Due articoli di Antonio Mazzeo

1) Di Paola va dove porta la guerra (16/11/2012)
2) Patto militare Italia-Israele. Un accordo scellerato e illegale (28/11/2012)


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VENERDÌ 16 NOVEMBRE 2012


Di Paola va dove porta la guerra


Il pomeriggio del 16 novembre 2011 quando giurarono fedeltà alla Costituzione i ministri-tecnici del primo Governo Monti, lui non c’era. “L’ammiraglio Giampaolo Di Paola, alla difesa, è in missione in Afghanistan per conto dell’Alleanza atlantica”, giustificò il premier. Da quel momento in poi il ministro con le stellette non si è fermato un attimo, sempre in giro per il mondo a promuovere la grandeur dell’Italia e l’efficienza del suo complesso militare industriale.

La prima visita ufficiale dell’ex Capo di stato maggiore ed ex presidente del Comitato militare della Nato - tredici giorni dopo l’insediamento - era a Berlino nel nome del ritrovato asse italo-tedesco per lo sviluppo dei missili e dei droni. Poi, una dietro l’altra, le missioni in Mauritania, nuovamente in Afghanistan, Gran Bretagna, Libano, Albania, Tunisia, Belgio, Russia, Stati Uniti (faccia a faccia con il Segretario alla difesa, Leon Edward Panetta, per predisporre il supporto logistico italiano alla missione Onu in Siria e parlare di scudo antimissile Nato e Afghanistan), Giordania, Giappone, Filippine, Francia, una seconda volta in Germania e Libano,Algeria, Lituania, Lettonia, ancora Afghanistan, Cipro, il Comando Nato di Bruxelles per il vertice dei ministri dell’Alleanza, Armenia e, a fine ottobre, a Gerusalemme per il “terzo vertice intergovernativo Italia–Israele” a riprova di una partnership sempre più fatta di esercitazioni congiunte, in Sardegna e nel Tirreno, nel deserto del Negev e nel golfo di Haifa, e di import-export di caccia, missili, satelliti e velivoli spia. Infine, qualche giorno fa, i bis in Algeria e in Francia (più correttamente a Parigi per la riunione con i ministri della difesa e degli esteri di Germania, Francia, Polonia e Spagna).

Quando è rimasto a Roma, l’instancabile ammiraglio è stato disponibile a ricevere in pompa magna una lunga lista di omologhi ministri alla guerra e alti ufficiali Usa e Nato: nell’ordine di arrivo in Italia, quelli di Canada, Sud Africa, Serbia, Filippine, Somalia, Macedonia, il Segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen (all’ordine del giorno“l’impegno in Afghanistan al termine della fase di transizione, la situazione nei Balcani, la difesa missilistica e la riforma dei Comandi e delle Agenzie dell’Alleanza”), Libia, Polonia, Kazakhstan, Somalia bis, Russia, Montenegro, Lettonia, il generale James N. Mattis comandante dell’U.S. Central CommandAfghanistan, Senegal, Slovenia, Vietnam, Azerbaijan, Francia, Colombia. Ovviamente molti dei vertici si sono conclusi con la firma di memorandum e accordi di mutua cooperazione tra le forze armate, war games e addestramenti congiunti, sperimentazione e acquisizioni di sistemi d’arma e attrezzature tecnologiche di alto valore strategico.

Pur consolidando gli impegni nei principali teatri di conflitto internazionale intrapresi dai predecessori (Afghanistan, Libano, Balcani, Corno d’Africa, ecc.), Giampaolo Di Paola ha chiesto di estendere la proiezione militare italiana ai turbolenti scenari del continente africano: innanzitutto la “nuova Libia” uscita esangue dai bombardamenti Nato ed extra-Nato dello scorso anno e a cui già forniamo intelligence, addestratori e consulenti (senza dimenticare il consenso a Washington a lanciare, dalla base di Sigonella, stormi di droni contro Tripoli e Bengasi); il Maghreb (dove la priorità resta la lotta all’immigrazione “clandestina” nel Mediterraneo); l’Uganda (da fine agosto un team dell’esercito a Kampala addestra al combattimento i militari locali destinati al fronte somalo e alla caccia di “terroristi” nella regione dei Grandi Laghi); il Kenya, con cui l’esecutivo Monti ha avviato un’“intesa per consolidare le rispettive capacità difensive e migliorare la comprensione reciproca sulle questioni della sicurezza”; il martoriato Mali (l’Italia ha rassicurato l’Unione europea e gli stati africani che non farà mancare il suo supporto all’ormai prossimo intervento multinazionale d’occupazione).

