Per compiacersi gli americani

1) Lettera al presidente Napolitano
Sulla grazia concessa al colonnello americano Joseph Romano: "Non c'era modo peggiore di chiudere la Sua presidenza" (ergo: non c'era altro modo per replicarla) - di Sergio Finardi

2) La fiducia arriva dagli Usa
Enrico Letta ha ricevuto l'unica fiducia che conta: quella del segretario di stato Usa John Kerry - di Manlio Dinucci

3) FLASHBACK: Rogo Moby Prince, la «nave fantasma» era americana
... e stava scaricando armi. Nell’incendio a Livorno 140 morti, 30 i sardi - di Piero Mannironi


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USA - mondo

Nessuna clemenza per la pratica delle rendition

Sergio Finardi

Su Il Manifesto del 9.4.2013 - www.ilmanifesto.it

Lettera al presidente Napolitano. La grazia concessa al colonnello americano Joseph Romano, condannato dalla Corte d’Appello di Milano per il rapimento di Abu Omar, è basata su presupposti non veritieri

Gentile presidente Napolitano, leggo nel comunicato del Quirinale sulla grazia concessa all'oggi colonnello Joseph L. Romano: «Il presidente Usa Barack Obama, subito dopo la sua elezione, ha posto fine a un approccio alle sfide della sicurezza nazionale, legato ad un preciso e tragico momento storico e concretatosi in pratiche ritenute dall'Italia e dalla Unione europea non compatibili con i principi fondamentali di uno stato di diritto». Nessuna delle due parti di cui è costituita la frase a lei attribuita è vera. Innanzitutto non è che l'Italia e l'Unione europea «ritengono» le «pratiche» statunitensi delle extraordinary renditions «non compatibili» con lo stato di diritto, è che ci sono due convenzioni internazionali - firmate anche dagli Stati uniti - a proibire tassativamente quelle pratiche, in qualsiasi circostanza. E quelle «pratiche», signor presidente, hanno riguardato il rapimento e la tortura di migliaia di persone. In secondo luogo - e principalmente - il presidente statunitense Obama non solo non ha mantenuto le sue promesse elettorali relative alla chiusura dell'infame Guantanamo e di molti altri luoghi (non più) segreti di detenzione indefinita e senza processo - cosa gravissima per un premio Nobel per la Pace, premio datogli anche sulla speranza che le mantenesse tali promesse - ma ha opposto ogni possibile ostacolo alla conoscenza della verità. Obama ha infatti reso ancora più difficile scoprire la verità sul programma delle renditions e sulle reali circostanze relative a migliaia di rapimenti. Ha poi esplicitamente sollevato dalle loro responsabilità sia chi ha dato ordini illegali sia chi li ha eseguiti, ordini che non avrebbero mai dovuto essere portati avanti. Obama ha inoltre nominato come suoi consiglieri o in posizioni-chiave della sua Amministrazione, uomini coinvolti fino al collo in quello che lei definisce «approccio alle sfide della sicurezza» e che è stato ed è invece una serie di politiche iniziate non dopo gli eventi del Settembre 2001, ma sotto il presidente Clinton, chiara dimostrazione del disprezzo totale che gli Stati uniti hanno del diritto internazionale e della sovranità degli altri Paesi, inclusi gli alleati, quando ritengono utile violarli entrambi. Queste nomine hanno compreso persone quali John Owen Brennan, ora direttore della Cia, la cui precedente candidatura era stata silurata dal Senato statunitense nella prima amministrazione Obama proprio perché coinvolto pienamente nel programma delle renditions . Quello stesso Brennan che si è poi distinto come il più forte sostenitore dell'uso dei droni, che in 90 attacchi hanno smembrato tremila pachistani civili (« collateral damages »), tra cui molti bambini e donne, anche recentissimamente. O come il generale Stanley Allen McChrystal, nominato nel 2009 capo della missione Isaf in Afghanistan, ma comandante nel 2003-2005 delle forze speciali conosciute con la sigla Task Force 6-26, responsabili di orrende torture di prigionieri iracheni a Camp Nema, base militare di Baghdad, torture emerse in ogni particolare nelle inchieste del New York Times e di Human Rights Watch del 2006. A questo si aggiunga che in queste settimane l'Amministrazione Obama ha ordinato l'alimentazione forzata (con un tubo diretto allo stomaco) di 128 prigionieri di Camp 6 - tra quelli ancora detenuti a Guantanamo - che hanno dichiarato lo sciopero della fame per protestare, per l'ennesima volta, 11 anni di detenzione senza processo e senza accuse. Non meno importante, il fatto che l'Fbi di Obama si sta distinguendo per la persecuzione accanita e in molti casi abnorme delle organizzazioni e degli individui che hanno guidato le proteste contro la continuazione di fatto delle guerre di Bush o hanno - come il soldato Bradley Manning - contribuito a rivelare le attività criminali perpetrate dagli Stati uniti in Iraq e in Afghanistan. Gentile presidente, voglio sperare che lei sia stato male consigliato e informato. Voglio però anche dirle che il suo gesto di clemenza virtuale per un fuggitivo, militare consapevolmente coinvolto nel rapimento di Abu Omar (e probabilmente di altri, dato il ruolo ricoperto), suona insopportabile e profondamente offensivo per chi abbia a cuore la sovranità e la magistratura italiane, per chi non abbia dimenticato come gli Stati uniti abbiano risposto alla richiesta di verità sull'uccisione di Nicola Calipari e il ferimento di Giuliana Sgrena e Andrea Carpani, infine per persone come chi le scrive. Persone di molte nazionalità diverse che si sono unite e hanno messo a disposizione le loro professionalità (e spesso le loro carriere) in anni di ricerca per svelare e far finire le orribili pratiche legate al programma delle extraordinary renditions - dalle nostre prime denunce del 2004 a quelle sul coinvolgimento dei governi europei del 2006 (compresa l'Italia, proprio su queste pagine), allo svelamento nel 2008 delle tante prigioni-tortura installate dalla Cia in vari Paesi europei. Proprio venerdì, l'alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navy Pillay, ha criticato duramente l'Amministrazione Obama, si legge nel comunicato «per la continua, indefinita incarcerazione di molti prigionieri (che è) chiaramente contraria alle leggi internazionali». «Dobbiamo essere chiari (...), gli Stati uniti sono non solo in violazione delle proprie promesse, ma anche delle leggi e standard internazionali che sono obbligati a rispettare». Di quale «por fine» da parte di Obama parla, signor presidente? Non c'era modo peggiore di chiudere la Sua presidenza.


