro che invece i due eventi sono intimamente legati e fondativi della nostra contemporaneità.

Un’ideologia iniqua, razzista e criminale, il neoconservatorismo, fu infatti capace di usare gli atti terroristici dell’11 come il nascente Terzo Reich fece con l’incendio del Reichstag nel 1933. Il terrorismo, come spesso accade, fu stabilizzante. Furono demonizzate, col pretesto di questo (Genova ne fu illuminante antefatto), le ragioni dei critici di un modello economico e sociale i guasti del quale erano già sotto gli occhi di tutti. Il delirio millenarista dei neoconservatori ebbe il pretesto per mettere a ferro e fuoco mezzo mondo. Ben peggio avrebbe fatto, basta ricordare l’allucinante “Asse del male latinoamericano da colpire” o i 40-50 paesi da attaccare millantati da Donald Rumsfeld, se ne avesse avuto il tempo.

Nel giro di pochi anni non un solo leader di quella stagione politica (Bush, Rumsfeld, Tony Blair, José María Aznar, Silvio Berlusconi), a dimostrare in che mani fossimo, mantiene un minimo di credibilità e onorabilità. Riuscirono solo, a prezzo d’inenarrabili tragedie, a dare ancora un po’ di benefit ai loro grandi elettori, stringendoci a coorte nella solidarietà a quel modello che ergevano a simbolo stesso di un Occidente sotto attacco, e che in quella identificazione veniva umiliato. Era così forte, stridente, volgare, la correlazione tra quegli attentati e l’uso pubblico di questi da essere per molti sospetta. Un decennio dopo, i fondamentalismi contrapposti, quello islamico e quello protestante, entrambi oscurantisti e suprematisti, sono impantanati. L’esportazione della Jihad attraverso le bombe non ha prosperato come non ha prosperato la pretesa di usare la supremazia militare per imporre il predominio degli Stati Uniti e dei satelliti di questo sul mondo.

In particolare per il fondamentalismo protestante la nemesi fu feroce. Pretendevano di usare l’11 settembre addirittura per far finire la Storia e imporre a tutto il pianeta il loro modello sociale ed economico e disporre, attraverso l’imposizione con la forza di governi servili (come col fallito golpe in Venezuela dell’11 aprile 2002), di risorse per un altro giro di giostra. Ancora questa settimana un povero cristo è morto a Guantanamo, la base militare statunitense in territorio cubano occupato illegalmente da più di mezzo secolo. Stava lì da oltre dieci anni e non era mai stato incriminato di alcunché, a dimostrazione che al neoconservatorismo di esportare democrazia e stato di diritto non importasse affatto.

La realtà li ha smentiti nelle loro frenesie da dottor Stranamore. Intere regioni del pianeta non rispondono più e quelle che rispondono, come l’Europa, sono in affanno. Neanche i talebani afghani sono stati sconfitti con le armi. I regimi rovesciati, dall’Iraq alla Libia, hanno lasciato spazio a simulacri di democrazia. L’Occidente, nel breve volgere di un decennio, non è più il centro del mondo ma un frammento del mondo multipolare. La Cina, l’India, interi continenti come l’America latina, concertano cammini autonomi senza riconoscere primogeniture. Di “nuovo secolo americano” non parla più nessuno. L’FMI, lungi dall’aver smesso di fare disastri, non è più egemone. Perfino il G8, che ancora a Genova si atteggiava a governo del mondo, è stato di fatto sostituito dal G20, istanza imperfetta ma più rappresentativa, in attesa che le Nazioni Unite cambino o periscano. Soprattutto, la crisi strutturale del modello neoliberale morde lo stesso Occidente. I tecnocrati chiamati al governo applicano le stesse ricette che hanno portato al disastro. Nelle periferie di questo, dal Messico alla Grecia, si palesa come incubo la fine del lavoro evocata da Jeremy Rifkin come sogno meno di vent’anni fa.

Lo spettro della fine del lavoro, che vuol dire fine dell’aspettativa di vita degna per moltitudini di persone, ci riporta al punto di partenza. Fu per risolvere armi alla mano il conflitto tra capitale e lavoro che fu bombardato il palazzo della Moneda a Santiago del Cile quell’11 settembre di 39 anni fa. Arrivarono i Chicago Boys, gli economisti neoliberali venuti dal Nord, che poterono sperimentare sulla carne viva dei lavoratori cileni torturati le loro teorie. Non risolsero ma pretesero di cancellare tale conflitto, incarnato dalla figura alta di Salvador Allende, come cancellarono le libertà sindacali e i diritti umani. Fu con le bombe alla Moneda che si aprì la stagione che portò al delirio d’onnipotenza neoconservatore, attraverso il reaganismo, il thatcherismo, il neoliberismo reale. Proprio in America latina arrivò a indurre carestie in paesi ricchissimi come l’Argentina. Infine, attraverso l’uso strumentale dell’11 settembre 2001, vollero le “guerre infinite” e seminarono la gramigna del nostro presente di declino.