L’Italia è pronta ad andare ovunque e comunque, è l’assunto del ministro, per difendere i valori e gli interessi del tricolore, specie se questi coincidono con quelli dei manager e degli azionisti delle grandi aziende produttrici di materiale bellico. “Il settore industriale italiano nel campo sicurezza e difesa è ad alta tecnologia e ad alta innovazione, di rilevante importanza per lo sviluppo economico di questo Paese”, ha dichiarato Di Paola durante l’’audizione con la Commissione difesa alla Camera dei deputati, lo scorso 6 novembre. Poi ha aggiunto: Finmeccanica, la più grande delle industrie italiane nel settore ed una tra le più grandi a livello globale, impiega circa 70.000 unità lavorative e ha un fatturato di oltre 16-17 miliardi di euro all’anno e di questo, l’80% viene dal settore sicurezza e difesa. Questa realtà tecnologica e industriale, importantissima anche per l’occupazione e la crescita a cui contribuisce, deve essere sostenuta con investimenti appropriati e collaborazioni internazionali importanti”. E per sostenere Finmeccanica e socie, Di Paola è capace a rimettersi in viaggio tra un meeting e l’altro, visitando le maggiori fiere internazionali degli strumenti di morte, come quella “aerea” di Farnborough, Gran Bretagna (12 luglio) o l’Euronaval di Parigi – Le Bourget (24 ottobre).

Encomiabile il pressing su Monti, media e Parlamento per risparmiare alla Difesa l’offesa dei tagli della spending review“Lo strumento militare e le Forze armate italiane devono disporre di capacità operative e tecnologiche avanzate, tra le quali certamente rientrano quelle nel settore delle forze aeree, come la linea dei cacciabombardieri F-35”, ha spiegato Di Paola in Commissione difesa. “L’ammodernamento dello strumento militare, però, è molto più ampio ed articolato ed investe programmi di rinnovamento delle forze terrestri, quali la Forza NEC (Network Enabled Capabilities), delle unità navali, degli elicotteri, dei sistemi satellitari, di difesa missilistica, di comando, controllo e comunicazione e dei droni, che rappresentano il futuro di questo settore”. Un programma di ammodernamento ad ampio raggio, dunque, con un occhio particolare alla guerra cibernetica, “la nuova frontiera della minaccia”, secondo il ministro.

Così, per sostenere l’impeto riarmista e consolidare il trasferimento di ingenti risorse finanziarie pubbliche alle industrie militari anche in tempi di crisi, Di Paola ha rilanciato la trasformazione del modello “difesa”, dove i “risparmi” per la progressiva riduzione del numero di avieri, marinai e fanti si convertiranno in “investimenti” in caccia, sottomarini, carri armati, droni e apparati elettronici. Il tutto condito da qualche opportuno gioco di prestigio nella predisposizione dei bilanci. Come ad esempio quello di posticipare gli ordini di qualche anno, spalmando le spese su più annualità (i nuovi velivoli blindati “Freccia” di Iveco e Oto Melara sono così slittati dal 2013 al 2016, i due sottomarini U 212 invece del 2016 arriveranno l’anno successivo, gli elicotteri d’attacco NH90 di AugustaWestland dal 2018 al 2021, quelli AW101 dell’Aeronautica dal 2014 al 2017, l’adozione dei missili “Spike” a bordo dei famigerati “Mangusta” dal 2017 al 2014).
Di contro nel 2013 saranno acquistati sistemi di cui nessuno sino ad oggi aveva parlato: 40 blindati multi-uso e anti-mine del consorzio tedesco Iveco-Krauss (costo 120 milioni di euro ma c’è l’opzione per altri 40), un imprecisato numero di mortai da 81 mm (16 milioni), un “velivolo senza pilota tattico UAV” per la Marina militare da utilizzare “per la sorveglianza e le operazioni navali anti-pirateria”, ecc.. All’esordio pure lo “sviluppo” dell’MC-27J, la versione dotata di cannoniere dell’aereo da trasporto C-27J “Spartan” prodotto da Alenia Aermacchi. E che nessuno dica che a Palazzo Baracchini non si operi alacremente…