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RUBRICA - L'ARTE DELLA GUERRA

La fiducia arriva dagli Usa

Manlio Dinucci

Su Il Manifesto del 30.4.2013 - www.ilmanifesto.it


Enrico Letta ha ricevuto la fiducia: quella del segretario di stato Usa John Kerry che, ancor prima che la votasse il parlamento italiano, si è congratulato per la nascita del nuovo governo. Fiducia ben meritata. Enrico Letta, garantisce John Kerry, è «un amico buono e fidato degli Stati uniti, che ha dimostrato in tutta la sua carriera un fermo impegno nella nostra partnership transatlantica». Il governo Letta, sottolinea Kerry, assicurerà il proseguimento della «nostra stretta cooperazione su molte pressanti questioni in tutto il mondo». È quindi il segretario di stato Usa a trattare un tema fondamentale che i partiti italiani hanno cancellato dal dibattito e dai programmi con cui si sono presentati agli elettori: la politica estera e militare dell'Italia. Il perché è chiaro: Pd, Pdl e Scelta Civica hanno su ciò la stessa posizione. Possiamo dunque essere sicuri che l'Italia continuerà ad essere base avanzata delle operazioni militari Usa/Nato in Medio Oriente e Africa: dopo la guerra alla Libia, si sta conducendo quella in Siria, mentre si prepara l'attacco all'Iran. E, in barba al Trattato di non-proliferazione, resteranno sul nostro territorio le bombe nucleari che gli Usa hanno deciso di potenziare. Allo stesso tempo l'Italia continuerà a inviare forze militari all'estero, anche in Afghanistan dove la Nato manterrà propri contingenti dopo il «ritiro» nel 2014. Aumenterà di conseguenza la spesa militare, in cui l'Italia si colloca al decimo posto mondiale con 70 milioni di euro al giorno spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all'estero. A rafforzare la fiducia di John Kerry che l'Italia resterà alleato fidato sotto comando Usa è la nomina di Emma Bonino a ministro degli esteri. La Bonino, sottolineano a Washington, è una ex allieva del Dipartimento di stato, presso cui ha frequentato un corso di formazione (International Visitor Leadership Program). Brillante allieva. Ha sostenuto i bombardamenti della Nato sull'ex Jugoslavia; ha sostenuto la guerra in Afghanistan, dichiarando che «non si può parlare di occupazione: qui c'è una forza multinazionale» e che «un'occasione militare può condurre alla democrazia»; ha accusato Gino Strada di «atteggiamento ambiguo, tra l'umanitario e il politico». Ha sostenuto la guerra in Iraq, affermando che «non c'era alternativa per sconvolgere la rete terroristica» dopo l'11 settembre e ha definito «irresponsabili» i manifestanti contro la guarra. E, in veste di vice-presidente del Senato, è stata tra i più accesi sostenitori della guerra alla Libia, chiedendo nel febbraio 2011 la sospensione del trattato bilaterale perché «lega le mani all'Italia nel prestare soccorso alla popolazione civile», «soccorso» arrivato subito dopo con i cacciabombardieri. La Bonino potrà contare sui corsi di «peacekeeping» della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa (già diretta da Maria Chiara Carrozza ora ministro dell'istruzione), che vengono tenuti anche in Africa. A quando, dopo quella in Libia, la prossima operazione di «peacekeeping»?


