2 AGOSTO 2013 / 2. AVGUST 2013

80 anni fa la proibizione
Ob 80-letnici prepovedi


Ottant’anni fa, nei giorni precedenti la solennità dell’Assunta (Rožinca), ai sacerdoti della forania di San Pietro al Natisone fu notificato il decreto governativo che proibiva l’uso della lingua slovena nelle celebrazioni liturgiche e nell’insegnamento del catechismo, mettendo fine a una prassi millenaria della Chiesa locale. L’ordinanza, voluta e firmata dallo stesso duce Benito Mussolini, fu l’apice della politica snazionalizzatrice ed etnocida intrapresa dall’Italia fin dall’annessione della Slavia al regno sabaudo e spinta al massimo dal regime fascista. «Un popolo mettetegli la catena, spogliatelo, tappategli la bocca: è ancora libero. Toglietegli il lavoro, il passaporto, la tavola dove mangia, il letto dove dorme: è ancora ricco. Un popolo diventa povero e servo quando gli rubano la lingua adottata dai padri. È perso per sempre, diventa povero e servo!», ha efficacemente scritto il poeta sciliano Ignazio Buttitta. Era il 15 agosto del 1933 quando il parroco don Giuseppe Gorenszach diede l’annuncio ai fedeli di San Leonardo: «Oggi il parroco alla prima messa lesse in italiano quanto segue. Ieri sera sono stato chiamato nella caserma dei RR.CC. (Reali Carabinieri, ndr) di S. Leonardo dal sig. Tenente di detta arma e da esso ebbi ordine – a nome di S. E. il prefetto di Udine di parlarvi da oggi in poi in lingua italiana. In italiano le prediche, i catechismi e la Dottrina Cristiana ai fanciulli. È data facoltà, fino a nuovo ordine, di riassumere in lingua vernacola, quanto prima si dice in lingua italiana. Devo dirvi, infine, che tutti i Catechismi Sloveni sono stati sequestrati…».

Numerose sono le testimonianze tramandate dai sacerdoti dell’epoca. Nel libro storico parrocchiale, il cappellano di Lasiz, Antonio Cuffolo, afferma che prima di arrivare alla proibizione della lingua slovena, ci fu una campagna di calunnie nei confronti dei sacerdoti locali. Scrive così Cuffolo nella Cronaca della cappellania di Lasiz: «Cominciarono le calunnie ora a carico di uno, ora a carico dell’altro sacerdote. […] Quando ai nemici sembrò che l’ambiente fosse già impressionato il tenente dei RR. CC. invitò i più terribili sacerdoti della zona e cioè i cappellani di Lasiz, Antro, Mersino e Vernasso (rispettivamente don Cuffolo, don Cramaro, don Simiz e don Qualizza, ndr) per il giorno 16 agosto nella caserma dei Carabinieri di S. Pietro. Il tenente presentò ai quattro sacerdoti per la firma una imposizione per la quale da quel giorno non avrebbero più usato la lingua locale nelle preghiere, nella predicazione e nella dottrina cristiana. I sacerdoti protestarono contro l’arbitraria imposizione contraria alle leggi naturali, ecclesiastiche ecc. Ne nacque una violenta discussione che minacciava serie conseguenze. In conclusione i quattro sacerdoti alla dichiarazione preparata dal tenente aggiunsero di proprio pugno: “I sottoscritti accetteranno soltanto se l’ordine verrà dato dall’Autorità Ecclesiastica od almeno attraverso la stessa”. Detta dichiarazione fece andare su tutte le furie il tenente, ma i sacerdoti non si fecero impressionare». I sacerdoti si rivolsero allora all’arcivescovo di Udine mons. Giuseppe Nogara per chiedere quale fosse l’atteggiamento da tenere in questa situazione. L’arcivescovo raccomandò di accettare tutte le disposizioni per evitare sanzioni ancora più severe, o addirittura il confino. L’ultimo discorso ufficiale in sloveno fu quello del cappellano di Tercimonte in occasione della festa dell’Assunzione nella Chiesa di Vernasso. Le ripercussioni della proibizione furono immediate e tragiche. Oltre alla perdita delle tradizioni locali, del ricchissimo repertorio dei canti popolari, furono profondamente danneggiati anche l’associazionismo e la vita religiosa. «Dopo oltre mille anni – scrive Cuffolo – contro tutte le tradizioni, contro tutte le leggi della Chiesa, con danno evidentissimo per le anime solo perché il detto “il duce lo vuole” aveva impedito all’autorità ecclesiastica di prendere francamente una posizione, è avvenuto un cambiamento nella cura d’anime. Per le strade, osterie, municipi, botteghe, esattorie si parlerà, si farà i propri interessi adoperando la lingua materna, solo in chiesa sarà proibita. Proibiti i canti tradizionali e preghiere che non saranno più sostituiti. Il nemico della Chiesa ha raggiunto lo scopo, “il duce lo vuole”»! Del resto Mussolini e i suoi seguaci avevano ben compreso che solo sradicandola dalla religione, avrebbero potuto infliggere un colpo mortale alla lingua slovena. In ottant’anni tante cose sono cambiate e gli sloveni della provincia di Udine si sono visti riconosciuti dall’Italia i propri diritti linguistici, ma dalla violenza perpetrata dal regime fascista nel 1933 le valli del Natisone e del Torre, Resia e Valcanale non si sono mai completamente riprese. Lo testimonia l’attuale drammatica condizione, non solo linguistica.

 

Avgusta 1933 je fašistični režim prepovedal uporabo slovenskega jezika v farah videnske nadškofije. To je imelo hude posledice, ki se še danes vidijo.