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MERCOLEDÌ 28 NOVEMBRE 2012


Patto militare Italia-Israele. Un accordo scellerato e illegale


Il Medio oriente è in fiamme. La Siria è in ginocchio, migliaia di profughi fuggono in Libano, in Turchia, in Giordania. Tel Aviv mobilita le forze terrestri, aeree, navali. Minaccia d’intervenire in Golan e di lanciare i suoi missili e i suoi caccia contro decine di “obiettivi strategici” in Iran. Intanto cannoneggia la striscia di Gaza e schiera carri armati e blindati alla frontiera con il Libano. Scenari di guerra che non sembrano intimorire più di tanto le forze politiche e il governo italiano. Quest’ultimo, anzi, trova pure il tempo d’inviare a Gerusalemme una delegazione d’eccezione, il premier con sei ministri, per il terzo summit intergovernativo in meno di due anni. Per rafforzare la partnership politica e militare e moltiplicare affari e scambi commerciali. Il comunicato ufficiale emesso lo scorso 25 ottobre è come sempre laconico. “In occasione del vertice Italia-Israele, al quale ha partecipato il Presidente del Consiglio, Mario Monti, il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ha incontrato il suo omologo dello Stato di Israele, Ehud Barak. A conferma dei solidi rapporti di amicizia e di collaborazione esistenti tra i due Paesi, sono stati approfonditi i temi inerenti alla cooperazione industriale nel settore della Difesa”.

Il faccia a faccia tra i ministri della guerra è stato preceduto da una serie d’incontri tra i massimi rappresentanti delle rispettive forze armate. Il 7 e l’8 febbraio 2012, il sottocapo di Stato maggiore israeliano, generale Nimrod Sheffer, ha incontrato a Roma i responsabili dell’Aeronautica italiana per “approfondire i processi di trasformazione in atto nelle due aeronautiche, le esperienze maturate nei rispettivi teatri di operazione e le future attività addestrative”. Il successivo 14 giugno è stato il comandante delle forze aeree israeliane, generale Ido Nehushtan, a giungere in Italia in missione ufficiale.

Meeting e visite di cortesia si sono sommate a tre importanti esercitazioni aeronavali bilaterali. Le prime due si sono svolte a fine 2011 in Sardegna (nome in codice Vega) e nel deserto del Negev (Desert Dusk). Durante i war games sono stati simulati combattimenti aerei tra cacciabombardieri F-15 ed F-16 israeliani ed “Eurofighter” e “Tornado” italiani; inoltre sono stati eseguiti veri e propri lanci di missili aria-terra e di bombe a caduta libera. Dal 3 all’8 novembre 2012, nelle acque prospicienti la città di Haifa, si è tenuta invece la prima edizione dell’esercitazione Rising Star a cui hanno partecipato i palombari artificieri del Gruppo operativo subacquei del COMSUBIN (Comando Subacquei ed Incursori) di La Spezia e i Divers (specialisti sommozzatori) della Marina israeliana.