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Rogo Moby Prince, la «nave fantasma» era americana


I figli del comandante Chessa non si sono arresi all’archiviazione: un team forense ha rivisto tutti gli atti. La nave fantasma fuggita era Usa e stava scaricando armi. Nell’incendio a Livorno 140 morti, 30 i sardi

di Piero Mannironi - 9 aprile 2013


SASSARI. Quella sentenza di archiviazione fu vissuta dai familiari delle vittime come un doloroso tradimento. L’inchiesta-bis sulla tragedia del Moby Prince, la più grave della storia della marineria civile italiana, aveva infatti creato un clima di grande speranza, la convinzione che finalmente la magistratura sarebbe riuscita a penetrare il buio groviglio dentro il quale si nascondeva la verità. E invece, nel 2010 arrivò l’archiviazione che consegnò il caso alla tremenda banalitàý di un incidente navale provocato «dall'errore umano» e da una «concatenazione casuale di eventi». I figli del comandante Ugo Chessa non si sono arresi e hanno affidato a un team di esperti di ingegneria forense di Milano coordinati da Gabriele Bardazza, la revisione di tutti gli elementi processuali, chiedendogli di rileggerli con l’aiuto di nuove e sofisticate tecnologie. Ed ecco, proprio alla vigilia del 22esimo anniversario del rogo che costò la vita a 140 persone, il colpo di scena.
Due soprattutto gli elementi nuovi che impongono una revisione della ricostruzione degli eventi. Il primo è la posizione del Moby Prince e quella della petroliera Agip Abruzzo la sera del 10 aprile ’91. Rivedendo e filtrando alcuni filmati amatoriali, il perito è riuscito a provare che il Moby speronò la petroliera non uscendo dal porto nella sua rotta verso Olbia, ma tentando di rientrare a Livorno. Il che comporterebbe un interrogativo obbligato: perché Ugo Chessa aveva ordinato l’inversione di rotta? Forse perché era successo qualcosa che poteva aver messo a rischio la sicurezza della nave? Magari una collisione con una terza nave rimasta finora fuori dalla scena?
La risposta potrebbe essere legata al secondo clamoroso elemento scoperto dal perito: la misteriosa nave Theresa II, che si allontanò a tutta velocità dopo una comunicazione criptica con una sconosciuta “Nave uno”, ha finalmente un nome. «Dalle nostre comparazioni - spiega Gabriele Bardazza - si evince che Theresa II altro non è che è Gallant 2, una delle navi militarizzate americane che quella notte erano impegnate nel trasporto di armi nella base Usa di Camp Darby. Resta da capire il motivo per cui il comandante abbia ritenuto di non utilizzare via radio il proprio identificativo, ma abbia usato un nome in codice. Come resta da spiegare il fatto che i periti del tribunale non si siano mai preoccupati di analizzare a fondo le registrazioni per chiarire chi fosse Theresa II, nonostante nell’inchiesta di questa nave fantasma si sia parlato a lungo». Dunque, la voce misteriosa che comunicò con la “Nave uno” sarebbe quella del comandante greco Theodossiou della Gallant 2.
Forse i nuovi elementi potranno dissipare la nebbia che, dal 10 aprile 1991, avvolge la storia del traghetto partito da Livorno per Olbia e mai approdato in Sardegna. Con un carico umano di gente comune, di piccoli sogni e di quotidianità, di ritorni e di speranze. 140 vite divorate dalle fiamme, incredibilmente annientate a poche miglia dal molo dopo lacollisione con la petroliera Agip Abruzzo poco prima delle 22,30.
A far aprire l’inchiesta-bis era stata un’istanza dell’avvocato Carlo Palermo, legale dei figli del comandante del Moby Prince, Ugo Chessa. Palermo non basò il suo ricorso su fantasiose deduzioni o nuove rivelazioni, ma molto più semplicemente cucì con pignoleria e con infinita pazienza testimonianze dimenticate, atti incongruenti o addirittura documenti misteriosamente scomparsi. La sua ipotesi è che il Moby Prince sia finito in mezzo a un frenetico traffico di armi che, quella sera, animava il porto di Livorno. Un traffico «coperto», cioé segreto, probabilmente organizzato dalle autorità militari statunitensi e autorizzato da quelle italiane.
Per l’avvocato della famiglia Chessa, il punto di partenza era stato la testimonianza di un tenente della Guardia di finanza, Cesare Gentile, che la sera del 10 aprile era uscito dal porto su una motovedetta pochi minuti dopo la collisione: alle 22,35. Gentile, nella sua deposizione davanti ai giudici del tribunale di Livorno, aveva parlato con grande precisione delle operazioni di carico e scarico di armi, che erano in corso nel porto da una nave mercantile “militarizzata”. Cioè da una nave affittata dal governo statunitense per trasportare armi e munizioni. Quello era l’ultimo giorno di “Desert Storm”, la prima guerra del Golfo, e dall’Iraq tornava in Europa l’arsenale americano. Le armi erano ufficialmente destinate alla base Usa di Camp Darby, tra Livorno e Pisa. Ma le armi scaricate quella notte dalla nave americana non sono mai finite nella base di Camp Darby. Avrebbero infatti dovuto transitare su delle chiatte nel canale di Navicello, sbarrato dal ponte mobile di Calabrone. Ebbene, tra le 15,45 del 10 aprile e le 9,10 dell’11, c’è la prova che il ponte rimase abbassato. Quindi, quelle armi sono finite da qualche altra parte.