Oggi, nonostante la figura di Allende si stagli ancora per etica, statura politica, visione della complessità, è lontano il Cile dell’Unidad Popular, il Cile dei sindacati e delle organizzazioni di classe, il Cile dell’universalità dei diritti al quale davamo il nome di Socialismo. È lontano ma è allo stesso tempo vicino, come testimoniano i governi integrazionisti latinoamericani e nello stesso Cile gli enormi movimenti studenteschi. È vicino perché, con quel golpe ignominioso, non fu messa fine a un’esperienza di governo in un paese periferico, ma si cancellò una possibilità concreta di progresso per sperimentare e imporre il modello che portò a infinite ingiustizie. È lontano l’11 settembre 1973, ma il Cile popolare ha ancora molto da insegnare. Al contrario il modello dell’11 settembre è davvero al capolinea.



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Skull and bones e la Massoneria contro il Cile?

Ricordando l’11 settembre 1973

di Claudia Cernigoi

La mattina dell’11 settembre 1973 a Santiago del Cile un colpo di stato militare, foraggiato dal governo degli Stati Uniti d’America, mise fino al sogno cileno, al governo progressista e riformista di Salvador Allende, che stava cercando di realizzare il socialismo con mezzi democratici.
Non gli fu permesso: nazionalizzare i mezzi di produzione sottraendoli ai capitalisti, soprattutto stranieri, per ridistribuire la ricchezza a tutto il popolo cileno in modo da garantire una vita decente a ciascuno, fu osare troppo. Allende fu ucciso dai golpisti mentre difendeva il proprio posto al palazzo presidenziale, migliaia di cittadini furono uccisi sommariamente in quei giorni, decine di migliaia imprigionati, torturati, internati in campi di detenzione. Erano sindacalisti, militanti, studenti, lavoratori, intellettuali, casalinghe, contadini. Ed il Cile precipitò in un incubo che durò per vent’anni.

I servizi statunitensi iniziarono a preparare la deposizione di Allende subito dopo la sua vittoria elettorale, (settembre 1970), dopo non essere riusciti ad impedirla. Il capo della stazione della Cia a Santiago nel 1970 era Dino Pionzio, un italo-americano membro dell’associazione Skull & Bones (letteralmente Teschio e Ossa, infatti il loro simbolo sembra quello dei pirati), una sorta di confraternita creata presso l’Università di Yale nel 1832, e della quale si dice sia il luogo in cui vengono formati coloro che sono destinati a determinare la politica degli Stati Uniti. Moltissimi dirigenti della Cia furono membri della Skull & Bones, così come ne fanno parte sia l’ex presidente George Bush, sia il suo concorrente democratico alle elezioni nel 2004, John Kerry.
Heinz Duthel, autore tedesco di una storia della Massoneria cita Pionzio come massone, particolare che ci ricorda che anche Allende era massone, così come era massone Pinochet, e che a questo proposito si dice che la responsabilità del golpe sarebbe da attribuire a Fidel Castro, iscritto alla stessa loggia di Allende e Pinochet, e che avrebbe detto ad Allende che poteva fidarsi del generale (teoria di Pierre Kalfon, più volte smentita).
In realtà noi abbiamo trovato che Allende era Maestro della Loggia Hiram 66 di Santiago (in “la Massoneria” delle edizioni Demetra) mentre Pinochet avrebbe aderito alla Loggia Vittoria n. 5 tra il 1941 ed il 1942 (“il Mastino” in http://www.papalepapale.com/develop/controstoria-imbarazzante-di-allende-massone-e-nazicomunista-parte-2/, articolo peraltro molto poco condivisibile), quindi se siano appartenuti alla stessa loggia può anche essere dubbio, però rimane il problema del ruolo che la massoneria ebbe nel golpe, considerando che alcuni fratelli massoni cospirarono per eliminare un altro fratello massone.
O forse furono proprio le scelte politiche ed economiche di Allende ad essere viste dai suoi confratelli come un tradimento nei confronti della comune consociazione, ed a provocare quindi una reazione così violenta ed efferata nei suoi confronti? 
Ricordiamo qui l’intervento di Allende alle Nazioni Unite nel 1972: 
“Ci troviamo davanti a un vero scontro frontale tra le grandi corporazioni internazionali e gli Stati.
Questi subiscono interferenze nelle decisioni fondamentali, politiche, economiche e militari da parte di organizzazioni mondiali che non dipendono da nessuno Stato.
Per le loro attività non rispondono a nessun governo e non sono sottoposte al controllo di nessun Parlamento e di nessuna istituzione che rappresenti l'interesse collettivo.
In poche parole la struttura politica del mondo sta per essere sconvolta.
Le grandi imprese multinazionali non solo attentano agli interessi dei Paesi in via di sviluppo, ma la loro azione incontrollata e dominatrice agisce anche nei paesi industrializzati in cui hanno sede.
La fiducia in noi stessi che incrementa la nostra fede nei grandi valori dell'umanità, ci da la certezza che questi valori dovranno prevalere e non potranno essere distrutti.”
Questo il motivo per cui Allende fu assassinato. Perché le “organizzazioni mondiali che non dipendono da nessuno Stato” non potevano permettere che la sua politica prendesse piede, non potevano permettere che si minassero i loro interessi.
Abbiamo voluto riproporre il discorso di Allende a distanza di quarant’anni perché ci sembra ancora del tutto attuale e condivisibile e per non perdere la memoria di un uomo coraggioso ed altruista, che il poeta uruguayano Mario Benedetti definì “uomo della pace”.

Settembre 2012