L’accordo che disciplina la partnership militare tra Italia e Israele risale a sette anni fa ed è stato ratificato dal Parlamento italiano il 17 maggio 2005. Nella parte “pubblica” del testo (esisterebbe infatti un memorandum segreto mai sottoposto alla discussione e al voto dei parlamentari) si legge in particolare che la “cooperazione” fra i due paesi riguarderà in particolare “l’industria della difesa, l’importazione, l’esportazione e il transito di materiali militari, le operazioni umanitarie, l’organizzazione delle forze armate e la gestione del personale la formazione e l’addestramento, i servizi medici militari”. Sempre per l’accordo, le attività si svilupperanno grazie “alle riunioni dei ministri della Difesa, dei Comandanti in Capo e di altri ufficiali autorizzati, lo scambio di esperienze fra gli esperti delle due parti, l’organizzazione e l’attuazione delle attività di addestramento e delle esercitazioni, le visite di navi e aeromobili militari e ad impianti, lo scambio di informazioni, pubblicazioni e hardware, la ricerca, lo sviluppo e la produzione di sistemi d’armamento”. “Italia e Israele si adopereranno al massimo per contribuire, ove richiesto, a negoziare licenze, royalties ed informazioni tecniche, scambiate con le rispettive industrie”, recita l’articolo 3 dell’accordo di mutua collaborazione. E ancora: “Le Parti faciliteranno inoltre la concessione delle licenze di esportazione necessarie per la presentazione delle offerte o proposte richieste per dare esecuzione al presente Memorandum”.

Senza troppi giri di parole, l’import e l’export di sistemi d’arma devono essere l’essenza delle consolidate relazioni tra Roma e Tel Aviv, in palese violazione della legge italiana che disciplina il commercio di tecnologie belliche e che vieta le vendite a paesi belligeranti o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali dei diritti umani. Israele riassume in sé tutte le caratteristiche per dover essere posta al bando dal complesso militare industriale italiano: le sue forze armate sono sistematicamente impegnate su più fronti di guerra e dal 1967 occupano ancora buona parte della West Bank. Inoltre il regime d’apartheid instaurato contro la popolazione palestinese e gli stessi cittadini israeliani di origine araba è stigmatizzato dalle principali organizzazioni non governative internazionali. Non ultimo, Tel Aviv non ha mai firmato il Protocollo di Non Proliferazione Nucleare e da tempo immemorabile, anche grazie la collaborazione tecnico-scientifica di Stati Uniti ed Unione europea, a Dimona, nel deserto del Negev, si costruiscono armi nucleari (secondo gli istituti di ricerca indipendenti Israele sarebbe già in possesso di più di 200 testate).

Nonostante la riesplosione della crisi mediorientale, proprio il 2012 ha rappresentato l’anno chiave nei trasferimenti di sistemi d’arma tra i due paesi. Il 19 luglio, in particolare, il Ministero della difesa italiano e l’omologo israeliano hanno ratificato la fornitura alle forze armate israeliane di 30 velivoli da addestramento avanzato M-346 “Master” prodotti da Alenia Aermacchi. La commessa ha un valore di poco inferiore al miliardo di dollari ma prevede vantaggiose contropartite per le industrie israeliane. Elbit Systems, azienda specializzata nella produzione di tecnologie avanzate, svilupperà il nuovo software che verrà caricato sugli addestratori. Il Virtual Mission Training System (Vmts) “ingannerà i sensori degli M-346 simulando le funzioni di un moderno radar di scoperta attiva capace di gestire numerose funzioni tattiche, nonché scelte d’armamento complesse”, riporta la World Aeronautical Press Agency. “Utilizzando il software una volta in volo, il pilota in addestramento potrà esercitarsi in scenari avanzati, quali la guerra elettronica, la caccia alle installazioni radar e l’uso di sistemi d’arma all’avanguardia”. Alle future guerre le forze aeree israeliane si addestreranno cioè con il made in Italy.

In cambio dei caccia, Tel Aviv ha anche imposto che l’aeronautica militare italiana si doti di due velivoli di pronto allarme “Gulfstream 550” con relativi centri di comando, controllo e sistemi elettronici, prodotti daIsrael Aerospace Industries (IAI) ed Elta Systems (costo complessivo, 800 milioni di dollari circa). Selex Elsag, una controllata di Finmeccanica, s’incaricherà per conto delle aziende israeliane a fornire ai velivoli i “sottosistemi” di comunicazione e link tattici secondo gli standard Nato. Le forze armate italiane dovranno pure acquistare un sistema satellitare elettro-ottico ad alta risoluzione di seconda generazione “Ofeq”, anch’esso di produzione IAI ed Elbit Systems (245 milioni di dollari). Prime contractor degli israeliani sarà Telespazio, azienda controllata in parte da Finmeccanica, che assicurerà entro il 2015 la costruzione del segmento terrestre, il lancio e la messa in orbita del nuovo sistema satellitare.

Quest’anno, l’Aeronautica italiana ha pure deciso d’installare sugli elicotteri EH101 e sugli aerei da trasporto C27J “Spartan” e C130 “Hercules” un nuovo sistema di contromisure a raggi infrarossi, denominato Dircm - Directional infrared countermeasures, co-prodotto da Elettronica Spa di Roma ed Elbit Systems. Venticinque milioni e mezzo di euro la spesa, con consegne che saranno fatte entro la fine del 2013. Gli elicotteri d’attacco AW-129 “Mangusta” di AugustaWestland, in dotazione all’esercito italiano, dal prossimo anno saranno armati invece con i missili aria-terra a corto raggio “Spike” prodotti da un’altra importante azienda militare israeliana, Rafael. I missili, con una gittata tra gli 8 e i 25 km, potranno esseri equipaggiati con tre differenti tipologie di testata bellica a seconda dell’uso: anticarro, antifanteria e per la distruzione di bunker. Roma e Tel Aviv puntano infine a sviluppare congiuntamente nuovi velivoli a pilotaggio remoto UAV (i famigerati droni) e a cooperare nella produzione e nella “gestione logistica” del nuovo cacciabombardiere a capacità nucleare F-35, uno dei programmi più costosi della storia mondiale dell’aviazione da guerra.

Mentre i programmi di riarmo italo-israeliani sono condivisi e sostenuti da tutte le forze politiche presenti in Parlamentare, si sta rafforzando tra alcune forze sociali e no war la convinzione che la solidarietà al popolo palestinese non può essere disgiunta dalla mobilitazione per ottenere l’embargo militare nei confronti di Israele. Singoli cittadini, associazioni e comitati di base hanno dato vita alla Campagna BDSper “il boicottaggio, il disinvestimento e sanzioni nei confronti di Israele” fino a che esso “non porrà termine all’occupazione e alla colonizzazione di tutte le terre arabe e smantellerà il Muro; riconoscerà i diritti fondamentali dei cittadini Arabo-Palestinesi di Israele alla piena uguaglianza; rispetterà i diritti dei profughi palestinesi al ritorno nelle loro case e nelle loro proprietà come stabilito nella risoluzione 194 dell’ONU”.

Lo scorso 13 ottobre, di fronte allo stabilimento Alenia Aermacchi di Venegono-Varese, si è tenuta la manifestazione nazionale Nessun M346 a Israele per chiedere la revoca della vendita dei caccia addestratori alle forze armate israeliane, a cui hanno partecipato, tra gli altri, Pax Christi, la Commissione Giustizia e Pace dei Missionari Comboniani, Attac, Arci – Servizio Civile, Assopace e una serie di soggetti che sostengono il popolo palestinese. “Quella di Varese è stata una manifestazione anche contro lo scellerato accordo del 2005 di cooperazione militare, economica e scientifica tra il nostro Paese ed Israele”, ha spiegato Elio Pagani per il Comitato promotore. “Un accordo che non è stato scalfito neppure dall’Operazione piombo fuso del dicembre 2008 - gennaio 2009, che ha visto Israele colpire con il suo potere aereo la popolazione palestinese civile inerme (1.400 uccisi, di cui circa 400 bambini). Un’azione militare brutale, senza giustificazioni, nella quale sono state usate anche armi sconosciute o già vietate dalle Convenzioni internazionali (fosforo bianco, bombe D.I.M.E., uranio impoverito) e nella quale Israele ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità”.

 

Articolo pubblicato in Adista, n. 43 dell’1 dicembre 2012